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Caterina Pagani
Jankélévitch legge Fauré
“ …grandi slanci inappagati
sono in me”
Introduzione
La lettura che Jankélévitch compie nei confronti della musica di
Fauré, si realizza nella direzione di una duplice prospettiva: da
un lato l’urgenza dell’evento sonoro e degli effetti semantici
annessi a tale evento, dall’altro le categorie propriamente
filosofiche che regolano il suo discorso concettuale.
La scelta di considerare uno specifico genere compositivo quale
la melodia per canto e pianoforte, luogo privilegiato della
creatività fauréana, connota in modo evidente la cifra estetica con
la quale il filosofo intende filtrare l’opera del compositore.
All’interno della tradizione melodica francese, che rimarrà in
larga parte estranea alla natura romantica e specificatamente
tedesca del Lied, s’innesta questo magico incontro della poesia con
la musica, nel quale confluiscono i vagheggiati aneliti verso rive
sconosciute e le raffinate tensioni per tutto ciò che è raro e
ricercato. In un simile contesto Fauré seguirà la sua naturale
vocazione: la qualità di un suono astratto ed immateriale che
sempre sarà vincolato ad una certa disposizione dell’anima, al
suggerimento di una pura emozione, all’evanescenza di paesaggi
indeterminati.
Jankélévitch intravede attraverso le preziose concatenazioni
armoniche che si riscontrano nelle melodie, dei luoghi deputati
che, se da un lato raccolgono l’essenza poetica del compositore,
dall’altra diventano oggetto di un’interpretazione filosofica che
li significa e li regola. Tra questi luoghi riconosciamo “il
raccoglimento” che viene vissuto, sia come fobia del reale e quindi
momento di fuga dalle percezione troppo precise, sia come zona di
salvaguardia di un pudore reticente alle seduzioni del
molteplice.
A questo riguardo Jankélévitch parla di una visione
sopra-sensibile che si colloca nella zona di confine tra
l’impercettibile ed il soprannaturale. Tale posizione allontanerà
Fauré dall’approccio debussyano, che invece appare totalmente
concentrato nel carpire le più sottili vibrazioni sensoriali e non
sublima questa molteplicità ad un livello emozionale e quindi
spirituale, ma lascia “essere” le sensazioni delle cose. Nella
stessa direzione si spingerà Ravel, il quale porterà a compimento
questo progressivo oggettivismo, aderendo direttamente alle cose
stesse.
Ciò che muove la tensione faurèana è un indicibile desiderio di
cose inesistenti, un desiderio che la musica esprime nella sua
condizione ideale, quella notturna.
La notte diventa “una possibilità poetica”, scopre il momento
dello spaesamento onirico ed ipnotico, dell’indeterminazione delle
forme liberate dalla gravità della materia, dei mormorii sussurrati
sottovoce, ma non si abbandona alla magia nera ed agli incubi
deliranti bensì respira insieme all’anima pura che non desidera
nient’altro che ritrovarsi e raccogliersi su se stessa.
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In un clima da chiaro di luna e da sogni quieti si compie
secondo Jankélévitch il miracolo della coesistenza dell’essere qui
“ibi” e dell’essere altrove “alibi”, ovunque e in nessun luogo, la
condizione sine qua non dello charme.
Inassegnabile per essenza, assente sia dal soggetto sia
dall’oggetto, lo charme vive in un alibi perpetuo, si veste di
un‘ambiguità che parla e si esprime attraverso il suo linguaggio
naturale: la musica.
L’evento sonoro, quindi, esiste in un preciso istante, quello
dell’imponderabile, del mistero e del non so che.
Qual è allora lo charme che il filosofo scorge tra le pieghe di
queste melodie rare e sfuggenti? E’ uno charme che non partecipa
della vertigine del caos, della dissoluzione nel non essere, e
degli abbandoni melanconici ma accoglie dentro di se un
incantamento che non è frutto di sortilegi ma di misura, di
metronomia sedativa che regola la convulsioni degli istinti.
Jankélévitch celebra, di fatto, una catarsi musicale, dove
l’anima riceve un medicamento spirituale e lo charme gioca
all’interno di un’ambiguità profonda e molto sottile. § 1
L’approccio filosofico-musicale di Jankélévitch « Le philosophe qui
m’a
la plus influencé» G. Fauré
Rispetto all’epoca in cui vive, compresa tra gli anni ’30 e ’70
che vede l’affermazione delle ultime avanguardie rappresentate da
personalità come Schoenberg, Stravinskij, Hindemith ed altri,
Jankélévitch segue, quasi anacronisticamente, un percorso al
margine, alternativo. Jankélévitch restringe il campo della propria
ricerca musicale attorno ad un numero limitato di musicisti;
insieme ai nomi di pochi francesi come Faurè, Debussy, Ravel,
Satie, Déodat de Séverac, compaiono Chopin, Liszt e qualche russo e
spagnolo, tra i quali Rimskij- Korsakov, Mompou e Albeniz.
Occorre tener presente che il particolare approccio
jankélévitchiano all’universo sonoro, non si allinea ad un classico
percorso di storia della musica, ma interroga direttamente la
materia sonora. Jankélévitch non è uno storicista, egli si sottrae
a tutti quei percorsi convenzionali, fedeli alla cronologia del
linguaggio musicale, e provoca un forte spiazzamento utilizzando un
registro metodologico e teorico volutamente asistematico.
Se da un lato la ricerca di Jankélévitch, all’interno di questa
élite di compositori, vuole fare tabula rasa di tutte quelle
ingerenze extramusicali, che pretendono di circoscrivere l’evento
musicale entro rigidi parametri preformati,1 dall’altro essa si
pone al di là di ogni forma musicale e di ogni possibile visione
estetica. Si sente la forte posizione di rottura rispetto ad una
tradizione che cerca al di fuori della musica, i motivi che
spiegano la sua vicenda.
1 Nella Musica e l’ineffabile, l’unico libro realmente di
filosofia della musica, si approfondiscono tutti i luoghi comuni
che si legano all’interpretazione dell’evento musicale.
2
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I discorsi filosofici sulla musica, che stanno alla base
dell’impalcatura culturale occidentale, rappresentano per
Jankélévitch dei puri miraggi verbali; la musica è ridotta alla
pura rappresentazione/espressione di un Essere che sta a fondamento
del reale, e che si manifesta attraverso le varie forme del
sensibile. Un esempio evidente, di come la musica abbia subito
l’ingerenza di altri campi del sapere, è dato dalla struttura del
linguaggio umano. Infatti, secondo il pregiudizio metafisico, la
musica è considerata un linguaggio che, come le parole, si
organizza mediante un ragionamento che sviscera tutte le
possibilità recondite del discorso, utilizzando gli schemi della
retorica. La forma-sonata e la fuga, come sostiene Jankélévitch,
rappresentano gli emblemi di una concezione che vuol vedere nella
musica un cammino trasfigurato del pensiero.
«Una sinfonia è un discorso? La sonata è paragonabile a
un’orazione, la fuga a una dissertazione e l’oratorio a un sermone?
I temi giocano nella sinfonia lo stesso ruolo delle “idee” nella
lezione di un conferenziere? » .2
A partire da questo lucido disincanto, ha inizio l’avventura
filosofico-musicale di
Jankélévitch. Non è più l’Essere sostanziale ed eterno a
costituire il punto di partenza, ma è la musica stessa che ci fa
“intravedere” un Essere inattingibile, che non si può portare a
conoscenza. La musica non è più l’oggetto rappresentativo della
realtà sostanziale delle cose, ma diventa la possibilità di
rivelare l’aspetto paradossale di questa ontologia: l’essenziale
delle cose riposa in un non so che, inafferrabile e indicibile.
«La musica testimonia il fatto che l’essenziale in tutte le cose
è non so che d’inafferrabile e d’ineffabile; essa rafforza in noi
la convinzione che, ecco, la cosa più importante del mondo è
proprio quella che non si può dire.3
Proprio la musica ci mostra che l’Essere vero a fondamento delle
cose, non è più quella struttura sostanziale ed eterna, cui la
cultura occidentale ci ha abituati, ma è un abisso essenzialmente
inesprimibile e ineffabile.
Ma se non si può dire, in che modo se ne può parlare, in quale
maniera Jankélévitch tenta di evocarne il significato recondito?
Mediante l’utilizzo di una filosofia negativa, Jankélévitch evoca
in maniera contraddittoria, di fatto non rivelando, ciò che non si
può dire. Proprio attraverso un linguaggio, non più univoco, che si
colloca nel mezzo della contraddizione e della duplice valenza del
reale, si può comprendere la natura indicibile di questo fondo
oscuro dell’Essere. La musica vive, e fa vivere, contemporaneamente
l’esperienza molteplice dell’apollineo e del dionisiaco, essa è
portatrice di quell’urto tra un fondo luminoso ed un abisso
inesprimibile.
