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Il codice da lopins

Jun 13, 2015

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Il brillante ispettore Stefano Gai è alle prese con il caso più difficile della sua intera carriera.

Una delle più alte cariche della setta segreta dei “Ritardati” , (che mantiene l’anonimato con lo pseudonimo di La Rita)confida all’ispettore l’esistenza di un piano diabolico per rendere tutti gli essere umani simili a vegetali per poter così ridare un equilibrio ad un mondo sempre più diretto verso il baratro.

Per poter attenuare questo piano perverso i Ritardati hanno però bisogno di un aiuto esterno alla setta.

Lopins.

La Rita non sa cosa voglia dire ma sa che senza di esso il piano non potrà andare in porto.

Ed è su queste poche ed incerte basi che l’ispettore Gai si getta in una ricerca che lo porterà fino ai confini dell’oblio della menta umana.

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Simone Pizzo

IL CODICE DA LOPINS

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Capitolo 1 - Risveglio

Il sole del lunedì è già alto nel cielo. Due bicchieri sporchi sul comodino e un reggiseno nero sul tappeto sono gli unici sopravvissuti al weekend.L’ispettore Gai si sofferma a guardare la sagoma sinuosa sotto le coperte al suo fianco.Di questa non si ricorda nemmeno il nome.Alle 09.00 deve essere al DipMaT (Dipartimento Maniaci e Terroristi) perché sembra esserci un nuovo caso scottan-te. Molto scottante.Però non poteva di certo tradire le sue abitudini per un banale caso di terrorismo.Sabato notte di caccia, solitaria, alla ricerca di sesso faci-le.E come ogni sabato l’aveva trovato. Si veste distrattamen-te, il weekend è finito e il lavora incalza. Raccoglie il suo Iphone dalla cassettiera, prende le chiavi del New Beetle ed esce da quella che per un paio di notti è stata la sua ca-sa.Il vento di novembre lo trafigge nel breve tragitto che lo porta dal portone di casa di una zona residenziale a basso tenore alla macchina.Apre con il telecomandino la portiera, accende lo stereo mettendo su un pò di swing e si dirige alla centrale.Ancora non sa che questa settimana potrebbe non finire mai.

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Capitolo 2 – Allarme

L’ufficio del commissario Ciotti era in subbuglio. C’erano tutti i capo reparto della centrale, ognuno con un plico in mano. Appena l’ispettore Gai varcò la soglia dell’ufficio gliene venne consegnato uno identico da un collega.“Ora che siamo tutti posso iniziare a spiegarvi come stan-no realmente le cose.” esordì finalmente il commissario.“Siamo venuti a conoscenza di un piano terroristico di dimensioni mondiali. Una setta segreta, che si auto cele-bra come i Ritardati, erroneamente creduta ormai sciolta, sta pianificando un azione. Un azione enorme. Come leg-gete sul plico si parla di “ristabilire un equilibrio uomo-pianeta andato perduto nel corso dei secoli attraverso l’annientamento cerebrale del genere umano”.“Praticamente vogliono tornare all’uomo di Neandertal?” azzardò qualcuno.“Esatto” rispose Ciotti.“Ma quale esatto ed esatto!” intervenne Gai con un misto di menefreghismo e scetticismo.“Prego ? Ispettore Gai, si rimetta in riga!”“Ma davvero sta credendo a questa cazzata della setta? E’ solo uno scherzo di qualcuno che invece di scopare un pò di fica si diverte con queste stronzate!”Il commissario Ciotti e l’ispettore Gai sono amici da tem-po. Hanno condiviso i tempi del liceo, vacanze, donne, serate, investigazioni. In privato si chiamano per nome ma in pubblico si danno rigorosamente del lei. Tutti al DipMaT lo sapevano, ed è per questo che capivano il mo-tivo per cui all’ispettore Gai erano permesse certe esube-ranze in pubblico. Normalmente, a questo genere di bat-tute il commissario Ciotti si sarebbe messo a ridere, nono-stante fossero in servizio.

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Ma stavolta l’espressione sul viso del commissario rimase impassibile.“Stefano, stavolta la faccenda è dannatamente seria.”“E chi lo dice che non è un falso allarme come quasi sem-pre accade?”“Perché stavolta abbiamo un testimone”Tutti si guardarono negli occhi.“Ma chi ci dice che non è stata una telefonata di scherzo! L’avete rintracciata? ““Non abbiamo ricevuto nessuna telefonata. Le ho detto che abbiamo un testimone.”Gai continuava ad essere scettico. Ciotti si pregustava quello che sarebbe venuto dopo.“E se…un qualsiasi pazzo può inventarsi una storia del genere. Non regge, diciamolo. Basta andare su internet e navigare tra i vari blogs di gente poco assennata per trova-re storie ancora più belle di questa.”“Allora non hai capito!” Ciotti sembrava aver perso la pazienza.” Non è la solita presa per il culo che ci fanno dei ragazzini! Stavolta il pericolo c’è ed è enorme!” sbattè il pugno sulla scrivania.“Io non ci credo a queste cazzate!” disse Gai agitando in aria il plico.“E’ per questo che ho scelto te per affidarti il caso. Il te-stimone è in sala interrogatori. Ti sta aspettando.”Tutti rimasero sbigottiti. C’era un testimone. E il commis-sario sembrava credergli.“E perché dovrei credergli?”“Voglio che tu lo veda con i tuoi occhi.”

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Capitolo 3 - La Rita

Il corridoio che portava alla sala interrogatori era pieno di agenti armati. Nemmeno per un caso di pentiti mafiosi l’ispettore Gai aveva visto tutta questa sorveglianza per un pentito. O un testimone.Il commissario Ciotti era l’unico per il momento ad avere accesso diretto a La Rita e così dovette accompagnare l’ispettore Gai di persona.“Cazzo Rob, non è possibile ci sia tutta sta sorveglianza!”“Te l’ho detto, stavolta sta succedendo qualcosa di gros-so”I due secondini di guardia alla porta aprirono e lasciarono passare i due.L’ispettore Gai rimase immobile.Il commissario Ciotti si gustò la scena.Quello che il commissario aveva precedentemente chia-mato “testimone” era in realtà una testimone.In fondo alla stanza, seduta a capo del lungo tavolo,c’era La Rita.Una donna sulla trentina,capelli castano scuro rasati a cir-ca 2 millimetri.Corporatura mediterranea, poteva anche risultare gradevo-le alla maggior parte degli uomini, se non fosse stato per una cruenta cicatrice orizzontale poco sopra l’orecchio sinistro.L’ispettore era senza parole. Era mentalmente partito con l’idea di dover interrogare un uomo, ora si ritrovava da-vanti una donna. Ciotti si gustava la scena.“La Rita, le presento l’ispettore Gai. Le dica tutto quello che ha già detto a me. Sarà lui a condurre le indagini. “

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La Rita e Gai si guardarono fissi per quasi un minuto sen-za distogliere mai un momento lo sguardo.“Bene, vi lascio soli” e usci.Gai sapeva bene che si sarebbe semplicemente appostato nell’altra stanza dietro allo specchio. Lo sapeva anche La Rita.Gai prese ad esaminare il plico e porse la prima domanda alla sua teste.“Mi parli per prima cosa di questa setta. I Ritardati.”“La nostra org…la fondazione della setta risale ai primi anni ‘60. In quei tempi il boom economico era irrefrenabi-le, e il consumismo gettò in quel periodo le proprie basi. Parallelamente, alcuni dei padri fondatori si discostarono da questa vita scegliendo una vita fatta di valori reali e sani ideali. I primi, e i più numerosi che si unirono a que-sta corrente di pensiero erano i reietti della società, quelli che oggi chiamiamo gli “sfigati”, gente che non veste alla moda né conosce i fatti di gossip. All’epoca erano discri-minati col nome di “ritardati” ed è per questo che decisero di chiamare la setta con questo nome. Alle basi non c’era-no né lotte di classe né idee rivoluzionarie : era sempli-cemente una scelta di vita. “L’ispettore la ascoltava rapito. Non credeva minimamente a nessuna delle parole pronunciate da chi aveva di fronte, ma ammetteva dentro di sé che la gente a volte supera se stessa. Cercò di tenere il tono serio, ma tra le parole ser-peggiava uno scetticismo totale. Quasi gli venne da ridere mentre le faceva la seconda domanda.“E voi, ecco, non avete…”“Non continui a riferirsi alla setta con il termine “voi”, o “avete” perché io non ne faccio più parte!” reagì La Rita.“Va bene, come vuole lei” Gai era visibilemnte irritato.

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“La setta dei Ritardati non possiede un marchio, oppure non so, ogni membro ha una sorta di personale simbolo di riconoscimento?“Un simbolo? Vuole dire, un marchio ? Come la CocaCo-la ?” rispose sorridendo La Rita.Gai non capiva cosa ci fosse da ridere.“No, i Ritardati non hanno nessun logo contraddistintivo, glielo ho detto, non hanno scopi rivoluzionari. O meglio, non ne avevano prima d’ora.”Gai sorrideva.“Va bene, ammettiamo che sia così. Come facevate a ca-pire se uno era membro oppure no ?”“In realtà, al momento dell’iniziazione, i futuri membri dovevano essere in qualche modo ’segnati’. La vede que-sta ? ” La Rita si toccò la tempia sinistra. “Questa cicatri-ce, questa bruciatura, è posta nello stesso identico punto di una reale cicatrice post-lobotomia. E’ questo il ‘mar-chio’ dei Ritardati. Una simbolica rinuncia all’uso della mente.”L’ispettore scosse la testa. Il commissario Ciotti dall’altra parte del vetro era divertito.“E’ assurdo” pensò Gai. “Quella cicatrice se la può essere fatta da piccola cadendo in bicicletta. O, peggio ancora, di proposito per dare più sostanza alla storia. Eppure…”“Bene, signorina” pronunciò finalmente Gai.“Facciamo finta che io le creda. Mi dica come cercheran-no di mettere in atto il piano.”“Beh…qui la cosa si complica…”“Perché ? Una sua deposizione di…vediamo…sabato, cita che lei, dopo aver scoperto un piano terroristico di dimen-sioni mondiali ecc…durante un assemblea.. ecc….ha vo-lontariamente interrotto tutti i contatti con gli altri membri della setta e da 5 giorni vive da fuggitiva. E’ giusto ?”

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“Sì. E’ giusto. E’ per questo che sono venuta da voi. Non voglio che il piano vada in porto. E’ una pazzia. Purtroppo però, quella del piano è una voce che ho colto nell’am-biente dei Ritardati, non ho nulla di concreto che lo dimo-stri.”“Aaah, bene, è venuta qua per un sentito dire. Ammesso che esista tutto il resto!”“I membri della setta mi cercano! Hanno collegato la mia sparizione all’ideazione del piano e tremano che io spiffe-ri in giro la cosa! Se mi dovessero trovare, mi uccidereb-bero!”“E come possono trovarla ?”La Rita socchiuse gli occhi per un momento, come trafitta da una fitta di dolore.“Beh…il Canonico della setta … è il mio gemello.”

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Capitolo 4 - I Ritardati

Il commissario Ciotti si sedette in attesa di ascoltare le impressioni dell’ispettore Gai.L’interrogatorio era finito e La Rita sedeva al suo posto dietro alla parete specchio.Un agente di scorta era entrato nella sala interrogatori per scortare la testimone nel luogo segreto dove viveva già da 5 giorni. Contemporaneamente entrò Gai.“E’ tutto vero ?” chiese senza nemmeno aver chiuso la porta dietro di lui.Il commissario ordinò con lo sguardo al microfonista di uscire dalla stanza di registrazione prima di rispondere.“Sì, abbiamo già fatto tutti i vari controlli. La sede esiste ed è proprio come e dove ce l’ha segnalata La Rita. Pec-cato che non abbiamo trovato niente di interessante. Evi-dentemente hanno già trovato un nuovo posto dove anda-re, portandosi dietro tutto il materiale. Ritardati ma effica-ci, se mi passi la battuta.”“E del gemello? Sappiamo nulla?”“Si, diciamo pure che sappiamo tutto quello che riguarda la persona e nulla o poco più di quello che riguarda il membro. Si chiama Nicolas Trentoni, 33 anni, laureato in psicologia, fino a ieri docente associato all’università lo-cale. Dico fino a ieri perché da stamattina non sanno più dove sia.”“Come ?”“Stamattina non si è presentato all’ateneo, mi hanno tele-fonato mentre interrogavi La Rita. Non c’è nemmeno in casa, sembra che sia stato inghiottito dallo scarico del ces-so! ”

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“E perché non lo avete fermato prima ? Sono cinque gior-ni ormai che sai di questa storia!”“Con questo tipo di prove, ottenere un mandato sarebbe stato impossibile anche in un mese, figurati in un fine set-timana!”“E per gli altri membri ? ” Gai stentava a credere alle sue orecchie. Non credeva che avrebbe creduto.“Qui la cosa si ingrossa, come disse Arianna”Arianna era una loro particolare ‘amica’ del liceo, la tira-vano in ballo ogni volta che c’era da sottolineare una bat-tuta alludente al sesso.“Come hai ascoltato tu stesso, la dimensione della setta è internazionale. La Rita può fornirci alcuni nomi, molti identikit, che resterebbero comunque una goccia nel mare. Solo i Canonici, inoltre, sanno i particolari del piano. La struttura dell’organizzazione ad ipercubo garantisce che le informazioni viaggino in maniera controllata ad ogni li-vello della gerarchia. Solo quando tutti e gli otto i Cano-nici sono in accordo, le informazioni passano al livello successivo. Per quel che ne sappiamo gli otto Canonici attualmente in carica sono tutti europei. Due italiani, tra cui il gemello de La Rita, uno inglese, uno portoghese, uno spagnolo, due tedeschi e un danese. Ma la loro vera identità è praticamente impossibile da scovare. All’interno dell’organizzazione utilizzano nomi fittizi. E considera anche il fatto che la cosa è venuta fuori solo perché una dei membri si è pentita ed ha voluto avvertirci. Andare in altri paesi, trovare le loro sedi ed individuare i membri senza avere qualcuno che dal di dentro ci guidi è una mis-sione senza senso.”“E quindi come avete idea di procedere ?”“Alla direzione centrale non hanno ancora la minima idea di come affrontare la cosa. Al momento, il caso è nostra

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esclusiva, loro , se necessario, ci forniranno i mezzi e gli uomini.”I due amici rimasero un momento in silenzio a riflettere.Poi Gai fece la domanda che Ciotti si aspettava.“Cos’è Lopins ?”“Non lo so.”“La Rita ha detto che il successo del piano dei Ritardati passa da questo. Lopins. Avete fatto ricerche in merito ?”“Sì, abbiamo coinvolto il nucleo informatico. La parola Lopins appare in molti siti internet ma apparentemente nessuno ha a che vedere con un piano terroristico. Forse è il nome in codice di qualcuno. Forse è una password. For-se è una città. Non lo so.”“Dove la tenete?”“Uh ?”“Dove tenete nascosta La Rita?”“Non posso dirtelo. Mi dispiace.”“Ma non dirmi cazzate! ”“Mi spiace Stè, La Rita è una testimonianza chiave, l’uni-ca fonte di informazioni che abbiamo. Non posso correre nessun rischio.”“Quale rischio?”“Stè, non so se te ne sei accorto, ma da quello che ci ha detto La Rita, potremmo avere dei ritardati anche qua al Dipartimento.”

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Capitolo 5 - Riflessioni

L’ispettore Gai torna nel suo ufficio. Vuole sedersi un momento e ricapitolare le informazioni che ha ricevuto nella mattinata. Nel frattempo il DipMaT si svuota per la pausa pranzo.Appoggia tutte e due i piedi sulla scrivania, accende il macBook e si scarta un Kitkat.Controlla fugacemente la casella mail ma non c’è nulla di interessante, le solite email, catene e spam.“Chissà poi che mi aspettavo”.Mentre naviga in giro per la rete alla ricerca di un qualco-sa che nemmeno lui sa, comincia a riflettere sull’interro-gatorio a LaRita.Diversi anni fa il padre de La Rita, Canonico dei Ritarda-ti, ha un brutto periodo di salute. Decide così di abdicare in favore del figlio, Nicolas in base alla regola per la qua-le in ogni livello dovevano esserci 5 uomini e 3 donne.Pochi anni dopo, la setta prende una strada decisamente diversa dalle abitudini : si inizia a parlare di conversione, lotta, affermazione. Si passa da incontri quindicinali dal carattere colloquiale ad assemblee settimanali a sfondo politico.Nicolas tenta di istituire una divisa per i membri. Spinge affinché la struttura passi da ipercubo a piramide, aspiran-do alla carica di Gran Canonico. Il tempo passa e la setta, sembra piegarsi alle idee di Nicolas.Dapprima il concilio dei Canonici lascia alla coscienza dei membri l’uso o meno della divisa, poi nomina Nicolas Sommo Canonico (ovvero gli venne affidato un leggero potere aggiuntivo sulle decisioni interne) ma non cede sulla struttura ad ipercubo. Passano ancora alcuni anni

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calmi (probabilmente dovuti all’ideazione del piano) e si arriva ai giorni nostri, con la minaccia che si è fatta reale. E con Nicolas che non si trova.“Se non fosse per la sparizione del gemello de La Rita non crederei nemmeno a una parola.” pensò.“E invece, contestualmente al pentimento e fuga de La Rita dalla setta, sparisce anche il gemello, imputato pro-prio dalla gemella di essere il principale mandante dell’at-tacco terroristico.”Non si può credere ad una coincidenza.Il KitKat è ormai terminato e l’ispettore getta la carta nel cestino. Incrocia le mani dietro la testa e guarda al soffit-to.E pensa.Pensa che anche Ciotti è nella merda. Non era mai suc-cesso che gli tenesse un segreto, anche se professionale. E questo la diceva lunga sul clima che si stava innescando alla centrale. Unità divise in compartimenti stagni per non far passare informazioni papabili ad eventuali Ritardati infiltrati. Roberto che deve da solo mettere in piedi una squadra e dare una direzione alle indagini.Ciotti inoltre era uno dei pochi a sapere dov’era tenuta nascosta La Rita : tre agenti di scorta che la trasportavano fisicamente dalla centrale all’abitazione e viceversa; il Capo della Polizia Manfucci, che a volte accompagnava personalmente la teste fino alla sua provvisoria abitazio-ne, e Ciotti. A volte anche lui si prestava alla scorta.Le informazioni sul caso invece erano passate per livelli. Gai, Ciotti e il Capo Manfucci erano informati giorno per giorno delle indagini; gli stessi poi decidevano quali in-formazioni comunicare al resto degli agenti coinvolti nel caso.Un pò come accadeva nella gerarchia dei Ritardati.

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Solo che loro sapevano cosa stavano facendo. Sapevano contro chi lottavano.L’unica cosa che li accumunava era la ricerca di Lopins.

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Capitolo 6 - Morte in Famiglia

Le ore del pomeriggio si susseguirono senza novità fino alle 19.26.Dopo la pausa pranzo l’ispettore Gai era nell’ufficio del Commissario Ciotti con gli altri agenti coinvolti nelle in-dagini. Stavano facendo una specie di “brain storming”, ovvero esponevano ad alta voce cosa ne pensavano del caso. Il brain storming era uno strumento didattico molto utilizzato dal commissario Ciotti, che credeva nel gruppo e nell’unità di intenti.Tutta questa fiducia riposta nel gruppo però, non aveva portato a risultati. Una lunga serie di “forse”, “magari”, “potrebbe” aveva riempito la stanza.La verità è che non avevano nulla in mano. L’unica trac-cia che avevano era l’indirizzo della sede dei Ritardati : il “Theatro”, un teatro lasciato abbandonato quasi 7 anni fa. Il Theatro era facilmente raggiungibile da una strada sta-tale in circa 25 minuti, a partire dal DipMaT.Una squadra in tenuta praticamente bellica aveva fatto irruzione nel vecchio teatro appena ricevuta la soffiata da parte de LaRita ma non trovarono nient’altro che sedie e vecchi costumi di scena.Gai stava suggerendo di tornare a fare un ispezione al vecchio teatro, o meglio ancora farlo sorvegliare in modo da poter monitorare eventuali movimenti sospetti. Su que-sta idea, ne venne di conseguenza un’altra. Usare LaRita da esca. Molti agenti erano favorevoli a questo tipo di so-luzione ma il commissario Ciotti non ne era convinto. Esporre La Rita poteva significare metterne a rischio la vita. I Ritardati ormai sapevano del suo tradimento e non

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avrebbero esitato un momento ad ucciderla. Al momento, la miglior soluzione rimaneva tornare a visitare il Theatro.

BLIP BLIP BLIP

Alle 19.26 il cellulare del commissario Ciotti cominciò a squillare. Tutti fecero silenzio.Ciotti aveva lo sguardo perso nel vuoto. Si passava una mano sul viso come fosse in trance. Non rispondeva nemmeno alla voce che usciva dal telefono. Era come di pietra. Se non per il movimento della mano sul viso.Si strizzò gli occhi con indice e pollice e proferì un sotti-lissimo “Ok” al suo interlocutore prima di attaccare.Rimasero ancora un attimo tutti in silenzio nella stanza.Poi Ciotti alzò i suoi occhi celesti su di Gai, senza effetti-vamente guardarlo e disse :“Il Capitano Manfucci è stato ucciso.”

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Capitolo 7 - 19.26

L’abitazione segreta de La Rita si trovava a circa dieci chilometri dalla città. Era una villetta rustica fatta di mat-toni rosa e fiori alle finestre. Un largo giardino arrivava fino ai pressi del viale d’accesso, dove un cancello auto-matico ti immetteva su una strada di campagna che poi sbucava sulla statale.Ed era ai piedi di quel cancello che giaceva il corpo senza vita del Capitano Manfucci.Ciotti era immobile. Occhi lucidi e sguardo nel vuoto. Al suo fianco squarciavano il buio i flash della squadra scientifica. Una voce fredda e impassibile si alternava al rumore dell’otturatore che scattava le fotografie.“Nome della vittima: Andrea Manfucci,56 anni…”Gai aveva un braccio intorno al collo del suo amico com-missario.Anche lui aveva lo sguardo perso.“…presenta molteplici ferite da armi da fuoco, presumi-bilmente una calibro .38…”La differenza tra i due però, era che Gai non stava ripen-sando a tutti i momenti passati insieme ad un amico ormai scomparso meditando vendetta. O meglio, trattandosi di poliziotti, giustizia.No.Gai stava pensando a quanto fosse stato stupido a non credere subito alle parole de La Rita.I Ritardati esistevano, e facevano sul serio.“… la vittima è dichiarata deceduta alle 19.26…”I membri della setta erano esaltati a tal punto che pur di rimettere le mani su ciò che era loro non avevano esitato a sparare ed uccidere un poliziotto.

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“… una serie di colpi, con precisione tre sono stati esplosi verso la autovettura personale della vittima, una Alfa 147 di colore nero…”La setta era talmente organizzata da venire a conoscenza nel giro di quattro giorni dove veniva tenuta nascosta La Rita e a che ora avvenivano gli spostamenti.“ … l’arma d’ordinanza della vittima risulta essere perfet-tamente al suo posto nella fondina interna alla giacca e perfettamente fredda a testimoniare il mancato utilizzo della stessa…”Ormai tutte le precauzioni del caso, coperture, filtri, tutto era inutile.I Ritardati erano arrivati a delle informazioni riservate solo a pochi agenti, e per lo più i più fidati.Non c’era il minimo dubbio sull’integrità morale di quei poliziotti.Eppure il tarlo continuava a picchiettare.Come avevano fatto i Ritardati a riprendersi La Rita?

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Capitolo 8 - Il dolore di Ciotti

L’ora è di quelle tarde, ma nessuno ci farà caso. E anche se qualcuno lo facesse, non gli importerebbe.Viene qui da una vita, praticamente da sempre e lo cono-scono tutti qui in parrocchia.Il portone della chiesa è aperto, anche alle due di notte. Anche adesso.La maggior parte delle donne, dopo aver vissuto una gior-nata di questo tipo, starebbe ore e ore a piangere. La mag-gior parte degli uomini starebbe cercando di dimenticarse-lo per qualche ora, per potersi finalmente addormentare, abbracciando una bottiglia di Jack Daniel’s.Il commissario Ciotti invece cerca conforto nella fede.Entra dal portone di legno scuro e si tuffa nell’oscurità della chiesa. La sola luce presente è una candela posta sotto il tabernacolo.Nel silenzio della notte il rumore dei suoi passi sul marmo della chiesa è assordante.Una volta raggiunta la seconda fila, si inginocchia, facen-dosi il segno della croce.In quella chiesa, seduto in quel posto, glielo avranno visto fare milioni di volte. Con la neve, la pioggia, il sole, di domenica, a Natale e a Pasqua, sempre.Roberto Ciotti non saltava nemmeno una messa. E se per qualche ragione non poteva andare, anticipava al sabato.Uno dei suoi più cari amici era stato ucciso nel pomerig-gio. Il destino aveva voluto che l’attacco venisse apporta-to proprio nel giorno in cui non era stato lui ad accompa-gnare la testimone. Il capitano Manfucci era stato ucciso in maniera brutale per una ragione ancor più orribile.

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Un uomo di fede come Ciotti sapeva, anzi, credeva , che fosse stato chiamato in Cielo per un motivo. Credeva che lui fosse stato risparmiato perché per lui c’erano altri pro-getti.La morte di Manfucci era solo una piccola parte del piano a cui anche lui partecipava. A cui partecipava Gai. E an-che La Rita e Nicolas Trentoni. E chissà ancora quanti altri.Ciotti non versava più lacrime ormai. Né tantomeno si dannava l’anima chiedendosi “Perché non io?”. Non era tipo da dubitare dell’esistenza di Dio solo quando qualco-sa andava storto.Dio non c’entra nulla, è l’Uomo che è cattivo.Questa era solo un ulteriore prova.

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Capitolo 9 - Cambio al comando

Il commissario Ciotti arrivò al DipMaT alle 8.45 in punto, come sempre. Erano passate solo poche ore dalla morte del Capitano Manfucci ma il caso dei Ritardati non per-metteva a nessuno di rilassarsi, nemmeno davanti alla scomparsa di un amico.Lo avevano avvertito sul telefono cellulare che in mattina-ta avrebbe dovuto avere un colloquio con una persona in-viata direttamente dall’Unità Centrale per mettere i punti-ni sulle i sulle indagini. Dopo i recenti avvenimenti anche in alto avevano capito che la questione era più seria del previsto.A Ciotti stava bene lasciare le decisioni a chi stava più in alto di lui, per lo meno non si sarebbe dovuto preoccupare per la pensione.L’unica cosa che sperava in cuor suo, era che la persona inviatagli dall’Unità Centrale non fosse quella che crede-va.Arrivato nel suo ufficio, vi trovò dentro l’ispettore Gai.“Non ti ho mai visto al dipartimento così presto.”“Nemmeno io ti ho mai visto al lavoro senza giacca.”Ciotti si guardò i vestiti e si rese conto solo allora di non essersi rasato, né tantomeno aver indossato una giacca. Capì forse in quel momento che erano entrati in una situa-zione difficilmente risolvibile col sorriso.“Novità?” chiese Ciotti.“Sei tu qua il capo, Rob. Novità?”“Forse.”Una smorfia tradì il suo stato d’animo.“Che cazzo succede?”“No, niente Stè, te lo dico dopo, anzi, adesso lasciami un attimo che devo chiamare…”

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Un botto sordo, rapido, scattante interruppe la discussio-ne.“Buongiorno Commissario”Al DipMaT la conoscevano tutti. Non aveva bisogno di presentazioni. Era la donna con la quantità di palle più elevata della Polizia e non. Era la donna con la quale nes-suno avrebbe mai voluto lavorare, tanta era la sua pigno-leria, determinazione e cinismo. Era la persona da chia-mare quando la situazione diventava drammatica. Era il jolly. Quando la si vedeva arrivare sul luogo del delitto, con il cadavere ancora fumante dai fori dei proiettili, men-tre molti della scientifica si imbottivano di antiemetici per non vomitare, quando si fermava sui tacchi vertiginosi e gettava via il mozzicone di sigaretta soffiandosi via i lun-ghi capelli rossi sembrava che da un momento all’altro si sarebbe tolta gli occhiali da sole e avrebbe detto : “Sono qua io, risolvo problemi!”.Era la Tipatosta.Era il pm Valentina Scattaro.“Buongiorno signor pm”Gai la guardava quasi imbambolato. L’ultima cosa che desiderava apparisse da quella porta era quella donna. Magari un folle omicida con un AK-47 carico puntato verso la sua faccia. Almeno non si sarebbe dovuto preoc-cupare di come impedire alla sua boccaccia di merda di mandare a fanculo un suo superiore. Donna per giunta. E stronza.“Sono stata inviata qui dall’Unità Centrale per assumere il comando sulle indagini riguardanti il caso dei Ritardati. D’ora in avanti lei dovrà riferire ogni informazione a me, e dovrà consultarmi prima di prendere ogni singola deci-sione. Chiaro ?”

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Ciotti scambiò un rapido sguardo con Gai, quello sguardo che vuol dire “siamo fottuti”.Non era sicuro di averlo fatto così velocemente da non farsi scoprire ma la seconda richiesta di risposta lo fece tornare alla realtà.“E’ chiaro?”“S-sì, si sì chiarissimo.”“Bene. Scusi lei cosa cazzo ride?”Gai stava sogghignando sotto i baffi per come aveva visto rispondere sull’attenti il commissario.“Eh?” L’espressione di Gai era subito tornata sullo ’stra-fottente’.“E’ già tanto che ho permesso ad un semplice agente di rimanere qua dentro mentre parlavo con il suo superiore ad ascoltare quello che siamo detti.”“A me veramente sembrava che parlasse solo lei”“Ispettore Gai, si contenga! Sanno tutti come impiega il suo tempo libero, tra discoteche e donnette di bassa lega, ma qua non siamo in pista al Velvet dove chi fa più il gra-dasso guadagna punti. Sono un suo superiore, se lo ricordi in futuro.”Raramente Gai rimaneva senza parole per ribattere, ma questa era una di quelle.“Bene, vedo che ha capito. Commissario Ciotti, mi faccia avere in giornata il dossier sulla setta dei Ritardati e tutti i relativi documenti. Può anche mandarmi una mail se le viene più comodo.”Ciotti annuì visibilmente.“Bene, qui ho finito. Arrivederci commissario.”“…”Il pm si fermò sulla porta dell’ufficio.“Non ho sentito ispettore Gai.”Gai deglutì.

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“Arrivederci signora pm.”“Arrivederci, ispettore.”Il pm Scattaro uscì dall’ufficio. Nel corridoio risuonavano ancora i suoi tacchi sul pavimento.“Che stronza” disse Gai.

