Top Banner
4 aprile 2015 66 ARCHEOLOGIA
3

Le meraviglie di Latmos di Ugo Tonietti

Jul 23, 2016

Download

Documents

Segnalazioni

 
Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: Le meraviglie di Latmos di Ugo Tonietti

4 aprile 201566

ARCHEOLOGIA

Page 2: Le meraviglie di Latmos di Ugo Tonietti

4 aprile 2015 67

In Anatolia alla scoperta delle prime immaginidi una società umana: un mondo animato dalle donne

descritto con grande libertà espressiva

di Ugo Tonietti

Le meraviglie di Latmos

La memoria del teatro di steli antropomorfe di Gobeklitepe (Left n.4), in quell’enclave dell’alto Eufrate che favorì, con il termine dell’ultima gla-ciazione le prime sperimentazioni di coltivazione, non cessa di generare incredulità e stupore. Cosa può aver spinto popolazioni non ancora stanzia-li a creare un’architettura di rude bellezza, ove è celebrata la dimensione sociale degli uomini at-traverso l’estrazione dalla roccia, e la successiva elevazione, di monoliti scolpiti del peso di molte tonnellate? Stiamo seguendo con enorme curiosi-tà il racconto dell’evoluzione delle società umane, attraverso la ricostruzione, resa possibile dai ritro-vamenti archeologici, del modo di abitare delle popolazioni che compirono, per la prima volta qui in Anatolia, i passaggi fondamentali della cosid-detta “rivoluzione neolitica” ovvero la transizione che porta le società paleolitiche (di cacciatori-raccoglitori) all’affermazione della stanzialità pie-na. Attraverso il controllo dell’agricoltura e l’uso della domesticazione si approda a modalità d’in-sediamento complesse (i villaggi e, poi, la città), a una nuova gestione delle risorse (grazie alla specializzazione delle mansioni), e infine, per il tramite anche di esplosive costruzioni culturali, alla ridefinizione completa dei rapporti sociali. Ci occupiamo di tutto ciò perché siamo persuasi che seguire questa evoluzione possa renderci più visi-bili i caratteri essenziali di una specie in cammi-no, afferrando quanto si è messo in gioco, cosa si è guadagnato e cosa anche perduto nell’aspra dia-lettica della storia. Ma alla nostra indagine manca ancora un tassello, forse il più toccante e istrutti-vo, quello cui guarderemo con invincibile nostal-gia: l’esplorazione del sito preistorico di Latmos.

Ci dobbiamo spostare di molti chilometri que-sta volta, abbandonando la culla mesopotamica, per raggiungere la costa Anatolica occidentale in prossimità di Mileto. Qui troviamo, sulle pendici del monte Latmos, in un paesaggio di rara bel-lezza, la testimonianza di vita di una formidabi-le civiltà sviluppatasi, nel suo fulcro, tra il VI e il V millennio a.C. Dobbiamo la scoperta ad Anne-liese Peschlow-Bindokat, archeologa tedesca che vi lavora, con intelligenza e passione, dal 1994. In quell’anno la studiosa scoprì il primo di una se-rie impressionante di cicli pittorici rupestri, dif-fusi sulle alture selvagge del monte, cosparso di gruppi rocciosi di origine metamorfica, oggi de-nominato Besparmak (5 dita) dall’articolazione delle sue vette. In questo ambiente, ricco di acque e costellato di pioppi, platani, fichi e olivi dispo-sti dolcemente sui suoi pendii, una popolazione autoctona si è sbizzarrita a disegnare centinaia di storie colorate sulle superfici delle lastre di gneiss avendo come unico soggetto se stessa.Ciò che rende unico questo ritrovamento è che esso porta alla conoscenza il momento, l’epoca, in cui la nostra specie comincia a interrogarsi esplicitamente su di sé, abbandonando la stagio-ne, protratta per l’intero paleolitico, nella quale le rappresentazioni pittoriche hanno per protagoni-sta quasi esclusivo il mondo animale.Si pensa che gli abitanti del Latmos fossero ora-mai sedentari, anche se il loro insediamento (che si svolge in parte sul monte, in parte nelle pianure sottostanti) non sembra caratterizzato da evolute forme di coltivazione (essi trovano qui un piccolo Eden provvisto di alberi di olivo e frutta). I luo-ghi che ospitano dipinti sono numerosissimi (se