§ 2 Il silenzio come dimensione di conoscenza
All’interno dei questa ricerca il silenzio è un tema presente
sin dall’inizio della
riflessione jankélévitchiana, difatti, questa nuova voce si pone
come un’alternativa alla legge imperante del logos e della
razionalità. Smarrendo la totale fiducia nella ragione umana,
Jankélévitch sente il bisogno di evocare un percorso alternativo di
conoscenza: il silenzio. 2 Cfr, La Musica e l’ineffabile, p. 15 3
V. Jankélévitch e B. Berlowitz, Quelque part dans l’inachevé,
Gallimard, Paris 1978, p. 247- 248
3
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Questa particolare percezione uditiva interagisce, per via
preferenziale, con l’universo musicale, infatti possiamo affermare
che il silenzio è un’articolazione del suono. Le pause all’interno
dello spartito musicale, forniscono un valido esempio su come il
momento di sospensione del flusso sonoro, non sia semplicemente un
vuoto, ma sia funzionale ad enfatizzare, prolungare o stemperare
una tensione, uno stato d’animo, un’introspezione.
Il silenzio possiede quindi una forte valenza interiore, solo
nel raccoglimento e nella contemplazione l’uomo ritrova sé stesso,
ascolta la propria solitaria ed intima voce. Paradossalmente la
musica, se da un lato invoca il silenzio per poter esistere come
vibrazione acustica, dall’altro lo nega con la sua presenza sonora.
Tuttavia, nonostante quest’apparente contraddizione, esiste un
sottile legame che le unisce profondamente. La musica tesse la
propria trama sonora sopra delle oasi di silenzio, la sua fragilità
è dettata proprio dalla struttura sulla quale danza: sul filo di un
“quasi” niente, che è però luogo fecondo di raccoglimento e
contemplazione. Come afferma Jankélévitch nell’ultimo capitolo
della Musica e l’ineffabile intitolato Musica e silenzio:
«[…] la musica infatti respira solo nell’ossigeno del silenzio.
Dunque, come i microsilenzi – cioè le pause scandite al minuto
all’interno del silenzio – arieggiano la melodia continua, così le
plaghe di silenzio in mezzo al rumorio universale rappresentano un
asilo di riposo e reverie».4
La dialettica tra musica e silenzio prepara alla dimensione
della contemplazione di
espressioni impalpabili. La nuova prospettiva che si viene a
creare, giustifica una scelta che si pone al margine proprio perché
essa esclude quel tipo di musica, derivata dalla tradizione
tedesca, che tenta di esprimersi seguendo le regole del linguaggio.
Appare opportuno l’intervento di Simone Zacchini, che chiarisce la
dinamica della precisa scelta jankélévitchiana:
«In questa tradizione, infatti, la musica tenta di esprimersi
come linguaggio. Il suo
percorso, infatti, la sua tendenza è quella di porsi come
“realmente” parlante; in Jankélévitch, invece, la musica, proprio
per il suo non essere un linguaggio, si pone accanto al
silenzio».5
Se da un lato la musica ha la necessità, per non sprofondare nel
nulla, di trattenersi
incessantemente sulla soglia di un fragile bilico tra
essere/non–essere, “in quell’instacabile ‘gioco del silenzio’- che
soltanto la fa essere”,6 dall’altro l’essere si rivela e risuona
nel mistero del silenzio dell’universo sonoro.
Occorre allora distinguere la duplicità dell’atteggiamento che
muove la ricerca jankélévitchiana: l’approccio estetico e
musicologico che si concentra sui musicisti e sulle opere, va
distinto da uno propriamente filosofico che indaga la musica come
riflesso del pensiero dell’uomo.
4 Cfr, Musica e ineffabile, p. 116. 5 Cfr, L’altra voce del
logos, p. 163. 6 E. Lisciani-Petrini, “La scommessa impossibile”,
Introduzione alla Musica e l’ineffabile, p. XIX.
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§ 3 Il saggio dedicato a Fauré
Il primo saggio di estetica musicale che Jankélévitch dedica a
Fauré, “Gabriel Fauré et ses mélodies”7, verra’ pubblicato presso
la casa editrice Plon nel 1938. Il libro si concentra sull’analisi
dell’intera opera di melodie per voce e pianoforte composte da
Fauré.
Si distinguono indicativamente tre momenti importanti
all’interno delle melodie di Fauré, la prima parte che porta il
titolo « Avant 1980 », la seconda « Ré bémol majeur ou “le plus
doux chemine” (1890-1905 ) », e l’ultima « Do majeur ou la porte
étroite (1906-1924) ».
Nel saggio su Fauré, Jankélévitch imposta un attento esame
critico-musicologico sottolineando, con ricchezza di esempi
musicali, gli elementi salienti della scrittura fauréana. Tuttavia,
l’analisi approfondita degli aspetti tecnici dello spartito,
tradisce la presenza sottintesa di un filtro, di una prospettiva
filosofica che guida e orienta la necessità e l’urgenza di certe
scelte musicali. Solo nelle successive edizioni del saggio su
Fauré, le urgenze filosofiche acquisteranno uno spazio autonomo
d’indagine e di riflessione sull’evento sonoro.
L’avventura del libro vedrà la pubblicazione nel 1951 di una
seconda edizione riveduta, e arricchita di un capitolo finale che
acquista un proprio spazio d’indagine, e si apre questa volta a
considerazioni esplicitamente filosofiche.
Il libro s’inserisce, come primo volume, all’interno di una
raccolta che avrebbe dovuto riunire, in sette volumi dal titolo De
la musique au silence, tutti i saggi che Jankélévitch ha dedicato
all’élite dei suoi musicisti.8 Nell’ultima edizione del 1974,
Jankélévith ha rielaborato e modificato in maniera sostanziale il
materiale dei saggi precedenti.
Fauré assurge ad immagine dell’evoluzione interna del pensiero
jankélévitchiano, infatti, attraverso questo saggio più volte
riveduto nel corso degli anni, emerge chiaramente la direzione e il
registro delle sue posizioni concettuali. Fauré, per Jankélévitch,
diventa il paradigma musicale della filosofia bergsoniana, ispirata
al concetto della temporalità in quanto durata, intuizione e
coscienza. Egli sarà uno dei riferimenti essenziali per coniugare
questi due orizzonti di senso apparentemente così distanti.
Nell’ultima parte del saggio del 1974, Jankélévitch traccia un
percorso quasi progressivo di elementi e situazioni, che
confluiscono verso uno dei concetti chiave delle sue speculazioni
filosofico-musicali: lo charme.
La storia delle melodie fauréane, secondo Jankélévitch, dovrebbe
rendere più chiara quella che lui definisce:
« […] la physique des sons, autrement dit les lois obscures
selon lesquelles les sons se dispersent ou s’assemblent, s’attirent
ou se repoussent, se dénouent et s’enchaînent ; car il y a une
gravitation secrète et purement musicale qui passe en finesse les
mécanismes intellectuels
7 V.Jankélévitch, Gabriel Fauré et ses mélodies, Plon, Paris
1938 8 Dei sette volumi ne sono stati pubblicati, presso la Plon,
solo tre: I. Fauré et l’inexprimable. II. Debussy et le mystère.
III. Liszt et la rapsodie : Improvvisation, Verve, Virtuosité. Gi
altri avrebbero dovuto portare i seguenti titoli : IV. Musique du
matin : Albeniz, Dèodat de Séverac, Satie, Mompou. V. Ravel et les
enchantements. VI. Rimski-Korsakov : le livre des merveilles. VII.
La musique et l’ineffable : le Nocturne, le silence.
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les plus déliés, et les mouvements subtils de la passion, et
l’infiniment petit de la dynamique moléculaire ».9
I due capitoli che preparano l’approdo allo charme, Le paradoxe
de la rigueur évasive e De l’équanimité10, pongono l’accento su
tutti quegli aspetti evasivi relativi all’equivocità della
modulazione, all’importanza della mano sinistra, alle
contraddizioni risolte, al mistero dello spazio e della notte, al
notturno, al raccoglimento. Lo charme si connota, per Jankélévitch,
di un’ambiguità indefinibile e illocalizzabile, è un non so
che:
«Le charme est essentiellement chose problématique, et chacun
sait qu’il n’y a pas des
recettes pour en avoir […]».11 Proprio l’ambiguità insita
nell’essenza dello charme, segna un labile confine tra i due
ambiti, filosofico e musicale, ed anzi apre un canale di
comunicazione che, secondo Zacchini, fonda il senso di
entrambi:
«[…] attraverso lo charme, la musica acquista un senso
filosofico e la filosofica un
senso musicale: si tratta di una porta girevole che permette di
entrare ed uscire dai due ambienti senza soluzione di
continuità».12
Jankélévitch si muove attraverso le melodie di Fauré, cercando
da un lato di individuare i principi tecnici e formali che guidano
l’atto compositivo e dall’altro tentando di evincere da questi
riferimenti puramente musicali, e non da sollecitazioni
extramusicali, un senso che sia il più possibile vicino alla natura
ed alla sostanza sonora.