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Capitolo 10 - Al Meno Uno

La scelta dell’Unità Centrale di mettere il pm Scattaro a condurre le indagini aveva di fatto portato al risultato spe-rato.Lasciare scoperto un ruolo nevralgico nel corso di un in-dagine era l’errore peggiore che si potesse commettere, e nei piani alti avevano ben deciso di correre immediata-mente ai ripari.Il pm Scattaro aveva tanti, tantissimi difetti, ma aveva al-meno un pregio : induceva chiunque le girasse attorno a rendere molto di più del normale. Sia che lo facessero per un motivo di ammirazione sia per un motivo di rivalsa.Gai era uno di quelli che agiva per il secondo motivo, e appena il pm uscì dall’ufficio di Ciotti si fiondò nei piani sotterranei del DipMaT, quello che nel gergo del diparti-mento chiamavano “meno uno”.Al “meno uno” vi erano assegnati gli uffici informatici del dipartimento.Una sala era adibita come sala di amministrazione, chia-mata “Sala Gialla” con tutti i server e gli apparati di rete; un’altra, la “Sala Verde” , separata dall’altra solo da una parete a vetro, era la vera e propria sala operativa dove gli agenti specializzati in informatica effettuavano le loro ri-cerche in giro per la rete.Gli informatici hanno lo strano vizio di etichettare qual-siasi cosa.Gai raramente scendeva fino al “meno uno”. Era un posto pieno di persone che minimamente intersecavano i suoi interessi. Si parlava di schede madri e di switch; si chia-mavano fra loro per soprannome, anzi, per nickname; e la

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cosa più vicina a una donna erano i video su pornotube.com.Ma nascosto laggiù c’era l’uomo che forse poteva dare una direzione alle indagini.Al DipMaT lo chiamavano il “Sistemista” ed era un cy-bernauta incredibile. La sua capacità di reperire informa-zioni sul web era spaventosa. C’era solo un problema : soffriva di una strana e rara forma di sindrome di Touret-te.Quando era messo sotto pressione da un superiore, o sem-plicemente da un collega, o quando restava ore e ore da-vanti allo schermo del pc alla ricerca di qualcosa, iniziava a urlare parole incomprensibili, inserendo anche qualche espressione onomatopeica nel discorso.Per fortuna aveva la buona abitudine di stampare sempre e comunque i risultati delle sue ricerche.Gai bussò alla porta giusto per un proforma ed entrò.Vide i tre agenti di servizio cazzeggiare liberamente ai pc, probabilmente su quei siti antifiga come Facebook o giù di lì.Il Sistemista era in estensione, con il braccio verso l’alto cercando di far uscire il fumo della sigaretta che stava fumando dalla piccola finestrella sita nell’angolo alto del-la stanza.“Proprio te cercavo” disse Gai indicandolo con gli occhi.“Dimmi tutto” il Sistemista gettò il mozzicone e si avvi-cinò all’ispettore.“Mi dovresti fare una ricerca urgente”“Stile buzz, così?” il Sistemista iniziava lo show.Gai non voleva scoppiargli a ridere in faccia e ce la stava mettendo tutta per riuscirci.

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“Sì, sì…ecco, dovresti cercarmi tutto quello che trovi con la parola ‘Lopins’. Mi serve entro l’ora di pranzo. Ce la puoi fare?”“Foooorrrr! Sì, vedo quello che trovo e ti faccio sapere. Borratizza!” e agitò il pugno su e giù. Gli altri colleghi informatici non ci facevano nemmeno caso.“Perfetto. Allora rimaniamo che aspetto la tua chiamata. Perfetto. Scusa, ma ora ho da fare. Ah, un ultima cosa. Se ti dovesse chiamare una donna, un pubblico ministero, tu dille che non sai niente.”Il Sistemista si portò una mano al lato della bocca, come fanno i venditori ambulanti per richiamare l’attenzione sulle loro scarpe a dieci euro e disse: “Scieei!”Gai lo prese come un sì, e tornò di sopra.

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Capitolo 11 - Svolta

Appena l’ispettore Gai fu uscito dal suo ufficio, il com-missario Ciotti prese in mano la situazione. Rilesse tutti i documenti relativi alla setta dei Ritardati e li corresse prima di consegnarli ad un agente appena uscito dall’ac-cademia incaricato di fotocopiarli e recapitarli al pm Scat-taro. Non voleva avere nulla a che fare con quella donna, anche se doveva ammetterlo, in passato molte volte era stata decisiva per le indagini.Riprese tra le mani il verbale del coroner riguardante l’uccisione del capitano Manfucci e si mise a mente fred-da a pensare a come potesse essere stata la dinamica della sparatoria. Incredibilmente, non aveva avuto il tempo ma-teriale per potersi fermare un attimo ad analizzare la cosa.Il rapporto riportava che Manfucci non aveva nemmeno estratto la pistola d’ordinanza a prova che la sparatoria doveva essere stata veramente rapida. Roba di nemmeno venti secondi.Ciotti provò ad immaginarsi la scena. Manfucci accompa-gna La Rita a casa, verosimilmente seduta sul posto ac-canto al conducente.Arrivati al cancello, appena La Rita scende per aprire con la chiave, saltano fuori almeno 3 Ritardati. Uno immobi-lizza La Rita e la tiene da ostaggio, uno spara al parabrez-za dell’auto del capitano creando confusione, e l’altro apre la portiera, tira fuori Manfucci e lo fredda.O potevano essere anche di più. E poteva essere andata in un altro modo. Ma in maniera generale doveva essere an-data più o meno così. Il vero dubbio riguardava come avevano scoperto il nascondiglio. L’informazione era te-nuta segretissima, ed è impensabile ad una spia interna al dipartimento.

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Ma fuori?Qualcuno aveva forse parlato in maniera amichevole con una persona fidata ma che poi lo aveva tradito?O c’era stato un furto di documenti?Ciotti continuava a formulare ipotesi mentre Gai tornò dal piano di sotto.“Novità?”“Stè, sei stato via per 10 minuti, smettila di chiederlo!”“Ma dai che ne so, con i potenti mezzi del pm ormai in mezza giornata si risolve tutto no?”“Come fai ad avere sempre voglia di scherzare?”“E’ un pò come la fica, c’è chi è portato e chi no.”“Stè…”Il cellulare del commissario Ciotti squillò.“Salve, la chiamo da parte del pm Valentina Sc…” un si-bilò interruppe la voce femminile che stava parlando“…dammi qua… Pronto ?” era la voce del pm.“Salve. Qualcosa che non va nei miei appunti?”“No i suoi appunti non li ho ancora ricevuti. Ma qualcosa che non va c’è. Nella sua squadra. Sono qui alla villa se-greta de La Rita: i suoi agenti non saprebbero riconoscere un indizio nemmeno se glielo si indicasse con il dito.

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Capitolo 12 - Verso il Paradiso

Quando Ciotti e Gai raggiunsero la villa segreta trovarono il pm Scattaro intenta a fumarsi la solita sigaretta.Uno dei suoi collaboratori, un uomo sulla trentina, le par-lava da distanza ravvicinata con fare discreto.Il pm non sembrava nemmeno ascoltare cosa avesse da dire, la sua attenzione era tutta per la sigaretta che strin-geva tra due dita. Ma in realtà ascoltava e ragionava, cer-cando di mettere un po’ d’ordine sui fatti.Alla vista dei due poliziotti si sistemò i capelli con un colpo secco del collo e aspirò un lungo tiro; poi, con un gesto del capo mandò via il suo collaboratore.“Commissario! Ispettore!” il tono era di assoluta strafot-tenza.Gai e Ciotti si scambiarono lo sguardo che in tutte le cul-ture popolari mondiali significava una e una sola cosa : “Che stronza!”.“A giudicare da chi avete messo a capo delle indagini non mi posso certo stupire del pessimo lavoro svolto sul luogo del delitto da chi viene ancora dopo il vostro ispettore”.Gai stava per urlarglielo in faccia dove poteva spegnersi quella maledetta sigaretta, ma si ripromise di farlo più tardi.Ciotti prese di polso la situazione.“Mi spieghi subito cosa è successo. Come scelgo di affi-dare i compiti nelle indagini non è un suo problema.”Il pm sembrò accusare la cosa e procedette con lo spiega-re cos’era successo.Chiamò di nuovo con lo sguardo il collaboratore con cui stava parlando prima e si fece consegnare una bustina tra-sparente contenente un foglietto di carta logoro.“Ecco, tenga pure.”

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Ciotti prese tra le mani la bustina e ne estrasse il contenu-to. Era un biglietto da visita che recitava a caratteri verdi su sfondo arancio “Agriturismo Monte Paradiso”. Sul re-tro c’era un numero di telefono appuntato frettolosamente a penna. Con difficoltà si poteva leggere una serie di 10 cifre e due lettere: N e T.Ciotti non capiva. O meglio, aveva ovviamente associato quelle due lettere al nome che più frequentemente gli bal-zava in testa in quegli ultimi giorni, ma si rifiutava di cre-dere che il tutto fosse così semplice.Anche Gai si avvicinò con la testa al biglietto sorretto da Ciotti. Data la sua miopia aveva notevoli difficoltà nel leggere le piccole scritte a distanza, ma non era comunque sufficiente a fargli cambiare idea sull’utilizzo di qualche aiuto per la vista: le lenti a contatto gli procuravano fasti-dio e gli occhiali erano un impedimento sessuale.Almeno secondo lui.“Dove lo avete trovato?” chiese Gai.“Uno dei miei uomini ha condotto una seconda battuta di ricerca sul luogo, stamattina. Era così evidente che anche un cieco l’avrebbe notato.”Ciotti in cuor suo patì. Non poteva nascondersi dietro ad un dito. I suoi uomini avevano fallito e si stavano per far sfuggire una probabile prova determinante. E anche se non si fosse rilevata una prova valida, avevano comunque l’obbligo di mettere a rapporto ogni singolo sasso di mer-da trovato. A meno che…“Avete provato a chiamare il numero?”“No, non ancora. Ho ritenuto giusto dapprima informarla su quanto successo.”“E sfottervi” pensò Gai.

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Capitolo 13 - Gli Speciali

Ciotti non riusciva ad accettare lo smacco subito. Aveva una sensazione strana riguardo al ritrovamento del bigliet-tino.“Come lo avete trovato?” chiese.“Sono stati i miei uomini, glielo ho già detto. Se vuole conoscere i particolari glieli faccio raccontare direttamen-te da loro”.Ripetè quel cenno del capo e il suo collaboratore la imitò, richiamando un altro uomo sulla trentina scarsa sito un po’ più verso il cancello.I due erano grossolanamente simili fisicamente; entrambi erano mori e portavano i capelli lunghi fin quasi alle spal-le; erano alti più o meno uguali ma quello che indossava dei classici Levi’s chiari era decisamente più magro. Da lontano, l’unica cosa che li distingueva nettamente erano gli occhiali da sole: Ray-Ban neri per quello più smilzo, Oakley metallizzati per l’altro.Sui collaboratori del pm Scattaro c’erano varie leggende a riguardo.Era cosa risaputa nell’ambiente della polizia e della giu-stizia che il pm Scattaro avesse due personalissimi e fidati collaboratori, due agenti che potremmo definire speciali, che non rientravano in nessuno schedario della polizia mondiale.C’era chi sosteneva che i due fossero semplicemente dei sicari al servizio del pm; altri giuravano che erano i suoi amanti; altri ancora erano sicuri di poter dimostrare la lo-ro vera identità mentre altri affermavano di conoscerla già, ma di non poterla rivelare a nessuno.

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Ma nessuno mai si sarebbe azzardato a fare una domanda su tale argomento alla Scattaro.Il pm li presentò:“Commissario, questi sono i miei due più fedeli collabo-ratori.”“Agente Jack, piacere.” Si presentò quello coi Ray-Ban allungando la mano per una stretta.“Agente Boston” fece il secondo.Normalmente si è portati a pensare che i nomi in codice servano a mascherare l’identità di qualcuno per motivi di sicurezza. Molte volte però, il nome in codice serve sem-plicemente a coprire il vero nome di qualcuno per motivi che possiamo ritenere “estetici.”Due agenti speciali come quelli del pm Scattaro non pote-vano presentarsi con i loro veri nomi : Paolo Fiocchetti e Simone Pizzo. Fiocchetti e Pizzo. Un po’ come “Frizzi e lazzi”.Due nomi azzeccatissimi per una merceria, o uno studio di sartoria, ma non per agenti speciali e spietati come nel-la realtà poi erano.“Quando il pm ha ricevuto la notizia dell’incarico e le co-pie dei verbali ha subito ordinato a me e all’agente Boston di effettuare un secondo sopralluogo sul luogo dell’omici-dio del capitano Manfucci. Questa mattina sul presto, ver-so le 8.00, siamo venuti qua insieme ad un vostro agente della scientifica” mentre lo diceva si accese una sigaretta, “ed abbiamo eseguito una nuova ricerca. Là” ed indicò il cancello “vicino alla colonnina del citofono c’era quel biglietto da visita.” L’agente Boston si limitava ad annuire al resoconto del collega.La collera di Ciotti continuava a salire. Non solo non era stato informato della nuova ispezione ma addirittura ave-

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vano chiamato un agente della scientifica del suo diparti-mento senza aver prima chiesto la sua autorizzazione.“Dopo aver repertato il documento abbiamo avvertito il nostro superiore, la signorina Scattaro, che in seguito ha pensato di avvertire lei. Fine.”Boston nemmeno stavolta spiccicò parola.I due agenti speciali rimasero così appoggiati al cofano della macchina messa a disposizione dal corpo di polizia con cui era arrivata il pm Scattaro riparati dai propri oc-chiali da sole.Il pm assunse quindi l’iniziativa : “Allora commissario, non l’ho mica chiamata per fare conversazione. Fra un quarto d’ora vediamoci nel suo ufficio e procediamo con l’identificazione del numero.”“Io e l’ispettore Gai abbiamo posto in macchina, se vuole può venire con noi.”Il pm lo guardò come si guarda un bambino che ha appe-na detto che i figli arrivano con la cicogna e salì sul retro della berlina statale messa a sua disposizione.I due agenti speciali rimasero in silenzio e mentre tutti si recavano alle proprie auto per andarsene loro si incammi-narono a piedi.Non c’era nessuna auto che non avesse già il conducente al volante.Ciotti mise in moto mentre guardava sospettoso dallo specchietto i due agenti del pm farsi la strada a piedi.Mentre Gai chiudeva la portiera gli suonò l Iphone.“Pronto?…ah ciao dimmi…grande ok ..grazie..ehm..ehm..si?!?”Gai chiuse e guardò sbigottito Ciotti.“Chi era” fece Ciotti allarmato dalla faccia del collega.“Il Sistemista”“E che ti ha detto?” Ciotti era sempre più teso.

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“Che terminato le ricerche. Evidentemente c’è poca in-formazione da reperire su internet.”“E poi?” Ciotti fremeva.“Beh…mi ha chiesto…se lo strunz de maritate o teneva nu cazzo accussì.”Ciotti scrollò la testa, mise la prima e partì.

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Capitolo 14 - I risultati del Sistemista

Ciotti e Gai arrivarono al DipMaT mentre tutti erano in pausa colazione, scesero direttamente al ‘meno uno’ ed entrarono nella ‘sala verde’.La situazione dentro quella sala era sempre la solita, a qualsiasi ora del giorno; cambiava solo chi era di turno a fumare e chi a prendere il caffè.Il Sistemista, appena vide i due superiori entrare buttò la sigaretta dalla solita finestrella e raccolse dei fogli da uno dei tavoli.“Allora Sistemista, dacci qualche bella notizia.” Iniziò Gai.“Sciee!!! Eh no perché… sulla parola ‘Lopins’ non c’è molto da sbuzzare su internet, però weeeiii qualcosa ho trovato, ti giuro che in tutti questi anni io ti woooooo !”Gai prese in mano i fogli appena stampati dandogli una scorsa veloce.“Vedo, vedo…comunque mi sembra abbastanza materia-le. In linea di massima sai dirmi qualcosa? Cos’è Lo-pins?”“Sii bucchine!!! La maggior parte dei siti indicizzati con ‘Lopins’ sono blog privati o siti porno, come sempre suc-cede, pijambò! Però qualcosa di interessante stile buzz così, l’ho trovato. In una pagina scritta in portoghese, si parla di ‘Lopins’ e di una setta, borratizza, che si dovreb-be chiamare ‘dos Atrasados’. E da quello che ho capito parlano di ‘Lopins para conquistar o mundo’ ssibbellasi-scariell!”Gai si girò di scatto verso Ciotti come colpito da uno schiaffo. La pista era quella giusta. In un momento gli si formò in testa l ipercubo gerarchico dei Ritardati che co-involgeva tutta l’Europa e si espandeva fino in Portogallo.

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Per un attimo barcollò sulle ginocchia tale era la vastità dell’organizzazione.Vide negli occhi del collega che anche per lui era così. Poi, di colpo, tornò alla realtà.“Ottimo lavoro Sistem. Ora però me ne servirebbe un al-tro, magari ancor più grande di questo. Cerca tutto quello che trovi sulla setta dei Ritardati, sulla famiglia Trentoni e se ci scappa qualche novità su ‘Lopins’ non fartela sfuggi-re. Puoi ? ”“Ce vè tu domani a scola! Benissimo, ispettore, mi metto al lavoro in o di uno.”“…?”“Subito! Sciei!! ”Gai prese la via delle scale e Ciotti lo seguì silenzioso.“Che hai Rob? Sta contento che siamo sulla traccia giu-sta! Ora andiamo su, aspettiamo che arrivi quella scassa-palle del pm e rintracciamo il cellulare.”“Dico, ma hai sentito? Portogallo, Europa…le dimensioni stanno crescendo troppo Stè. Forse dovremmo avvertire l’Interpol.”“E che fai ? Chiami il comandante della Polizia portoghe-se e gli dici che ci sono dei Ritardati a Coimbra? E se non ci credono lo fai parlare direttamente con la testimone che non abbiamo più perché ce l’hanno rapita? Dai, al massi-mo ci scappa un viaggetto tutto pagato per due a Lisbo-na.”“Quando fai così mi fai solo che incazzare.”

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Capitolo 15 - L’ obiettivo

Rintracciare la provenienza di quel numero fu anche fin troppo semplice. Bastò richiedere informazioni a riguardo alla compagnia telefonica con la quale era registrato il numero.Quello che fece sembrare il tutto troppo facile, fu la rispo-sta che il commissario Ciotti, l’ispettore Gai e il pm Scat-taro ricevettero dalla centralinista. Il numero che avevano trovato scritto dietro al biglietto da visita ritrovato su luo-go del delitto del capitano Manfucci apparteneva a Nico-las Trentoni, regolarmente registrato un paio d’anni fa. Anche se sul biglietto c’erano segnate due lettere, N e T, nessuno dei tre sperava in cuor suo di arrivare a tanto.Il successivo passo prevedeva di rintracciare “fisicamen-te” quel numero di cellulare, cosa che si presagiva netta-mente più ardua.Ma anche stavolta le forze di polizia ebbero fortuna; bastò fare una chiamata anonima con gli apparecchi telefonici del dipartimento per localizzare la cella alla quale era ag-ganciato il telefono cellulare di Trentoni. E non solo: da un veloce esame vocale fu anche stabilito che la voce che aveva risposto al cellulare era grandemente simile alla voce de La Rita.Nicolas Trentoni era stato rintracciato.“Propongo di organizzare al volo una squadra operativa e partire subito” Gai era visibilmente gasato.Ciotti non proferiva parola. Era nella sua solita posizione, con indice e pollice a stringersi la parte superiore del na-so, tra gli occhi.Anche il pm Scattaro era in silenzio, ad osservare il com-missario.

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“Su, non c’è tempo da perdere! Chiama l’Unità Centrale e fatti mandare una squadra!”“Stè…ispettore…non le sembra tutto troppo strano?” Ciotti finalmente aprì bocca. “Un uomo a capo di un or-ganizzazione in grado di scovare nascondigli della polizia, di uccidere, di rapire, non mette in conto che potrebbero rintracciargli il cellulare?” E non solo, da ai suoi uomini il suo vero numero di telefono, che loro sbadatamente scri-vono su un bigliettino di un agriturismo, guarda caso pro-prio dove è stato localizzato il cellulare di Trentoni. E poi, che fanno ? Si perdono accidentalmente il biglietto sul luogo del delitto ! Stè usa la testa per una volta!”“Ma che cazzo stai dicendo? Trentoni sarà anche una per-sona diabolica, con folli piani, ma è comunque una perso-na normale! Non è mica Lex Luthor! ”“Cazzo Stè! Ti dico che è una trappola! E non intendo mandare dei miei uomini a morte certa!”“La morte certa è quella della tua intelligenza! Ma come fai a ragionare così? Non abbiamo altri indizi, la testimo-ne ci è stata rapita e a questo punto quasi sicuramente è stata ammazzata, non abbiamo altro a cui attaccarci!”“Fino a prova contraria comando io qui!” Ciotti aveva perso la testa.“Beh, a dire il vero…sono io che comando”. Dopo aver ascoltato tutti e due i punti di vista, il pm Scattaro prese la sua incontrovertibile decisione.“Commissario, sono d’accordo con lei quando dice che è tutto troppo facile. Ma è pur vero che non possiamo esi-merci dal battere l’unica pista che abbiamo. Certo, proba-bilmente troveremo i Ritardati pronti ad aspettarci, ma Trentoni è là, nascosto in quell’agriturismo e possiamo anche coglierli di sorpresa. Il nostro obiettivo è Trentoni. E lui è là.”

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Gai non credeva alle sue orecchie. La Scattaro gli stava dando ragione.“Come potremmo mai coglierli di sorpresa, se stanno tutti là ad attenderci?” Ciotti era tra il curioso e lo scettico.“Ha mai sentito parlare di P.I.R.O.?”

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Capitolo 16 - P.I.R.O.

Il P.I.R.O. (Pronto Intervento Ricerca Operativa) era una divisione speciale della polizia nata per essere all’avan-guardia in ogni campo, tecnologico e tattico, e pronta per qualsiasi missione. Una sorta di S.W.A.T. italiana, per in-tenderci.Il comando di tale divisione era stato assegnato all’agente speciale Alessio Severini, conosciuto sul campo col nome in codice di Supermotor, per via delle sue formidabili abi-lità di guida di tutti i veicoli a disposizione del P.I.R.O. e per il suo passato da stuntman.Quando il telefono cellulare privato di Severini squillò si trovava proprio nell’officina della base del P.I.R.O. a met-tere a punto delle modifiche alla sua z750.Quando lesse il nome del chiamante sul display, allarmò subito tutta la squadra operativa.“Comandi, signorina Scattaro.”“Salve agente Severini. Abbiamo bisogno della squadra. Avete 10 minuti.”E mise giù la cornetta.Per ridurre al minimo le possibilità di intercettazione da parte di terzi, le telefonate erano ridotte al minimo indi-spensabile. La Scattaro aveva l’abitudine di impartire gli ordini a voce, e anche se non ce ne era bisogno, chiamava personalmente i suoi subordinati. In seguito, avrebbe uti-lizzato una connessione cifrata dal computer dell’ufficio del commissario Ciotti per trasmettere i dettagli dell’ope-razione a Supermotor.“Ragazzi, si entra in scena!”. Per tutto il corpo del P.I.R.O. andare in missione equivaleva ad un giorno di festa. Poter utilizzare sul campo tutti quei prodotti tecno-logici avanzatissimi e fare un po’ di baldoria era un desi-

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derio che si avverava. D’altronde, nel P.I.R.O ci entravano solo agenti esaltati e incuranti del pericolo.La squadra aveva pochi uomini, nel totale non arrivavano a 15 unità ma disponevano di mezzi e risorse illimitate, in quanto era il settore a cui finivano più fondi dal governo.Oltre a tutte le armi notoriamente conosciute e non, ave-vano un auto blindata simile ad un Hummer (chiamata in famiglia “Ciccio”) dotata di ogni strumento satellitare, un elicottero, tre motociclette più simili ad una bat-mobile che a una normale nuda da strada e un equipaggiamento personale da far spavento. Avrebbero potuto essere scam-biati per un cast di un film sugli alieni, se mai qualcuno fosse sopravvissuto per raccontarlo.Supermotor smanettò freneticamente sulla tastiera di un mainframe che nemmeno al CERN di Ginevra potevano permettersi ed ebbe subito le coordinate e gli obiettivi del-la missione inviati dal pm Scattaro.Una volta caricati i dati sul computer di bordo di Ciccio Supermotor chiamò 4 elementi della sua unità di crisi:- K-Nossi, l’asso dei motori;- Pixel, il genio dell’informatica;- Serpico, lo stratega.- Akane, il cecchino. Anzi, la cecchino.“Allora ragazzi, stavolta si fa sul serio. Dobbiamo fare irruzione in un agriturismo a qualche chilometro da qui. L’obiettivo, che possiamo definire primario, è uno solo, si chiama Nicolas Trentoni ed è quest’uomo qua.” Sul maxi-schermo alle sue spalle apparì una foto d’archivio del Ca-nonico.“Ci saranno presumibilmente una ventina di persone, per noi soltanto ‘elementi avversi’. Non interessa quello in-tendete fare a questi ‘elementi’, quello che interessa a noi è Trentoni. Come arrivare all’obiettivo è irrilevante.” Su-

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permotor vide che i suoi uomini lo ascoltavano concentra-ti al massimo.“L’unico elemento che dovremo mantenere in vita e porta-re al sicuro, chiamiamolo obiettivo secondario, se mai si trovasse là, è questo” e sullo schermo svanì l’immagine di Trentoni per far spazio a quella de La Rita.“E’ la sorella gemella del nostro obiettivo primario. La sua vita vale quanto quella dell’obiettivo primario, ma la sua presenza sul campo non è certa. Domande?”K-Nossi alzò la mano.“Con che mezzi partiamo?”“Dalle informazioni che abbiamo, dovremmo trovare un accoglienza preparata al nostro arrivo, quindi è inutile an-dare per il sottile. Partiremo tutti con Ciccio. Sul posto troveremo altri agenti della polizia ordinaria più due agen-ti speciali inviati direttamente dal pm Scattaro.”I quattro si scambiarono cenni maliziosi.“Bene. Direi che possiamo partire. Ho già caricato le armi necessarie e i dati sul computer di Ciccio. Altre doman-de?”“Che musica mettiamo durante il viaggio?”“Che domande! Children of Bodom, ovviamente.”

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Capitolo 17 - A Mkokotoni e altrove

“E le 5 migliori uccisioni ?”“Chiaro, quella a Mkokotoni al numero uno. Poi aspé, ci devo pensare.”La strada dissestata che partiva dal cancello di quella che era stata la casa de La Rita non era particolarmente traffi-cata. Passavano con frequenza limitata solo dei furgoni o vecchie auto ormai utilizzate come deposito degli attrezzi.I due agenti speciali privati del pm Scattaro viaggiavano a piedi. Era una loro prerogativa quella di girare quasi esclusivamente senza auto. Nel tragitto potevano scam-biare qualche parola e soprattutto davano meno nell’oc-chio rispetto a quando prendevano la loro macchina. Quella mattina, data la distanza, avevano comunque preso la macchina, ma l’avevano parcheggiata nascosta appena usciti dalla statale.Nessuno li sentiva mai arrivare.Il loro argomento preferito era stilare classifiche. Di ogni cosa. Cibi, film, libri, donne, canzoni, auto, armi, bevan-de, numeri, vestiti, puntate di telefilm, attori, registi, fu-metti, docce, performance sessuali, bisogni al bagno, sera-te, parcheggi.Insomma, classificavano qualsiasi cosa accadesse nelle loro vite. Che nella pratica diventava una sola, da dividere in due. Stessi incarichi, stessa casa, stesso lavoro, stesso capo, stesso grado, stessi orari.Quella mattina stavano ricapitolando e riclassificando (al-cune classifiche venivano aggiornate più volte) le loro uccisioni, rigorosamente avvenute per motivi di lavoro.

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“Io quattro ce ne ho. Mi manca l’ultima” l’agente Boston camminava sul lato esterno della strada.“No aspè allora: la prima a Mkokotoni. Cazzo te ricordi? In tuffo sul cofano della macchina di mancina. E l’ho pre-so in testa. “Boston annuiva con la testa.“Poi direi, vediamo…al secondo posto quella a Champo-luc. Se ci mettevo anche un solo secondo in più eravamo morti tutti e due.” Jack stava fumando un altra sigaretta.“Io invece, nell’ordine : Madrid, Aarhus, e le due in quel bar a Torino.”“Ah già, quei due che hai beccato mentre fuggivano dal retro.”“E’ stato bello perché dal piano di sopra non ce la facevo a scendere e rincorrerli, così sono salito sul tetto del bar e gli ho sparato dall’alto.”“Io mi sa che una doppia non l’ho mai fatta…però che dici, dovremmo fare una classifica dedicata solo alle ucci-sioni multiple oppure far…”Il cellulare di Boston vibrò. Solo due persone conosceva-no quel numero, e una delle due era lì.Il pm Scattaro stava avvertendo i suoi agenti col proprio cellulare dal DipMaT. Era nell’ufficio con Ciotti e Gai, ed avevano appena trasmesso i dati via internet all’unità P.I.R.O.“Abbiamo rintracciato il numero. Stiamo organizzando una squadra per andare a fare irruzione e vi voglio in pri-ma linea. Sì..un agriturismo…sì…come? Ah…si..va bene, tanto ho già avvertito i P.I.R.O. , non darete certo nell’oc-chio.”Il pm Scattaro comunicò le coordinate dell’agriturismo ai due agenti mentre Ciotti spegneva il pc e si preparava ad infilare la giacca.

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“Come mai ha trasmesso via telefono i dettagli dell’ope-razione? Non crede che sarebbe più sicuro agire in altra maniera?” volle sapere Gai.“Non ho certo i ridicoli mezzi della polizia ordinaria a mia disposizione.” rispose la Scattaro.Gai ammutolì, mentre Ciotti imprecò mentalmente ve-dendo che il suo pc non si era ancora spento. Cercò di cambiare discorso.“Cosa intendeva dire con ‘non darete nell’occhio’? Cose le hanno chiesto? Se posso, ovviamente”“Ma niente, mi hanno chiesto se potevano venire con la macchina.”

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Capitolo 18 - La quiete prima della tempesta

L’idea iniziale del commissario Ciotti era di recarsi all’a-griturismo Monte Paradiso tramite il blindato dei P.I.R.O. in modo da godere di una notevole protezione ed essere contemporaneamente sul posto, ma il pm Scattaro gli fece cambiare idea, ritenendo più opportuno rimanere al dipar-timento in costante contatto telefonico-satellitare con gli uomini di Supermotor e raggiungere l’agriturismo solo in un secondo momento.Ciotti, come Gai del resto, non era un uomo d’azione in prima linea, era un detective e non un assaltatore, però detestava rimanere con le mani in mano. Nemmeno Gai sopportava di rimanere in disparte, ma per un operazione del genere servivano gli uomini adatti ed era abbastanza intelligente da capire quando farsi da parte.Tutti e tre si erano trasferiti in sala di registrazione, dove tramite un collegamento internet ad alta velocità dialoga-vano con gli uomini del P.I.R.O. che erano già in viaggio a bordo di Ciccio.K-Nossi era al volante mentre al suo fianco sedeva Pixel, intento a smanettare sul computer di bordo.Contrariamente a quanto deciso alla base, Serpico non avrebbe seguito i colleghi per via terrestre ma avrebbe sorvolato la zona dell’attacco con un piccolo elicottero. All’ultimo momento Supermotor aveva deciso che sareb-be stata più utile una sorveglianza più ampia, e che la sola Akane non sarebbe bastata per il piano che aveva in men-te.