Page 3: Le meraviglie di Latmos di Ugo Tonietti

4 aprile 201568

ne contano a oggi 170), in prossimità di radure e sotto ripari accoglienti. Ovunque sono riprodotte figure stilizzate in contesti sociali: donne, tantissi-me, bambini e bambine, uomini, tutti colti men-tre parlano, danzano, giocano, si abbracciano. Una fantasmagoria di segni limpidissimi (anche se in gran parte deteriorati) per lo più in ematite rossa, eseguiti con uno stile rappresentativo geo-metrico astratto (solo poche figure hanno teste e membra arrotondate) che lascia senza fiato. Una esplosione espressiva di altissima qualità, al livel-lo dei codici elaborati dalle avanguardie del ’900, ma di appena 8.000 anni fa.Il loro contenuto svela una sorprendente Weltan-schauung, insieme delicata e incisiva, che non si basa su strumenti verbali di comunicazione bensì è frutto di un’attitudine, metodica, a elaborare il vissuto affidandosi alla “memoria-fantasia”, con esiti di un’originalità che non può essere ignorata.Aspetto centrale di queste pitture è sicuramente la singolarità della resa dell’immagine femminile: essa è indagata costantemente senza riferimen-ti naturalistici ma deformata come a coglierne un’essenza profonda. La donna è sempre in mo-vimento e in rapporto, finemente abbigliata, ri-prodotta con incredibile leggerezza esaltandone l’attributo primario: la possibilità di essere fertile (qui con un curioso ribaltamento tra pancia e glu-tei). Questa caratteristica suggerisce un legame immediato con le più antiche veneri “steatopigie” (dalle grandi natiche) e aiuta a comprendere la genesi di quel processo creativo-rappresentativo sopracitato, esclusivamente umano, che è capace di “far vedere” il latente, qualità peculiare di ogni manifestazione artistica.Il sentimento che traspare da questi racconti, in-centrati sul rapporto tra donne e uomini, è, nelle parole che condividiamo della stessa archeologa Peschlow-Bindokat, di “vivacità e appagamento”; veniamo introdotti in un mondo dove l’essere umano è essere sociale, dove le donne occupano, forse idealizzate, un ruolo preminente e dove, non è un caso, sono del tutto assenti scene di qualsivo-glia violenza. Siamo di fronte alla smentita formi-dabile di un luogo comune dato per scontato sot-to quasi tutte le latitudini culturali: non c’è traccia di alcunché di aprioristicamente selvaggio o “stor-to” o inquietante nelle manifestazioni fin qui note delle popolazioni primitive che hanno abitato il mondo prima dell’affermazione del “logos”. C’è al contrario una testimonianza di socialità, di ri-conoscimento del ruolo femminile, di generosa prevalenza della spensieratezza e dell’armonia

sulla forza e sulla necessità. Non dobbiamo infatti dimenticare l’altro struggente esempio, coevo, co-stituito dal museo all’aperto del Sahara libico-al-gerino con le migliaia di racconti su roccia. Anche qui protagoniste le donne; anche qui, pur nel co-dice espressivo più naturalista, nell’assenza totale di scene guerresche o cruente. Un mondo popola-to di immagini, una società acerba – preraziona-le - ancora lontana dall’affermarsi delle articolate costruzioni concettuali che, nel processo storico, sembrano accompagnarsi al drammatico precipi-tare nella separazione tra corporeità e intelletto.Vogliamo dire che è esistita sul serio un’età dell’oro? Qui il discorso si fa difficile proprio per-ché non intendiamo semplificare o raccontare favole (ricordando Rousseau), ma il problema si presenta realmente sul piano scientifico. Metten-do tra parentesi per il momento il tema affasci-nante della modalità espressiva (e della potenza dell’arte preistorica) possiamo tentare di rianno-dare qualche filo. Una lunga stagione prepara l’in-gresso dell’umanità nel regno del pensiero scritto, del dominio sulla natura, delle scoperte scien-

tifiche e tecniche; è la stagione ingenua e infan-tile dove al linguaggio articolato si antepongono l’immagine e il suono, dove ancora si è in pochi e ci si muove molto. Poi qualcosa si complica con lo sfruttamento agricolo e la nascita del surplus, delle città e delle prime oligarchie: si guadagnano possibilità enormi di intervento sull’ambiente e anche di comunicazione e di espressione, ma pro-gressivamente si impone implacabile il modello razional-patriarcale (basato sulla cancellazione-mortificazione dell’identità femminile). Legame con la terra, difesa del suolo, paura dello scono-sciuto, creazione del dio protettore. L’ossessione della forza, fondata su una perdita d’identità, non viene mitigata dalla nascente poesia. Si approda presto, cancellando totalmente cultura ed epopee precedenti, alla saldatura micidiale tra patriarca-to, monoteismo e logos (tra il padre dei cieli ed i padri c’è un legame diretto) che sta ancora se-gnando, con l’ideologia che li sostiene, il nostro destino.Eppure, come ci racconta anche l’antica Anatolia, è un delitto irreparabile dimenticare che non ave-vamo cominciato così.

L’unicità di questo ritrovamento, sta nella scoperta del momento in cui la nostra specie comincia a interrogarsi esplicitamente su di sé

ARCHEOLOGIA