§ 4 Le melodie: aspetti compositivi e filosofici
La composizione di melodie, che nella vita di Fauré copre un
intervallo di tempo di sessant’anni, contribuì in modo determinante
a stabilire la sua notorietà, come lui stesso afferma:
«Oui…on les a beaucoup chantées. Pas assez pour qu’elles aient
fait ma fortune, mais bien trop tout de meme, puisque les confrères
prétendirent qu’ayant si bien réussi dans le genre, je devais m’y
consacrer pour la vie! ».13
Fauré non organizza ancora razionalmente le sue melodie in cicli
o poemi secondo un preciso disegno estetico e strutturale ma, solo
con La bonnne chanson del 1892,14 comincerà a
9 Cfr, Fauré et l’inexprimable, p. 255, « la fisica dei suoni, o
anche detto le leggi oscure secondo le quali i suoni si disperdono
o si assemblano, si attirano o si respingono, si snodano o si
concatenano; poiché c’è una gravitazione segreta e puramente
musicale che in sottigliezza va oltre i meccanismi intellettuali
più acuti, e i movimenti sottili della passione, e l’infinitamente
piccolo della dinamica molecolare”. 10 Si tratta del primo e del
secondo capitolo della terza parte del saggio edito nel 1974 11
Cfr, Fauré et l’inexprimable, p. 344, « Lo charme è essenzialmente
cosa problematica, e ciascuno sa che non ci sono ricette per averne
». 12 Cfr, L’altra voce del logos, p. 151 13 J. M. Nectoux, Gabriel
Fauré, ed. Flammarion, Parigi 1990, p.89, « Sì…sono state molto
cantate. Non abbastanza perché facessero la mia fortuna, ma allo
stesso modo anche troppo, poiché i colleghi pretesero che essendo
così ben riuscito nel genere, io dovessi consacrarmici per la
vita!”
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
comporre i suoi canti sui testi di un unico poeta. Jankélévitch
sostiene che Fauré manifesta immediatamente l’originalità nascente
di uno stile che si rinnova continuamente, e lascia presagire, sin
dall’inizio, la precoce conquista d’elementi che diventeranno
essenziali per il suo linguaggio. Le vicende esterne hanno avuto un
ridotto margine di condizionamento sul suo modo di scrivere,
infatti, la sua caratteristica impronta musicale si rende
riconoscibile, solo dopo l’ascolto di poche battute.
La scrittura di Faurè opera non tanto una rivoluzione nel modo
di scrivere la musica, quanto un’evoluzione all’interno della
struttura tonale avviando, all’interno di questo sistema ampiamente
consolidato, un lento processo di disintegrazione.
Uno degli aspetti più manifesti sul quale Fauré lavora, riguarda
la dicotomia tra tonalità e modalità; la novità, quindi, non
riguarda tanto il fatto di sperimentare nuovi linguaggi, quanto
quella di creare una commistione tra sistemi già esistenti. Il
compositore si appoggia sulla struttura tonale, innestando poi nel
discorso, dei sistemi modali di tradizione liturgica.
L’atto d’inserire una struttura compositiva in un nuovo contesto
di riferimento, può creare delle varianti musicali interessanti, e
proprio questa sperimentazione portò Fauré a raggiungere una
singolare sintesi tra modale e tonale. Lo stesso ambiente formativo
del compositore fu dominato da due personalità eterogenee: da un
lato la restaurazione dei modi del canto gregoriano voluta da
Niedermeyer,15 e dall’altro l’insegnamento di Maleden, prosecutore
della scuola armonica di Momigny, che inventa un nuovo sistema
armonico dove gli accordi non vengono considerati soltanto in se
stessi, ma in relazione al grado della scala sulla quale vengono
inseriti.
Lo stesso Fauré affermerà che la vera sperimentazione rispetto
ai modi arcaici, come può essere il canto gregoriano, consiste nel
saperli proiettare in una nuova situazione.
« Comme Saint-Saens l’a bien fait remarquer, Niedermeyer, en
enseignant l’art
d’harmoniser, selon leurs vrais caractère, les modes du
plain-chant…donnait à nos musiciens des procédés harmoniques
nouveaux. Il n’avait pas songé qu’ils puissent etre utilisé hors de
l’accompagnement des chants liturgique… ».16
Appare equivoca la logica con cui Fauré sceglie i suoi poeti,
anche rispetto a Debussy,
considerato che la qualità delle poesie da lui musicate, non
raggiunge livelli di grande prestigio. Se da un lato Debussy
sceglie, con un gusto squisito, solo grandissimi poeti come
Mallarmé o Baudelaire,17 dall’altro Fauré sembra adottare
tutt’altro criterio di discernimento, che lo indirizza verso poeti
minori e secondari. In realtà alla base di questa valutazione c’è
una 14 La bonne chanson, che consta di nove melodie, fu musicata
interamente su testi di Paul Verlaine. 15 Fondatore dell’Ecole de
Musique Classique et Religieuse (cui impose il proprio nome) a
Parigi e insegnante di Fauré fino al 1861, anno della sua
scomparsa. Fondò una rivista di musica sacra, La maitrise, dove
propugnava il ripristino dell’antica tradizione liturgica. La sua
cattedra fu presa da Saint-Saens, in qualità d’insegnante di
pianoforte. 16 J.-Michel Nectoux, Gabriel Fauré, Edition du Seuil,
Paris 1972, p. 5, « Come Saint-Saens l’ha rimarcato bene,
Niedermeyer, insegnando l’arte di armonizzare, secondo i loro veri
principi, i modi del canto gregoriano…dava ai nostri musicisti dei
procedimenti armonici nuovi. Egli non ha immaginato che potessero
essere utilizzati al di fuori dell’accompagnamento dei canti
liturgici…”. 17 Anche Fauré ha musicato tre poesie di Baudelaire:
Hymne, La rançon e Chant d’automne. Ma l’esagerazione retorica e i
colori a forti tinte di questi poemi, non si sono rivelati
congeniali allo stile fauréano, che ama le mezze tinte e la luce
filtrata.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
precisa posizione estetica: il testo deve essere muto, non
ingombrante, non troppo suggestivo né definito, affinché la musica
possa inserirsi liberamente con la propria trama. Quale miglior
situazione può garantire questa condizione se non un testo retorico
o debole? Ma la questione principale, non sembra riguardare tanto
la qualità della poesia originale, quanto il risultato finale, che
si può contemplare attraverso il mèlange di parola, musica,
pulsioni ritmiche e suggestioni oscure e misteriose che ne
deriva.
Faurè agisce sul materiale verbale, tramite un sottile processo
di trasfigurazione e spiritualizzazione, che disincarna la parola,
elevandola ad una sfera superiore. Il compositore penetra talmente
a fondo nel testo, che riesce ad estrarne infinite risorse e con la
sua musica imprime un segno così profondo, che potrebbe apparire
come la fonte creatrice della poesia. La musica è così
perfettamente assorbita nel tessuto verbale, tra le pieghe del
testo, che sembra capovolgere il tradizionale rapporto con la
poesia: non è più la parola a provocare l’evento sonoro, ma è la
musica che la genera e la fonda.
Fauré rispetta la parola poetica, ma non obbedisce fedelmente
alle sue sollecitazioni frammentarie, poiché la musica ha bisogno
di non spezzare il disegno unitario del suo arabesco melodico. Non
si tratta, quindi, di una traduzione lineare, esteriore del testo,
ma di una sottile trasposizione che dissolve il poema nel tessuto
musicale, come se la musica stessa lo avesse interiorizzato, e
obbligando a sua volta il poeta a diventare anch’egli un musicista.
La fusione che ne risulta, è l’esempio di quanto l’arte fauréana
liberi tutti quegli aspetti segreti, profondi, intimi e persuasivi
del suo pensiero.
L’aspetto ornamentale, la sollecitazione esteriore rappresenta
un altro elemento equivoco nello stile di Fauré. Come Listz ha
avuto i suoi anni di pellegrinaggio italiano, allo stesso modo
Fauré scrisse diverse melodie ispirate alle suggestioni voluttuose
di un’Italia immaginaria. Nonostante l’assenza di viaggi e
documentazioni,18 Faurè si lascerà sedurre dalle fantasie di un
luogo sognato, con i suoi profumi seducenti, i ritmi fluttuanti e
cullanti delle berceuses, la sua misteriosa ambivalenza e
leggerezza. Non riconosciamo i paesaggi veneziani, toscani e
napoletani, attraverso il ricorso a qualche loro aspetto esteriore,
ma ciò che di loro viene evocato è l’anima, il respiro di
un’atmosfera spirituale ed immateriale.19
Tra le melodie della prima raccolta, La sérénade toscane, La
barcarolle, sono esempi emblematici insieme alle cinque melodie
veneziane.20 L’estetica di Fauré, in questo senso, potrebbe essere
definita come l’estetica del “sensibile sublimato”.21 La
sollecitazione esteriore, che può significare una certa sensibilità
verso i paesaggi, l’andamento sinuoso del mare, i giochi di luce,
non rappresenta l’occasione per gridare la propria disperazione
romantica, ma diventa suggestione sublimata in una serena
contemplazione. La sua ricerca non mira ad una soddisfazione
sensoriale, come potrebbe essere per Debussy, ma si dirige verso la
trasposizione in un ordine superiore, rispetto al mondo effimero
della sensazione. Come Debussy aderisce alle sensazioni
infinitesimali e sensuali dell’universo sonoro, così Fauré avanza
in direzione del sentimento:
18 Il primo viaggio che Fauré compirà in Italia, avverrà nel
1891, all’età di 46 anni. 19 Si ricorda che anche Debussy e Ravel,
senza mai vedere i luoghi che evocano, riusciranno a ricreare
l’essenza del paesaggio. Le Estampes di Debussy ne sono un esempio
piuttosto rappresentativo. 20 Mandoline, En sordine, Clymène, C’est
l’extase, Green. 21 Secondo l’affermazione che ne da J. Nectoux
nella sua monografia su Fauré, p. 36.