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Il dietro del furgone era allestito con sedili su tutto il pe-rimetro, una piccola armeria e uno schermo a cui sedeva-no Akane e Supermotor. Tramite un programma sofistica-to stavano scandagliando la zona dove si ergeva l’agrituri-smo, cercando dei possibili posti per piazzare il preciso fucile di Akane.“Qua dietro, vicino al pozzo, sembra possibile. Ti faccia-mo copertura e tu ti fiondi quaggiù.”Supermotor indicava col dito l’angolo del monitor.“Ricevuto”.“Capo” era la gracchiante voce di Pixel proveniente dal-l’interfono.“Ricevo, passo.”“Una chiamata dal pm Scattaro”“Passamela.”“Agente Severini, procede tutto come previsto ?” era la voce della Scattaro.“Sì, siamo in perfetto orario sulla tabella di marcia.”“Benissimo. Volevo dirle che i miei uomini potrebbero risultare un pò sopra le righe. Agiranno in totale libertà rispetto a qualsiasi piano che abbia in mente lei per la sua squadra. Li lasci fare, sanno quel che fanno e non hanno né bisogno né pazienza di ricevere ordini. L’importante per tutti quanti è sapere che agirete per un intento comune e che i vostri scopi sono comuni. Ricevuto ?”“Sì, ricevuto”“Ci sentiremo a missione compiuta.”“Ricevuto. Passo e chiudo.”Pixel chiuse la connessione con la Scattaro e diede il se-gnale di prepararsi.Supermotor indossò il giubbetto antiproiettile, infilò il tattico e si strinse gli anfibi, tutto rigorosamente in nero

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eccetto la scritta della loro divisione all’altezza della schiena, così come i suoi uomini.Solo K-Nossi era già vestito di tutto punto, in quanto non avrebbe avuto tempo di cambiarsi mentre guidava.Akane aveva un abbigliamento leggermente diverso. In-vece di avere un auricolare con microfono che le scende-va sulla guancia, aveva il microfono integrato sul braccio della giacca in goretex, in modo da non avere impedimen-ti mentre era in posizione di tiro.Supermotor fece il check della sua attrezzatura, verificò le pistole ed il fucile, i caricatori di scorta e la radio.K-Nossi aveva imboccato l’ultima curva prima di scorge-re la costruzione giallo antico contornata di alberi.La squadra era pronta.Pixel selezionò sul pc la canzone scelta da Supermotor, azionò le casse esterne di Ciccio e mise in play.

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Capitolo 19 - La Canzone di Supermotor

Il volume della musica sparata dalle casse di Ciccio è al-tissimo. I Ritardati barricati all’interno dell’agriturismo, sebbene fossero in allerta, non avevano calcolato bene la dimensione della cosa.Alessio Severini alias Supermotor credeva fermamente nella guerra psicologica e coordinava ogni attacco con della musica metal a volume impazzito. Non voleva far ragionare gli avversari. Il suo obiettivo principale era dare impressione di onnipotenza di fronte al nemico.K-Nossi centra in pieno col blindato il rimessaggio degli attrezzi, creando confusione, incutendo timore e ottenen-do un piccolo riparo in più per poter scendere da Ciccio con calma.La voce crudele e piena d’odio di Alexi Laiho urlava co-me posseduta dal Demonio.I was born in ashes of molten hatredPoco prima dello schianto, Supermotor apre di colpo la portiera facendo scendere Akane che, come previsto nei piani, si invola verso il pozzo imbracciando il fucile.Supermotor salta giù mentre sente il fragore dello schian-to di Ciccio salire altissimo su tutta la collina. La musica supera il botto dell’impatto.You know that I don’t fucking care If I live or dieSi prende un attimo tutto per se. Assapora il momento. Poi inizia a correre mitragliando verso la casa di mattoni gial-li, dando copertura ad Akane, rompendo vetri, sedie, por-te, tavoli, vasi.I despise everything I see so I don’t give a fuck if ya hate me

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Vede Akane arrivare in posizione. Tramite il microfono coordina i movimenti di Pixel e K-Nossi.Dall’interno della villetta cominciano a rispondere al fuo-co.Corrono verso il retro della villetta, cercano di prendere la scalinata esterna e fare irruzione nell’abitazione.I colpi dei Ritardati finiscono nelle acque della piscina.Pixel lancia un fumogeno nella finestra, mentre K-Nossi sale le scale e butta giù la porta di legno.In una frazione di secondo, la porta si spalanca e Super-motor spara una raffica verso l’interno.Ain’t got respect for humanity Never lived or wanted immortalityI Ritardati nascosti nella villetta cercano di scappare, non riescono a respirare per via del fumogeno e tentano la via di fuga buttandosi dalle non altissime finestre.Akane li fredda uno ad uno.Gli uomini del P.I.R.O. entrano finalmente all’interno del-la villetta. Non c’è più nessuno.Nessuno di vivo, almeno.Dalla posizione in cui si trovano sono protetti per quel che potrebbe arrivare da fuori, con Akane appostata al pozzo.Supermotor fa cenno di dirigersi in soffitta. I tre salgono le insicure scale di legno in fila indiana, pistole in mano, Pixel di chiusura a controllare di tanto in tanto il piano di sotto, Supermotor alla testa del gruppo.Si guarda dietro, vede gli sguardi determinati di K-Nossi e Pixel, concentrati come se non fosse la loro centesima ir-ruzione.La routine in questo mestiere non ha voce in capitolo.Il successo di una missione è il frutto perfetto di meccani-smi perfetti realizzati da uomini perfetti.Sfondano la porta ed aprono il fuoco a 360 gradi.

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Per loro fortuna i Ritardati rintanati lassù erano meno di metà dozzina, e nemmeno tutti armati.You motherfuckas just leave me beYa could never give me cure for the pain I feel insideMa tra loro non c’era quello definito come ‘obiettivo pri-mario’.Meglio.Meno attenzione da porre nell’indirizzare le pallottole.Cessano il fuoco e sentono nelle cuffie la voce di Serpico.Sono troppi, là fuori. Stanno arrivando i rinforzi e Akane da sola non ce la può fare.Si precipitano al piano di sotto ma trovano una decina di uomini armati a sbarrar loro la strada. I rinforzi erano già arrivati.Di sotto continuano ad esplodere i colpi di precisione di Akane. Ogni colpo un anima al Creatore.Supermotor si rende conto che giocando bene non avreb-bero mai vinto.Avrebbero dovuto giocare magnificamente.Avrebbero combattuto tutti insieme, come fossero i quat-tro cavalieri dell’Apocalisse.I believe in ArmageddonAvrebbero scatenato l’Armageddon.Sarebbero stati demoni.I’m embodyment of antichrist.Sarebbero stati l’AntiCristo.I’m living for my own demise.E se non fosse bastato avrebbero sparato pallottole fino alla fine, cercando di spedire più gente possibile all’Infer-no, in modo da avere attutita la propria caduta.

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Capitolo 20 - La Canzone de La Rita

Da dove era stata nascosta, La Rita sentiva solo della gran confusione provenire dai piani superiori. Sentiva delle urla, interrotte solo da attimi di silenzio assoluto, o da raf-fiche di mitra.E poi c’era quel costante, ritmato, cadenzato, incessante BOFF, BOFF, BOFF che sembrava venisse dalle parti del pozzo.L’avevano portata nella cantina dell’agriturismo proprio quella mattina.L’avevano legata per bene ad una scomoda sedia di legno, imbavagliata con del nastro adesivo americano e piazzata in fondo alla cantina, tra una parete di bottiglie di vino e una pila di scatoloni.Il proprietario del Monte Paradiso, Giuseppe Della Mora, era un Ritardato da diverse generazioni ed era stato uno dei primi nella setta ad appoggiare le nuove idee di Nico-las Trentoni. Non appena il Canonico decise di attuare il suo folle piano, Della Mora non esitò un momento a for-nire il suo agriturismo come nuovo punto di ritrovo segre-to. In meno di una settimana avevano portato via tutto il necessario dalla vecchia sede del Theatro ed avevano in-formato i membri della setta della nuova base, ora divenu-ta una vera e propria centrale operativa con tanto di com-puters e armi.Trentoni aveva le idee ben chiare su come comportarsi e sembrava conoscere a fondo le persone che avevano il compito di fermarlo. Nonostante quella mattina all’agritu-rismo ci fosse calma piatta, Nicolas ordinò a tutti i Ritar-dati che aveva raccolto a sé in quella nuova base operativa di prepararsi ad un eventuale scontro con la polizia. Aveva

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dato disposizioni ai suoi uomini su come muoversi e su dove posizionarsi fin nel minimo dettaglio, ed aveva scel-to Paolo Camilletti, l’assassino del capitano Manfucci, e lo stesso Della Mora come guardie alla cantina.Poi Trentoni uscì dalla sala da pranzo, scelta al momento come sala riunioni, e non si fece più vedere.Una musica metal assordante nel frattempo stava già riempiendo il giardino.La Rita era ancora legata alla sedia. Un iniziale paura aveva lasciato spazio ad una nuova strana sensazione in corpo. Tutte quelle persone che giravano per la villa in quei giorni, che ora sparavano e morivano, le conosceva personalmente.All around me are familiar facesErano amici, conoscenti, confratelli.Vedeva però nei loro occhi, una strana ombra, qualcosa che non aveva mai visto.Un senso di sfinimento, voglia di farla finita. Di rassegna-zione.Worn out places Worn out facesLi vedeva mentre si preparavano. Si armavano.Bright and early for their daily racesImbracciavano fucili aspettando che qualcuno si facesse vivo dalla porta, pronti per una battaglia che nemmeno comprendevano nel profondo.Going nowhere Going nowhereAlcuni li aveva sorpresi a piangere.Their tears are filling up their glassesAlcuni credevano che laggiù, nelle cantine, avrebbero trovato un momento di solitudine.

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Altri invece, sembravano burattini senza anima nelle mani di Trentoni.No expression No expressionLa Rita conosceva questi uomini. Non sopportava vederli andare così, ignari verso una più che probabile morte. Non erano assassini. Non erano soldati. Combattevano contro qualcuno che non conoscevano per qualcosa di an-cor più sconosciuto.Ma era inevitabile, non poteva farci nulla.Hide my head I want to drown my sorrowMa presto tutto sarebbe finito.No tomorrow No tomorrowEppure dentro di sé, in un infinitesimo piccolissimo pez-zetto di anima, lo trovava buffo.And I find it kind of funnyPersone che si erano unite alla setta in onore di buoni ideali, gli stessi ideali che suo padre aveva trasmesso ai suoi due figli, si erano fatte coinvolgere in questa tragica situazione fin dal momento in cui Nicolas era diventato Canonico. In un certo senso se lo erano cercato.I find it kind of sadLa loro morte era iniziata con l’ascesa di Nicolas.Si dice che una persona, nel corso della propria vita, veda per piccolissimi attimi, frazioni, fermi immagini, della propria morte. In un certo senso la propria morte non è un evento in esclusiva assoluta. Qualche spoiler s’è già visto prima insomma.La Rita infatti a volte aveva degli strani sogni.The dreams in which I’m dyingAre the best I’ve ever had

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Vedeva il corpo di quella che sembrava una donna anne-gare in vortice tempestoso di acque nere; a volte, la stessa donna era travolta da un camion che trasportava agnelli e finiva spappolata sotto le ruote; le modalità in cui la don-na del sogno finiva per morire era diversa ogni volta, ma solo una cosa rimaneva costante : la donna portava capelli rasati e una cicatrice sopra l’orecchio sinistro.Ma non era una persona da dare importanza ai sogni. Cre-deva nell’attuale, nel mondo reale. E’ solo che a volte, quando si vivono certe esperienze, quando perfino due fratelli arrivano ad odiarsi, non si può fare a meno di pensare che il mondo è veramente un posto folle.It’s a very veryMad world

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Capitolo 21 - Search and Destroy

Diciamocelo.I film d’azione hanno condizionato la vita di tutti. O al-meno, di molti.Specialmente per quelli che nei film di Hollywood ven-gono interpretati da Daniel Craig o da qualche altro super fusto.Gli agenti Pizzo e Fiocchetti, alias Boston e Jack, erano dei veri e propri patiti dei film d’azione. Conoscevano a memoria tutti i film di mafia e di Tarantino, passando per i vari James Bond e Die Hard.Anche se il loro preferito era ‘Point Break’ con Keanu Reeves e Patrick Swayze.La scena in cui Reeves si getta dall’elicottero senza para-cadute per tentare di arrestare e 2000 piedi d’altezza il biondo Swayze era la loro preferita.Per loro, fare quella professione era significato realizzare il sogno nel cassetto.E dato che non esisteva nessuna scuola per ‘agenti hard boiled’ decisero di farsi da soli le lezioni.A suon di film.Sui manuali dell’accademia di polizia non c’è nessun ca-pitolo in cui si tratta l ‘ ‘ingresso in scena’. Loro decisero di scriverselo e di applicarlo nella pratica.Quello che i Ritardati videro all’agriturismo non era ci-nema, ma era realtà.Mentre gli agenti P.I.R.O. K-Nossi e Pixel facevano una carneficina in soffitta guidati da Supermotor, altri membri della setta, rimasti nascosti nella boscaglia fuori l’agrituri-smo come ordinato da Trentoni erano saltati fuori pren-

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dendo di sorpresa Akane e bloccando dentro alla villetta gli altri uomini del P.I.R.O..Fu in questo momento che entrarono in scena gli uomini personali del pm Scattaro.Un Mustang U69 di colore giallo era entrata dal vialetto principale ad altissima velocità travolgendo tavolini e se-die arrestandosi davanti alla scalinata esterna facendo un testacoda.Jack, che era al volante, aprì la portiera e la usò come scudo, lasciando a Boston il compito di prendere le scale ed entrare nella villa.I primi due Ritardati che si affacciarono dalla porta ven-nero freddati dai colpi del revolver di Boston; chi è del giro sa perché nei tempi delle armi semiautomatiche le pistole a tamburo trovino ancora il loro spazio sul merca-to: i revolver non lasciano bossoli.Appena Jack si accorse del successo avuto da Boston nel-l’entrare, prese le scale. Nel frattempo, tre auto della poli-zia ordinaria stavano arrivando al Monte Paradiso a dare manforte agli uomini straordinari.Jack ebbe un momento di indecisione, poi decise che la cecchino se la sarebbe sfangata da sola con l’aiuto degli sbirri e si avviò su per le scale.Boston lo aspettava sulla soglia. Raffiche di colpi sfrec-ciavano attraverso la porta sfondata prima da K-Nossi.Jack e Boston si parlarono con lo sguardo e ai attivarono; Boston si abbassò, Jack ruotò velocemente su se stesso e all’unisono spararono all’interno dalla villetta. Le urla che sentirono sancirono il punto segnato dai buoni.Supermotor e i suoi uomini erano all’interno della villa, a pochi metri dalla porta attraverso la quale Jack e Boston stavano colpendo, anche se nessuno di loro riusciva a ve-dere al di là dell’angolo. Erano tenuti sotto scacco da cin-

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que Ritardati che gli impedivano di prendere le scale diri-gersi alle cantine. Quando anche gli altri due Ritardati che erano andati a sbarrare la porta caddero morti ci fu un at-timo di esitazione. Supermotor seppe capirlo a iniziò a fare fuoco all’impazzata mandando al creatore altri due Ritardati, seguiti a ruota dagli altri tre, uccisi dai colpi di Pixel e K-Nossi.“Salve gente” salutò Boston.“Gli agenti del pm Scattaro, suppongo.” Supermotor si asciugò la fronte col braccio destro senza staccarsi dal fucile.“Esattamente.”Il piccolo attimo di pace fu interrotto dal fragore degli spari provenienti dal giardino.Gli uomini del P.I.R.O. si disposero in fila indiana, accuc-ciati a si diressero alla finestra.Boston e Jack si affacciarono tranquillamente, come si fa appena alzati la mattina per decidere se mettere o meno il cappotto pesante.Addirittura Boston scansò le tendine con due dita della mano.“Il cecchino se la cava bene, forse è perché non ha quel-l’impedimento organico tra le gambe che riesce a stare comoda per ore e ore sdraiata” pensò Boston e si fece una risatina.Supermotor e la sua squadra lo guardarono di sbieco.Tornò alla realtà giusto in tempo per vedere che uno dei Ritardati stava tentando di salire su dalla scala, fece un segno col collo a Jack che armò il cane del revolver ed esplose un colpo in testa al malaugurato confratello di Trentoni.Supermotor diede uno sguardo giù e decise che là fuori se la sarebbero potuta cavare bene anche da soli.

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Poi prese in mano la situazione e ordinò al suo manipolo, ora allargato di due elementi, di scendere nelle cantine.Boston e Jack non ebbero nessuna reazione e si misero in fondo al gruppo ricaricando i tamburi delle pistole.“Il piano è questo:” Supermotor parlava ad alta voce dato che i due nuovi non avevano microfono e cuffie “io e K-Nossi scendiamo per primi. Se c’è una porta la buttiamo giù e voi sparate dentro dandoci copertura. Se la porta non c’è buttiamo subito un fumogeno e vediamo che succe-de.”I due speciali annuirono col capo. Tanto avevano carta bianca per poter fare tutto ciò che volevano.Effettivamente, per arrivare alle cantine non c’era nessuna porta. Finite le scale iniziava il buio magazzino di vini, cibi e scatoloni.K-Nossi gettò il fumogeno e iniziò a sparare; Supermotor lo imitò, seguito da Pixel.Camilletti e Della Mora avevano sentito passi dalle scale e si erano nascosti dietro quello che avevano trovato. Il primo sotto ad un vecchio tavolo senza una gamba, il se-condo dietro una cassa di legno piena di bottiglie.I colpi sparati nell’oscurità del fumogeno non produssero ferite. Si ruppe qualche bottiglia e qualche oggetto di ve-tro ma nessuna pallottola colpì i Ritardati.Appena la raffica di colpi terminò, Della Mora e Camillet-ti risposero al fuoco, mostrando la loro presenza là sotto.Supermotor diede l ordine di indietreggiare e di proteg-gersi sulle scale.Cominciò così uno scambio sterile di spari tra le fazioni trincerate ognuna al di là della soglia della cantina vera e propria che ebbe l’unico risultato di esaurire le scorte di munizioni di tutti gli uomini. Tranne due.

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Boston e Jack si erano risparmiati i colpi e appena ebbero finito di contare gli spari esplosi dai due Ritardati, si get-tarono giù per le scale ed aprirono un foro per l’aria in entrambe le loro teste.Boston aveva appena ucciso Della Mora che aveva già individuato un altro uomo nascosto in fondo alla cantina, dove il fumo del fumogeno si era tutto addensato. Rico-nobbe la sagoma di Trentoni. Prese la mira al volo, te-mendo che Trentoni stesse facendo lo stesso verso di lui, e sparò mentre Jack stava urlando riempiendo la cantina della sua voce: “NOOOOOOOOOOOOO!!!”Fortunatamente, quella fu una delle poche volte in cui non ferì nemmeno di striscio il suo obiettivo.Jack si gettò sull’amico collega che preso di sprovvista lasciò partire per sbaglio un altro colpo che terminò la corsa su una trave del soffitto. Entrambi finirono a terra.Quello che Boston ingannato dal fumo aveva scambiato per Trentoni era in realtà la sua gemella, imbavagliata e legata ad una sedia.Avevano trovato La Rita.La loro missione era compiuta.

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Capitolo 22 - Coscienze

Quando Serpico raggiunse la villa era ormai già tutto fini-to.Durante il tempo speso per trovare un campo abbastanza ampio per poter far atterrare l’elicottero i suoi colleghi aiutati dagli agenti Boston e Jack avevano già trovato La Rita.Alla fine Serpico, non riuscendo a trovare un luogo adat-to, decise di atterrare su di un campo coltivato a circa un chilometro dal Monte Paradiso.Le proteste di un contadino non avrebbero certo impensie-rito il P.I.R.O.Indossò il giubbetto antiproiettile e si mise a correre pisto-la in mano verso la battaglia.Quello che trovò appena giunto lo lasciò di stucco. Aveva pilotato aerei ed elicotteri in molte missioni di guerra, in Medio Oriente soprattutto, ma non aveva mai visto un paesaggio così.Allora si trattava sempre di civili, ma civili in case di pa-glia e fango, con addosso solo stracci che nemmeno capi-vano per cosa andassero a morire.Qui invece i civili erano veramente civili. Artigiani, im-piegati di banca, imprenditori, benzinai. Avevano deciso di combattere per gli ideali di una setta. E non se ne era salvato nemmeno uno.Nella piscina galleggiavano due corpi a faccia in giù, un altro paio erano penzoloni dalla scalinata; le finestre della villa erano tutte spaccate, così come i vasi e le porte. I suo colleghi erano raggruppati da una parte, intorno al pozzo, mentre si spogliavano del tattico e facevano un debrie-fing.

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Molti altri poliziotti ordinari erano al lavoro a repertare tutti i cadaveri e le armi che gli stessi tenevano ancora in pugno.Solo due persone non erano in divisa; se ne stavano silen-ziosamente appoggiati ad un auto gialla mentre uno dei due fumava.Serpico intuì chi dovessero essere.“Agente Serpico, da questa parte.” Era il suo superiore.“Cos’è successo qua?”“Quello che vedi. Nonostante i primi si siano dovuti ucci-dere per forza, la seconda onda che ci hai segnalato via radio non ha voluto arrendersi. Quando è intervenuta la polizia ordinaria hanno potuto scegliere : “galera e nessu-no si sarebbe fatto male”, gli hanno detto dal megafono. Hanno preferito essere uccisi che venire arrestati. Ed è quello che hanno ottenuto. Ora stavamo cercando di rior-ganizzare mentalmente le cose, in modo da vedere dove abbiamo sbagliato e dove siamo stati perfetti. L’elicottero dov’è?”“L’ho lasciato a un chilometro da qui verso nord. Non si trova mai parcheggio, con quel coso. Quei due…” e indi-cò l’auto gialla.“Sì, sono gli agenti speciali che ci ha mandato il pm. San-no il fatto loro. Folli, ma preparati. Se non fosse stato per loro, sarebbe stato un vero inferno.”“Strano, avevo studiato un buon piano…”“E’ vero. Ma qui stiamo giocando contro gente pazza. L’obiettivo secondario era nascosto nelle cantine, come avevamo previsto, ma il numero di uomini nella villa era di molto superiore alle nostre aspettative.”“Quanti ce ne erano?”“Oltre quelli che vedi qua, circa quindici.”“E sono…”

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“Sì, sì sì! Certo. Tutti morti. Ma che cazzo di discorsi fa, agente?”“No è che…è solo che…merda, erano tutte gente per be-ne! Non erano militari. Non erano malavitosi. Che colpa avevano ? Noi dovevamo arrestarli e farli parlare, non compiere una strage!”“Agente Ronca! Sta forse cercando di riprendere me!”“…”“Questi innocenti, come dice lei, erano armati fino ai den-ti, e non hanno minimamente cercato di scendere a com-promessi. Volevano ammazzarci. E basta. Il nostro compi-to era prendere Trentoni e la sua gemella. Degli altri non ce ne doveva importare nulla. E dal momento che della loro vita non importava nulla a loro stessi…beh, figurati quanto ce ne potesse fregare a noi! E con questo ritengo la discussione chiusa! ”Serpico dovette annuire e cercò di tornare al presente.“La gemella…dite di averla trovata. Ma dov’è?”“La nostra missione era trovarla, e l’abbiamo fatto. Ora è nell’auto degli agenti del pm. Quello che intendono farci all’unità centrale non mi riguarda. Io eseguo gli ordini, agente.

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Capitolo 23 - Home Sweet Home (?)

La sala interrogatori cominciava ad essere un po’ una se-conda casa per La Rita.Nell’ultima settimana aveva passato più tempo lì che in qualunque altro posto. E la sua nuova famiglia era il DipMaT.Il commissario Ciotti era una sorta di padre, di capo fami-glia sempre pronto al dialogo, che non avrebbe mai saputo dire di no ai suoi figli. Il pm Scattaro era una zia acida, di quelle che per natale ti regalano un gilet di velluto marro-ne, che interrompono il pranzo per chiedere ad alta voce “ma ce l’hai il fidanzatino?” con il solo scopo di farti ver-gognare e sprofondare dentro alla sedia, dato che hai un-dici anni e mezzo.L’ispettore Gai invece…beh, quello che rappresentava per lei non era ancora chiaro.Ma da lì a poco di certo la sua idea si sarebbe fatta più delineata.Infatti, proprio in quel momento, nella sala interrogatori erano entrati anche Ciotti e la Scattaro.Il pm si accese una sigaretta e iniziò a parlare.“Mettiamo subito le cose in chiaro : qualcuno nella poli-zia, qui al DipMaT forse, è uno dei Ritardati infiltrato. In pochi giorni hanno scoperto dove ti tenevamo nascosta ed è successo un finimondo solo per poterti ritrovare.” La Scattaro tacciò che l’obiettivo principe dell’assalto al Monte Paradiso era catturare il fratello e solo in secondo luogo lei.Anche La Rita seppe leggere tra le righe ma fece cenno di proseguire.

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“Ora, io e il commissario stavamo pensando a dove met-terti. I nascondigli sono più o meno sicuri tutti allo stesso modo. E da come abbiamo visto non sono serviti a nulla, nel tuo caso. Una delle opzioni che ci è venuta in mente è quella di metterti in cella.”La Rita balzò sulla sedia.“No, no sta calma. Una cella singola, con tutti i comfort possibili. Acqua calda, bagno privato, tv satellitare, acces-so alla biblioteca, tutto insomma. Anche di più di quello che avevi nella villa. E farebbe comodo anche a noi, aver-ti là senza il problema di scortarti fin qui ogni giorno e riportarti indietro. Però è sempre una cella di un carcere. Tu che ne pensi?”Il pm si stava mostrando più umana del solito. Evidente-mente doveva indorare la pillola.“Beh…io…non lo so…insomma…stare in cella non è il massimo…e poi, fino a quando?”“Non intendiamo nasconderti nulla. Il fatto è che finché non prendiamo tuo fratello non possiamo abbassare la guardia nemmeno un secondo. Da come ci hai detto, è lui che tiene in piedi tutto. Una volta arrestato Nicolas…beh, allora potrai riprendere la tua vita normale.”“E quanto credete ci vorrà?”La Scattaro si lasciò sfuggire un sospiro.“Non avete idea, è così?”Il pm annuì.“Non voglio passare la mia vita in carcere. Io non ho fatto niente. Anzi! Mi sono costituita, ma la situazione di ades-so è anche peggio di quella che avevo prima! Non potete trattare così la gente che vi aiuta! Possibile non si può fare altrimenti? Che ne so, mandatemi all’estero o…”

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“A dir la verità, avevo proposto un’altra opzione al com-missario. Ma non dipende da noi. A questo punto mi sem-bra la cosa più logica.”La Rita era tutta orecchi.“Che ne diresti di andare a stare dall’ispettore Gai?”

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Capitolo 24 - Flatemate

Ci fu un attimo di silenzio, poi si spalancò la porta della sala interrogatori.Era Gai.“Che cazzo ha detto?”“Signor Gai…”“Che cazzo succede Rob?”“Stè…”“Dai su, spiegatemi. Io che a casa mia ci vivo, sono l’ul-timo a saperlo? E poi chi vi dice che accetto? Anzi, ve lo dico adesso: no! Non ci voglio nessuno in casa mia.”L’ispettore Gai era rimasto nella sala di registrazione die-tro lo specchio ed aveva ascoltato tutta la conversazione.“Stè, è l’unica soluzione. La controlleresti 24 ore su 24, sei una persona fidata e lei non finirebbe in una cella. Io all’inizio mi ero opposto, ma adesso mi sembra l’unica scelta possibile.”“Ti eri opposto ? Perché, chi è che l’aveva proposto?”“Io. E ho tutto il diritto di farlo.” La Scattaro non si era minimamente scomposta.“Ma nemmeno per il cazzo!”“E invece sì. E sa perché? Perché qui comando io!”“Rob, parlo con te che è meglio. Ascolta, non mi sembra una buona idea. Io devo venire al lavoro ogni mattina, ho i miei impegni, le mie cose, i miei spazi. Non puoi farmi questo. Non c’è nessun altro disponibile ?”La Rita assisteva alla scena come se fosse al teatro, quasi divertita.“No, non c’è nessuno disponibile perché non è questo che vogliamo. O a casa tua o in cella. Ci fidiamo solo di te. Questo è quello che pensa anche il pm. Dice che sei l’uni-co poliziotto sicuro al quale affidarla.”

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La Scattaro aveva l’aria soddisfatta.“Insomma me l’avete messa nel culo!”Il pm prese la parola.“Beh, non è ancora detto. La Rita deve ancora decidere se accettare o no. Potrebbe anche rifiutarsi di abitare con lei.”Tutti si azzittirono a fissare la testimone.“Beh…se proprio devo scegliere, preferisco abitare in cit-tà.”

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Capitolo 25 - Il seme della follia

Per gli agenti del P.I.R.O. era una novità assoluta. In ge-nere passavano le ore successive ad una missione a rive-dere i filmati registrati dalle telecamere montate a bordo di Ciccio, a ripercorrere mentalmente tutte le fasi e i mo-vimenti fatti, a rimettere in sesto tutta l’attrezzatura che si era danneggiata o che necessitava di qualche modifica per migliorare il suo funzionamento.Invece questa volta erano seduti intorno ad un tavolo di legno di un ristorante messicano.Avevano avuto giusto il tempo per tornare alla base, farsi una doccia veloce ed infilarsi dei vestiti borghesi, prima di arrivare all’appuntamento fissato per le 12.30 davanti al ristorante “Las Rosas”.Ovviamente avevano parcheggiato Ciccio in garage e si erano presentati con i propri mezzi: Supermotor con la z750, Akane con un vecchio Mitsubishi Pajero mentre K-Nossi e Pixel si erano fatti accompagnare dalla Ford Mondeo di Serpico.Sulle prime Supermotor aveva garbatamente rifiutato l’invito a pranzo, ma poi, preso anche dalla curiosità di conoscere meglio chi li aveva invitati cambiò idea ed ac-cettò, con grande sorpresa e gioia della sua squadra che già si vedevano sporchi di grasso chinati sotto a Ciccio con in mano chiavi inglesi e un misero tramezzino per pranzo.I cinque colleghi si ritrovarono fuori dal ristorante,che si trovava in un vicolo secondario del centro della città. Al-l’ingresso una bella ragazza bruna sulla venticinquina gli fece strada dicendo con forte accento spagnolo che li “estavano ejià aspettando en la mesa”.

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L’interno del locale era proprio come ci si aspetta da un locale del genere : sombreri appesi al soffitto, tavoli e se-die di legno dipinte di rosso e verde, luci colorate alle pa-reti e murales raffiguranti deserti e cactus.Al tavolo centrale apparecchiato per sette c’erano già due persone che bevevano birra michelada da una brocca e mangiavano tortilla chip con salsa guacamole.“Oh, ben arrivati signori” fece l’agente Boston posando il bicchiere.“Scusate ma, nell’attesa, ci siamo permessi di ordinare qualche stuzzichino” disse il suo socio Jack con la bocca ancora piena.“Oh, non c’è nessun problema, avete fatto bene ad ordina-re…che bevete ?” Supermotor aveva preso il comando per deformazione professionale.“Ah, questa è birra michelada, con succo di limone. Ma sedetevi, sedetevi forza.”I nuovi arrivati presero posto e consigliati dai due agenti speciali, che evidentemente erano di casa in quel locale, iniziarono ad ordinare.“Veniamo spesso qua” iniziò Boston stranamente loquace. “Almeno due volte a settimana. A stare in casa da soli, ti passa anche la voglia di cucinare.”“Vivete insieme?” volle sapere K-Nossi.“Si, da un bel po’. Ormai non potrei stare in casa con nes-sun altro se non da solo. Con il mestiere che facciamo non possiamo certo convivere con chiunque. Lo sai” e si avvi-cinò una mano alla bocca come per nascondersi “quante volte siamo tornati a casa sanguinanti con i buchi dei proiettili che ancora fumavano? Non credo che potrei prendere casa insieme ad un gruppo di universitari pip-pa-spinelli e interrompergli tutto grondante sangue la loro serata Scarabeo. Voi invece? Siete sposati?”.

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La cameriera che prima li aveva fatti accomodare iniziò a portare i piatti. Chili con carne per Boston e K-Nossi (era nella top 5 dei piatti etnici di Boston), empanadas per Jack e Akane, e tacos di pollo per Supermotor e Pixel.“Io sì” rispose Pixel. “da 4 anni. Ho anche due figlie. Una di due e una di tre anni.”“Io invece mi sposo l’anno prossimo.” K-Nossi si stava bruciando la lingua con i fagioli del chili ma riuscì lo stesso a rispondere.Boston e Jack annuivano.“E il capo invece?” Jack non sapeva di intraprendere un percorso minato.Gli uomini del P.I.R.O. si scambiarono uno sguardo teso, attenti a non farsi accorgere dal loro superiore.“Beh, io…non ne parlo molto volentieri. Ero sposato, sì. All’epoca ero appena entrato in polizia. Agente semplice, niente incursioni o mezzi sofisticati. Al massimo qualche multa per eccesso di velocità. L’avevo conosciuta in va-canza, in seguito si era trasferita qui a casa mia. L’amavo molto. Poi, un bel giorno, mi dice che io sono troppo pre-so dal lavoro. Mi dice che non sono mai a casa. Mi dice che non possiamo avere un figlio come desiderava, se non c’ero mai. Passa qualche mese, e dalle parole si passa ai fatti. La trovo a letto con un altro. Beh…non la prendo tanto bene, ovviamente.”Boston e Jack sospettavano quello che gli altri commensa-li sapevano già.“Non ci ho visto più. Ho sparato ad entrambi alle gambe per non farli fuggire. Poi sono sceso in garage ed ho preso una tanica di acido muriatico. Mentre risalivo in ascenso-re non riuscivo a decidermi su chi far sciogliere per pri-mo, se mia moglie o lo stronzo nel mio letto. Ma mentre entro dalla porta, mi vedo un nano con un coltello da cu-

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cina in mano. Era lui, lo Stronzo, che non riusciva ad al-zarsi in piedi per via delle ferite. Così lascio da parte l’acido, prendo un coltello e vado ad accendere lo stereo. Alzo il volume al massimo, in modo da coprire le urla.”Tutti al tavolo pendevano dalle sue parole.“E poi?” chiese Boston.“Sono andato in camera. Ho trascinato mia moglie che urlava, che diceva che noneracomepensavo, fino a metter-la davanti alla faccia piangente dello Stronzo. A questo punto gli dico ‘dai, su, dai una coltellata a questa troia fottuta, o ti faccio una doccia d’acido’. I due si guardano, sapete, si guardano molto teneramente. Allora SPLASH, getto un po’ d’acido sul braccio dello Stronzo. E intanto i Metallica spaccano dallo stereo So fucking what! Lui ca-pisce che faccio sul serio, e le fa un graffio sulla guancia col coltello. Io gli dico che ‘non ci siamo proprio, voglio che l’accoltelli come dovrei fare io’ e gli do un’altra an-naffiata, stavolta sul torace. Si vede che lì fa un male boia, dato che stavolta obbedisce e le infila la lama su una spal-la. Il sangue scorre a fiumi, dalla spalle, dalle ginocchia di lei e dalle arterie femorali di lui. Fortuna che con l’acido muriatico ci si possono anche pulire i pavimenti. Comun-que, per farla breve, mi ero annoiato. Sempre la stessa sequenza: urla-pianti-urla-lacrime-acido-pianto-coltellata-urla-urla e via da capo. Allora estraggo la pistola e ammazzo prima lui. Poi, con molta calma, sparo a lei. Appena l’ho vista accasciarsi a terra mi sono sentito stanco, come vuoto. Allora tutti gli intenti di pulire, far sparire le tracce ecce-tera sono svaniti. Ho chiamato il mio capo reparto e gli ho confessato tutto. Il processo fu un lampo. Mi dettero l’er-gastolo.”

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Dopo il tanto parlare, Supermotor ingoiò un lungo sorso di birra fredda.Ormai anche nel resto del ristorante era sceso il silenzio. Anche se non era così, sembrava che tutti stessero ascol-tando la storia di Supermotor.“Beh, manca ancora l’ultima parte, mi sembra. Insom-ma…tu sei qui. Sei fuggito dal carcere?”“No no, niente di più semplice. Dopo un anno e sei mesi di reclusione mi venne a trovare un tizio. Un tipo alto, magro, pelle pallida. Invece che nei parlatori mi portano in una stanza isolata. Era la prima visita che ricevevo da quando ero stato messo dentro. Il tizio mi parla in modo asettico, secco asciutto. Non usa nemmeno una parola, come si dice, nemmeno una parola emozionale. Espone solo i fatti. Mi offre in pratica di passare a lavorare di nuovo per la polizia, ma sotto identità segreta. Solo poche persone avrebbero saputo la mia vera storia. Il mio vec-chio io sarebbe morto in carcere, in una rissa in zona doc-ce. «Dov’è la fegatura?» faccio io. «Nessuna fregatura» mi risponde, e accettai. E invece c’era, e pure grossa. Credevano che dopo quello che avevo fatto a mia moglie, uccidere mi sarebbe stato facile. Invece, quello lo feci su un momento d’ira. Non ero un assassino. Poi, col tempo, le cose sono cambiate. Uccidevo per lavo-ro, ed uccidevo persone malvagie. Lavoravo per la poli-zia, ammazzavo criminali, rapitori, mafiosi, ladri, assassi-ni. Insomma, ero uno dei buoni. All’inizio non reggevo la cosa. Ora direi che mi sento perfettamente a mio agio.”“Ma se è una cosa segreta…perché l’hai raccontato ora a noi in un locale pubblico?”“Decido io a chi confidare i miei segreti e non qualcun altro. Intesi?”

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I due agenti speciali annuirono, come ipnotizzati.“Perfettamente. Ora però mangiamo, sennò si fredda.”

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Capitolo 26 - Ora

“Dov’è Trentoni?”“Non lo so”“Te lo ripeto. Dov’è Nicolas Trentoni?”“Ti ho già detto che non lo so.”“Ti ripeto che è una cosa importante. Dov’è Trentoni?”“Mi hai rotto i coglioni, Shadow.”“Risposta sbagliata.”Shadow afferrò il polso sinistro de LaMorte e gli rigirò il braccio. LaMorte con la destra estrasse una semi automa-tica e la puntò al viso di Shadow.

“A tavolaaaa!”“Un attimo, mamma, arrivo subito !”“Niente storie! Vieni subito a mangiare! ”“Un attimo dai, cinque minuti! Devo finire una cosa! E’ per l’università!”“Sempre davanti a quel coso! Ti farà male alla vista!”TYP TYPTYP TYPTYPTYP TYP TYPDavide inserì il proprio nome utente e password nell’in-terfaccia di un sito internet ed ebbe accesso per aggiorna-re il suo blog.

“Grazie”“Cosa ?”“Ho detto, grazie. So che non è facile per te.”“No, non lo è per niente. Devi prendere le tue cose? ”“No, me le porteranno domani in mattinata, grazie.”“Basta di ripeterlo!”“Ok, come vuoi.”Gai accese lo stereo della macchina e LaRita si scaldò le mani alitandoci sopra.

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John Coltrane li accompagnò fino al portone della loro nuova casa insieme.

“Quel Supermotor è veramente uno scoppiato eh!”“Nemmeno noi ci possiamo lamentare”Jack e Boston avevano salutato gli uomini del P.I.R.O. e si stavano incamminando verso casa.

“Bentornato amore! Come è andata oggi in ufficio? Con-segnata la pratica?”“Sì, tutto bene.”“Ma, zoppichi! Ti sei fatto male?”“Ehm, sì, sono caduto per le scale. Ehi, piccole mie!”“Ciao papà”“E il pranzo con il direttore? Come è andato?”“Benissimo, benissimo. Forse mi darà un aumento.”“Oh, ma è fantastico! Complimenti tesoro!”Pixel rientrò in casa e si stese sul divano. Disse alla mo-glie di avere il pomeriggio libero e si addormentò guar-dando un cartone animato con le figlie.

“Ehilà! Tutto bene?”“Sì, tutto ok.”“Come procede il lavoro? Hai fatto tanti chilometri?”“Come al solito. Ho effettuato le consegne e sono stato a pranzo per strada. Ci vediamo stasera?”“Certo! Ti passo a prendere alle otto.”“Perfetto. Ti chiamo più tardi quando rientro con il furgo-ne.”“Va bene. Ciao Dani!”“Ciao!”K-Nossi richiuse lo sportelletto del cellulare e chiamò l’ascensore.

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“No, mi dispiace, ma stasera non ce la faccio proprio. De-vo andare a registrare un contratto per un assicurazione alle 18.00.”“Ah capisco.”“Dai, la settimana prossima però ci sono per giocare. Contatemi.”“Che cazzo però! Ci lasci in quattro! E già siamo senza portiere! ”“Uhm…dai, cercherò di convincere il mio capo a cercar-mi un sostituto! In quale campo giochiamo?”Akane era appena tornata a casa. Aveva voglia di dormire un po’ e magari leggersi qualche manga. E poi ordinarsi una pizza. Ma giocare a calcetto e farsi una pizza in com-pagnia le sembrò molto meglio come programma.

“Due?”“Uno e mezzo, grazie.”Il pm Scattaro ed il commissario Ciotti uscirono dall’uffi-cio e si presero un caffè al bar di fronte al DipMaT.

“Eccezionale. Davvero eccezionale.”Dal nascondiglio noto solo a se stesso, Trentoni ripensava al suo chirurgico e diabolico piano.Non poté fare a meno di sfregarsi le mani dalla voglia di metterlo in atto.

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Capitolo 27 - Intrusa

La situazione era scomoda per tutti e due, era evidente. Appena scesi dal New Beetle, una sorta di imbarazzo ado-lescenziale saltò sulle spalle dell’ispettore Gai e de La Rita. In silenzio Gai cercò la chiave per aprire il portone del palazzo residenziale dove abitava da meno di due an-ni. In silenzio La Rita attese che il portone si aprisse.Non si udì una parola nemmeno nell’atrio, in attesa del-l’ascensore. Nemmeno i quattro piani di salita rinchiusi in pochi centimetri di spazio aveva smosso quel gelo imba-razzato. Sulla soglia della porta di casa il silenzio divenne tombale.Gai entrò per primo. La Rita entrò subito dopo.“Permesso…”“Allora, basta con le cazzate. Ormai per un certo periodo, purtroppo, questa sarà anche casa tua. E non voglio senti-re questa cazzata ogni volta che entri in casa, è chiaro?”“Ok.”Un profumo di pulito aleggiava per casa. Nonostante fos-se l’appartamento di un uomo single, la casa era tenuta a perfezione. Nessun indumento in giro, tappeto allineato sotto al divano, attaccapanni all’ingresso.“Come vedi non è una villa. La mia camera è là a destra in fondo al corridoio. Tu puoi stare nella stanzetta di lato; idealmente era un armadio a muro, ma l’ho fatta diventare una specie di stanzino. Basta levare un po’ di roba e met-terci una brandina. Di fronte hai la porta del bagno, che invece è abbastanza grande. Ci dovrebbe essere un po’ di spazio su una mensola per appoggiarci sopra le tue cose. Qua a sinistra invece c’è la sala. Tv satellitare, internet, impianto dvd con dolby sorround, schermo piatto 42 pol-lici. Sentiti libera di fare quello che vuoi.”

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“Ok. Graz…ehm volevo dire…ok. Sì, perfetto.”“Ora io mi vado a fare un bagno. Se suona il telefono, e vedrai cazzo che suonerà, tu non rispondere mai. Mai! C’è sempre la segreteria inserita. L’ultima cosa che mi serve è una donna in casa che risponde alle mie telefona-te! Intesi?”La Rita fece di sì col capo.“Ah, ultima cosa. La cucina è questa qua.”Gai accese la luce al neon in una piccola stanza dove c’erano un tavolo da quattro, dei fornelli minimali e un forno a microonde. In un angolo un enorme frigorifero ronzava come un elefante che dorme. “Qua non ci entro quasi mai. Ma se a te piace, o serve cucinare fa pure. Io vado. Ricorda. Niente telefonate.”La Rita rimase in piedi qualche secondo in cucina. Poi si andò a sedere sul divano della sala e accese la tv. Fece una panoramica con lo sguardo. Oltre agli apparecchi elencati prima da Gai, c’erano anche uno stereo enorme con due casse che sembravano arrivate direttamente da un concer-to; quadri naïf e ritratti dell’ispettore alle pareti; lampada-rio di vetro. Tutto quello che Nicolas ed i Ritardati odia-vano.La Rita cercò di rilassarsi e si sforzò di sentirsi a casa sua. Andò in cucina ed aprì il frigorifero per fare merenda. Tutto quello che trovò in quel dinosauro bianco furono quattro confezioni di yogurt con i cereali, una bottiglia di martini bianco e un tubetto di pomata per la pelle.Assalita dalla tristezza emanata dagli scomparti del frigo, afferrò un vasetto di yogurt e richiuse subito lo sportello. Prese un cucchiaino di plastica da un sacchetto vicino al microonde e tornò a sedersi sul divano. Cambiò col tele-comando ininterrottamente fino a fermarsi su National

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Geographic Channel, mentre sentiva la voce di Michael Bublè arrivare ovattata dall’interno del bagno.Lottò con se stessa per non farlo per un minuto buono, poi, mentre la mantide religiosa attaccava il suo compa-gno durante l’accoppiamento, partendo a divorargli la te-sta mentre gli organi genitali erano ancora in azione, ce-dette : si tolse le scarpe ed appoggiò entrambi i piedi sul divano. Notò solo in quel momento, quando si distesero, che fin da quando era in ascensore aveva tutti i muscoli del corpo contratti.La voce del biologo proseguì il suo racconto, parlando di altri insetti e di come questi siano indispensabili, seppur orribili, nell’ambito dell’ecosistema.Era questo che erano i Ritardati? Insetti orribili ma neces-sari all’equilibrio mondiale? O insetti inutili come le zan-zare che si erano arrogati un ruolo utopico quanto folle di equilibratori del mondo?Mentre si perdeva in questi pensieri uscì l’ispettore Gai dal bagno con su solo un asciugamano bianco legato alla vita. Aveva ancora i capelli bagnati e il fisico atletico da poliziotto nel pieno delle sue forze in bella vista.“Ha chiamato nessuno?”“No, non ha chiamato nessuno Stè.”

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Capitolo 28 - Un potere, due forze

Nello studio tutte le luci erano spente. L’unica sorgente di luce era quella che proveniva dallo schermo 17” del ma-cintosh portatile aperto sull’immensa scrivania di legno scuro. Tolto lo spazio per la porta e per le finestre, di cui una si apriva su un balcone pieno di fiori, le pareti erano interamente ricoperte di libri. La maggioranza erano libri scientifici, di informatica, matematica e fisica. Il resto erano trattati sulle arti marziali, manuali di pelle rilegati a mano con sopra simboli appartenenti alla tradizione orien-tale.La luce proveniente dal monitor rifletteva sulla canna del-la pistola de La Morte, puntata alla faccia di Shadow.“Va bene, hai vinto. Abbassa quell’arma.” disse Shadow allentando la presa.La Morte rinfoderò l’arma nella fondina dietro la schiena.“Siediti” disse Shadow mentre si sedeva sulla poltrona di pelle marrone dietro la scrivania.La Morte accettò l’invito e si accese una sigaretta.“Non qui” disse Shadow.La Morte si guardò intorno in cerca di un posacenere e non trovandolo si alzò e gettò la sigaretta appena accesa dalla finestra. Poi tornò a sedersi.“Allora, Shadow, cosa volevi, si può sapere?”“Io avevo intenzione di parlare con Trentoni, o Loki, co-me tu lo chiami. Perché sei venuto tu?”“Loki mi ha lasciato detto che non sarebbe potuto venire e che se non si presentava dovevo venire io al suo posto. Quindi, dì pure a me, Shadow.”Shadow si alzò dalla poltrona e cominciò a camminare su e giù per lo studio con le mani incrociate dietro la schiena.

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“Va bene, lo dirò a te allora. Sono deluso dal comporta-mento di Trentoni. Non è quello che avevo in mente io di fare. Le cose si fanno a modo mio o non si fanno per nul-la, è chiaro? ”“Io posso riferire, non certo risponderti per conto suo.”Shadow era indispettito di dover parlare con un subordi-nato di Trentoni invece che con Nicolas stesso.“Io ho quello che cercate, è palese. Trentoni lo sa, tu lo sai, tutti lo sanno. E chi ancora non lo sa, è meglio che rimanga ignaro di tutto. Dico bene?”La Morte annuiva. La voglia di nicotina era devastante.“Quello che non mi va bene è che dato che il pallino del gioco e l’ho io, io detto le regole del gioco. Quella strage al Monte Paradiso era proprio necessaria? Cristo in tutti i blog e siti internet è stata riportata la notizia! E domani sarà nella prima pagina di tutti i giornali! Solo che per fortuna, la polizia l’ha spacciata per una retata in fatti di droga! Io non voglio morti. Non voglio armi. Non ho bi-sogno del sangue, se non è necessario. La vera trincea è quella nelle alte stanze dei palazzi dei politici e non quella sul campo di battaglia. Da giovane avevo voglia di sapere. L’ho ottenuto. Poi volevo potere. L’ho ottenuto. Poi vole-vo il danaro. Con la saggezza ed il potere l’ ho ottenuto. Non ho sbandierato al vento le mie scelte né tantomeno i miei obiettivi. E’ così che si vincono le guerre ormai. Con segretezza e riservatezza.”Fece una pausa“Il Canonicato cosa ne pensa? ”“Il Canonicato ha le mani legate. Chi comanda adesso è Loki. E comunque è stata la polizia ad intervenire sparan-do ad ogni cosa si muovesse. Noi abbiamo solo risposto al fuoco.”“E la sorella?”

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“Intendi Renata?”“Sì, la gemella.”“Ce l’hanno ripresa gli sbirri al Monte Paradiso. Ma sta-volta siamo stati attenti a non proferire parola in sua pre-senza. C’era comunque il timore che ci sfuggisse di nuo-vo, così la tenevamo isolata nelle cantine. Ma non è servi-to a molto. ”“Perché non l’avete uccisa? Anche per il solo scopo puni-tivo. Gli altri l’avrebbero preso da esempio.”“Non c’è nessun altro che remi contro gli obiettivi della setta.”“Si è salvato nessuno?”“Per quello che mi risulta, no.”“E tu?”“Io non c’ero quella mattina. Loki mi aveva detto di la-sciare l’agriturismo così la mattina presto sono tornato a casa mia.”“Fortunato.”“I poliziotti che sono tornati a casa vivi sono stati fortuna-ti. Non io.”“Come hanno fatto a trovarvi? Renata sapeva che vi na-scondevate lì?”“No. Però potrebbe averlo segnalato come luogo vicino alla setta. In più, hanno recuperato da qualche parte il numero di Loki e devono aver rintracciato l’agriturismo.”“Cosa?”“Sì è così. Me ne stavo per andare quando è suonato il cellulare di Loki. Lui ha risposto ma nessuno parlava dal-l’altro capo. Ha attaccato subito ma deve essere bastato a farlo beccare.”“Che state combinando ? Mettete in piedi un piano terro-ristico mondiale, forse ancor più grande di quello del 2001, e fate l’errore di rispondere al cellulare? No, così

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non va. Dì pure a Trentoni che se va avanti così, non se ne fa nulla. Sono disposto a trattare, ma non a queste condi-zioni. Quello che ho non è difficile da piazzare nel merca-to. Avete tempo fino a venerdì, lo sapete. Oggi è martedì. E sono le 19.00. Fate bene i vostri conti.”“Non so se ti conviene giocare così duro con noi Shadow.”“Con voi? Ma chi siete? Cosa pensate di essere ? Te lo dico io, se ancora non lo sapessi. Siete un circolo dopo lavoro, siete un associazione ludica. Vi riunite due volte a settimana e giocate a fare i cattivi pensando di essere i buoni. Proprio come i cattivi veri. Avete mezzi e cono-scenze, non lo nego. Buttare giù quelle due torri non era cosa semplice, ma con gli aiuti e i fondi giusti ce l’avete fatta. E non siete nemmeno finiti tra i mandanti. Tutta la colpa se l’è presa quel vecchio con la barba e il bastone che adesso chissà che fine avrà fatto lassù sperduto per le montagne. Ma dimmi, La Morte, tu che ti sei scelto que-sto nome altisonante. Dimmi. Quanto tempo resisteresti tu, o un qualsiasi altro membro della tua setta a Guanta-namo? Un giorno? Du? Ringrazia Trentoni per quel bri-ciolo di intelligenza che si ritrova.”“Certo, è facile parlare vero? Tu te ne stai seduto qua, con i tuoi libri, i tuoi vestiti borghesi, il tuo computer, i tuoi passatempi. Giochi a scacchi, bevi tè verde. Ma tutto que-sto lo devi a gente come noi, che sta sulla strada, che lotta per davvero, che ha un ideale e non lo tradirebbe mai per un paio di camicie e uno studio in parquet! Tu vuoi i frutti del nostro lavoro senza nemmeno sporcarti le mani. Tu ci sfrutti. Sfrutti il sangue che versiamo. E ti ci arricchisci dietro. Proprio come tutte le persone che finiscono sulle poltrone! Nella nostra setta ci sono dirigenti, imprenditori, politici. Tutti pronti a dividere i ricavi e i meriti ma mai

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nessuno che scenda sulle strade con noi. Mi fate schifo. Tu e tutta la classe dirigente!”“Non cogli il succo della questione. È per questo che io sto qua, dietro la scrivania, e tu stai là, ad accusarmi con l’indice.”Shadow guardò l’ora dal suo cronografo.“E ora va, mi hai stancato. Riferisci quello che ti ho detto a Trentoni. O come dico io, o in nessun modo.”La Morte si alzò dalla sedia e si avvicinò alla porta.“Te l’ho detto prima. Non so se ti conviene. Non avremo bisogno di una classe dirigente, nel mondo che riforme-remo. Ricordatelo bene.”“O come dico io, o niente.”La Morte uscì chiudendo decisamente la porta, senza sbatterla. Ne aveva una gran voglia ma l’aria rilassata e cheta che sostava in quello studio era talmente contagiosa che anche lui ne subì l’effetto.Uscì dalla porta principale accompagnato dalla domestica, attraversò il giardino ed attese di fronte al cancello che qualcuno glielo aprisse elettronicamente da dentro.Quando si dischiuse uscì, si accese una sigaretta ed entrò in macchina.Mentre metteva in folle ed accendeva la Mercedes, notò una Twingo viola arrestarsi di fronte al cancello che prima di richiudersi ricevette un altro impulso e si spalancò di nuovo.All’interno c’era un ragazzo, capelli castano chiaro, barba appena accennata. Avrà avuto vent’anni o giù di lì. La Morte annotò mentalmente auto, faccia e targa, mise in moto e partì. L’unica cosa che non notò erano gli occhi indagatori di Shadow alla finestra.

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Capitolo 29 - Informazione Gratuita

Era la terza volta nella vita che entrava in una questura. La prima a 16 anni con i suoi genitori, quando le avevano rubato il motorino fuori da un centro commerciale. La se-conda, a 26 anni, quando dopo una rissa nel locale in cui si era esibita l’avevano segnalata e fatto passare una notte in cella. Oltre alle accuse delle due ragazze presentatesi in questura con graffi e lividi, gravava sul suo conto anche il possesso di una buona dose di hashish. I precedenti penali però, totalmente inesistenti, le avevano permesso di la-sciare la cella al mattino seguente.Ora, a 29 anni, la terza volta, aveva a che fare con la scomparsa di una sua amica.Dopo che ebbe citofonato, l’agente di turno alla guardiola la fece entrare.Attraverso la fessura rotonda sul vetro formulò la sua ri-chiesta.“Salve, vorrei…ecco, non so come si fa. Non riesco a rin-tracciare una mia amica da diversi giorni e volevo ec-co…non so se potevate fare qualcosa per trovarla.”“Un attimo, ripeta con calma.” Il poliziotto al di là del vetro aveva intuito di cosa si trattasse ma la sua attenzione era stata distolta dalla ragazza. Aveva dei jeans molto lar-ghi, scarpe da ginnastica con la suola alta tutte bianche, una giacca nera con sotto una maglietta viola con un graf-fito sul petto. Sopra ai capelli ricci portava un borsalino nero di un paio di misure più piccole. L’agente, abituato ai capricci della figlia adolescente che voleva guardare i vi-deo musicali nell’ora del telegiornale, ricondusse l’abbi-gliamento ad uno stile che su Mtv chiamavano hip-hop.

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“Allora, ricomincio. È quasi una settimana che non ho notizie di una mia amica. Anche il cellulare è sempre staccato. A casa non c’è. La sua macchina è parcheggiata nello stesso punto più o meno dallo stesso periodo. Non è partita per un viaggio, altrimenti me l’avrebbe detto. Ec-co, tutto qui. Sono preoccupata.”Il viso della ragazza testimoniava il suo stato d’animo agi-tato.Il poliziotto si aggiustò gli occhiali con le lenti fuma sul naso e chiamò tramite interfono qualcuno.Sull’orologio digitale appeso al muro scattavano le 16.00 di martedì.“Bene signorina, secondo piano corridoio a destra, prima porta a sinistra.”Entrata nell’ufficio trovò una scrivania invasa da fogli e fascicoli, uno schermo di un pc di almeno 10 anni fa e un uomo sulla cinquantina con pochi e bianchi capelli dietro la pila di carta.Su di una targhetta vicino al portapenne si poteva leggere Sovr. Frescura Franco.“Allora, mi dicevano che ha intenzione di esporre denun-cia per una scomparsa. Si accomodi signorina, prego. Ge-neralità?”“Bizzarri Caterina, nata il 17 ottobre 1980.”Il sovrintendente Frescura iniziò a battere sulla tastiera.“Professione?”Il pensiero che formulò di getto fu “cantante urban ten-dente a ritmi garage” ma quello che disse fu semplice-mente: “Disoccupata.”“Nome della persona scomparsa?”“Renata Trentoni”“Da quando non la vede?”“Una settimana. Da venerdì mattina, mi pare.”

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“Allora, vediamo. Nella giornata di venerdì, mi reca-vo…no, non si recava…stava a casa?”“Eh sì.”“Allora, nella giornata di venerdì, eh, ma scusi, se stava a casa come ha fatto a vedere che era scomparsa? ”“Siamo uscite giovedì sera. Ed è stata l’ultima volta che l’ho vista.”“Allora, ricominciamo. Nella giornata di giovedì, vedo che il soggetto in questione, tale Renata Trentoni, nata il?”“Ehm..non mi ricordo se il 20 o il 21…”“Guardi, sa cosa le dico signorina? Che controllo intanto nel computer se ci sono altre denunce in merito, sennò, quando torna lo stagista, glielo faccio scrivere, che io a 53 anni, mica mi posso mettere a studiare l’italiano, no?”Caterina lo assecondò.“Posso?”“Ah, sì sì, solo un attimo. Una firmetta qua sul verbale.”“Ma…è un foglio bianco!”“Sì ma quando torna lo stagista diventa un verbale! Firmi, firmi!”Apposta la firma, Frescura vi appose due timbri, battendo talmente forte che il BUM risuonò su tutto il corridoio.“Mi lasci un suo recapito telefonico e appena so qualcosa le faccio sapere.”Caterina trascrisse il suo numero di cellulare su un post-it e dicendo buonasera uscì dall’ufficio.Il sovrintendente Frescura proseguì subito con il suo lavo-ro. Dopo centinaia e centinaia di liti condominiali, animali scomparsi e divieti di sosta reclamati poteva finalmente dedicarsi ad un vero caso poliziesco. Una persona scom-parsa.

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Digitò il nome di Renata Trentoni sul programma interno della polizia di stato. Uscì un risultato.Vide che era una testimone sotto protezione in un caso affidato al DipMaT. Tra i contatti allegati c’era quello del commissario Ciotti.“Ecco che è successo” pensò Frescura. “Peccato, avrei voluto un caso tutto mio, un giallo da risolvere. E invece eccolo risolto. La ragazza va a testimoniare e la mettono sotto copertura senza il tempo di avvertire nessuno. Dopo una settimana però avrebbe potuto chiamarla. Magari nemmeno sa che questa sua amica è così preoccupata per lei.”Frescura ebbe un istinto da nonno, da padre, e chiamò il commissario Ciotti sul numero allegato alla scheda de La Rita.“Pronto?”“Salve commissario, parla il sovrintendente Frescura Franco.”“Uhm, mi dica.” Ciotti già si vedeva un caso disperatis-simo di cane che lasciava merda ovunque morto avvelena-to da una polpetta.“E’ appena passata dalla questura la signorina Bizzarri Caterina. Dice di non avere notizie della sua amica Renata Trentoni da una settimana. Non le ho detto nulla in merito alla testimonianza in quanto è sotto copertura, ma ho pen-sato che se lei potesse fargli avere la notizia che questa amica è in pensiero, magari potreste trovare il modo di metterle in contatto.”“Guardi, niente di più semplice. Il cellulare de La Rita non lo abbiamo posto sotto sequestro. Continua ad avere lo stesso numero di prima. Glielo abbiamo lasciato e mes-so sotto controllo proprio per avere qualche chance di in-tercettare qualche telefonata importante.”

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“La signorina Bizzarri mi ha detto che da una settimana ha il cellulare staccato”“Strano…senta, mi da il numero di questa ragazza?”