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«Quelques musiciens tentaient dans leurs oeuvres de supprimer le
sentiment et de lui substituer la sensation, oubliant que la
sensation est, en somme, le premier état du sentiment».22
Le tonalità della prima raccolta, non rivestendo ancora quel
ruolo preciso che
riveleranno nelle composizioni successive, dimostrano ancora una
semplicità ingenua ed inesperta. Si riscontra una forte ingerenza
romantica nella tonalità di Fa diesis minore e do minore, emblema
dell’anelito elegiaco e nostalgico. La minore invece sembra
riassumere le tendenze estreme dell’anelito faureano; il sorriso
impercettibile della gioventù e dall’altra una vaga malinconia
rassegnata per gli anni passati. Vediamo come Jankélévitch
interpreti ogni aspetto della poetica faureana, come un riverbero,
una risonanza, una sfumatura interiore. Tutto risuona nell’anima e
si veste di un manto spirituale.
La modulazione è un altro aspetto poco valorizzato in queste
prime melodie; infatti, Fauré si muove timidamente all’interno
degli ambiti tonali e non si allontana mai troppo dalla tonalità di
partenza. Quest’atteggiamento non è il frutto, come puntualizza
Jankélévitch, di una forma d’ascetismo, in quanto scelta
consapevole, poiché solo dopo esser passato attraverso la
sensualità e la ricchezza armonica, Fauré approderà con saggezza ad
una musica pura e sublimata. In queste prime melodie, la tonalità
non rivela nessun rapporto privilegiato e funzionale con l’esigenza
espressiva, anzi essa appare indifferente:
« Elle n’exprime pas, dans le premier recueil, l’essence
qualitative de
l’émotion[…] ».23 La tonalità di Do maggiore della prima
melodia, Le papillon et la fleur, dal vago
sapore primordiale, paradossalmente smentisce quelle che saranno
le tonalità predilette da Fauré, ricche di bemolli.
Rispetto a Chopin e Listz che avevano dato il loro contributo
determinante, facendo dell’arpeggio un arabesco non soltanto
decorativo ma espressivo di una certa consistenza tematica, Fauré
contribuirà in questo senso, ad ampliare la concezione
dell’arpeggio, attribuendogli sia la libertà, la seduzione e
l’eleganza espressiva di captare le sfumature imponderabili, alla
stessa stregua della voce, sia la responsabilità delle modulazioni.
Il basso decide quale direzione debba prendere il discorso, come
introdurre una frase, quali cellule tematiche far cantare fra le
sue note intermedie: l’arpeggio con Fauré assurge ad un ruolo di
primissimo piano.
Gli elementi che determinano l’evoluzione del linguaggio
faureano, si distinguono dal punto di vista dell’organizzazione
formale della melodia, e del trattamento della modulazione.
L’organizzazione strofica tende a scomparire e la simmetria, che
prima le caratterizzava, si trasforma lentamente in qualcosa di
continuo e ininterrotto, come se si trattasse di una melodia
continua, e come afferma lo stesso Jankélévitch:
22 Cfr, Gabriel Fauré, p. 36, « Qualche musicista tentava nelle
loro opere di sopprimere il sentimento e di sostituirgli la
sensazione, dimenticando che la sensazione è, insomma, il primo
stadio del sentimento ». 23 Cfr, Fauré et l’inexprimable, p. 41, «
Essa non esprime, nella prima raccolta, l’essenza qualitativa
dell’emozione ».
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
« Les mélodies, articulées en segments symétriques, font place à
un chant qui se développe, organisés autour d’un centre : les
strophes juxtaposées font place à un chant qui se développe,
irréversible et toujours renouvelé ; culmine se son milieu ; puis,
comme la vie elle-meme, retourne à son origine ».24
l’orizzonte filosofico bergsoniano si sta riaffacciando, nel
parallelismo che
Jankélévitch opera tra la melodia e la vita, innestando un
processo d’assimilazione tra le pulsazioni del canto e il ritmo
vitale. Di nuovo, musica e vita s’incontrano e si fondono,
condividendo il medesimo ciclo biologico. Come la parabola della
vita conosce una crescita, un apice ed un ripiegamento, allo stesso
modo, il meccanismo della melodia segue uno sviluppo circolare, nel
quale si ricompone una totalità organica, e non un insieme
meccanico di strofe.
Il percorso della linea melodica si costruisce come un flusso
continuo di situazioni sempre nuove, che non ritornano mai uguali
su se stesse, ma disegnano ogni volta imprevedibili arabeschi
sonori. Questo non significa che Fauré abbandoni il controllo della
forma per assecondare i capricci dell’emozione o dell’ispirazione,
ma con una tecnica lucida e rigorosa, mantiene perfettamente sotto
controllo e con finezza strategica, l’apparente abbandono
improvvisativo. Gli sviluppi armonici e melodici faureani, non
appaiono mai violenti o bruschi, ma essi si distinguono sempre per
una certa disinvolta naturalezza, un’armoniosa eleganza e
ricercatezza.
Uno degli elementi maggiormente suggestivi e personali del
linguaggio fauréano, è, infatti, rappresentato dall’arte della
modulazione.
Il significato della modulazione va ben al di là della sua
funzione semplicemente costruttiva e architettonica, essa
interviene a modificare profondamente il colore di una frase o il
suo carattere espressivo. Fauré riveste la modulazione di un ruolo
ancora più sottile all’interno di questa voluttà musicale, quasi a
livello incosciente, la musica confonde e inganna il nostro
sentimento classico della tonalità. Per non cedere alla monotonia
di una tonalità che si mostra reticente ad abbandonare il proprio
centro gravitazionale, è necessario allontanarsi dalla strada
maestra e condurre il discorso, per un istante, verso sentieri
d’imprevedibile bellezza.
La modulazione può avvenire sia per toni vicini, utilizzando la
relazione tra dominante, sotto-dominante e toni relativi della
tonalità d’impianto, sia per toni lontani, attraverso dei salti
bruschi, audaci ed improvvisi. Le tonalità particolarmente care a
Faurè, ricche di bemolli e diesis, permettono al compositore di
aprirsi un varco inaspettato verso un tutt’altro orizzonte sonoro.
Un aspetto inspiegabile di questo viaggio sonoro, è dato dalla
sensazione, esperita dall’uditore, di approdare, spontaneamente e
inconsapevolmente, al tono iniziale, nonostante i tortuosi percorsi
modulativi. Sembra che la musica di Fauré abbia una singolare
valenza psicologica, come se essa agisse ad un livello inconscio,
non gestibile dall’ascoltatore. Lo spiega bene Emile Vuillermoz,
nella sua monografia dedicata a Fauré:
24 Cfr, Fauré et l’inexprimable, p.59, « Le melodie, articolate
in segmenti simmetrici, fanno spazio a dei poemi continui,
organizzati intorno ad un centro : le strofe giustapposte fanno
spazio ad un canto che si sviluppa, irreversibile e sempre
rinnovato; culmina nel suo centro; poi, come la vita stessa,
ritorna alla sua origine”.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
« Cette sensation d’arriver si aisément au bout, après avoir
traversé ce labyrinthe, a quelque chose de grisante ».25
Lo stesso Jankélévitch si soffermerà su quest’aspetto ambiguo
della musica di Fauré,
sostenendo la grande agilità, sicurezza e precisione, con la
quale il musicista si muove tra le tonalità, senza mai perdere di
vista il proprio riferimento di partenza. Un esempio evidente, è
dato dalla modalità d’impiego delle settime irregolari, che vengono
risolte con altre settime o con un ritorno al tono d’origine.
Questo tipo di scrittura, con risoluzioni ritardate, falsi
crescendo e false modulazioni, connota l’ambiente sonoro in modo
intrigante, strategico, come il prodotto di sottili artifici: tutto
ciò conferisce al linguaggio faureano un’atmosfera pudica e
segreta. Jankélévitch interpreta questo contesto musicale come una
forma di “simulazione ironica”, ossia, una sorta di strategia che
sceglie di dire indirettamente: esprime seppur nascondendo.