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Capitolo 30 - Dubbio

Nel giro di poco tempo, Caterina Bizzarri era nell’ufficio del commissario Ciotti. Alla telefonata tra Frescura ed il commissario aveva assistito anche il pm Scattaro, che si era trattenuta nonostante avesse un impellente appunta-mento dalla parrucchiera.“Insomma lei mi sta dicendo che questo qua è il numero di cellulare di Renata Trentoni?”“Si, ha sempre avuto questo numero.”Ciotti e la Scattaro accusarono il colpo. Nemmeno nel prefisso corrispondeva al numero sul quale regolarmente chiamavano La Rita. Un altro mistero si aggiungeva alla storia.“Renata le ha mai confidato di essere in pericolo?”“No, mai. Ma perché cos’è successo? Le hanno fatto qualcosa?”Ciotti prese per buona la preoccupazione dell’amica de La Rita e le confidò una piccola parte di storia.“Cerchiamo di fare un riassunto. Renata è venuta da noi, nella giornata di sabato confidandoci delle informazioni riservate. Per questo abbiamo ritenuto opportuno proteg-gerla da eventuali ritorsioni facendola, diciamo, scompari-re. Ed è per questo che…ehm…le abbiamo dato un nuovo telefono, con un altro numero noto solo alle forze dell’or-dine.” Ciottì mentì senza accorgersi di farlo.“Oh grazie a Dio! Ma allora è viva, sta bene!!! Io mi ero preoccupata tantissimo per lei! Dove sta? Posso vederla?”“No, purtroppo non possiamo comunicare a nessuno dove si trova, mi dispiace. Ma posso farle sapere che lei l’ha cercata.”“Oh sì, grazie! Beh, allora, grazie ancora, vorrei dirle…”

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“Volevo farle un paio di domande signorina, prima di la-sciarla andare.” Quel numero di telefono che non coinci-deva gli stava facendo prudere qualcosa.“Cosa sa dirmi del fratello, di Nicolas?”“Non hanno un buon rapporto, anzi, pessimo direi. Erano diversi mesi che Renata mi diceva di non avere più notizie di suo fratello. Diceva che era strano, che…che era diven-tato…non so…che non condivideva più le sue scelte, per questo aveva deciso di interrompere i contatti con lui. Non me lo ha mai presentato, diceva che era meglio così.”“Finora coincide tutto” pensò Ciotti.Lo stesso pensiero attraversò la mente della Scattaro.“Che mi dice dei genitori invece? Li conosce?”“Sì, più o meno. La madre è molto simpatica, ogni volta che la passo a prendere a casa mi invita ad entrare a rima-nere a cena. Il padre invece…è più burbero, taciturno. Mi ha giusto salutato qualche volta, ma non ci ho mai parlato. Renata dice che è per via del mio lavoro e di come mi ve-sto.”“Crede che Renata abbia dei motivi per mentirle? Magari, non so, non le ha fatto conoscere il fratello perché lo vuo-le proteggere.”“No, no assolutamente. Non me lo ha mai presentato, ma qualche volta l’ho visto. A volte la passava a prendere a casa mia quando dovevano andare alle riunioni. So che la sua famiglia segue una specie di religione alternati-va…Renata non me l’ha mai spiegato di cosa si trattasse però, ho sempre pensato che fosse una cosa tipo i Focola-ri, o i Testimoni di Geova. E so che suo fratello questa cosa la prendeva seriamente, mentre a lei…beh, non è che le interessasse molto.”Ciotti parve soddisfatto della chiacchierata. “Bene signo-rina, per me può andare. Pm?”

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“Sì, sì, va bene così.”“Dirò personalmente a Renata che l’ha cercata appena sarà possibile. Se avrà qualcosa di dirle, farò io stesso da tramite.”“Grazie, salutatemela tanto! Ditele che alla Torretta stan-no facendo dei lavori per ripulire i rifiuti buttati nella di-scarica abusiva e che non ci si può più andare. Ditele così, capirà. E’ il nostro Giardino Segreto, ci andiamo quando vogliamo stare da sole e farci una can…una cantata.” Ca-terina realizzò solo dopo un secondo che stava parlando con dei poliziotti. Riprese il cappello appeso all attacca-panni e quasi di soppiatto se ne andò.“Cosa le è saltato in mente? Una copertura è una copertu-ra! Nemmeno se fosse venuto il papa avrebbe potuto dar-gli così tante informazioni private!” la Scattaro era abba-stanza alterata.“Ma non l’ha vista? E’ la persona più pura che sia mai stata nel mio ufficio. Non si preoccupi, non è una spia.”“Lo penso anch’io. Ma non è così che si procede.”“Lasciamo perdere il protocollo e procediamo. Che fac-ciamo con questo numero ?”“Risaliamo al proprietario, e poi vediamo che succede.”“Pensi che faccia il doppio gioco? Intendo La Rita.”“Non lo so. Non credo. Rintracciamo tutte le sue telefona-te, e non ne ha fatta nemmeno una a numeri non compro-vati. Solo noi sapevamo del suo nascondiglio, eppure qualcuno l’ha tirata fuori uccidendo Manfucci. No, lei è solo una pedina, una che è passata nell’altra squadra. Se avesse voluto, avrebbe potuto tradirci prima del Monte Paradiso. E invece dopo tutto è tornata con noi, dopo aver rischiato la vita. Ci deve essere un altro motivo, dietro a questo numero. Che ne dici di una questione amorosa ? Non so, magari ha due uomini, e con un secondo cellulare

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combinava gli incontri clandestini. E a noi ha dato que-sto.”“Ma glielo abbiamo lasciato solo perché speravamo in qualche telefonata compromettente del fratello. Ce lo avrebbe detto se fosse stato un numero privato. E poi, l’uomo che avrebbe, in una settimana non fa nemmeno una chiamata per sapere dove incontrarsi con l’amante? Non sta in piedi. C’è qualcos’altro di mezzo.”“E Gai? Lo avvertiamo?”“No, non corriamo troppo. Facciamo le nostre indagini, semmai lo coinvolgeremo in un secondo momento. Ci possono essere mille motivi dietro ad un numero di tele-fono diverso. Non mettiamo in allerta il dipartimento per qualcosa che alla fine potrebbe non avere significato.”“Eppure ce l’ha” pensò Ciotti.Lo stesso pensiero attraversò la mente della Scattaro

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Capitolo 31 - Tiffany

Gai si era appena asciugato i capelli e si accingeva a met-tere i calzini seduto sul letto.“Come ti devo chiamare?” urlò in modo da farsi sentire in fondo al corridoio fino in sala.“Come?” La Rita rispose urlando altrettanto.“Ti chiamo La Rita? Ogni volta con l’articolo davanti?”“Chiamami Renata. È così che mi chiamo.”“Va bene. Vada per Renata. Allora, Renata, ho un pro-gramma per stasera.” Intanto si era messo i pantaloni e si spruzzava profumo da centocinquanta euro. La Rita si era avvicinata alla porta della camera di Gai.“Sentiamo.”“C’è una bella serata al Tiffany. Ceniamo là, poi rimania-mo a bere qualcosa e festeggiamo questo primo giorno di convivenza forzata.”“Non ti sentire obbligato. Lo so che per te è una scoccia-tura dividere l’appartamento con me. Posso benissimo rimanere in casa. Mi ordino una pizza. Tu fai pure quello che vuoi. E poi non credo che nella mia situazione possa andare in giro.”“No, no insisto, nessuna forzatura. Dai, stare in casa è de-primente. Ordinarsi una pizza: anche. Vedere un dvd dopo cena è l’apoteosi della tristezza. Usciamo, e scambiamo due parole. Per il divieto di uscire…a Rob non glielo di-ciamo. La Scattaro non credo che frequenti certi locali. E i Ritardati…ci sono? ”“Non posso mentirti, nella setta ci sono persone che nemmeno immagineresti, però no, non mi pare che i pa-droni di questo locale siano dei membri. Però ti ripeto,

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che non voglio metterti in situazioni scomode. Rimango in casa.”“Le cose vanno affrontate per bene, altrimenti sono fati-cose il doppio. Voglio vederci il lato positivo. Tanto che lo vogliamo o no, in questa condizione ci dobbiamo stare.”“Sicuro? Che ti è successo?”“È il bagno. La musica mi mette di buonumore, l’acqua mi rilassa. Vedo le cose da un’altra ottica.” Si abbottonò l’ultimo bottone della camicia e passò ad allacciarsi le scarpe.“Però, c’è un però.”“E quale sarebbe?”“Se non ci si veste eleganti non ci fanno entrare.”“Allora è un problema. Io ho solo questi” e con la mano Renata indicò i vestiti che aveva addosso. Un paio di jeans e una maglietta nera. Un paio di scarpe basse mar-roni completavano il desolante quadro.“E dove cazzo vuoi andare conciata così?” Gai era diver-tito. “Te l’ho detto, vai pure da solo. Non ti preoccupare. Io rimarrò qua a non rispondere alla tue telefonate.” “Si da il caso che sei fortunata. Ho un amica che lavora in centro che mi deve qualche favore. Passiamo là e pren-diamo qualcosa dal suo negozio.”“No, no dai, mi sembra troppo complicato dai…sarà per un’altra volta…”“Ah, ma allora non capisci. Si va stasera. Sta-se-ra. Però mi raccomando.”“Cosa?”“All’interno del negozio sei una mia lontana cugina.”

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Capitolo 32 - Faccia a Faccia

La recita eseguita nel negozio ebbe un discreto successo. Gai discuteva frizzante con la bionda commessa con la quale, era evidente per Renata, aveva combinato qualcosa nel recente passato. La commessa cercava di prendere le distanze ma si vedeva da fuori il negozio che per lei il ri-cordo dell’ispettore era ancora vivo. Renata prese un paio di pantaloni grigi con la piega, una camicetta bianca con il collo largo e una giacca corta nera. Vedendo un paio di scarpe in saldo, colse l’occasione per misurarsi anche quelle. Decise che qualche centimetro di tacco sotto ai pantaloni potevano starci bene quindi prese il tutto e lo portò alla cassa. Al momento di pagare Gai tirò fuori la carta di credito dal portafogli, facendo rimanere interdetta Renata. La commessa batté lo scontrino, tagliò il prezzo di un abbondante sconto e strisciò la carta. “Beh che fai?” chiese Gai a Renata.“…”“Mettiteli subito no? Senza passare dal via!”“…va bene, vado. Ma poi dobbiamo portarci dietro la bu-sta con i vestiti vecchi…”“Qua fuori c’è un secchione perfetto dove riporli. Sta tranquilla.”La commessa rise poi diede un colpetto sul braccio del-l’ispettore, come a dire “Che cattivo che sei!”Dopo poco Renata tornò dal camerino con i vestiti nuovi in dosso.Nemmeno sembrava più La Rita. Ora era Renata.Gai fece una battuta che Renata non capì ed uscirono dal negozio.“Sia chiaro, mi ridai tutto appena avrai i soldi.”

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“Certo, certo, non c’era bisogno che me lo dicessi.”Camminando si fermarono ad un secchione e gettarono la busta con i vecchi indumenti de La Rita. Liberatisi del fardello, si incamminarono verso il Tiffany.Le porte di vetro si aprirono su un pavimento ricoperto di moquette violacea; sulla destra un pesante bancone lungo, nero lucido si dilungava per tutta la parete, fino ad una porta a vento dalla quale a serata avviata sarebbero transi-tate cameriere sommerse da gin-tonic e rum e pera.Sulla sinistra c’erano disposti i tavolini in ferro nero, e alle pareti erano appesi quadri di un forzato stile moderno e una scalinata di marmo bianco portava ai privè.Il locale era ancora semivuoto, c’erano giusto un trio di quelli che sembravano essere appena usciti da un tribuna-le farsi un aperitivo nel tavolo centrale ed un ragazzo ed una ragazza dietro al bancone.Gai ordinò un cocktail alla fragola per entrambi e si sedet-te ad un tavolo per due. Intanto nel locale la filodiffusione trasmetteva un pezzo tratto dal disco Dinner di Buddha Bar n. V .“Devo dire che stai molto meglio vestita così. Quasi quasi ti convinco a rimanere da me più a lungo!”“Stè…non sono una di quelle. Non mi basta un compli-mento a farmi sentire a casa. O a cadere nel tuo letto.”Gai non diede segnali di sorta e cambiò subito discorso.“Ti manca casa? ”“Sì e no. Di sicuro non mi manca la setta. E nemmeno mio fratello. Però questo stato di anonimato mi pesa.”“Posso immaginare.”“Non credo. Sai cosa voglia dire essere odiata da tutti quelli che conosci? Per loro sono una traditrice. Non capi-sco come mi abbiano risparmiata dopo che mi avevano ripreso.”

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“Com’è successo? Voglio dire, ti ricordi quando ti hanno rapita?”“Sì e no. Mi ricordo che ero fuori casa, ho sentito degli spari, poi devono avermi colpita. So solo che da quel momento in poi sono rimasta legata ad una sedia.”L’alcol dei due cocktail cominciava a far oliare la conver-sazione.“E tuo fratello? L’hai rivisto?”“Sì, l’ho già detto anche al commissario e al pm. L’ho vi-sto ma non mi ha parlato. È rimasto così, a fissarmi per qualche minuto, poi se n’è andato via. Credo che fosse combattuto se dare l’ordine di uccidermi o meno.”“Cazzo, e tu che ne pensi? Voglio dire…potrebbe succe-dere che sia lui, a perdere.”“Vuoi dire, nel caso che rimanga ucciso?”“Anche.”“Non lo so. Non ci voglio pensare. Non ho mai pensato alle reali conseguenze del mio gesto. Ho solo agito per fermare il piano che avevano in mente. Ho pensato a fare la cosa giusta.”“E ti sei pentita?”“No. Quello che Nicolas sta tentando di fare è sbagliato. Sono già morte un sacco di persone per causa sua. ”L’Iphone di Gai squillò.“Oh, è il numero del DipMaT. Pronto?”“Ispettore Gai? Sono il Sistemista, woo-ho-ho!”“Dimmi tutto System. Novità?”Gai fece cenno a Renata che si trattava di qualcosa legato al caso.“Scieeei. Innanzitutto ho trovato delle notizie borratizza sui Ritardati. Dice che negli anni ’80 la setta venne alla luce stile buz per dei casi di cronaca collegati fra loro in varie parti d’Europa e che dopo questo la setta pratica-

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mente scomparì. Invece, wewewei, la setta continuava ad agire rimanendo nell’ombra e passando ad azioni più atti-ve. In alcuni siti si dice foooorrr che sono coinvolti anche nell’11 settembre! “Uhm, interessante. Buon lavoro System. E su Lopins ? Niente?”“Azz, stile buzz. Una cosa ci sarebbe anche, ma è da veri-ficare. Un blogger appallauero che si firma stile Lopinsjk, dice sul suo blog dematonfole di avere una dimostrazione fondatissima di scariello per pìugualennneppì.”“No scusa System, non ti seguo.”“Arz! Vabbè, te lo spiego quando passi al DipMat accu-sì!”“Ok, grazie System.”Gai richiuse il telefono e lo infilò nella tasca interna del cappotto.“Novità?” chiese Renata.“Nulla di speciale. Abbiamo qualche notizia in più sulla setta, ma niente di più.”“Ah ho capito.”Ora il tasso alcolico era fortemente rappresentato nel san-gue dei due, che finito il primo giro ne chiamarono subito un altro. Il locale cominciava a riempirsi. La gente che entrava era tutta della stessa cerchia: appena entrati salu-tavano tutti i dipendenti del locale, la gente ai tavoli e spesso e volentieri facevano un saluto anche a Gai.“Beh, in realtà c’è dell’altro” riprese l’ispettore. “Un tale che si chiama Lopisky, o Lonpinky, ha diffuso in internet un qualcosa che pare sia interessante. Ma finché non pas-so in ufficio non ne so di più. Comunque, di che si parla-va?”“Di mio fratello.”

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“Ah già. Perché non cerca di risolvere problemi più con-creti? Tipo il dilemma della porta? ”“Che cosa? ”“Io lo chiamo il dilemma della porta. La nostra società è basata su un semplice quanto mai assurdo principio: bus-sare alle porte chiuse prima di entrare.”“Non ho afferrato…”“Seguimi. Un tizio, chiunque, potresti essere tu, o io, deve andare in bagno a pisciare. Gli scappa che va al manico-mio. Arriva davanti al bagno e trova la porta chiusa. Allo-ra che fa?”“Beh, bussa.”“Esatto, compie un azione. Contiamole. Siamo a uno. Poi che succede? ”“Che se dentro c’è qualcuno, questi risponde «Occupa-to»”“Benissimo. Seconda azione. E siamo a due. Ora il tizio aspetta che il bagno si liberi e poi finalmente può pisciare.Vediamo il caso in cui il bagno sia libero ma con la porta chiusa. Devi bussare, e saliamo a tre, ed aspettare quel tot di silenzio per capire che in realtà il bagno è libero. Ma potresti aver bussato ad una vecchia sorda, o ad un muto. In qualsiasi caso non è un paradigma ottimizzato. Io inve-ce, la vedo diversamente. Di base, la porta va lasciata aperta.”“E quale sarebbe il vantaggio?”“Seguimi. Torniamo al tizio che deve pisciare. Si fa il cor-ridoio di corsa e trova la porta aperta. È facile osservare con i propri occhi che c’è già qualcun altro, senza bisogno di una domanda e di una risposta. Abbiamo risparmiato due azioni. Quindi pisciamo ed aspettiamo completamen-te gratis.”“E se si trova la porta chiusa? Devi bussare comunque.”

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“Eh, no. Perché seguendo il mio principio, porta chiusa vuol dire via libera e quindi si entra senza stare a chiedere «scusi è libero?» alla tazza del cesso.” Gai sembrava sod-disfatto della sua esposizione.“Ma la privacy? Insomma, uno magari potrebbe non voler essere spiato mentre…fa quelle cose. Il costo del bussare serve a pagare il nostro diritto di farla da soli.”“Un piccolo diritto può essere calpestato per migliorare la vita delle persone. Tuo fratello uccide la gente, per mi-gliorare il mondo. Almeno secondo lui.”“Ma non migliori la vita di nessuno risparmiando un toc-toc! Non sono questi i problemi del mondo, fidati. E se è per questo condivido ancor meno le idee di mio fratello. Una vita è pur sempre una vita, e ogni persona ha il diritto di spenderla come vuole.”“Come vuoi. Per me rimane uno spreco bussare ad una porta chiusa.”“Magari fossero questi i casi a cui si dedica Nicolas. Non staremmo a parlare di un personaggio maligno.”“Tu che idea ti sei fatta? Nel senso, perché è diventato così?”“Magari lo sapessi. Forse è anche colpa mia. E dei miei genitori. Non lo abbiamo mai assecondato. A scuola era un mezzo disastro. Gliene combinavano di tutti i colori. Era lo zimbello di tutti. Sai, con mio padre Canonico, non potevamo mica andare in giro con scarpe firmate e zaini alla moda. Tra femmine la cosa poteva essere sorpassata, ma tra maschi no. Come vedevano Nicolas agli altri bril-lavano gli occhi. Avevano sempre uno scherzo da fargli. Fino a che un giorno, in gita, sarà stato in primo superio-re, aspettò che tutti se ne fossero andati a dormire. Lui era in camera da solo, ovviamente. Dicevo, aspettò che si fa-cesse tardi. I più agitati della classe dormivano pesante-

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mente per via di una delle prime ubriacature che un ra-gazzino si può prendere solo in gita. Non so come aveva fatto, ma durante la visita al museo del pomeriggio era riuscito a rubare le chiavi della camera ad uno dei bulletti. Insomma, tutti dormivano nella stanza. Nicolas sganciò dal muro del corridoio un estintore ed entrò senza far ru-more. Nel silenzio e senza pensarci su, o meglio, forse ci aveva pensato fin troppo, spaccò la testa a quello che dormiva nel letto di sotto del castello. Fortunatamente Ni-colas non aveva un gran fisico, e il colpo che vibrò fu ab-bastanza leggero. Udito il tonfo, quello nel letto di sopra si svegliò di botto. Era buio, ma dalla poca luce che en-trava dal corridoio si capiva benissimo che era Nicolas quello che aveva di fronte. Si guardarono negli occhi, senza propriamente guardarsi. Il bullo capì che se non stava al gioco toccava anche lui prendere una dose di ac-ciaio in faccia. Così non disse niente. Nicolas aprì la val-vola dell’estintore, imbiancò tutta la camera ed uscì. Una volta arrivati i professori trovarono il bullo con l’estintore in mano ed il compagno sanguinante nel letto. Nessuno sospettò mai di Nicolas, e tantomeno nessuno fece la spia. E così piano piano gli scherni cessarono, ma Nicolas ri-mase tuttavia sempre più solo. Alle riunioni della setta invece era rispettato. Ascoltavano sempre cosa aveva da dire, fin da ragazzino. Si comportava da adulto, e questo in quel contesto bastava. Forse perché è veramente un Ri-tardato.”“In che senso?”“Beh, siamo gemelli. Ma io sono uscita per prima. Lui ha qualche secondo di ritardo rispetto a me. E seppur per po-chi secondi, lui era il secondogenito, il fratellino. Forse questo l’ha segnato in negativo. Tu hai fratelli?”

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“No, niente. Figlio unico. Meno rotture di coglioni per me e per i miei.”“Non è questo avere dei fratelli. ”“Non mi pare che tu abbia argomenti buoni per controbat-tere.”“Da una parte, lo capisco. Intendo Nicolas. Il mondo non accetta uno come lui. Lo rigetta come fosse un rifiuto non biodegradabile. Eppure i Ritardati non facevano nulla di male. Le riunioni erano un assemblea costruttiva, si parla-va di politica, scienza, religione. Tutti avevano un ruolo attivo. Non si veniva discriminati per nessun motivo. In-vece…guardati in giro. Camicie di raso, scarpe col tacco, cinte vistose, borse con lustrini, aggeggi tecnologici, due persone su tre hanno il cellulare in mano sebbene stiano in compagnia ad un tavolo, false risate, chiacchere qualun-quiste. E se non sei così, non entri. Lo trovo altrettanto grave. Non fare nulla per cambiare il mondo è grave quanto volerlo cambiare con la forza.”“Io in questo mondo ci vivo. Ci devo vivere. Non me ne frega un cazzo se domani in Zimbawe muoiono duecento bambini per una guerra civile! Non me ne frega un cazzo degli israeliani e palestinesi che si ammazzano per una stronzissima striscia di terra! Fanculo la TV, le radio, i giornali e la politica! Fra cinquant’anni sarò sotto due me-tri di terra! Me ne sbatto il cazzo delle radiazioni del cel-lulare e di tutta questa marea di cazzate idealiste! La vo-stra setta è diventata fanatica di se stessa, proprio come la maggior parte della gente del mondo di oggi è diventata fanatica delle propria immagine! Siete uguali! Agite per vostro tornaconto personale. Non ve ne frega nulla di cambiare le cose. Volete che le cose siano come piacciono a voi!”

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“Non è la mia setta! Io ne sono uscita! E se stiamo qua a parlarne è perché non ne faccio più parte!”“Eppure sei qua a difendere la loro causa!”“Cazzo Stè, siamo gemelli! ”Improvvisamente smisero di urlarsi in faccia.Renata riprese a parlare con un filo di voce.“Siamo gemelli…siamo legati ad un livello che nemmeno ti so spiegare. Per alcuni mesi, siamo stati la stessa perso-na. La stessa cosa. Eravamo uno. In qualche modo la sua vita è anche la mia. Non posso trattarlo con la tua indiffe-renza. Mi dispiace, io…” e prese a piangere.Gai si sentì per un attimo, ma proprio per un infinitesima piccola parte di attimo, uno stronzo. Poi gli passò subito.“Dai, non fare così…io non ce l’ho con te…”Renata non disse nulla. Si coprì il volto con una mano, raccolse la borsetta e se ne andò filata in bagno.Gai espose tutti i suoi denti in un sorriso amaro, si avvici-nò la cannuccia alle labbra e bevve una sorsata.

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Capitolo 33 - Timore

Quando varcò la soglia dello studio, Davide era teso che quasi gli scivolarono gli appunti che teneva in mano, tanto era salita la sua sudorazione.Il suo professore di Informatica Teorica e Complessità Computazionale lo attendeva seduto alla scrivania. Era un corso che si seguiva al terzo anno di università, ma Davi-de era uno studente a cui piaceva sapere sempre di più.Balbettò un “buonasera” e il professore lo invitò a sedersi.“Allora Davide, hai riveduto i tuoi appunti ? Hai apporta-to le correzioni che ti avevo suggerito?”“S-sì, ho corretto e rivisto tutto.”“Ormai manca poco, il lavoro che hai svolto fin qui è quello che presenterai sabato. Per fare ulteriori modifiche non ci sarà più tempo. Sei agitato?”“Un po’, sì.”“E’ normale, non ti preoccupare. La ricerca che hai porta-to a termine ha avuto dei risultati strepitosi quanto ina-spettati. Ne hai fatto parola con qualcuno?” il tono di Shadow era minaccioso.“N-no, non l’ho detto nemmeno a mia madre. E anche se gliene parlerei non capirebbe.” Davide abbozzò un sorri-so.“Anche se gliene parlassi. Cerca di sforzarti un po’ di più. Non andiamo a bere birra in un bar.”“S-sì.” Il tentativo di sorriso fallì miseramente.“Nemmeno una parola. Ricorda. Nemmeno una parola. Sai tenere la bocca chiusa per altri tre giorni no?”“Certo, sì.”Shadow collegò il suo Macintosh ad un proiettore che po-sizionò al centro dello studio su di un piccolo tavolino di

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vetro. Richiamandolo con un telecomandino, scese dal soffitto un telo bianco sul quale dirigere le immagini pro-venienti dal proiettore.La sudorazione di Davide aumentò, erano visibili gocce di sudore anche sulla fronte mentre cercava di asciugarsi le mani strofinandosele sui jeans.Shadow si accomodò di nuovo alla scrivania e fece cenno al suo studente di iniziare.Davide inserì nell’apposita porta una chiavetta USB con la mano tremante.Le slides si susseguirono sul telo mentre la voce incerta dello studente le accompagnava. Molte volte Shadow do-vette intervenire a correggere alcuni termini, o la gram-matica, o l’impostazione delle diapositive.Finita l’esposizione, Davide ricominciò da capo, stavolta lanciando delle diapositive scritte in inglese e proseguen-do il suo discorso in uno stentato accento britannico. Sta-volta Shadow dovette intervenire molto più sovente.“Abbiamo ancora molto da migliorare” disse il professo-re, che nella testa di Davide risuonò “è meglio che non mi fai fare figure del cazzo, ragazzino indisponente la cui unica fortuna è stata quella di azzeccare per sbaglio una teoria fondamentale dell’informatica moderna!”.“Va bene, per stasera puoi andare. Correggi le slides e cerca di sforzarti a parlare un inglese più decente. Le di-mostrazioni mi sembrano corrette al di sopra di ogni pos-sibile contestazione, però l’esposizione è ancora carente. Esercitati.”“Ve bene, lo farò.”“Bene. Ci vediamo domani. Sempre qua, alla stessa ora. Fino a sabato dobbiamo vederci ogni giorno per migliora-re la presentazione. I tuoi genitori verranno?”

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“No, il biglietto aereo costa troppo. Preferiscono rimanere a casa.”“Se vuoi io posso…”“No, no la ringrazio ma è no. Sono già in debito con lei per permettermi di avere questo tipo di esperienza. Pagare il viaggio anche ai miei sarebbe troppo.”“Rispetto la tua scelta, Davide. Ma sappi che se vorrai averli vicini, in un momento così importante ti basterà chiederlo. Va bene?”“Sì. Ma non ce ne sarà bisogno. Scusi, ma ora vorrei an-dare, se abbiamo finito.”“Oh ma certo, vai pure Davide. Ci vediamo domani sera.”“Arrivederci.”Davide riprese i suoi appunti, riempiti di nuovi scaraboc-chi in penna rossa, e lasciò la stanza.Shadow era pensieroso. Tornò a sedersi alla scrivania e con l’interfono ordinò un thè verde alla domestica. Tra l’incontro con lo studente e quello con La Morte non ave-va avuto il tempo per riflettere.Cosa voleva Trentoni? Perché aveva portato la sua gente alla morte all’agriturismo? Perché, Shadow ne era sicuro, farsi rintracciare via telefono era stata una strategia, più che un errore. Ma perché ?Per la prima volta dall’inizio della storia, Shadow fu assa-lito da un timore. Timore di aver sottovalutato Nicolas ed i Ritardati, timore di aver messo in pericolo la vita di un ragazzo poco più che ventenne. Timore di perdere, come mai gli era accaduto nella vita.

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Capitolo 34 - Nicolas

6 Mesi Fa.

La superstrada costeggiava la fila di ville bifamiliari dor-mienti nel buio della notte. La primavera iniziava a farsi viva, facendo rifiorire gli alberi rimasti spogli dal lungo e rigido inverno.Un Alfa 147 rossa era una delle poche macchine ancora in viaggio. All’interno una lite familiare stava sovrastando il volume tenuto basso dello stereo.“Nicolas ma che hai? Sei impazzito? Come fai a dire certe cose!”“Renata, stai zitta. Quello che faccio o dico mentre rivesto il mio ruolo di Canonico non deve in alcun modo impor-tarti. Da buona consorella, devi solo adeguarti a quanto deciso dal Cubo.” Il tono di Nicolas era calmo e profondo.“Ragazzi fate piano, vi prego. Vostro padre sta male. Cer-chiamo di farlo riposare. Lo sapete quanto è difficile fargli prendere sonno!” la madre dei due gemelli teneva stretto tra le braccia suo marito, vistosamente febbricitante sui sedili posteriori.“Sì, mamma scusaci, io…” Renata cercò di glissare.“Io cosa? Hai iniziato tu questa discussione.”Nicolas non aveva la minima intenzione di lasciar perde-re. Come spesso gli accadeva nell’ultimo periodo voleva ottenere la ragione.

“Solo perché continuo a venire alle riunioni non vuol dire che ti debba trattare come un mio padrone! Stai trasfor-mando la setta in qualcosa di sbagliato. Non è nata per fare queste cose!”