L’ironia è una figura provocatoria, sfumata, paradossale e
derisoria, ed è per questo motivo che i continui ed improvvisi
cambi di tonalità caricano l’atmosfera sonora di velati giochi
emotivi e di simulazioni ironiche.
La risoluzione ritardata è assimilata ad una forma di humor che
gioca lo stesso ruolo della litote, altra figura retorica dominante
nel percorso di decodificazione del linguaggio faureano. La litote,
che secondo le leggi della retorica consiste nell’esprimere un
concetto negando il suo contrario, diventa un riferimento semantico
importante per chiarire il senso della musica di Fauré. La litote
in musica traduce la possibilità di dire indirettamente, essa gioca
in modo sfumato attenuando il pensiero e facendo intendere molto di
più. Come la falsa modulazione corrisponde ad un sentimento di
pudore, così il falso crescendo trova il proprio corrispettivo
nella reticenza.
In questa seconda raccolta, soprattutto, si distingue
chiaramente una forma di modulazione, che Jankélévitch chiamerà con
il nome di “falsa modulazione”.
« […] et qui est pour ainsi dire une feinte du sentiment, un
sourire de l’esprit : ce sont
des incursions fugitives dans un ton souvent fort eloignée à
partir duquel le musicien ratttrape prestement, comme un
escamoteur, sa tonalité initiale ; chaleurs, rougeurs, pudeurs
subites du sentiment, elles pretent au discours leurs colorations
délicates et leurs ardeurs vite réprimées […]».26
Anche Jankélévitch, come Vuillermoz, legge questo inarrestabile
flusso di modulazioni
come la possibilità di conferire al discorso musicale quella
particolare e personale qualità emotiva e spirituale. Secondo
Jankélévitch, come le risoluzioni irregolari creano dei cambiamenti
bruschi ed imprevedibili così le risoluzioni circolari simulano
l’abbandono del tono principale. Possiamo ritrovare queste
figurazioni sullo spartito sotto varie forme, ad
25 E. Vuillermoz, Gabriel Fauré, ed. Flammarion, Paris 1960, p.
67, “ Questa sensazione di arrivare così facilmente alla fine, dopo
aver attraversato questo labirinto, ha qualche cosa d’inebriante”.
26 Cfr, Fauré et l’inexprimable, p. 62, « E che è per così dire una
finzione del sentimento, un sorriso dello spirito: si tratta
d’incursioni fuggitive in un tono spesso molto lontano a partire
dal quale il musicista raggiunge senza indugio, come un
prestigiatore, la sua tonalità iniziale; fervori, rossori, pudori
repentini del sentimento, esse danno al discorso le loro
colorazioni delicate e i loro ardori subito repressi”.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
esempio nei falsi crescendo che non culminano in un forte
deciso, ma vengono immediatamente repressi nel piano.
Fauré prende in considerazione due modelli del carattere
modulare: uno brusco ed uno simulato, entrambi portano ad un
cambiamento sotterraneo, alludono all’idea di una continuità che
nella sostanza musicale risulta soltanto apparente.
Esiste una trasformazione nascosta che preserva la continuità
del suono verso un qualcosa di diverso, mediante artifici e
frequenti sostituzioni, si salva l’apparenza della continuità e si
fa emergere il divenire. Lo stesso Ravel sostiene che la
costruzione melodica di Fauré non è oggetto di un atto volontario,
ma si sviluppa spontaneamente come se la materia sonora disegnasse
naturalmente un destino che si crea man mano.27 Ravel avvalora la
posizione di Jankélévitch sull’aspetto della modulazione:
«Risoluzioni eccezionali, equivoche, modulazioni ai toni
lontani, che ci riportano al tono principale attraverso percorsi
sconosciuti, sono altrettanto giochi pericolosi che Fauré pratica
fin dall’inizio da maestro».28
La funzione della dinamica, come il fatto di annunciare un falso
crescendo, è ancora quella di simulare uno sviluppo che
s’interrompe: fare il gesto della trasformazione e poi rapprenderlo
di colpo, può sottintendere l’idea di una latente enigmaticità.
Jankélévitch interpreta questo modo d’essere faureano come una
scelta, il compositore predilige restare dentro ad una potenza, che
non rivela apertamente tutto ciò che potrebbe dire.
« La résolution fauréenne est donc l’élan arrêté, la puissance
retenue ».29 Tutte queste forme di simulazione, che disorientano e
fanno intravedere sulla superficie
sonora qualcosa di ben più profondo, diventano il simbolo di un
gesto congelato, una forza trattenuta.
All’interno di questa seconda raccolta Fauré acquista una
maggiore consapevolezza dello strumento tonale, che si avverte
nella scelta di tonalità particolarmente ricche d’alterazioni,
obbedienti a precise esigenze espressive. Fauré dimostra una sicura
padronanza e disinvoltura nel gestire la dialettica che lega la
trasformazione della tonalità. Il tono ricco d’alterazioni
presenta, al proprio interno, grandi possibilità di movimento per
la modulazione, che si mantiene tuttavia ancorata nei limiti della
struttura tonale. Rispetto all’estrema libertà con cui Fauré
sperimenta arditi ponti modulanti e brusche virate tonali, non si
ha comunque l’impressione di essere testimoni di un processo
irreversibile di dissoluzione tonale, poichè la struttura di
riferimento riemerge sempre alla fine con estrema chiarezza.30
L’architettura armonica tradizionale fa esperienza, semmai, di
un vago fenomeno di corrosione legato all’incessante metamorfosi
del linguaggio armonico. Il riferimento limpido alla tonica non si
perde, ma si esperisce una staticità dinamica.
27 Si fa riferimento all’intervista che Ravel rilasciò a
Roland-Manuel, sulle melodie di Fauré. L’articolo è stato inserito
all’interno degli atti del convegno, dal titolo “All’ombra delle
fanciulle in fiore”, tenutosi a Monfalcone nel 1987. 28 Ibid., p.
209 29 Ibid., p. 66, “La risoluzione faureana è dunque lo slancio
trattenuto, la potenza repressa ”. 30 Siamo lontani dal linguaggio
di Franck, che estese i propri orizzonti armonici fino ai limiti di
un cromatismo incessante e sconfinato.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
Fa la sua prima comparsa il Re bemolle maggiore, tono
particolarmente caro a Fauré, con Le Cantique de Jean Racine,31 e
poi successivamente con Le secret op. 23 e Le Valse-Caprice op.
38.32 Nella seconda raccolta appare per la prima volta un ciclo,
Poème d’un jour, composto da tre melodie, su testi del poeta
Grandmougin.
La musica non segue il significato evocato dal testo, ma sembra
contraddirlo lasciando emergere un sentimento contrario e opposto.
Jankélévitch vede in questo paradosso una forma d’ironia; come se
il pudore di un dolore disperato fosse filtrato e quasi mascherato
da un’atmosfera falsamente serena, piuttosto che portato fino alle
sue estreme conseguenze. In questo senso si avverte un forte
rifiuto e contrasto rispetto all’espressionismo romantico.
Risulta interessante il particolare rapporto che Faurè instaura
tra la voce e il pianoforte, se quest’ultimo può essere considerato
un protagonista alla pari del canto, la voce, la cui linea melodica
si trova spesso in un registro inferiore rispetto
all’accompagnamento, si confonde e diventa un tutt’uno con il
flusso del piano. Quest’aspetto obbedisce anche ad una
predilezione, da parte del compositore, per i registri medio-bassi.
E’ possibile evidenziare anche una maggior disinvoltura nel
trattamento ritmico, che si libera dalle costrizioni della misura,
e varia ad ogni ripresa della strofa.
La tonalità di sol bemolle maggiore, ricca di densità e
profondità espressiva, è utilizzata da Jankélévitch come termine di
confronto tra Chopin e Fauré. Qui è in gioco la diversa accezione
che ognuno attribuisce a questa tonalità, se da un lato Chopin
trova nel sol bemolle33 il luogo ideale nel quale esibire ogni
sorta di giochi d’artificio e di brillanti acrobazie, dall’altro
Fauré lo ammanta di mistero e di velati sottintesi. Fauré cerca il
pretesto per nascondere e sottrarre, filtrare e rendere
segreto:
«Ainsi donc ce qui chez Chopin sert à exhiber, sert chez Fauré à
dérober et à
soustraire : les riches tonalités, loin d’augmenter l’éclat de
la lumière, peuvent aussi la filtrer, la rendre affectueuse et
divinement secrète ».34
La parte del pianoforte, che descrive un disegno continuo di
arpeggi, evoca l’atmosfera
serena delle prime melodie fluviali35ed intrattiene con la voce
un dialogo molto dinamico. I bassi, oltre ad offrire sostegno
armonico al canto, imitano a canone il tema della melodia e offrono
con una linea discendente di sei gradi congiunti, tipica in Faurè,
un modello di grande cantabilità.
31 Quest’op. 11, fu scritta nel 1868, per coro, organo e archi,
come saggio scolastico. Tuttavia già si possono ammirare in questo
pezzo, l’abilità con cui Fauré tratta la polifonia vocale e
l’atmosfera di raccoglimento nobile e sereno, che aleggia in questo
luogo religioso. 32 Incontreremo le altre opere scritte nella
stessa tonalità, nel corso dell’analisi. 33 Ricordiamo che secondo
Jankélévitch, il sol bemolle per Chopin è più incline ad
avvicinarsi al suo corrispettivo enarmonico fa diesis. 34 Cfr,
Fauré et l’inexprimable, p. 71, «Così dunque ciò che a Chopin serve
per esibire, serve a Fauré per nascondere e sottrarre: le ricche
tonalità, lontane dall’aumentare lo splendore della luce possono
anche filtrare, renderla affettuosa e divinamente segreta”. 35
Apres un reve, Au bord de l’eau.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
§ 5 Alcuni esempi di melodie
Accanto a Notre amour, considerata una melodia di suggestioni
esteriori e di facile
sensibilità, Jankélévitch pone la Chanson d’amour che fa parte
della successiva op. 27. In questa melodia emergono degli aspetti
tipicamente faureani.
Nel trattamento dei bassi con singole note marcate, che ricorda
il quinto notturno per pianoforte, e soprattutto nei concatenamenti
armonici dissimulati, Fauré gioca con i passaggi modulanti e le
false risoluzioni. Qui entra in gioco ad un primo livello la
capacità fauréana di giocare con la sensazione percettiva del
nostro orecchio, che si aspetta istintivamente la modulazione in
una certa tonalità, ma poi puntualmente la direzione del discorso
musicale devia e inganna, approdando a tutt’altra cosa.
In realtà non è in gioco una percezione psicologica, in quanto
l’orientamento del nostro orecchio è dettato dalle leggi dello
spazio musicale, non dalle nostre conoscenze o dall’istinto
emotivo. Ciò che il mio udito desidera sentire, viene determinato
dalla struttura musicale, che impone una precisa direzione al
proprio discorso. Il linguaggio faureano si muove con estrema
disinvoltura in questo senso; il compositore gioca a disorientare
le aspettative e le attese dell’ascoltatore, deviando sottilmente
ed in modo quasi impercettibile, il flusso sonoro.
A questo proposito Jankélévitch parla di pudore: c’è una voluta
ambiguità fra pudore ed ironia nel desiderio di smussare e
ammorbidire un passaggio o una modulazione ardita. La forma
d’ironia agisce nel far aspettare l’ascoltatore, smentendo il
passaggio più ovvio e giocando con le attese, quindi indebolendo un
nesso che rimane necessario ma che è il meno interessante.
Il senso gravitazionale delle note, si può interpretare alla
luce di un concetto morale sostenuto da Jankélévitch: il giocare
fra essere e dover essere. Essere e dover essere s’incontrano sul
terreno dell’azione, dell’esigenza di effettività: occorre far
essere il dover essere. Si tratta di un salto acrobatico che si
pone sul bordo del quasi nulla, e gioca l’ultima possibilità di
attuarsi su frazioni infinitesimali, ritraendosi un istante prima
che sia troppo tardi.36 Abbiamo un atteggiamento duplice, da un
lato la tensione verso il limite, e dall’altro la riflessione
retrospettiva, che contempla a cose fatte.
Sembra che Jankélévitch veda, nel modo in cui Fauré muove le
strutture armoniche, un riflesso della vertigine morale che si
richiede all’effettività di un atto.
Per esempio nella prima metà della battuta 45, il sol del basso
sembra avere il ruolo di tonica e la parte della mano destra con
l’accordo di fa diesis e do fa presagire ad un sol minore, invece
il sol diventerà la mediante di mi bemolle maggiore. (tonalità di
fa maggiore).
36 Laura Boella, nel suo libro, chiarisce bene questo punto
affermando che: “ Ogni forma di abnegazione, di tensione verso il
limite del non essere ha in sé la duplicità dell’esser sul punto
di, al penultimo istante, e del poter “vivere” la propria
attuazione, il vero oltrepassamento, solo a cose fatte,
retrospettivamente”. Cfr Morale in atto, p. 65.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
Un esempio di ciò che significa una risoluzione pudica:
Un’altra situazione di ambiguità tonale è visibile nelle ultime
otto misure finali, dove la presenza del mi e del la bemolle fanno
desiderare una modulazione al mi bemolle maggiore ed al si, ma
inaspettatamente con un disegno del basso, che recupera il motivo
del canto ad un quarta inferiore, Fauré ci riporta alla tonalità
iniziale di fa maggiore.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
La presenza d’ambiguità enarmoniche ha il suo peso. Alla battuta
41, Fauré per
passare rapidamente dal mi, inteso nella tonalità di do diesis
minore, al fa utilizza l’efficace strumento dell’enarmonia.
L’enarmonia, che è uno strumento particolarmente efficace
nell’arte della modulazione, indica nel sistema temperato
dell’armonia tonale il rapporto tra due note di nome diverso, ma
della stessa altezza.37
Si tratta di un’identità che agevola un rapido spostamento a
tonalità lontane, quindi nel concetto di enarmonia si sottintende
quello implicito di alterazione. L’alterazione permette di
realizzare la coesistenza di qualcosa che cambia, si modifica, e
qualcosa che invece permane identica a se stessa.
Si può intravedere dietro questo concetto la visione bergsoniana
della durata-continuità, dove la permanenza dello scorrere, che è
il divenire, garantisce l’identità del contenuto stesso che
fluisce. Tuttavia, rispetto a quest’orientamento di pensiero
Jankélévitch prende le distanze, in quanto all’interno di questo
fluire, dove secondo Bergson tutti gli elementi sono fusi
insieme,38 cominciano ad emergere delle individualità
riconoscibili. Sembra che Jankélévitch voglia dare alla durata
bergsoniana un fondamento più solido, che approfondisca la natura e
le modalità d’interazione degli elementi tra di loro, invece che
vederli come semplice massa magmatica indistinta. Esiste un flusso
che scorre, ma all’interno di questo si distinguono delle
percezioni infinitesimali che emergono e vengono riassorbite:
«[…] les perceptions infinitésimales dont parle Leibniz sont
résorbées dans la
continuité du flux musical».39 La mano destra costruisce due
accordi, il primo con il si bequadro, il mi, il sol diesis ed
il si, ed il secondo con il la bemolle, il si bequadro, il fa ed
il la bemolle. Tramite l’equivoco delle stesse note, quest’ultimo
accordo può essere anche scritto come sol diesis, si bequadro, mi e
sol diesis.
37 Per esempio il do diesis può essere letto anche come re
bemolle e viceversa. 38 Si ricorda la famosa espressione, già
citata nel primo capitolo, dove Bergson afferma che i nostri stati
di coscienza si compenetrano e si fondono come le note di una
melodia. 39 Cfr, Fauré et l’inexprimable, p. 120, « le percezioni
infinitesimali di cui parla Leibniz sono riassorbite nella
conitnuità del flusso musicale ».
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
Prima versione:
Seconda versione enarmonica:
Les berceaux, che fa parte dell’op. 23, risente del particolare
clima doloroso vissuto
personalmente dal compositore. Fauré lascia trasparire qualcosa
di sé: la rottura del fidanzamento con Marianne Viardot, può avere
avuto una certa influenza nel dettare l’atmosfera scura e
sottilmente sofferente di questa melodia. In questo contesto il
linguaggio faureano, che si manifesta sempre in modo filtrato e
dissimulato, offre l’occasione per coinvolgerci nella profondità di
un sentimento tragico, non tanto attraverso il dispiegamento di
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
un dolore gridato, quanto mediante una dolcezza pungente e
insidiosa. Come afferma bene J. Michel Nectoux:
«[…] c’est que Fauré, après Mozart, Schubert ou Chopin, découvre
et sait nous
convaincre de l’éloquence d’un pianissimo ».40 La musica di
questa melodia va oltre il senso univoco imposto al linguaggio
delle
parole, che si può esprimere solo mediatamente, attraverso dei
simboli riflessi, dei parallelismi e delle analogie.
Dal testo poetico di Sully Prudhomme, l’universo sonoro fluttua
liberamente dal senso letterale a quello figurato, grazie alle
segrete corrispondenze create dalla polifonia e dalla modulazione.
Fauré non rispetta la prosodia del testo, ma infonde una vita
ritmica nuova ai versi atoni di Prudhomme.
le long du quai les grands vaisseaux Prosodie ∪ ∪ ∪ ⎯ ∪ ∪ ∪ ⎯
Musique ⎯ ⎯ ∪ ⎯ ∪ ⎯ ∪ ⎯
L’ampiezza d’azione della musica, consiste proprio in questo non
essere vincolata ad un preciso ambito semantico, come la parola, ma
essa può giocare, senza scegliere in modo definitivo, tra un senso
e l’altro. In questa prospettiva risulta più chiaro il rapporto che
Jankélévitch instaura tra il significato di berceuses e di
barcarole, tra un senso letterale ed uno figurato.