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“Niente nasce e muore uguale, tranne gli stupidi. La setta aveva bisogno di qualcuno che prendesse delle decisioni, anche se scomode.”“Papà non lo avrebbe permesso!”“Papà è fuori. Ha abdicato. E se è per questo, non avrebbe permesso molte altre cose. Non solo questa.” La voce di Nicolas non mostrava nessun segno di alterazione.“E vantati anche!”“Ragazzi…vi prego…”“Sì, certo che mi vanto. Stare alla finestra, a guardare il mondo cadere sempre più in basso consolandoci di quello che abbiamo al di qua nel nostro focolare non è un modo giusto di agire. Non è nemmeno agire. E’ fare i guardoni. Guardare gli altri affogare nel fango e bearsi del nostro bel calduccio.”“Nicolas…quel ragazzo aveva appena vent’anni.”“Vivrà il resto della sua vita in maniera più consapevole.”“Ma Cristo, Nicolas, che ti succede? Non ti ricordi quan-do eri tu a subire i brutti tiri degli altri? Come puoi fare quello che hai appena fatto?”“Eravamo nel bel mezzo della riunione, ok? E gli ha squillato il cellulare. Questi aggeggi infernali. Fino a dieci o venti anni fa non vivevamo senza? O mi sbaglio? Nemmeno esistevano. Eppure adesso la gente non esce di casa senza. Si preoccupa di trovare un locale dove ci sia campo. Scaricano sonerie che scimmiottano brani com-merciali e lo fanno squillare affinché gli altri lo sentano! E se non hanno un cazzo da fare cosa fanno? Mandano un messaggino stronzo a qualche amico! Mi mandano in be-stia, quei cosi.”“E solo perché ti mandano in bestia, hai tagliato i pollici ad un ragazzo? Ma sei diventato completamente pazzo? Se solo papà potesse…”

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“Papà non può. Punto.”“Io me ne tiro fuori. Non voglio più prendere parte a que-sto.”“Non credo ci siamo capiti. Come ho detto stasera in as-semblea ho qualcosa in mente. E mi servirà l’appoggio di tutti. Specialmente delle persone intelligenti come te.”“Cosa ti fa credere che accetterò?”“Oh, nulla. Ti costringerò. E lo farai. Vedrai se lo farai.”“Sei un pazzo! Ti avverto: un passo falso, e spiffero tutta la storia in giro! Giornali, polizia, tutti! Farò sparire i Ri-tardati dal mondo! E poi tu cosa farai? Troverai un altro posto dove essere accettato e temuto?”“Il mio posto sarà il mondo. Dammi sei mesi. Poi vedre-mo chi sarà accettato e chi, invece, il rifiuto.”

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Capitolo 35 - Coincidenze

La prospettiva di un pomeriggio tranquillo passato a bere bibite dietetiche in un centro estetico e poi filata dalla par-rucchiera era ormai più che un miraggio per il pm Scatta-ro. Quell’improvviso cambio di programma, dovuto ad un numero di telefono che non corrispondeva aveva mandato tutto a monte. Niente più creme idratanti alla cera di cupra sorseggiando Acquarius: c’era solo da spremere le menin-gi e tirar fuori un idea.Il pm tirò fuori il faldone contenenti tutti i verbali e gli indizi correlati al caso dei Ritardati e ne diede circa la me-tà al commissario Ciotti.Prevedendo una lunga serata a base di pizza da asporto nell’ufficio del commissario, la Scattaro si raccolse i rossi capelli all’indietro fermandoli con una matita, si tolse la giacca del tailleur e si mise comoda su una sedia.“Cerchiamo di fare ordine. Mi sembra che qualcosa ci sfugge. Andiamo per ordine. Cominci lei, dato che io sono arrivata solo in un secondo momento.”Ciotti appoggiò la schiena alla poltrona e con il suo incon-fondibile gesto si strizzò il naso all’altezza degli occhi con indice e pollice.“Allora, è iniziato tutto venerdì. Cinque giorni fa. Una ragazza si è presentata al DipMaT dicendo di essere a co-noscenza di un piano terroristico. L’abbiamo interrogata e dalle prove che ci ha fornito ci è sembrato prudente met-terla sotto copertura con azione immediata con lo pseudo-nimo de La Rita. Tutta la giornata di sabato è servita a raccogliere tutte le informazioni preliminari sulla setta e sui dettagli del piano. Ci ha raccontato di come la setta agisse ora sotto le direttive del suo fratello gemello, cioè Nicolas. Le abbiamo proposto di andare a vivere nella vil-

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letta in anonimato e lei ha accettato. Le abbiamo messo sotto controllo il cellulare sperando in qualche chiamata da parte del fratello ma non ha portato a niente. Domenica è passata senza novità. Alla domanda, nessuno sa che sei qui? lei ci ha risposto di no. Eppure, solo il giorno dopo, cioè lunedì, è stata rapita dagli stessi Ritardati, che nel-l’occasione hanno anche ucciso il capitano Manfucci.”“E in quel momento hanno nominato me a dirigere il ca-so, giusto ?”“Sì, è così. Grazie ai suoi agenti abbiamo trovato il nume-ro di Trentoni, lo abbiamo rintracciato e dopo tutto quello che è successo all’agriturismo abbiamo ripreso La Rita. Solo che Trentoni all’agriturismo non c’era quella matti-na. Evidentemente aveva avuto una nuova soffiata sul no-stro arrivo, così è sparito. Quello che mi manda al mani-comio è che avevamo organizzato tutto nel giro di venti minuti. Come ha fatto a venirlo a sapere? Solo io, lei e Gai eravamo al corrente di tutta la storia. Gli uomini del P.I.R.O. sono intervenuti dopo, i suoi agenti speciali an-che. Eppure Trentoni sapeva che saremmo arrivati.”“Forse lo aveva intuito dalla telefonata-esca che gli ab-biamo fatto.”“No, non è credibile. Non rispondi al cellulare sapendo di essere ricercato e ci rimani per circa un minuto a parlare con nessuno.”“A meno che non volesse farsi beccare.”“E’ un ipotesi che ho valutato. Ma non ha senso. Se ti vuoi far beccare, che senso ha poi fuggire prima del no-stro arrivo?”“Avete continuato a rintracciare il numero?”“Sì, lo abbiamo fatto. Non l’ha più usato da questa matti-na. E’ sempre irraggiungibile. ”“E del numero de La Rita? Cosa ne facciamo ?”

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“No un momento. C’è l’arrivo dell’amica prima. La cosa che più mi ha sorpreso della visita dell’amica, sa quale è stata?”“Il cappello?”“No, la visita in sé. E’ stata la prima. Da come ci ha rac-contato La Rita e ci ha confermato la Bizzarri, Renata vi-ve in casa dei suoi. Da cinque giorni non si fa viva a casa, non ha nemmeno mai chiamato, e l’unica persona che se ne accorge è un amica? Invece che la madre?”“Ma ci ha detto che anche i genitori sono nella setta. Pro-babilmente Nicolas li ha convinti a stare dalla sua parte. E’ terribile, ma potrebbero stare così le cose.”“Uhm…sì…e poi, c’è questo numero da verificare.”“Facciamolo ora. Sono le...19.00, quasi. Facciamo in tempo, prima che i centralini chiudano.”Ciotti ebbe un secondo di vuoto. Guardava nel nulla, con gli occhi stretti come se stesse sforzandosi di fare un dif-ficile prodotto algebrico a mente. Qualcosa nella testa cominciava a girare ma era ben lontano dal capire cosa.“Commissario?” la Scattaro interruppe le sue elucubra-zioni“Uh? Ah sì, sì chiamo subito.”Il commissario compose il numero diretto del call center della compagnia telefonica a cui risaliva il numero lascia-togli da Renata come proprio. La risposta che ebbe fu tut-t’altro che vana.Ricadde in quel vuoto, in quello spazio intimo in cui i pensieri si mischiano, si scontrano, fino a partorire una soluzione.“Che hanno detto? A che nome è registrato quel numero?”Ciotti nemmeno ascoltò la voce del pm. Si mise a scanda-gliare tra tutti i fogli sparsi sulla scrivania alla ricerca del verbale sulla strage al Monte Paradiso.

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“Commissario? Che le hanno detto, si può sapere?” la Scattaro era impaziente.Ciotti continuava a ripetere la stessa cosa, come un man-tra. “L’ho già letto, l’ho già letto” bisbigliava.Dopo un attimo che sembrò durare secoli, la mano del commissario uscì dalla montagna di carta stringendo i cinque fogli spillati che formavano il verbale.Andò diretto all’ultima pagina, quella con i nomi e gli identificativi delle vittime.“Eccolo! Lo sapevo, l’avevo già letto. Il numero è regi-strato a Provvedi Marco. Quello che abbiamo trovato a galleggiare in piscina. Lavorava per l’amministrazione comunale. Designava gli appalti e selezionava gli appalta-tori. Uno con le mani fin quassù nella merda.”“Quindi crede che…”“Non credo. Lo so. La Rita è un infiltrata.”

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Capitolo 36 - La Canzone di Renata e Gai

Dopo le 23.00 al Tiffany iniziò la vera serata. Il volume della musica aumentò, così come il numero dei cocktail ordinati ai tavoli.Il cd “Buddha Bar” aveva lasciato spazio ad una compila-tion di musica più commerciale. In questo momento si poteva ascoltare “I Like the Way you Move” dei Body-Rockers.Nonostante la litigata, Renata tornò al tavolo dopo essersi rinfrescata al bagno.Per il bene comune, e per non rovinare ulteriormente la convivenza, decisero di accantonare il discorso su Nicolas e i Ritardati e di sforzarsi di sembrare ed essere una nor-male coppia di amici fuori per una serata.Renata scoprì Gai come abile intrattenitore, uno che con le parole convincerebbe anche un muto a parlare e Gai ebbe modo di notare la spiccata intelligenza della sua nuova coinquilina.Per Renata una serata del genere era assolutamente fuori dagli schemi, eppure cominciava a prenderci gusto. Certo, quando per sbaglio gli cadeva lo sguardo sui suoi vestiti faceva fatica a riconoscersi e non vedeva l’ora di togliersi quelle maledette scarpe col tacco, ma prese la cosa come parte del gioco. In fondo era sempre sotto co-pertura, e un piccolo travestimento contribuiva a nascon-dere la verità. Anche a se stessa.Pur non essendo più una ragazzina, con pochi bicchieri era abbastanza sull’andante. La cena non era stata abbon-dante e l’alcol andò subito in circolo. Anche Gai era abba-

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stanza alticcio, sebbene fosse più avvezzo a serate del ge-nere. Chiacchierarono dei tempi delle scuole, delle vacan-ze, dei cartoni animati che vedevano da piccoli (sebbene Gai fosse di qualche anno più giovane) dei cibi preferiti, di come fosse strano per entrambi che ‘staccato’ si scri-vesse tutto attaccato e che ‘tutto attaccato’ si scrivesse staccato.Quando si accorsero che sul tavolo non c’era più spazio nemmeno per un singolo bicchiere da chupito, chiesero il conto (che pagò Gai) e se ne tornarono alla macchina.L’ispettore riuscì a tornare lucido giusto il tempo per met-tere in moto, accendere lo stereo e guidare senza pericoli fino a casa. Renata invece si addormentò ridendo sul sedi-le del passeggero.Arrivati a casa, Gai si accorse che Renata non ce l’avreb-be mai fatta ad arrivare all’ascensore da sola. Così la pre-se da sotto il braccio destro e barcollando arrivarono al portone. Renata biascicava parole senza senso, che nem-meno Gai capiva. Diceva che “shcusha she non mi ci reg-go ddirita” e Gai cercava di confortarla. Chiamarono l’ascensore e Renata scivolò; si sarebbe distrutta la faccia sulla ringhiera delle scale, se Gai non l’avesse presa al volo, anche lui in equilibrio precario.“Che cazzo mi tocca fare” pensò.La prese dai fianchi e la mise all’interno dell’ascensore che nel frattempo era arrivato.A difficoltà entrarono con Renata che piano piano sem-brava riprendersi. Biasciava ancora :“Grazie…grazie…shhcusa…”“Non ti preoccupare, succede.” Rispose mentre con una mano gli reggeva la testa ciondolante.“Grazi..ddavvero..” ora era quasi un pianto. Cercò con la mano libera la mano dell’ispettore.

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Gai reagì al tocco e strinse la mano nella sua.“Eh, ci mancava questa ora!” pensò.Il dlin-dlon dell’ascensore che arrivava al piano fu accolto da Gai come una liberazione. Sorresse per i pochi passi che li separavano dalla porta dell’appartamento Renata e, per poter aprire la porta con comodo, la appoggiò contro lo stipite. Inserì la chiave nella toppa e girò velocissimo, dato che Renata stava già scivolando a peso morto verso il pavimento. Ancora una volta la prese al volo, entrarono e la andò a posare sul divano.La sala aveva una delle pareti comunicanti con l’apparta-mento vicino, in particolare con la stanza della figlia ado-lescente e brutalmente emo dei vicini Cecconi; nonostante fossero le una passate, si sentiva della musica pop prove-nire dal televisore sintonizzato su Mtv.Gai si sedette sul divano, e cercò di mettere Renata in una posizione naturale. Sentendo il contatto con l’ispettore, Renata alzò i piedi, ora privi di scarpe, sul divano e si al-lungò in una sorta di muto abbraccio. Gai cercò di divin-colarsi ma Renata ebbe la meglio e gli si appoggiò con la testa sul petto.Gai era contratto. Era una situazione che normalmente avrebbe gestito, e pure bene, ma non era quello che vole-va. Molte altre volte aveva sperato, lavorato e sudato, per arrivare a questo tipo di contatto, però stavolta non era come le altre volte. Stavolta c’era una convivenza forzata di mezzo. C’era una testimone di un caso. Stavolta era lavoro.Ma si sa, l’uomo ha poco sangue relativamente al resto del corpo, e se va da altre parti non va al cervello…ed in più quello che più popolava la testa di entrambi era gin-tonic. E poi quella cadenzata, romantica, dolce canzone

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proveniente dall’appartamento vicino, contribuiva a crea-re un atmosfera quantomai indesiderata.How can I think I’m standing strong,Yet feel the air beneath my feet?Renata aprì gli occhi. Ora si poteva capire dallo sguardo che stava tornando man mano sempre più cosciente.How can happiness feel so wrong?How can misery feel so sweet?Le bocche dei due si avvicinarono. Ora potevano sentire l’odore dell’altro, quell’odore personale che solo chi ci ha baciato può dire di aver sentito.How can I have got in so deep?Why did I fall in love with you?Entrambi si persero negli occhi dell’altro, rispondendo a se stessi che no, non c’era nulla di male. Non sono cose a cui si pensa. A cui si comanda. Ci avrebbero pensato do-mattina semmai, non adesso.Gai passò un braccio dietro la vita di Renata e la strinse forte a sé. Lei si sentì protetta, sicura di sé. Che tutto sa-rebbe andato bene che, alla fine di tutto, ci sarebbe stato un lieto fine.This is the closest thing to crazy I have ever beenNello stesso momento, all’unisono, le loro labbra si di-schiusero leggermente e si incontrarono a metà strada.Feeling twenty-two, acting seventeenIl bacio fu lungo e viola.Gai accarezzò i fianchi di Renata, fino a risalire dal ven-tre, incontrando il seno piccolo ma sodo.Renata si abbandonò al suo uomo, gli passò le mani tra i corti capelli castani e gli accarezzò dolcemente il collo.This is the nearest thing to crazy I have ever known,I was never crazy on my own

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Quello che intimamente si erano ripromessi di non fare, sapendo benissimo che ci sarebbe stato il rischio, fu fatto.Il bacio cominciava ad andare stretto ai due. Renata sbot-tonò la camicia a Gai e lo baciò sul petto, mentre a sua volta le toglieva la camicetta. Rimasero un paio di minuti così, con la maglietta della salute indosso mentre le lingue continuavano ad aggrovigliarsi, svincolarsi e poi di nuovo ad intrecciarsi.Gai infilò una mano sotto la maglietta di Renata, cercando il gancetto per aprire il reggiseno. Renata glielo concesse per un istante, ma subito si riprese. Pareva aver ritrovato tutta la lucidità persa in precedenza.“No, Stè…non possiamo farlo…”“Di cosa hai paura? Siamo solo io e te.”“No, non possiamo. Creeremmo troppi problemi. Con che faccia ci saluteremmo domattina? ”“Non lo so. Lo scopriremo.”“E al dipartimento? E quando porterai una donna in casa? O quando il caso sarà risolto?”“Renata, le cose accadono. Non bisogna sempre chiedersi il perché e il per come.” Era un discorso che ogni sabato sera ripeteva alle sue diverse compagne.“No, mi dispiace. Vorrei, davvero, ma non posso. Non possiamo.”Non lasciò spazio per una possibile risposta di Gai; prese la via del corridoio, entrò nella stanzetta adibita a camera da letto, chiuse la porta a chiave e non ne riuscì fuori fino al mattino seguente.And now I know that there’s a link between the two,Being close to craziness and being close to you.

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Capitolo 37 - Forse Cercavi: Lopinsjk

Quando rispose al cellulare, La Morte stava ammirando le gesta di Steven Seagal in seconda serata.In particolare, stava seguendo la scena di “Trappola in alto mare” in cui fabbrica una bomba con il microonde.“Loki?”“Sì sono io. Ascolta. Ho poco tempo, ho il telefono sotto controllo. La Talpa mi ha detto di avere novità. Dice di cercare su internet a proposito di ricerche informatiche. Trova tutto quello che puoi.”“Sono stato da Shadow.”“Che ti ha detto?”“Che non vuole tutto questo rumore. Se non stiamo ai suoi patti, l’affare salta.”“Si fottessero i patti. Volevo vincere in maniera pulita. Ora mi sono stancato. Devo andare. Fa come ti ho detto.” E attaccò.La Morte a malincuore spense il televisore proprio mentre Steven era arrivato a salvare la biondina da dentro la torta gigante e si appostò al tavolo della cucina dove un pc con sistema operativo Linux era collegato ad internet venti-quattro ore al giorno. Digitò “Lopins Ricerca informatica” sul motore di ricerca e premette invio. Oltre alla miriade di siti porno segnalati, la sua attenzione cadde su di un blog. Non l’aveva mai notato nelle precedenti ricerche. In ef-fetti, notò, non combaciava perfettamente con Lopins. L’indirizzo del blog ed il nickname del suo autore erano leggermente diversi: Lopinsjk.Tramite la ricerca locale del blog selezionò i post con tag ‘informatica’.

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Scorse l’elenco saltando i consigli su come scaricare le puntate di Lost da eMule e si fermò su “Clay Mathematics Institute Workshop 2008”.All’inizio del post c’erano elencati i termini del bando di concorso e i seminari che ci sarebbero stati. La Morte les-se “dal 14 al 17 Novembre 2008 al Tecnopolo di Funchal, isola di Madeira, Portogallo”. Il raduno iniziava venerdì prossimo, fra tre giorni. Coincidenza, proprio quando sca-deva il termine fissato da Shadow.Scendendo nella pagina, si leggeva con un carattere az-zurro, un commento personale firmato Lopinsjk che dice-va: “Che ne dite? Ce la farò a vincere il premio di un mi-lione di dollari?”Infatti, scorrendo ancora più in basso, c’era un elenco di problemi matematici ed informatici irrisolti da millenni, con su scritto “Institute of Cambridge, Massachusetts (CMI) has named seven Prize Problems” blablabla “borsa di studio di $ 1 milione a chi risolve uno dei seguenti pro-blemi.”Seguiva un elenco che La Morte non comprendeva. In rosso però, ce ne era sottolineato uno: P = NP ?Il post finiva con una serie di foto dei precedenti work-shop e più in basso una mezza dozzina di altri utenti ave-vano commentato il post, risalente a ormai circa un mese fa.Il commento che in particolare colpì e fece sorridere La Morte fu quello di un certo ayeye, che recitava : “Ma tra i problemi del millennio c’è pure leccare la fica con le mu-tande?”Dal menù a destra della pagina, La Morte cliccò su “Fo-to”. Gli si aprì un album dal quale subito riconobbe il soggetto in copertina. Come riprova aveva anche una foto appoggiato ad una Twingo viola, i quali numeri di targa

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fecero da conferma. Aveva i capelli più lunghi, era leg-germente più magro, ma era lui. Era il proprietario del blog. Era il ragazzo che vide entrare a casa di Shadow.Era Lopins.JK.

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Capitolo 38 - Soffiata

“Cosa facciamo?”“Sto pensando.”“La andiamo a prendere? O aspettiamo domani?”“Ci sto pensando.”Erano passati già una ventina di minuti, come ricordava l’orologio rotondo appeso al muro dell’ufficio da quando erano risaliti al proprietario del numero di Renata.“Possiamo chiamare Gai ed informarlo di stare all’erta.” suggerì la Scattaro.“No, rischiamo di far saltare in aria tutto. Facciamole an-cora credere di stare dalla sua parte. Non diciamolo nem-meno a Gai. Non è un attore, non saprebbe recitare la par-te. E’ meglio tenerla sotto controllo.”“Ma rischiamo di mettere in pericolo Gai.” le parti si era-no invertite. Nell’intimità dell’ufficio il pm Scattaro si stava dimostrando più comprensiva e apprensiva del soli-to, mentre Ciotti si era calato perfettamente nella parte del condottiero.“E poi, ripeto, se avesse voluto fotterci lo avrebbe già fat-to in passato. No, non vuole farci del male direttamente. Vuole usarci per arrivare ad informazioni riservate”.“E allora che si fa?”“Aspettiamo una mossa falsa. E quando cercherà di met-tersi in contatto col fratello per fargli una nuova soffiata, li beccheremo entrambi.” Ciotti sembrava aver in mente un piano.“Ma…finora come ha fatto? Voglio dire, se è lei la talpa, come ha fatto ad informare i Ritardati? Il telefono è sotto controllo, ci viviamo accanto praticamente ogni secondo!

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Stiamo attenti, possiamo prendere un abbaglio grosso co-sì.” Il pm non era convinto del doppio gioco de La Rita.“Che senso ha fare da talpa, essere rapita e di nuovo tor-nare dalla nostra parte? E nel frattempo aver portato alla morte una ventina di persone? Commissario, capisco la sua rabbia, il Capitano Manfucci è stato ucciso, ma non possiamo buttarci su un indizio appena appena sospetto. Non ha chiamato nessuno, con quel cellulare che non fos-se al di sopra di ogni sospetto. Non abbiamo nessuna pro-va.”“Se solo lei cercasse di collaborare, invece di sputare sen-tenze su come mi sento io, forse riusciremmo a raggiun-gere qualcosa!” Ciotti mostrò i denti.All’improvviso entrò un agente semplice dalla porta, sen-za bussare. I due all’interno si voltarono di scatto.“Signor commissario! Trentoni ha effettuato una chiama-ta!”Il pm ed il commissario si involarono verso la sala di re-gistrazione, mettendo da parte momentaneamente i dissa-pori personali.Nella sala c’era l’addetto alle intercettazioni con le cuffie alle orecchie e le mani alla tastiera del computer.“Dov’è?” chiese Ciotti.“Non è stato possibile rintracciarlo. Ha effettuato una chiamata urbana, verso un telefono fisso, con lo stesso numero che tenevamo sotto la nostra attenzione. Stavolta ha parlato per troppo poco tempo per poterlo localizzare.”“Cazzo! Ma la chiamata è stata registrata? A chi ha chia-mato ?”“Sì, abbiamo la registrazione. Dice di aver ricevuto la sof-fiata che aspettava e suggerisce di cercare Lopins in inter-

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net. L’altro risponde di aver parlato con un certo Shadow.”“E dell’altro numero? Quello de La Rita?” il pm stava per svelare il mistero.“No, nessun movimento. Nessuna chiamata in entrata né in uscita.”Il pm incontrò lo sguardo del commissario. Entrambi era-no delusi da quella risposta. A quel punto avrebbero prefe-rito sapere che La Rita era un infiltrata. Almeno avrebbero avuto qualcuno di materiale su cui lavorare. E invece nul-la.“Va bene, ragazzi. Continuate così. Ottimo lavoro.” E ri-salirono in ufficio.“E allora? ” il pm voleva consolare Ciotti.“Beh, evidentemente non è lei la talpa. Eppure, qualcosa mi faceva credere di avercela fatta.”“Domattina chiamiamo Gai. Sentiamo cosa ha da dirci riguardo a questa sera. Poi valuteremo insieme sul da far-si.”“Va bene, sì. Senti, un ultima cosa. Scusa, non volevo dar-ti del tu.” Ciotti era tornato con l’espressione triste e poco sicura.“Domani c’è il funerale del capitano Manfucci. Cercherò di fare in fretta, ma non posso mancare, glielo devo.”“Direi che possiamo anche passare a darci del tu, quando non siamo in presenza di altri poliziotti. Non ti preoccupa-re. Io devo passare a prendere le cose di Renata alla villa ma cercherò di fare un salto qua, prima di andare. Ora vatti a riposare.”“Ci proverò.”La Scattaro riprese le sue cose in ufficio, si allacciò per bene il cappotto fin su al collo, temendo il freddo di no-

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vembre e si avviò all’uscita. Si fermò un attimo a tenere la porta aperta per l’arrivo di Ciotti.“Vieni ?”“Sì, un attimo. Controllo le mail e arrivo. Tu va' pure.”Il pm salutò e richiuse la porta dietro di sé.Ciotti si sedette sulla poltrona, a computer spento, e si mi-se le mani tra i capelli.

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Capitolo 39 - E se…

Gai si svegliò per primo quella mattina. La sveglia suonò e sui rossi led del display si poteva leggere che erano le 8.15 di mercoledì 12 Novembre.Nemmeno il tempo di arrivare al bagno che il cellulare prese a vibrare e a suonare contemporaneamente. Rispose solo perché lesse il nome di Ciotti sullo schermo dell Iphone.“Dimmelo Rob.”“Buongiorno, innanzitutto. Senti, stamattina dovresti pas-sare qua al dipartimento. Tu e La Rita.”“Non c’è problema. Stavo arrivando. Devo passare a par-lare con il Sistemista.”“Il Sistemista? E come mai?”“Mi ha chiamato ieri ma non ho capito praticamente nulla. Spero che mi abbia stampato qualcosa.”“Lo fa sempre. Dimmi un pò, verso che ora ti ha chiama-to?”“Bah, non lo so. Le 19.00 forse. O più tardi. Non lo so. Perché?”“Niente, sbrigati. Ti spiego tutto quando arrivi.”“Ricevuto capo!”“Ma che ho fatto di male?” e attaccò.Mentre Gai si lavava i denti con indosso solo un paio di boxer grigio chiaro, uscì dalla sua camera Renata ancora in pigiama. Evitare di guardarsi era impossibile, dato che la porta del bagno era precisamente di fronte a quella del-la stanza che fu il ripostiglio. Ed in più, Gai rispettava il suo pensiero espresso sul dilemma della porta.

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“Buongiorno” fece Renata, vistosamente imbarazzata. Al-trettanto rispose Gai ma con l’impedimento dello spazzo-lino risuonò “Bhshwunhorno.”Senza dar tempo all’ispettore di intavolare una qualsiasi discussione, Renata si fiondò in cucina a prepararsi la co-lazione. Il suo intento era farsi un cappuccino. Non tro-vando il latte optò per un buon espresso. Non trovando né caffè né macchinetta, si arrese all’idea di andare al bar.Tornando in camera trovò Gai, ora vestito per metà, in corridoio.“Siamo schivi di mattina eh?”Renata non rispose.“Va bene, lascio perdere. Ci aspettano al dipartimento. Non so cos’è successo. Molto probabilmente niente.”“Allora mi vesto.” Entrò in camera chiudendo forte la porta, e non ne uscì finché non fosse pronta per uscire. Fortunatamente per lei, non aveva bisogno di molto truc-co per rendersi presentabile il che la rendeva molto più veloce nel prepararsi di molte altre donne.Gai cercò in tutti i modi di rattoppare lo squarcio creato la notte precedente ma non ci riuscì granché. Tentò facendo-le scegliere quale musica ascoltare in macchina, Ma la risposta che ottenne fu “va bene anche spento.” Le chiese in quale bar preferisse fare colazione ma “non ne conosco tanti, uno vale l’altro” . Usciti dal bar scelto da Gai (il più vicino a casa) Renata le chiese di accostare al primo ban-comat. Scese dall’auto, ritirò il massimo consentito e ne diede una parte a Gai.“Per i vestiti” disse.“Renata, aspetta, non voglio che…”“Prendi questi soldi. Non dobbiamo per forza parlare, an-che se abitiamo insieme.”

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“Ma io voglio, non sono costretto. Non mi va di dividere l’appartamento con una persona con cui nemmeno posso parlare.”“Ah già. Tu lo dividi solo con quelle che vuoi portare sot-to le lenzuola. E se per loro è una sofferenza chi se ne fre-ga. Maledetta me e quando ho deciso di venire da te!”“Guarda che tu hai frainteso il mio comportamento di ieri sera.”“Ah, bene. Peccato che mi sembrava che volessi portarmi a letto.”“Beh…”“Avevo capito bene, allora.”“Mi sembrava che anche tu non fossi da meno.”“Io non sono un oggetto. Non sto qua a morire dietro al bellissimo ispettore Gai ! Non vado a letto con uno per farmi dare un calcio nel culo il mattino seguente!”“Ma io…”“Che? Che? Tu cosa? Si da il caso che le persone abbiano sentimenti. E che anche se tu non li hai mai provati e mai forse li proverai, esistono! Quindi, fammi il favore, la-sciamo perdere.”Non era la prima volta che gli capitava, qualche rifiuto lo aveva ottenuto anche lui, ovvio, però stavolta per Gai era diverso. Aveva sempre valutato le donne “da davanti”, “da dietro” e “a parte il viso” ma non riusciva ad applicarlo a Renata. Fin dalla prima volta che l’aveva vista non aveva ragionato in questi termini. In genere faceva così quando aveva davanti dei ‘cessi’. Ma Renata non era quello che tra amici si definisce ‘cesso’. E allora che cosa ? Che Gai si stesse…no no, “impossibile” pensò. Eppure solo il fatto di averlo pensato, gli fece percorrere un brivido sulla schiena e il cuore gli diede una leggera piccatina.

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Capitolo 40 - Contatto

6 mesi fa.

La persona che stava aspettando era in leggero ritardo, così Nicolas si sedette su di una poltroncina color porpora del vecchio teatro e viaggiò con la mente. Lui in quel tea-tro c’era già stato da piccolo, insieme a tutta la sua fami-glia. Aveva litigato con Renata su chi si sarebbe seduto davanti in macchina e alla fine aveva vinto. Suo padre scese a compromessi e disse che al ritorno sarebbe stato il turno di Renata. Naturalmente Nicolas si sarebbe messo a fare i capricci anche al ritorno. Quel giorno andarono tutti insieme a vedere Uno, nessuno e centomila. A parte la bassa levatura degli attori che non seppe percepire, quello che colpì Nicolas fu il significato della novella di Piran-dello trasposta sul palcoscenico. La tesi che ciascuno di noi è diverso perché sono diversi coloro che ci giudicano, non lo convinse, sebbene avesse poco più di dodici anni. Credeva di saper giudicare con oggettività ed imparzialità gli altri e lo confondeva il fatto che addirittura in un tea-tro, i grandi, la pensassero diversamente. Mentre era as-solto nei suoi pensieri, gli apparì davanti una figura uma-na.“Shadow. Non ti ho nemmeno sentito arrivare. Fai onore al tuo nome.”“Così dicono” rispose flemmatico l’uomo alto e magro con la pelle che risaltava per chiarore sul suo vestito com-pletamente nero.“Cosa hai da offrire?” Nicolas non si perse in convenevo-li.