«Berceuse et barcarolle tout ensemble, berceuse par ce qu’elle
évoque, barcarolle par
ce qu’elle suggère, amphibolique et subtile, la musique des
Berceaux glisse perpétuellement du sens propre au sens figuré […]
».41
Jankélévitch opera una sottile diversificazione interpretativa
tra il significato della
berceuse, che indica il senso letterale, l’oggetto vero e
proprio, ossia l’immagine della nave, il vascello, e quello della
barcarola, che suggerisce un senso metaforico, l’atmosfera e
l’ambiente cui rimandano l’oggetto rappresentato. Il senso nascosto
emerge ma risplende sul fondo. Il dinamizzarsi della berceuse
approda alla barcarola; se la berceuse evoca staticità ipnotica e
incantamento, la barcarola è cadenzata da un cammino che agisce nel
movimento del ritmo.
L’idea è quella di un riferimento costante, in cui quello che si
salva è la regolarità del ritmo in cui ci si perde e ci si ritrova.
Questa è la concezione del ritmo bergsoniano in quanto regolarità.
Esistono delle funzioni ordinatrici di un ritmo che è sempre il
medesimo, ma passa dalla stasi al movimento, mantenendo una
pulsazione costante. Il testo poetico evoca sia
40 J. Michel Nectoux, Gabriel Fauré, ed. Flammarion, Paris 1990,
« Ciò che Fauré, dopo Mozart, Schubert o Chopin, scopre e riesce a
convincerci dell’eloquenza di un pianissimo”. 41 Cfr, Fauré et
l’inexprimable, p. 81, « Berceuse e barcarola tutte insieme,
berceuse per ciò che evoca, barcarola per ciò che suggerisce,
anfibolica e sottile, la musica di Berceaux scivola perpetuamente
dal senso proprio al senso figurato”.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
l’immagine quieta delle navi attraccate al porto, che si cullano
silenziosamente nell’acqua, sia l’anelito latente che freme, sotto
il tranquillo ritmo cullante, per l’attesa della partenza, per la
possibilità di varcare orizzonti ignoti.
La musica interviene a colmare entrambi questi desideri
nascosti, nel punto d’incontro di un ritmo fluente di 12/8, dove il
movimento ondulatorio del mare non favorisce tanto un effetto
ipnotico, di torpore, quanto una sensazione di pace interiore e di
tranquillità dell’anima. La conseguenza interiore di questo flusso
ritmico, non provoca un abbandono dionisiaco o una vertigine
sensoriale, ma predispone nell’uomo un movimento lucido e cosciente
verso il raccoglimento ed il silenzio. Il potere d’assopimento che
possiede questa figura ritmica di berceuse-barcarolle, non è dato
tanto dalla lentezza del tempo, ma dalla reiterazione insistente ed
uniforme dello stesso motivo. La parte del pianoforte presenta alla
mano sinistra l’ondeggiare tranquillo d’arpeggi, che costituiscono
il tessuto continuo sul quale le singole note della destra,
scandiscono e sottolineano la regolarità del movimento.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
Il canto si dispiega con grande intensità espressiva,
raggiungendo l’acme del pathos sul
fa acuto, cosa abbastanza raradato che, come abbiamo già notato
precedentemente, Fauré cerca di non abbandonare quasi mai la
regione sonora caratterizzata dalle tessiture medio-gravi.
La grande qualità della musica faureana risiede proprio in
questo saper evocare le
suggestioni indirette e spirituali del testo, senza mai
ricorrere alle strategie delle antitesi tematiche o dei dualismi di
luci e ombre. Con questa melodia scura e velatamente tragica,
sembra che Fauré prefiguri il futuro Requiem.42
La melodia Clair de lune su testo di Paul Verlaine rappresenta
il primo incontro con il
poeta maledetto. Pubblicata come op.46 nel 1887, Clair de lune è
contemporanea ad importanti opere strumentali, quali il quartetto
in sol minore, la IV barcarola, e di poco anteriore al Requiem. Il
primo e miracoloso incontro che questa melodia sancisce tra Fauré e
Verlaine43, segnerà l’incipit per la creazione di grandi capolavori
musicali come Les Cinques mélodies de Venise op.58, Spleen, La
bonne chanson, e Prison. Poesia e musica condividono il medesimo
orizzonte estetico: il gusto per la luce crepuscolare, il senso del
pudore, l’eleganza naturale, ed una predilezione per tutto ciò che
è velato, incerto, indeciso, segreto. Vi è un misterioso connubio
tra ciò che è contemporaneamente allusivo e preciso, rigoroso e
sfuggente, sensuale e puro.
L’atmosfera è quella di un chiaro di luna che rischiara con una
luce irreale, i personaggi e le maschere delle feste galanti. Il
sottotitolo di minuetto contribuisce a rendere
42 Il Requiem fu scritto nel 1887 per commemorare la morte del
padre di Fauré. 43 Poeta che Fauré conobbe nel 1887, grazie a
Montesquiou.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
ancora più aereo e sfuggente questo notturno, che fluttua con un
ritmo regolare di ¾, sulla tonalità di si bemolle minore che
ricorda la sua vicinanza al relativo maggiore re bemolle.
Il paesaggio notturno che viene vagheggiato non ricorda
l’ambientazione delle foreste romantiche, ricche di personaggi
fantastici, folletti, gnomi e potenze elementari, ma suggerisce una
scenografia vaporosa ed evanescente, come i quadri di Watteau o del
Tiepolo. Secondo Jankélévitch, i personaggi di Verlaine, dall’aria
annoiata e lontana, respirano un’atmosfera raffinata e decadente,
resa con delle sollecitazioni visive e acustiche appena sfiorate:
un piccolo fruscio, un lontano canto di uccello, il fluire
accennato di un corso d’acqua. 44
Il contesto sonoro è introdotto dalla parte solistica del
pianoforte45,che introduce e sviluppa il tema del minuetto senza
lasciarsi distrarre, nel corso della melodia, dal movimento del
canto e dalle suggestioni del testo. Il pianoforte impone
indirettamente un flusso sonoro ossessivo e incalzante, che si
muove con la nonchalance di una pulsazione regolare.
La linea del canto, rovesciata in un ruolo d’accompagnamento,
appare estemporanea e non così essenziale per l’equilibrio del
pezzo; la sua presenza trova, solo nell’arco dei pochi versi “Au
calme clair de lune, triste et beau, qui fait rever les oiseaux
dans les arbres et sangloter d’extase les jeaux d’eau”, la
possibilità di sviluppare il proprio solitario lirismo
espressivo.
44 Fauré rimarrà estraneo al trattamento infinitesimale d’ogni
minima stimolazione sensoriale. L’esempio dell’acqua appare
emblematico per spiegare questa posizione; basti ricordare come
Debussy o Ravel, considerino l’acqua un elemento vivo, zampillante,
generatore d’innumerevoli e imprevedibili combinazioni. 45 Il
pianoforte debutta da solista, con il soggetto del minuetto, per
dodici battute.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
Jankélévitch osserva come Fauré, sempre così attento alla
precisione ritmica, giochi a
spostare gli accenti in controtempo per dare la sensazione di
qualcosa che sottrae il proprio sostegno al canto, nel momento
stesso in cui sembra darne un solido appoggio. Alla battuta numero
diciotto, per esempio, vediamo come i bassi della sinistra spostino
in modo equivoco gli accenti in levare o come la mano sinistra
inizi sempre con una pausa di sedicesimo nel battere:
Anche il ritmo contribuisce, secondo Jankélévitch, a rendere
l’universo sonoro di Fauré un luogo che non evoca immagini
plastiche ed esteriori, ma agisce al livello inconscio del
sogno:
«Et puisque cette musique agit sur les puissances du reve par le
dedans bien plus que par le dehors, par la continuité horizontale
de son mouvement bien plus que par des évocations plastiques […]
».46.
La fluidità della musica di Fauré è garantita sia dall’eguale
ripartizione delle difficoltà tecniche tra le due parti, la voce ed
il pianoforte, sia dalla regolarità metronomica del ritmo, che
evita qualsiasi segno dinamico di rubato o di ritenuto. L’aspetto
ambiguo della sua musica, fa emergere le astuzie di un grande
simulatore: tutti gli espedienti ritmici, armonici e melodici,
convergono nel creare una falsa sensazione di abbandono e
d’indifferenza, che nascondono invece una lucida
consapevolezza.
Il convergere di tali elementi produce sull’ascoltatore un forte
effetto persuasivo, che agisce dolcemente e inconsapevolmente sulla
nostra immaginazione. E’ il caso di ricordare la frase che il
figlio di Fauré, Emmanuel, pronunciava sul temperamento di suo
padre:
46 Cfr, Fauré et l’inexprimable, p. 97, « E poichè questa musica
agisce sulle potenze del sogno dal di dentro più che dal di fuori,
attraverso la continuità orizzontale del suo movimento più che
dalle evocazioni plastiche ».