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“Molto. Dipende da quello che avete da offrire voi. O do-vrei dire, tu.”“Non so come tu venga a conoscenza dei fatti interni alla setta. Però è vero, sì, le cose sono cambiate. Prendo io le decisioni.”“Meglio. Una sola persona con cui trattare.”“Le cose sono cambiate totalmente. I Ritardati non tratta-no. Agiscono. Lottano. Ottengono.”“Si da il caso che a me non piacciano le cose rumorose. Il rumore attira la gente. E dove c’è troppa gente non c’è mai abbastanza ombra. Ed io non lavoro prima del crepu-scolo.”“Su questo siamo d’accordo. Meno siamo e meglio stia-mo. E’ per questo che ti ho chiamato a venire qui. Tu ed io. Le decisioni le prendiamo da soli.” Nicolas pativa una sorta di timore reverenziale, ma nonostante ciò cercava di apparire sicuro di sé.“Io la decisione l’ho già presa. Ho tra le mani una cosa che di sicuro ti interessa. Se hai da offrirmi qualcosa se ne può parlare.”“Tu non vieni a comandare in casa mia, intesi?” Nicolas si era alterato e cercò di ricomporsi. “Hai ragione Shadow. Voglio fare qualcosa per la setta. Qualcosa di grande. Ma da soli, io e i miei fratelli non possiamo farcela. Abbiamo agganci, mezzi, finanze, tutto quello che occorre. Ci manca solo una cosa. Un’idea. Una chiave.” Shadow era interessato. “Il terrorismo è diventata un attività…commerciale, se mi passi il termine.” Shadow continuava ad annuire silenzio-samente. “Ci si fa esplodere per religione, per politica. Nessuno che lo faccia più per un ideale puro. Si auto definiscono ka-mikaze, gli stessi media li definiscono così, ma quanti di

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loro lo sono veramente? Quanti lo fanno perché ferma-mente convinti di esserlo? Tu dovresti sapere bene di che parlo.”Shadow interruppe momentaneamente il suo silenzio. “Perfettamente.”“Non voglio più kamikaze. Non voglio più omicidi di massa. Non voglio opinione pubblica, talk-show e appro-fondimenti in seconda serata. Voglio che tutti siano co-scienti di essere stati colpevoli. Colpevoli di aver portato il mondo ad una, per loro drammatica, fine. Voglio che si sentano sconfitti sapendo di esserlo. Quando la situazione sarà estremamente difficile, quando tutte le persone che basavano la propria vita sul niente saranno preda del-l’oblio, io e la mia setta potremo dettare le nuove regole, per un mondo sano, giusto ed equo.”Sentendolo parlare, Shadow si divertiva moltissimo. Al di fuori rimaneva impassibile, ma di dentro non si tratteneva. Rideva, perché sapeva che era lui a tenere in mano il gio-co.“Cosa è che ti ha fatto cambiare idea? Solo pochi anni fa sei stato anonimo protagonista dell’evento del secolo.”“E’ proprio quello che mi ha fatto scattare qualcosa. Un evento del genere segna un epoca. Eppure, non è servito a nulla. Le gente beve ancora Coca-cola, vede Mtv e l’America ne è uscita rafforzata ispirando nel prossimo la sindrome della crocerossina. Ground-zero è l’emblema delle morti innocenti. Ma dai piani alti di quelle torri, quante sentenze di morte innocenti sono state emanate? Se me lo chiedessero di nuovo non lo rifarei. Volevo che fosse l’inizio della rivincita, non della definitiva sconfit-ta.”“E perché mai un uomo capace di questo, avrebbe biso-gno del mio aiuto ?”

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“Non fare il modesto, anche perché non ti viene bene. Per più di cinquant’anni anni la setta ha vissuto nell’ombra, pensando solo ai membri, a cosa sarebbe stato giusto fare. Salvo poche eccezioni, nessuno è mai sceso in campo di-rettamente. A parte quanto fatto per il giorno di San Va-lentino nell’85.”“Sì, me lo ricordo. Ci furono azioni sovversive in tutta Europa. Non si trovavano cioccolatini, fiori, gioielli, pe-luche da nessuna parte. Fu più che altro simpatico.”“E’ questo il problema principale. Un’azione anticonfor-mista di natura terroristica è diventata simpatica, invece che inquietante. Un boicottaggio oggi non fa riflettere, fa sorridere. Mi serve qualcuno che sul campo ci sia stato. Uno che sappia come ottenere quel che vuole. Mi servi tu.”Shadow, doveva ammetterlo a sé stesso, era in parte am-maliato dalle parole di Nicolas.“Bene. Infatti ho proprio quello che ti serve. Ma non vedo il motivo per cui dovrei darlo a te. Perché dovrei aiutarti a rifondare il mondo? Perché dovrei dare a te questo pote-re?”“Ti ho già detto prima, che noi non trattiamo. Non più. Il tuo errore è stato quello di averci avvertito. Ora prende-remo ciò che ci serve.”“Sai benissimo che non puoi. Tu e la tua associazione non potete nulla contro di me.”Nicolas aveva le mascelle serrate. I denti gli facevano ma-le da quanto li stava stringendo.“Che vuoi?”“Il potere. Tu ti occupi di gettare le basi e di azzerare tutto il pianeta. Io ne prendo possesso. Ma ti prometto che ti lascerò un posto d’onore al mio fianco. In fondo tu non vuoi il potere. Vuoi solo che il mondo cambi, non è così?”

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Nicolas digrignò i denti.“Ok. Si può fare. Ora dimmi, Shadow, di cosa si tratta?”“Non così in fretta. Voglio vedere se voi Ritardati siete così preparati da poter governare il mondo. Voglio vedere se ne siete all’altezza.”“Cosa vuoi? Progetti? Nomi?”“No, no. Non mi interessano inutili promesse. Voglio che mi dimostriate il vostro valore. Il mio maestro diceva che la forza della spada sta nella mano di chi la impugna. Ave-re la chiave non serve a nulla se non la si sa usare. Dimo-stratemi di avere abbastanza intelligenza per risolvere un indovinello. Cos’è Lopins?”“Cosa?” Nicolas stava perdendo le staffe. “Mi hai chiesto di incontrarci per giocare? Non ho tempo per le tue cazza-te. Voglio parlare di affari.”“È questo l’affare. Quello che tu cerchi è Lopins. La chia-ve è Lopins. Risolvi l’indovinello, e avrai la tua vittoria.”“Dov’è il trucco?”“Nessun trucco, solo regole. Immagina uno di quei rom-picapi metallici fatti di due parti che sono incastrati uno con l’altro. Non puoi usare la forza per disincastrarli. Nel tuo caso, non puoi costringere o uccidere nessuno. Puoi utilizzare solo la mente. Tua o di chi vuoi tu. Ti do tempo fino a…diciamo metà Novembre. Nelle prossime settima-ne sarò più preciso.”“E se non lo risolvo? A chi darai la chiave? ”“Non sono affari che ti riguardano. Ora scusami, la con-versazione è finita.”

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Capitolo 41 - Incastro

Al dipartimento non c’è più nessuno. Forse un paio di persone, rimaste a fare gli straordinari, ma fra poco anche loro torneranno nel loro piccolo bozzolo, protetti e amati da qualcuno che li attende assonnato ma che appena senti-ranno girare la chiave nella toppa si animeranno e corre-ranno a stringere il loro caro in un abbraccio caloroso.Ciotti non ha nessuno ad attenderlo. Non ha nessuno con cui sfogarsi. L’unica compagnia è il rumore del vento che fischia nella notte.Al chiarore della sola lampada da tavolo, ricontrolla, ag-giusta, corregge, rivede e rilegge il fascicolo dei Ritardati e ricomincia da capo. Solo qualche ora fa credeva di aver trovato la soluzione. Ora è punto e a capo.Domani mattina avrà uno dei compiti più brutti per una persona; dovrà seppellire un collega, un amico. Inutile mentire a se stessi. Durante la cerimonia e la processione verso l’ultima casa del capitano Manfucci non penserà a nient’altro: Trentoni.E’ diventato il suo incubo.Lo ha mancato al Monte Paradiso, lo ha mancato ora nel rintracciarlo. Nel frattempo ha ucciso Manfucci e tiene in scacco la polizia.Ma come può un uomo solo organizzare tanto?Come ci riesce?L’ipotesi di Renata infiltrata, nel buio solitario della notte gli torna plausibile. Quasi ovvia. Eppure sa che domatti-na, esponendo i fatti al pm e a Gai avrà il risultato inequi-vocabile che Renata è innocente. Che non si è mossa da casa di Stefano e che il cellulare è rimasto inattivo.E allora come fa?Ha bisogno di fare un tentativo.

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Il post-it giallo è ancora lì, incollato allo schermo del pc.Non sa se può servire a qualcosa. L’ora è tarda e non ha nulla in mano, tranne un intuizione. In fondo è un poli-ziotto, può svegliare un cittadino nel cuore della notte per fare un indagine. E poi chi ha in mente di chiamare fa un lavoro particolare, potrebbe anche trovarla sveglia.Avvicina la mano alla cornetta, la ritira subito. Ci pensa. Riguarda i verbali. Non ha nulla in mano. Solo un idea. Un frammento di un puzzle dal quale vorrebbe partire a ricostruire l’immagine intera.Afferra la cornetta. Compone il numero.“Pronto” una voce presente, viva, non di certo provenien-te da chi stava dormendo.“Salve, sono il commissario Ciotti. Volevo farle un paio di domande.”La penna a sfera prese a scorrere sul blocco di fogli qua-drettati.La tessera del puzzle incontrò un’altra tessera con cui in-castrarsi. E poi un’altra. E un’altra ancora.Come amava il suo lavoro!

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Capitolo 42 - Qualcosa si è rotto

L’ufficio del commissario Ciotti era molto disordinato, se paragonato ai soliti standard. Rispetto all’ufficio di Gai era assolutamente in ordine.Lo stesso Ciotti era in disordine: camicia sbottonata ai polsi, cravatta sparita, occhiaie vistose. Era evidente per tutti che aveva passato la notte in bianco.Il pm Scattaro invece era come sempre tonica e brillante. Aveva un vestito diverso da quello del giorno precedente e aveva l’aria di essersi appena svegliata in un campo di rose ed essersi lavata con gocce di rugiada.Entrambi stavano aspettando Gai e Renata.“Ti avevo detto di riposarti un pò” iniziò la Scattaro.“Sì lo so ma avevo delle cose da sbrigare. Vecchie mail, altri casi. Mica ci sono solo i Ritardati da seguire.”Ciotti non sapeva perché decise di tenersi quell’idea per se stesso. Forse per scaramanzia, forse per vergogna di sembrare paranoico.“Ma che hai vecchio? Non hai più una casa?” Gai era en-trato a spron battuto, seguito da Renata che invece appari-va abbastanza mesta. Per la Scattaro era chiaro come il sole che tra i due il primo giorno di convivenza non era andato liscio. Forse c’era di mezzo qualcosa di sessuale. Si vedeva da come erano imbarazzati nel relazionarsi tra loro. Tra sé e sé si fece una risata pensando a quanto fosse patetico l’ispettore Gai.Ciotti glissò sulla domanda e si concentrò su Renata.“Abbiamo avuto una denuncia per la tua scomparsa. La tua amica Caterina Bizzarri ha esposto denuncia perché non aveva più avuto tue notizie. L’abbiamo tranquillizza-ta, anche perché non ce l’avevi segnalata come membro della setta.”

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“Oh, Cata! Poverina, si deve essere preoccupata tantissi-mo! Detto fra noi, si atteggia a bulletta ma in fondo è molto tenera! Ho pensato che fosse meglio non avvertirla. Ho fatto male?”“No no anzi, benissimo. Meno persone sanno che sei qua, meglio è. Anche se già dall’inizio per tuo fratello non è che fosse un gran segreto. Mi ha lasciato un messaggio per te. Dice che alla Torretta non ci potrete più andare per via dei lavori che stanno facendo. Non ha aggiunto altro.”“Ah che peccato! Era il nostro rifugio. Ci andavamo spes-so, quando volevamo stare un po’ per conto nostro.”“E dove sarebbe questo posto?” la Scattaro non voleva lasciare nulla al caso.“Praticamente, avete presente la strada della villetta?”Tutti annuirono.“Bene, proseguendo per un paio di chilometri sulla destra c’è una stradina che porta alla sorgente dell’Acqua Rossa. Avete presente?”“Si, certo. La chiamano così per via della massiccia per-centuale di minerali presente nell’acqua. Guardandola di riflesso sembra veramente rossa. E a berla ha un sapore ferroso.” Ciotti sembrava particolarmente ferrato.La Scattaro era l’unica a non conoscere quel posto essen-do l’unica non nativa della città. Quel luogo era partico-larmente conosciuto tra i giovani, in quanto si prestava bene per appartarsi in macchina, essendo nascosta tra gli alberi e non illuminata.“Esatto commissario. Proprio davanti alla cascata c’è quella vecchia torre abbandonata. Se si passa sopra alla cascatella ci si può anche entrare. E’ lì dentro che anda-vamo a rifugiarci.”“Da quel che ho capito stanno facendo dei lavori per ripu-lire la zona dai rifiuti abusivi. Per un bel po’ non sarà il

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rifugio di nessuno. C’è un’altra cosa che dobbiamo chie-derti. Riguarda il tuo numero di cellulare. Non è intestato a tuo nome.”Renata ebbe un attimo di paura, poi ritrovò la serenità.“Immagino che avrei dovuto dirvelo prima. Da quando Nicolas è diventato il leader della setta, ha preteso che io e i miei genitori avessimo un secondo numero di cellulare, in modo da poter essere raggiunti in qualsiasi momento e solo per motivi strettamente necessari. Un membro della setta, Provvedi, ci ha fatto avere i nuovi numeri. Lavora al comune, o cose così. Problemi?”“No, no, è solo che facendo dei controlli ci siamo trovati questo nome davanti e non sapevamo come reagire. Bene, meglio così.” Ciotti faceva buon viso a cattivo gioco. Per quanto sembrasse ovvia e lineare la spiegazione di Rena-ta, non ce la faceva a prenderla per buona. Forse era solo perché non dormiva sul serio da quattro giorni.L’attenzione di Ciotti si spostò su Gai.“Ieri sera abbiamo intercettato una chiamata di Nicolas.”Nella stanza calò il gelo.“Non siamo stati in grado di localizzarla. Troppo breve. Però ha detto di aver ricevuto una soffiata e che bisognava cercare Lopins nell’ambito di ricerche informatiche.”“Ma è quello che mi ha detto il System!” esclamò Gai.“Cosa?”“Sì, ieri sera mi ha chiamato al cellulare per darmi questa novità. Solo che non ho capito un granché, e la musica era alta, così gli ho detto che sarei passato stamani.”“Musica alta?” intervenne il pm.“Ehm..sì. Eravamo a cena e…” rispose Gai. Renata si sta-va fissando la punta delle scarpe. Era tornata a vestire i panni comodi e sciatti de La Rita.

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“Stefano, ma che stai combinando ?” Ciotti stava perden-do le staffe.“Rob, non è successo nulla, siamo usciti solo per mangia-re e..”“Ma lo sa perché le abbiamo affidato la testimone? Per proteggerla, non certo per portarla a ballare!” la Scattaro era saltata sul carro armato di Ciotti. Non desiderava nien-t’altro per scaricare un po’ di stress.“Sentite, siamo stati in un posto tranquillo, non ci ha visto nessuno…”“E’ arrivata una soffiata a Trentoni, Stè! Guarda caso la stessa informazione che è arrivata a te! Dovrei sollevarti dall’incarico e darlo a qualcun altro!” Ciotti era furibon-do.“Non esagerare Rob…”“Ha ragione il commissario! Dovremmo valutare meglio la sua posizione.”“Capisco che siete un po’ stressati ultimamente ma state veramente esagerando.”“Tu non capisci.” disse Ciotti. “Potrebbe essere lei stessa la talpa!” e puntò l’indice verso Renata.“Ma che cazzo dici?”Renata era pietrificata. Aveva inconsapevolmente innesca-to una bomba in grado di far esplodere l’intero nucleo operativo del caso accettando l’invito a cena di Gai.“Come fai ad accusarla? Non hai visto quello che ha pas-sato?” ora anche l’ispettore stava alzando la voce.“Non mi fido di nessuno qua dentro! Di nessuno!” Ciotti aveva quasi le lacrime agli occhi.“Basta commissario, si calmi! Si calmi!” la Scattaro era intervenuta prendendolo alle spalle e mettendolo seduto alla poltrona. Poi prese la parola.

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“Quello che intende dire il commissario è che non pos-siamo commettere certe leggerezze. Dobbiamo andarci coi piedi di piombo.”“Andiamo dal System.” propose Gai. “Sentiamo quello che ha da dirci”.

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Capitolo 43 - Decisioni

Mentre Ciotti, Gai, Renata e la Scattaro scendevano verso il “meno uno” sembravano i Quattro Cavalieri dell’Apo-calisse.Ciotti era la Fame, assetato di sapere e di venire a capo di tutta la storia nel più breve tempo possibile;Gai era la Morte, bella e fatale che non lascia seconde possibilità;Renata era la Pestilenza, qualsiasi cosa toccava cadeva in rovina;la Scattaro era la Guerra, pronta a scendere in campo per guidare i suoi uomini verso la vittoria.Nessuno di quelli che incontrarono al DipMaT aprì bocca per salutarli.Entrarono di getto senza bussare nella Sala Verde. Gli agenti all’interno sobbalzarono sulle sedie.“Cosa hai scoperto System?” Gai era alla testa del grup-po; voleva riparare al casino combinato. Anche se non riteneva di aver fatto nulla di sbagliato.“Weeeeiz!” il Sistemista era spaventato e agitato. “Stile buzz Lopins dice che ha scoperto un borratizza per dimo-strare P=NP.”“No System, non ci siamo. Dammi la stampa.”“Sciei!” e gliela porse.“Hai parlato con nessun altro di questa roba?”“Ziro.”“Agente, lei è sotto inchiesta per favoreggiamento.” Era la voce della Scattaro.“Ma uazzauero perché?”“Abbiamo una talpa. Lei e la sua squadra informatica sie-te sospesi a tempo indeterminato.” Ciotti prese la decisio-ne su due piedi, al volo.

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“Ma io ti giuro che in tutti questi anni io ti wooo!!!”“Rob, ma che fai ?” Gai non credeva a quello che stava vedendo.“Seguo le procedure. Non sospendo anche te perché sia-mo a corto di uomini e perché in fondo in fondo mi fido. Ma lasciami fare il mio lavoro. Fidati.Gai preferì non parlare.“Bene, io devo andare. Vedremo di capire quello che ha scoperto il Sistemista dopo pranzo. Il funerale del capita-no Manfucci inizierà fra meno di mezz’ora.”“Anche io vado. Passo alla villetta a prendere le tue cose e a fare rapporto.” disse il pm rivolgendosi a Renata.“Tu stai con lei.” disse Ciotti a Gai. “Non perderla d’oc-chio. E soprattutto non esporla in pubblico.”“Va bene.”Stavano risalendo le scale quando Ciotti si fermò come fulminato da un ricordo.“Ah Renata, mi stavo dimenticando. Caterina mi ha la-sciato questo da darti.” Entrò nel suo ufficio ed estrasse da un cassetto un libro tascabile. Era la versione economica di “Cose preziose” di Stephen King.“Diceva di dovertelo restituire, così ha pensato che se do-vevi rimanere sotto copertura potevi passare il tempo a leggere.”Renata lo prese senza esitare.“Ah, mi farà compagnia. Se potete contattarla ringraziate-la da parte mia.”“Oh, certo, lo farò.”Ciotti si infilò giacca e cappotto ed uscì. La Scattaro fece altrettanto pochi passi dietro di lui. Una monovolume messa a disposizione dal ministero la stava aspettando per portarla alla villetta.

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Il Sistemista e i suoi colleghi presero gli effetti personali dai cassetti della Sala Verde e tornarono a casa.Il commissario Ciotti aveva appena fatto un errore

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Capitolo 44 - Arringa

5 mesi fa

Tutti i posti sono esauriti. Dalle poltroncine arriva un bru-sio sostenuto in attesa che qualcuno esca dal sipario e ini-zi a parlare.A stare là si potrebbero riconoscere molti volti. L’edico-lante, il benzinaio, il marito. Ma se non si è membri non si può entrare. Anzi, se non si è membri non si sa nemmeno dove andare.Nicolas Trentoni esce sul palco e il brusio svanisce. Sono tutti propensi ad ascoltare la voce del Sommo Canonico.“Fratelli, la riunione di oggi deve rappresentare un punto di partenza per la nuova era dei Ritardati. Troppo a lungo siamo rimasti a guardare il mondo andare sempre più in rovina. Troppo a lungo abbiamo creduto a falsi messia. Ci hanno fatto credere che senza petrolio la nostra vità sa-rebbe stata terribile. Che senza plastica e benzina ci sarà impossibile vivere. Ci vogliono far credere che è più inte-ressante sapere i nomi di tutte le ragazze ufficiali di un calciatore anziché sapere con quali soldi viene pagato. Nei dizionari vengono aggiunte parole come tronista, ve-lina. C’è crisi mistica? Beh, basta mettere una cantante pop biondina molto popolare tra i ragazzini in prima pa-gina e fargli dichiarare che lei, nonostante lo strepitoso successo, la valanga di soldi e il bell’aspetto, è ancora vergine e non assume droghe di nessun genere. Le droghe stanno annientando i giovani? Mandiamo la stessa bion-dina, che ora è quasi una donna, in tv e facciamo uno spe-ciale su come la sua perfetta vita sia stata disastrata dal-l’abuso di farmaci e alcol. Nostro figlio rischia la boccia-

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tura? Inventiamoci un premio-promozione, così se viene promosso avrà il motorino. E se viene bocciato? Motorino lo stesso, mica lo possiamo accompagnare ogni giorno in palestra e andarlo a riprendere. La Divina Commedia so-pravvive negli anni perché un comico, un buffone, la leg-ge in tv! Uno dei più meravigliosi dipinti della storia vie-ne riconosciuto perché qualcuno l’ha usato come coperti-na del suo best-seller! E la gente fa ore e ore di fila per entrare in un museo perché è stato il set di un film! E’ ora di farci sentire. Possiamo farcela. Certo non sarà facile. Siamo tanti, ma il mare di ipocrisia in cui siamo immersi rasenta l’infinito. Dovremo agire, combattere. Sappiamo che siamo noi la parte del giusto. Dobbiamo ergerci a ti-ranno, perché è solo con la forza che gli stolti ci seguiran-no. Non credo agli spot progresso. Non credo che avere un dialogo con mio figlio lo aiuterà a smettere di fumare. A quattordici anni un ragazzino nemmeno sa nemmeno cos’è un tumore. A lui interessa essere accettato subito. A lui interessa passare per bullo anziché come vittima. Noi saremo quel genitore che senza spiegargli nulla, gli viete-rà di avere contatto con il fumo. Gli perquisiremo la giac-ca. Gli annuseremo le dita. Lo bombarderemo di frasi come ‘farai una brutta morte’ o ‘ti esploderanno i polmoni mentre dormi’. Lo impauriremo. Lo terrorizzeremo. Dopo tre o quattro anni di questo trattamento, quando sarà fi-nalmente in grado di comprenderne il significato, vedrà la sigaretta come un inutile e dannoso passatempo.Noi faremo lo stesso. Il nostro figlio sarà il mondo. I beni materiali la sigaretta e la mancanza di solidi ideali il can-cro da sconfiggere. Vi guiderò io. Il mio nome vi valga come garanzia.”I Fratelli si alzano dalle loro poltrone. Applaudono e ac-clamano il loro nuovo leader. Per un occhio allenato la

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scena sembrerebbe identica a quella che accade sempre ad un concerto, quando l’idolo sudato, con la chitarra ancora in mano, saluta i fan dicendo che “un pubblico così, non lo aveva mai visto.”Nicolas si gode l’applauso. Sente di averli in pugno. Ogni testa rasata addobbata di quella strana cicatrice sulla tem-pia potrebbe essere una risorsa fondamentale. E’ già pas-sato un mese da quando ha incontrato Shadow. Non ha ancora risolto l’indovinello, ma ha raccolto a sé centinaia di membri in tutta Europa.All’appello però stasera ne mancava una. Sua sorella non si è presentata. Potenzialmente, sarebbe in grado di usare la forza, di costringerla. Nella pratica invece, quando la guarda negli occhi vede il suo riflesso. Vede se stesso. Un intelligenza spiccata come quella di Renata non può che far comodo alla sua causa.“In qualche modo farò in modo di farti partecipe” pensa Nicolas, mentre le mani dei suoi Fratelli ancora si spella-no nel tributargli il giusto riconoscimento.

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Capitolo 45 - P = NP

Costretti a rimanere rinchiusi dentro il dipartimento, Gai e Renata decisero di sfruttare quel tempo cercando di capire quello che aveva scoperto il Sistemista. Sebbene entrambi fossero utenti abituali di internet e usassero decentemente il computer, non sapevano praticamente nulla di informa-tica teorica.L’imbarazzo accumulatosi dalla sera precedente andava pian piano svanendo. Ora che tornavano ad essere soli, la comunicazione ricominciava a scorrere fluida.La prima pagina del dossier stampato dal Sistemista, ora tra le mani di Gai, era la versione cartacea dell’articolo che la sera precedente aveva catturato l’attenzione de La Morte. Nemmeno Gai conosceva la congettura di Poin-carè ma vide che si faceva riferimento ad un evento che sarebbe iniziato fra pochi giorni in un isola del Portogallo. A seguire c’erano delle foto di un ragazzo castano, capelli abbastanza corti. Le foto lo vedevano ritratto insieme ad altri amici, oppure da solo al mare, o durante una cena. Sembrava uno di quegli album che si regalano alle neo mamme, dove mese per mese si può vedere l’evoluzione del bambino appena nato fino a che diventa adolescente. Peccato che in nessuna foto e nemmeno nelle pagine se-guenti si facesse riferimento ad un nome o ad un cogno-me. In tutto il dossier il soggetto delle foto veniva chia-mato Lopinsjk.Passata la parte riguardante questo ragazzo c’erano una ventina di pagine, alcune scritte in inglese, che spiegava-no cosa significasse la notazione P = NP.Renata provò a leggere e tradurre qualcosa ma di inglese tecnico non aveva grosse conoscenze. Gai nemmeno ci

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provò e passarono oltre. Fortunatamente il Sistemista, co-noscendo la persona con cui aveva a che fare, aveva inse-rito in fondo appena un paio di pagine, ma fondamentali, per raccapezzarsi in quel turbinio di lettere greche e “sup-poniamo”. Era una piccola dispensa, firmata “il piccolo alex” che spiegava in parole povere (possiamo anche dire a “moccoli e bestemmie”) cosa significasse concretamen-te che P era uguale a NP.“Un problema P” diceva il piccolo alex, “si può rappre-sentare come un problema facile, per il quale trovare la soluzione non richiede un eccessivo impiego di tempo. Un problema NP invece è un problema difficile, che per risolverlo potrebbero passare secoli. Nonostante ciò, in informatica non è stato ancora dimostrato se P è uguale o diverso da NP. Risolvere un equazione sta in P, risolvere il sudoku in NP. Ma oltre questi esempi, bisogna considera-re che in NP ci stanno anche tutti gli algoritmi per codifi-care i codici di sicurezza. Se P=NP allora avremmo que-sto tipo di problemi :1 – Chiunque potrebbe accedere alle informazioni riserva-te delle più potenti compagnie mondiali;2 – I sistemi di sicurezza delle banche verrebbero violati facilmente;3 – I testi crittografati sarebbero facilmente leggibili;4 – I segreti militari e industriali non sarebbero più top-secret;5 – I più diffusi algoritmi di cifratura (RSA, Triple-DES) verrebbero attaccati con successo;Se si dimostrasse che P = NP cadrebbero tutte le fonda-menta dell’informatica. E non parlo di malfunzionamento di internet. Parlo dell’informatica quella vera. Sistemi di difesa ecc… tutto cadrebbe e ci sarebbe bisogno di rico-

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minciare tutto da capo. Sarebbe una piccola fine del mon-do.”Quest’ultima frase fece rizzare i peli del collo a Gai. For-se c’erano quasi vicini. Se Nicolas ottenesse per se questa scoperta potrebbe ricattare le grandi major informatiche del pianeta. Potrebbe minacciare di devastare tutto il si-stema informatico mondiale in cambio di qualsiasi cosa.L’ultima pagina del dossier era stata scritta direttamente dal Sistemista.Diceva che per risalire alla vera identità di Lopinsjk erano necessari un paio di giorni e che lo avrebbe fatto a partire da stamattina. Già, peccato che Rob li aveva dimessi tutti quanti.“Comunque” proseguiva l’appunto, “posso dire per certo che Lopinsjk frequenta l’università locale e che molto probabilmente abita in qualche paesino a nord della città. Vedendo le foto si riesce a intravedere qualche scorcio di paesaggio che mi sembra di aver già visto.”In fondo, c’era annotato un numero di telefono.L’appunto suggeriva il nome di Ivan Grasso in quanto professore di Informatica Teorica e Complessità Compu-tazionale dell’ateneo cittadino.Gai si consultò con Renata.“Che ne pensi? Potrebbe essere questo quello che cerca tuo fratello?”“Non ne ho idea. Da come ne parla l’articolo del piccolo alex sembra che sia un arma fatale. Il mondo di oggi è tutto basato sui computer. Un qualcosa in grado di scom-binare questo sistema potrebbe veramente piegare la po-polazione mondiale. Secondo me, potremmo essere ad una soluzione.”

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“Ok, facciamo finta che sia questo quello che cercano i Ritardati. Come lo hanno scoperto? Il ragazzino è uno della setta?”“Non credo. Se fosse uno della setta non ci sarebbe stato bisogno di tutta questa ricerca. No, il ragazzino è fuori dal discorso secondo me.”“E allora come? Chi è che ha messo tuo fratello sulle tracce di Lopins?”“Potrebbe essere stato il professore. Ma non mi sembra di aver mai sentito quel nome tra i membri della setta.”“Lo chiamo. Voglio sentire che ha da dire.”“No aspetta. Potrebbe essere uno di loro comunque. Vo-glio dire...non conosco personalmente tutti i membri. Se fosse uno di loro? Dobbiamo stare attenti.”“Se fosse uno di loro, avrebbe consegnato il ragazzino nelle mani di Nicolas. E invece Nicolas lo sta ancora cer-cando.”“Non è detto che sia così. Magari non è un suo studente e quindi non ha modo di gestirlo direttamente.”“Senti, mi sono stancato. Lo chiamo, così ci leviamo ogni dubbio. Cercherò di rimanere circospetto.”“Forse è meglio chiamare il commissario, o il pm.”“Non c’è bisogno. Queste cose sono ordinaria ammini-strazione.”Renata fece una smorfia.“Tranquilla, sono pur sempre un poliziotto, no?”“Stè…ispettore, vacci con calma.”“Non c’è problema. Fidati.”Il numero di telefono appuntato era quello delle segreterie dell’università. Una voce stralunata di donna sulla cin-quantina lo informò che il professor Grasso non era anco-ra arrivato nel suo studio e gli consigliò di provare più tardi.