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
«Une maine de fer dans un gant de velours, et quel velours!».47
Ravel fa notare quest’aspetto simulatorio del linguaggio di Fauré,
in quel punto in cui
il testo recita “sur le mode mineur”, dove sembra che l’armonia,
con la presenza di un re bequadro, voglia andare paradossalmente ad
un si bemolle maggiore, aggiungendo un’aria malinconica al
paesaggio lunare.48. Si gioca per contrasti, quando il testo
diventa denso allora la musica acquista, in leggerezza, un senso
pudico. L’umore complessivo di questo minuetto è regolato da un
sottile equilibrio, fluttuante tra un sentimento malinconico ed
un’atmosfera velatamente ironica.
§ 6 Un percorso rapsodico
Il percorso jankélévitchiano attorno e dentro l’universo
musicale di Fauré, si costruisce
come un itinerario rapsodico di considerazioni filosofiche e
musicali. Il senso della sua ricerca all’interno della melodia
faureana, offre lo spunto per diverse considerazioni sia dal punto
di vista metodologico che dei contenuti.
Il particolare approccio con cui il filosofo si accosta alle
melodie, fa emergere una tipologia di metodo che evita qualsiasi
forma di criterio razionalistico predeterminato, per installarsi
direttamente nelle cose. Il punto di partenza della sua ricerca è
rappresentata dallo spartito, che viene direttamente analizzato nei
suoi aspetti tecnico-musicali. La competenza che Jankélévitch
dimostra nei vari esempi citati, e soprattutto la scelta del
dettaglio posto in evidenza, diventano il momento in cui affiorano
i significati filosofici.
Questo non significa che le sue considerazioni musicali siano il
frutto di un gesto esclusivamente soggettivo e personale, ma viene
privilegiato l’aspetto intuitivo dell’oggetto musicale. La priorità
che muove la sua ricerca non mira a creare concetti solidi e ben
strutturati, ma si staglia in un orizzonte di evocazioni e
suggestioni verbali, per offrire al proprio lettore lo sfondo e
l’atmosfera. Se si tiene conto di questa particolare prospettiva,
si può comprendere meglio il modo in cui Jankélévitch intende un
libro sulla musica. Il suo linguaggio si adegua ai contenuti che
deve esprimere, e dovendosi riferire ad un evento così impalpabile
e sfuggente come quello sonoro, Jankélévitch adatta i propri
concetti al movimento fluido della musica: “fluidifica i concetti”.
49
Tuttavia, lui stesso è consapevole dell’insita contraddizione
all’interno della quale si muove, poiché il fatto di parlarne,
compromette inesorabilmente l’autenticità della natura musicale. La
priorità del “fare” musica rispetto al “parlare” di musica, è una
condizione precisa, entro la quale Jankélévitch riconosce e
circoscrive il proprio orizzonte d’azione.
47 Cfr, Fauré, p. 44, « una mano di ferro dentro un guanto di
velluto, e che velluto! ». 48 Ravel, nel suo esempio, fa
riferimento ad una versione delle melodie trasportate di un tono
sopra, rispetto all’originale. Infatti il compositore indica un
arpeggio di do maggiore, quando in realtà si tratta di un si
bemolle. 49 Cfr, L’altra voce del logos, p. 89.
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
«Chez Fauré toute solution paradoxale trouve dans le résultat
sonore et dans la musicalité elles-même sa propre justification.[…]
Avouons-le donc pour finir: il est assez peu fauréen d’écrire un
livre sur Fauré».50
Nella consapevolezza dei limiti che il linguaggio verbale
dimostra nel cogliere
l’essenza della musica, il filosofo rifiuta l’esistenza di
qualsiasi forma di estetica fauréana e la presenza di principi
metafisici che pretendono di regolarne l’insito mistero.
Il suo modo di operare sulla materia sonora si mantiene ad una
distanza di sicurezza che fissa il limite di un ideale “al di qua”,
oltre il quale la musica rivela la propria reticenza, sottraendosi
alla volontà semantica dei concetti. E’ la musica a rivelare se
stessa con il proprio linguaggio. Per questo motivo Jankélévith
realizza un duplice equilibrio, nel quale i “concetti” si adeguano
e respirano la dimensione fluida e misteriosa dell’universo
musicale, e la natura evasiva del suono appare malleabile nel
ricevere l’intuizione filosofica. L’irriducibile mistero sonoro è
garantito grazie ad uno scarto, un residuo essenziale oltre il
quale la sua dimensione resta inaccessibile e si chiude nella sua
ineffabilità.
Il metodo jankélévitchiano è una sorta di approssimazione che si
avvicina progressivamente all’oggetto musicale, fino ad
intravederne l’essenza. Il sottofondo delle sue considerazioni
filosofico-musicali è animato dalla presenza di una forte
prospettiva morale. Il movimento che spinge l’uomo a svelare
l’enigma musicale, ricorda la tensione amorosa che conduce verso
l’assolutamente altro, nel punto di massima vicinanza e di massima
lontananza. Se l’amore è la forma suprema d’intuizione dell’altro,
la filosofia, a sua volta, rappresenta il momento più vicino al
segreto sonoro.
Il concetto di modulazione, per esempio, non interviene soltanto
a definire un tratto essenziale dello stile di Fauré, ma chiarisce
quello di durata nell’accezione bergsoniana. La musica di Fauré è
come l’immagine di un flusso d‘acqua che scorre senza conoscere
discontinuità, essa si trasforma nel corrispettivo sonoro del
divenire bergsoniano. Esiste, tuttavia, un problema interno alla
durata in cui l’unicità della nota non può essere violata.
Per quanto si possa pensare il flusso musicale come un divenire
continuo, occorre sottolineare che le singole note rappresentano
delle identità ben circoscritte. Una nota dopo l’altra genera
l’effetto di una continuità, ma considerate come singole realtà,
ognuna di esse costituisce un evento a parte. Jankélévitch risolve
questo paradosso evocando l’immagine di un “pointillisme musicale”,
come un insieme di microcosmi che si fondono insieme solo ad una
certa distanza.
«Certes le discours fauréen reste essentiellement continu, et il
y a dans ce pointillisme
lui-même quelque chose de flou, d’onirique et de brumeux».51
La musica risolve il paradosso della discontinuità continua,
attraverso un proiezione nella dimensione umana della coscienza di
chi ascolta, come avviene per la percezione del
50 Cfr, Fauré et l’inexprimable, p. 285, «Con Fauré ogni
soluzione paradossale trova nel risultato sonoro e nella musicalità
stessa la propria giustificazione. Confessiamolo dunque per
concludere: è così poco fauréano scrivere un libro su Fauré». 51
Ibid., p. 114, «Certamente il discorso fauréano resta
essenzialmente continuo, e c’è in questo stesso pointillisme
qualche cosa di fluido,di onirico e di brumoso».
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Caterina Pagani - Jankélévitch legge Fauré
flusso temporale. La dimensione musicale si sovrappone a quella
interiore della coscienza. Un altro aspetto che emerge dall’analisi
della modulazione, si riferisce agli strumenti utilizzati da Fauré
per articolare la materia sonora.
I giochi enarmonici, le false modulazioni, le risoluzioni
equivoche, vengono spiegate con la figura retorica della litote e
dell’ironia, come se la presenza di questi mezzi tecnici,
permettesse a Fauré di esprimere indirettamente, attraverso delle
sottrazioni.
«[…] l’espressione più stupefacente è quella che non vuole
esprimere?».52
Il principio della contraddizione, di un paradosso che regola i
rapporti tra predicati opposti, è una delle chiavi di lettura che
Jankélévitch utilizza per comprendere l’enigma fauréano.
L’anfibolia si rende visibile con la presenza di coppie i cui
termini sono apparentemente incompatibili tra di loro, come la
negligenza precisa, l’assenza-presenza, la forza dolce, il rigore
evasivo. L’effetto del conflitto tra gli estremi genera il senso
della natura fluttuante ed evasiva della musica di Fauré.
Jankélévitch, con questa operazione filosofica, riconsegna la
musica alla sua dimensione temporale, eliminando tutti quei miraggi
teorici che vogliono sovrapporre all’evento sonoro immagini
spaziali e visive. Lo charme che è il tratto saliente di tutta la
poetica fauréana, diventa evasivo e inafferrabile proprio per il
fatto di collocarsi nel tempo. «[…] questo charme è tutto
nell’intenzione, nel momento temporale e nel moto spontaneo del
cuore».53 52 Cfr, La musica e l’ineffabile, p. 76. 53 Ibid., p.
94.
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Jankélévitch legge FauréIntroduzione § 1 L’approccio
filosofico-musicale di Jankélévitch § 2 Il silenzio come dimensione
di conoscenza § 3 Il saggio dedicato a Fauré§ 4 Le melodie: aspetti
compositivi e filosofici