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Il professor Grasso era invece seduto dietro alla piccola scrivania, se paragonata a quella del suo studio di casa. Stava correggendo degli esami scritti dei ragazzi del se-condo anno, circondato da pile di vecchie tesi, manuali tecnici e scatoloni. L’imminente partenza lo costringeva ad accelerare i tempi di correzione. Divideva l’ufficio con un’altra professoressa che in quel momento era impegnata in laboratorio per un corso sulla programmazione ad og-getti.Nonostante dividesse l’ufficio con un’altra persona aveva comunque appeso alla parete un vecchio stendardo orien-tale donatogli dal suo vecchio istruttore una vita fa, quan-do era ancora un ragazzo e si faceva le ossa in Oriente. Le pallide ed algide mani si allontanarono dai fogli abbando-nando la penna rossa e si avvicinarono al pallido viso. Era talmente bianco che sembrava un fantasma, infilato nel suo immancabile completo nero tenebra.“Cosa sta succedendo?” sospirò tra sé, fissando quel drappo rosso che una volta sventolava sulla spiaggia soli-taria di Otaru.

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Capitolo 46 - Il non visibile

La monovolume che la attendeva fuori al DipMaT non era di sicuro quello che si aspettava ma la crisi economica si faceva sentire anche per i più alti funzionari dello stato. Non solo era una macchina “popolare” ma addirittura era lo stesso mezzo sul quale avrebbero trasportato gli oggetti personali de La Rita. Il pm Scattaro ci provava a chiamar-la Renata ma le suonava strano; provava quella stessa sensazione che si prova nel sentire il nuovo doppiatore prestare la voce al proprio personaggio preferito dei tele-film.La cosa che più la colpì però, non fu il modello dell’auto ma chi c’era all’interno: i suoi agenti speciali, l’agente Boston e l’agente Jack.“Che ci fate qua ?” chiese la rossa.“Ultimamente sono successe delle cose un po’…come dire…dark, riguardo questo caso. Non ce la siamo sentita di mandarla da sola.” Rispose Jack che era anche alla gui-da dell’auto.“Devo solo infilare delle stupide cose dentro uno stupido scatolone. Niente di pericoloso.”“Lo sa benissimo che c’è il rischio. Altrimenti, per cosa si sarebbe esposta a fare? Voglio dire…non è certo il tipo che aiuta una sconosciuta a traslocare.”“Ok, a voi non posso nascondere niente. Qualcosa mi puzza. E per andare da sola a fare un controllo non avevo occasione migliore. Con voi la faccenda si semplifica. Sei occhi guardano meglio che due.”“Sì, ma che dobbiamo cercare?” chiese Boston.

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“Non lo so. Ciotti sospetta che la testimone sia un infiltra-ta. Io non lo credo. Però dobbiamo valutare ogni minimo sospetto.”“Novità?”“Sì. Stamani Ciotti ha sospeso il nucleo informatico, così, su due piedi. E’ stata una mossa affrettata però giusta, se-condo me. Appena hanno trasmesso delle informazioni all’ispettore Gai, Trentoni ha effettuato una chiamata par-lando di una soffiata. Le cose sembrano più che collega-te.”“E se fosse Gai?” Boston chiese quello che Jack stava per chiedere.“Sicuramente non do nulla per scontato. Per me è uno come gli altri. Quindi, anche lui è sospettato. Ma mi sem-bra troppo stupido per fare il doppio gioco. Non per dire, ma credo si sia già portato a letto la testimone.”“Ah, un vero professionista insomma” esclamò Jack men-tre si immetteva nella stradina antecedente la villetta.“A proposito di professionismo. Voi non dovevate essere a Vancouver?” la Scattaro tentò di resistere ma si accese una sigaretta.“Sì, ha ragione. Ma il lavoro è saltato.” la informò Jack.“Che vuol dire saltato?” la Scattaro era quasi in collera, accendino in una mano e sigaretta nell’altra.“Saltato. Esploso. Ci ha pensato qualcun altro al posto nostro.” Boston rideva sotto ai baffi.“Ah, bene.”Il pm Scattaro infilò la copia delle chiavi nella toppa ed i tre entrarono. Un odore di legno e panni sporchi li assalì.Effettivamente, pensò il pm, Renata era stata rapita senza avere il tempo di fare la lavatrice.La camera da letto ed il bagno erano al piano superiore, raggiungibile da una massiccia scala di legno che faceva

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una leggera curva in cima, mentre la cucina e la sala erano al piano terra.La Scattaro diede ordine di dividersi: i due agenti al piano terra, lei al piano superiore.“Ok, ma cosa cerchiamo ?” chiese di nuovo Boston.“Qualsiasi cosa ti sembra sospetta” rispose il pm e si av-viò per le scale con un piccolo scatolone in mano.Boston e Jack si fecero segno di proseguire senza fare al-tre domande.La cucina era in ordine. A valutarlo erano due uomini single che vivevano da soli, però era effettivamente così. Sul tavolo non c’era nulla, così come sul lavello. I secchi dell’immondizia (uno per ogni tipologia di rifiuto) non erano stati svuotati e la fragranza che emanavano non era sicuramente celestiale.Non c’era nulla di personale che potesse destare attenzio-ne, così i due agenti si diressero in sala.Nel frattempo la Scattaro stava scrutando il mobile a specchio della camera da letto. Nemmeno qua c’era nulla di personale, tranne un bracciale di legno, una rivista ed un carica batteria per cellulare.Il letto era decentemente rifatto, le ante e i cassetti del-l’armadio chiusi. Il pm li aprì uno per uno alla ricerca di un non so cosa, ma cercare qualcosa che non si sa cos’è è impresa molto ardua. C’erano maglioni, pantaloni, ma-gliette, calzini e mutande, tutta roba dallo stile pratico, comodo ed assolutamente non intrigante.La Scattaro infilò caricabatteria e bracciale nello scatolo-ne, tirò fuori tutti gli indumenti dall’armadio e li dispose sul letto.Fatto questo si diresse al bagno.Tra tutti gli ambienti, questo era quello più vissuto.

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Sulla mensola sopra al lavandino c’erano i classici spaz-zolino e dentifricio, collutorio, crema per il viso e cotton-fiocche. Li mise nello scatolone e continuò a cercare il non so cosa nell’armadietto.Boston si era stancato di cercare il nulla. Non vedeva l’ora di tornare a casa e farsi una partita a backgammon. Come se non bastasse, l’ultima prima di uscire l’aveva vinta Jack e ciò contribuiva ad aumentare la voglia di gio-care. Ed in più il suo compare lo stava sfottendo.“Dai, che fretta c’è di tornare a casa? Hai perso già sta-mattina”“Sei morto. Appena torniamo a casa sei morto.” Boston rosicava tantissimo.“Uh-uh sentitelo! Quando torniamo a casa mi spara! Uuuuuh! Pensa che la mossa con cui ti ho battuto è nella Top 5 delle migliori mangiate che ti ho fatto.”Erano nella sala. L’unica cosa fuori posto era il teleco-mando ed una coperta buttata là sul divano. Non c’erano bicchieri, patatine, cd, e mozziconi in giro come a casa loro.“Torniamo a casa. Ti batto. Al meglio delle cinque. Se vinco, ti sparo in bocca.” Boston non ce la faceva più. Se avesse avuto cinque minuti lo avrebbe creato, un tavolo da backgammon, e ci avrebbe giocato subito.“Oddio tremo! Tremo!”Il pm aprì l’armadietto. Anche lì c’erano le solite cose. Alcool, ovatta, nastro, cerotti ancora cottonfiocche, spray nasale, collirio, shampoo, bagnoschiuma, balsamo.Non riusciva a vedere il non visibile.Non riusciva a trovare il non ovvio.E poi quei due ragazzini che da di sotto non la smettevano di urlare e fare gli scemi. Se non avesse dovuto loro la vita, li avrebbe licenziati da un pezzo.

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Capitolo 47 - Addio Capitano

Raramente gli era successo e in quelle poche volte che gli era capitato non se lo era perdonato facilmente. Andare in chiesa senza prestare piena attenzione alla liturgia lo con-siderava alla stregua di un peccato. Eppure, anche un cre-dente come il commissario Ciotti può avere altri pensieri per la testa che gli occupano la mente anche durante l’omelia del parroco.Un incessante, ipnotico “e se…e se…” gli rimbombava in testa.Come aggravante al suo comportamento non impeccabile, c’era il peso di dover dare l’estremo saluto ad un amico.Sebbene fosse la cosa più dura da accettare, anche per un credente, la testa di Ciotti era da tutt’altra parte. La tele-fonata che aveva fatto la notte precedente aveva spostato tutta la sua attenzione sul caso dei Ritardati. Sul lavoro. Si sforzava di mantenere la concentrazione sulle parole del sacerdote, cercava di entrare a forza nel clima triste e ce-rimonioso del funerale guardandosi intorno, provando a focalizzare in testa quello che Manfucci aveva significato per lui. Avrebbe voluto piangere, ma non usciva nessuna lacrima. Aveva uno sguardo serio, ma non triste. Era lo sguardo del cacciatore che si accinge a catturare la preda. Con lo stesso sguardo andò a consolare i familiari del ca-pitano Manfucci, la moglie, i figli. Non era di certo un attore e non gli interessava fingere un emozione che in quel momento non provava. Però se ne vergognava. La possente bara scura portata a braccia dagli agenti del di-partimento più vicini al capitano uscì dalla chiesa som-mersa dai fiori.Ciotti non ce la faceva più. Stava fremendo per potersene andare al più presto. L’attimo in cui posero la bara dentro

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il carro funebre gli sembrò durare una vita. Sicuramente la sera seguente si sarebbe pentito di quel pensiero, però “i vivi hanno priorità sul ricordo dei morti”, pensò.Si fece il segno della croce, baciandosi la mano mentre pronunciava “amen” e sgattaiolò via. Si infilò in macchi-na, accese il cellulare tenuto spento durante la messa, e si fiondò verso la Torretta.

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Capitolo 48 - Rush Finale

Ciotti parcheggiò l’auto all’imbocco di una stradina fan-gosa. La giornata era soleggiata ma le infiltrazioni di ac-qua che partivano dal sottosuolo arrivavano fino alla su-perficie, inzuppando la terra e creando una zona acquitri-nosa.Rispetto al solito c’era un cambiamento nel paesaggio : la zona d’accesso alla cascatella di acqua ferrosa era tran-sennata. Sul nastro, il logo dell’azienda locale di smalti-mento rifiuti. In quel momento non c’era nessuno a lavo-rare per pulire la zona dai rifiuti abusivi che negli anni si erano accumulati.Davanti al suo essere poliziotto la transenna non potè nul-la. Ciotti si infilò sotto al nastro e fu dall’altra parte.L’ultima volta che il commissario era stato là c’era un vecchio frigorifero a fare da panchina.La strada fangosa si biforcava dopo una ventina di metri; una vecchia torre di stile medievale si ergeva ormai per metà disastrata e piena di scritte fatte con le vernici spray: chiamarli murales avrebbe conferito loro un tono quasi artistico.Sulla destra partiva una stretta stradina di pietra, i resti di un piccolo muro di cinta sovrastato da erbaccia, che por-tava direttamente all’interno della Torretta. Se si guardava in basso si sarebbe vista l’acqua della cascata passare im-petuosa.Sulla sinistra invece la strada fangosa proseguiva, in di-scesa, fino ad arrivare ad una piccola fonte dalla quale si poteva bere l’acqua dal sapore metallico chiamata Acqua Rossa. La strada era sconnessa ed il fango favoriva gli scivolamenti. L’assenza di parapetto dalla parte che si af-

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facciava sulla cascata rendeva il tutto più pericoloso di quello che sembrava. Ciotti prese la stradina per arrivare alla Torretta. Il lavoro fatto dal comune era evidente. Una zona d’erba schiacciata testimoniava l’assenza della gran-de mole di rifiuti che giaceva là sopra.Tenendosi con una mano ad un ramo volante, Ciotti entrò nella Torretta.L’ambiente era inquietante. Le mura erano piene di scritte banali e volgari. Da un apertura che una volta dovrebbe essere stata la porta d’accesso si poteva vedere la parte iniziale della cascata, il punto in cui il ruscello cambia passo e si butta a tutta velocità nel vuoto. Quel luogo met-teva Ciotti in agitazione. Quel rumore di sottofondo con-tinuo, quel gorgoglìo costante che poteva nascondere un eventuale arrivo di un auto o che poteva far arrivare qual-cuno armato alle sue spalle senza che se ne accorgesse lo teneva in tensione. Si girava a guardarsi le spalle conti-nuamente. Senza sapere bene il perché, estrasse la pistola e la caricò.

“Venite su, abbiamo finito.” Il pm Scattaro ci aveva ri-nunciato. Aveva scandagliato tutte le stanze della casa ma non aveva trovato nulla di sospetto. Non che ci dovesse essere per forza, però qualcosa le faceva prudere il naso.I suoi agenti speciali salirono le scale. Stavano ancora bi-sticciando sulla questione backgammon.“Ragazzi, ve lo chiedo per favore. Non fate i ragazzini. Ho messo tutto quello che dovete caricare sul letto. Non è troppa roba, ce la potete fare anche in un viaggio solo.”“Va bene. Però non stiamo facendo i ragazzini. E’ che l’agente Boston non sa perdere, lo sa anche lei.”

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“Si, beh…non mi interessa. Fate quel che vi ho detto e sbrigatevi.” Il pm uscì dalla camera da letto di Renata e iniziò a scendere le scale.“Ma che ha il ciclo per caso ?” Boston non potè far a me-no di dirlo. Gli scappò di bocca. Appena lo fece si rese conto dello sbaglio commesso. Nessuno parlava così al pm Scattaro, una donnista convinta.Il pm si fermò come colpita da una freccia alla schiena.“Come?”“No, mi scusi, non volevo. Mi è scappata... era una battu-ta…non c’è nessuno di estraneo…” l’agente Boston suda-va freddo. Avrebbe voluto accendere lo zaino a propulsio-ne e volare fino a Helsinki. Peccato che lo zaino a propul-sione fosse solo una sua fantasia.La Scattaro si gettò di corsa in bagno. Tornò ad aprire l’armadietto e a tirar fuori tutto ciò che ne era all’interno. Per un attimo Boston credette che si stesse fiondando ver-so di lui per prenderlo a sberle ma quando se la vide sfrecciare davanti come se fosse diventato invisibile quasi ci rimase male. Nemmeno Jack aveva capito cosa stava succedendo.“Che succede?” Jack ruppe il silenzio.“Non è possibile!” gridò la Scattaro. “Non è possibile!”Prese di corsa il cellulare dalla tasca della giacca e chiamò il commissario Ciotti.

Gai riabbassò la cornetta del telefono.“Il professor Grasso non è ancora arrivato. Mi hanno detto di chiamare più tardi.”“Quindi cosa facciamo?” Renata era seduta davanti al-l’ispettore.

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“Aspettiamo e poi lo richiamiamo. Voglio sentire se sa qualcosa.”“Sarà meglio chiamare il commissario?”“No, è andato al funerale. Ne avrà per tutta la mattinata.”“Chiamiamo il pm?”“Non serve. Deve portarti le cose a casa. Ormai ci con-viene aspettare.”“Ok perfetto. Passa da qui?”“Veramente no. Le ho dato le chiavi. Porterà le tue cose direttamente là.”“Allora ci possiamo prendere un caffè.”“Io l’ho già preso. Ti aspetto qua.”“Vuoi nulla?”“Sì dai, portami un KitKat”Renata prese una banconota dalla tasca che avrebbe poi cambiato al distributore automatico e uscì dall’ufficio.Quando tornò poco dopo porse lo snack all’ispettore.“Senti…per quanto riguarda ieri sera…”“Non ti preoccupare. Anche per me è tutto passato.”“No, hai frainteso. Intendevo per il fatto di uscire di casa. Non voglio creare problemi. Quindi è meglio se ci com-portiamo da poliziotto-testimone.”“Ascolta, come primo giorno è stato abbastanza pieno di cose. In più Rob è stressato per tutta questa storia e vede nemici dappertutto. Cazzo, poco fa ha quasi accusato an-che me!”L’ Iphone di Gai squillò. Sul display si leggeva il nome di Ciotti.“Rob?”“Zitto. Non parlare. Renata è lì con te ?” il tono era sinco-pato e preoccupato.“Sì, sì.” Gai si tradì andando a cercare con lo sguardo gli occhi di Renata.

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“Bene. Non lasciarla sola nemmeno per un attimo. ”“Va bene.” Gai cercava di mantenersi sciolto ma era evi-dente da come aveva tesi i muscoli facciali che qualcosa non andava.“Non farle capire nulla. Arrivo tra poco.”“Ok.” Gai si infilò il telefono in tasca con un gesto grave, quasi forzato.“Che succede?” volle sapere Renata.“Niente di che, era Rob” rispose imbarazzato Gai. “il fu-nerale è finito e ora torna qua.”“Ah… dalla tua faccia sembrava fosse successo qualcosa di grave.”“No no, niente di strano.”Gai non capiva più nulla. Perché doveva tenere sott’oc-chio Renata? Cosa aveva scoperto Ciotti?Che Renata fosse un infiltrata?

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Capitolo 49 - Tre uomini e una pala

“Commissario?” la voce del pm Scattaro al telefono era piena di tensione.“Sì, mi dica.” Anche la voce di Ciotti arrivava carica di adrenalina.“Sono a casa dell’ispettore Gai. Neanche qui ci sono trac-ce di assorbenti. Né qui né alla villetta, come le ho detto prima che partissi. Lei cosa ha scoperto ?”“Le devo dire tutta la verità. La notte passata l’ho trascor-sa con Caterina Bizzarri.”“Commissario, non mi interessano le sue relazioni…”“No no, cosa ha capito. L’ho trascorsa con lei per cercare di saperne di più sul conto di Renata Trentoni. Ho scoper-to che è allergica ai gatti. Stamattina le ho consegnato un libro in cui avevo nascosto alcuni peli di Frank, il gatto della Bizzarri. Hai visto come ha reagito?” la conversa-zione era passata al “tu”.“Sì, non ha avuto nessuna reazione.”“E cosa ne pensi ?”“Che prende dei farmaci.”“No, non credo. Me ne volevo convincere, è tutta la mat-tina che ci penso ma non è così. Tu come te lo spieghi quello che hai scoperto?”“Non ne ho idea. Comunque qualcosa di strano c’è. Il numero di telefono, gli assorbenti, l’allergia. Facciamo così. Chiama Gai. Digli di non lasciarla sola nemmeno per un minuto. Ti mando i miei agenti alla Torretta e ci aggiorniamo quando arrivano. Laggiù come va?”“E’ tutto in ordine. Però c’è un’altra cosa che mi puzza. Sai di chi è la ditta che si occupa dei rifiuti e quindi della ripulitura della cascata?”

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“Non ne ho idea.”“Di uno dei Ritardati morti al Monte Paradiso. E sai chi glielo ha dato l’appalto?”“Provvedi.”“Esatto.”“Caso strano morti tutti e due dopo che la ditta aveva ini-ziato i lavori.”“Tu dai uno sguardo in giro. Forse hanno iniziato i lavori per coprire qualcosa per il conto della setta. Ti mando i miei agenti. A dopo.”Ciotti richiuse il cellulare, lo riaprì per avvertire Gai e si mise a controllare la zona ripulita dai rifiuti. Oltre alla mancanza di vecchi elettrodomestici si notava una larga zona privata dell’alta erbaccia. L’erba sembrava strappata a mano e accantonata tutta in un fascio. La terra sotto era bagnata ma non fangosa. E leggermente smossa. Ciotti iniziò con un piede a scansare la terra più in superficie. Vedendo che veniva via facilmente si mise a quattro zam-pe e iniziò a scavare con le mani.Scavò per diversi minuti senza arrivare a nulla. Si fermò un attimo a rifiatare e sentì un rombo avvicinarsi dalla strada. Si nascose tra l’erba alta e impugnò la pistola. Quando la pressione del sangue arrivò all’apice scorse una macchina americana giallo-nera. Erano gli speciali della Scattaro. Si rilassò, rinfoderò la pistola ed uscì allo scoperto.“Sono qua” li informò.I due scesero dall’auto, occhiali da sole e pistola.“Sto scavando qua dietro. Ho visto un pezzo di terra smossa e voglio vedere cosa c’è sotto.”I due scrollarono le spalle e Boston aprì il portabagagli della Mustang. Tornò subito dopo con una pala.“Cosa ci fate con una pala in macchina?”

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“Non si sa mai” fu la risposta di Jack.Alcuni minuti dopo, la buca era già profonda circa due metri, arrivarono a qualcosa di solido.Non proprio solido. Morbido, ma consistente. Tolsero più velocemente la terra. I tre erano ormai in piedi dentro alla buca. Iniziarono a scavare con le mani. Nella terra scopri-rono una mano. Risalendo la normale forma del corpo scoprirono un braccio, e una spalla. Arrivarono al momen-to di portare alla luce la testa. Ciotti non aveva la forza di farlo, così furono Jack e Boston a terminare il lavoro. Pro-seguirono con cura. Il viso che piano piano cominciava ad emergere dall’oscurità della terra aveva dei lineamenti già visti. Era come uno di quei giochi in cui ti fanno vedere piccole porzioni di viso e devi risalire al divo del cinema a cui appartiene. Quando ebbero piena visione del viso rimasero per un attimo interdetti. L’avevano già vista pri-ma, ma non l’avevano mai vista.Aveva i capelli tagliati corti, zigomi pronunciati. Era una donna, su questo non potevano sbagliarsi. E la cicatrice sulla tempia sinistra non lasciava scampo ad equivoci.Era Renata Trentoni.Quella vera.

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Capitolo 50 - Fuga

Gai cercava di mantenersi disinvolto. Non capiva tutta la situazione e questo lo limitava di molto.Erano ormai una decina di minuti che non spiccicava pa-rola.Anche Renata si era ovviamente accorta del suo compor-tamento innaturale.“E’ successo qualcosa al commissario? O al pm?”“No, te l’ho detto. Mi ha detto Rob di aspettarlo qui che sta per arrivare.”“Ma perché ti ha dovuto telefonare per dirti che arrivava? Dai, c’è qualcosa.”“Non insistere, non te lo posso dire.”“A-ah! Allora c’è qualcosa!”“Non ho detto questo. Ho detto che se ci fosse stato qual-cosa non te lo avrei potuto dire.”“Da quando segui gli ordini?”“Da quando mi hai detto di tornare a fare il poliziotto”“Sei un ragazzino!” Renata saltò in piedi ed uscì dall’uffi-cio.“Ferma! Torna qui!” ma non ottenendo risultati Gai si fiondò a seguirla. La raggiunse a metà corridoio.“Cosa c’è? Non posso nemmeno stare da sola cinque mi-nuti in pace?”“Hai capito bene, non puoi.”“Cosa? E da quando?”“Renata, non possiamo lasciarti da sola nemmeno per un minuto.”“Perché sono in pericolo o perché sono il pericolo?”“Non lo so, d’accordo? Non so che sta succedendo.”

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“Io sì. Sospettate di me. Il commissario, il pm, tutti.” fece una pausa.“Anche tu?”Gai non rispondeva.“Anche tu?” Renata gli fece di nuovo la domanda.“No, io non sospetto di te.”“Falso! Mi tratti come un’assassina e poi neghi l’eviden-za!”Gai si avvicinò per tranquillizzarla ma si divincolò.“Non mi toccare! Mi fai schifo!” e prese a correre verso le scale. Prese la scalinata che portava al piano superiore.Gai ebbe un attimo di esitazione poi prese a correrle die-tro.Renata era velocissima e non si fermò al piano superiore: continuò a salire.Gai non aveva certo problemi fisici; tutte quelle ora in palestra servivano a qualcosa e continuò a seguirla. Arri-vati all’ultimo piano Renata aprì la porta che dava sul tet-to. Certo di averla ormai raggiunta (“di certo non si butte-rà di sotto”, pensò Gai) rallentò il passo ed uscì anch’egli sul tetto.Il rumore era assordante.Un elicottero CH-7 era a meno di due metri dal tetto del DipMaT.Al comando di esso c’era un uomo concentratissimo in-tento ad avvicinarsi il più possibile al tetto senza però toc-care terra. Sembrava stesse compiendo una difficile ma-novra di parcheggio.Renata saltò e con le mani afferrò uno dei tre pioli della piccola scaletta che serviva a facilitare l’ingresso in cabi-na.L’uomo al comando era nervoso. “Sbrigati cazzo sbrigati! Non posso rimanere così per ore!”

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Renata saldò per bene la presa e spinse con tutte le forze sulle braccia, arrivando ora con il busto all’interno della cabina. Gai non era sicuro di essere sveglio o di stare so-gnando. Estrasse la pistola da dietro la schiena e la puntò verso Renata. “Fermati! Fermati o sparo!” si maledisse per la banalità della frase.Con l’ultimo sforzo Renata portò dentro anche le gambe rimaste penzoloni. L’elicottero ruotò su se stesso cercando la via della fuga. Compiendo questa manovra, Gai e Re-nata si trovarono uno di fronte l’altra. Gai aveva entrambe le braccia tese in avanti, colpo in canna e vento in faccia. Renata si teneva con una mano al telaio mentre cercava di chiudere il portellone. Mentre si accingeva a far scorrere il portello nella guida, Gai la avvertì. “Fermati! Scendi subito o sparo!”“Tu non mi sparerai! ” le voci dovevano sovrastare il ru-more dell’elica.“Cosa te lo fa credere?”“Perché tu mi ami!”“Cosa?”“Inutile negarlo! Tu mi ami, ispettore Gai!” e mentre lo diceva staccò la mano d’appoggio per potersi togliere il maglione. Tolto quello passò a togliersi la maglietta. La miopia di Gai non era così forte da impedirgli di capire. Nonostante si fosse tolta soltanto la maglietta, anche il viso di Renata sembrava diverso. Aveva un qualcosa di duro. Specialmente negli occhi, le si leggeva qualcosa di terribile. Cercando di rimanere in equilibrio si staccò dal viso una leggera patina di lattice. La faccia di Renata era ora più rotonda, meno affilata. Renata gettò la maschera nel vento. Attraverso la luce del sole Gai vide due vuoti occhi senza vita ondeggiare fino a cadere ai suoi piedi. Renata era rimasta in reggiseno. Ma quello che si vedeva

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nel resto del corpo non era pelle. Aveva il colore giallastro della gommapiuma. Sembrava un travestimento di carne-vale. Renata si tolse anche quello. Quello che emerse era un villoso petto di uomo.Gai rischiò lo svenimento. Aveva tutti i dati per poter ca-pire, ma non ci riusciva. Solo quando Renata parlò con la sua vera voce, realizzò con assoluta certezza quello che inconsciamente rifiutava di comprendere.“Addio ispettore! Spero di non averti spezzato il cuore!” la voce era nettamente maschile. Una voce diabolica, pie-na d’odio.Una voce capace di arringare le folle.La voce del Sommo Canonico dei Ritardati.La voce di Nicolas Trentoni.L’ispettore rimase pietrificato a guardare l’elicottero al-lontanarsi nel cielo. Trentoni chiuse il portellone e con la mano salutò Gai come fanno i bambini in auto. La Morte conquistò quota e l’elicottero sparì.

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Capitolo 51 - Rinata

1 Mese fa

Una fioca luce illuminava il camerino principale del Theatro. Un camerino che un tempo aveva ospitato grandi attori nazionali, li aveva accolti preparati ma emozionati prima di salire sul palcoscenico, intenti a perfezionare il costume di scena; li aveva in seguito ricevuti carichi di soddisfazione, per una doccia rilassante piena di compli-menti che li avrebbe fatti tornare alla realtà, privi di co-stumi e parti da recitare.L’attore che occupa quel camerino si sta preparando per la parte più difficile in assoluto. Una recita in cui non c’è in gioco qualche applauso, bensì la propria vita. Non ci sono sipari. Tutto il mondo è il palcoscenico, ogni persona è pubblico e comparsa. Una continua improvvisazione, sen-za copione senza sapere quale sarà l’ultimo atto.E’ già un bel pezzo che allena la voce. Non deve cambiar-la più di tanto, ma solo cercare di alzarla un po’. Per en-trare nella parte…beh, è praticamente tutta la vita che ha di fronte il modello in cui deve calarsi. Fin dal primo bat-tito, dal primo respiro, dalla prima parola, ha davanti il suo alter ego.Lei è lui e lui è lei. Negli ultimi mesi ha annotato su un quaderno tenuto na-scosto tutti i particolari della vita di Renata vissuta sulla faccia scura della Luna, la parte di vita in cui non è con Nicolas.Il modo di grattarsi, il modo di camminare, come sta composta mentre è seduta, le parole che usa più spesso, quali ricordi fanno parte della sua vita e quali invece della vita di sua sorella. Esercizi per non confonderli e creare

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una nuova vita di una nuova persona che è unione di loro due.Dovrà girarsi ogni volta sentirà chiamarsi Renata e fare finta di nulla, anzi, assumere un espressione accigliata quando si farà il nome di Nicolas. Dovrà svelare una parte dei piani della sua setta, il suo piano, per sperare di rice-vere qualcosa che glielo faccia attuare definitivamente. L’indovinello di Shadow si era dimostrato troppo difficile. Aveva diffuso tra i membri dei fogli fotocopiati che spie-gavano per bene quello che stava accadendo. Aveva in-formato tutti che c’era un indovinello da risolvere per po-ter attuare il piano del loro Sommo Canonico e che quindi tutti erano invitati a spremersi le meningi per partorire una soluzione. Dopo quattro mesi non c’era ancora riusci-to nessuno.Nicolas sentì bussare alla porta del camerino.Dal buio esterno entrò un uomo anziano di piccola statura. Sembrava un folletto della tradizione nordica. Un paio di occhiali spessi come parabrezza di sottomarino completa-vano il quadro.“Buonasera signor Nicolas. Le ho portato quel che mi ha chiesto.”“Buonasera signor Gianni. Mi faccia vedere. Ha avuto difficoltà nel trovare il luogo ?”“No affatto, me la sono cavata bene.”Il piccolo omino aprì la zip di un borsone e ne tirò fuori una specie di calzamaglia. A vederla bene sembrava più una maschera di carnevale. Aveva delle imbottiture sui glutei e sul petto, a formare due discreti seni.“Ottimo lavoro signor Gianni. Mi sembra perfetto.”“La indossi signor Nicolas, così vediamo se le misure so-no adeguate.”

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Con una certa difficoltà Nicolas si infilò la tuta. Era stretta come una muta da sub in quanto doveva stringere i fianchi per far risaltare le anche e dare al corpo una forma svasata più femminile. Anche sul ventre premeva molto per con-ferire all’indossatore una postura che lo aiutasse a tenere il petto in fuori. Grazie ad un lungo laccio la chiusura lampo posta sul retro poteva essere chiusa anche senza l’aiuto di una seconda persona. Nicolas indossò una cami-cia da donna trovata nel vecchio ripostiglio dei costumi del teatro sopra alla tuta e si guardò allo specchio. L’effet-to era notevole. Ora sembrava ancora un uomo nel corpo di una donna ma con le ulteriori modifiche ideate dal si-gnor Gianni il risultato sarebbe stato ottimo.Chissà quanto tempo aveva impiegato il piccolo ed anzia-no artigiano per costruire tutta la maschera, togliendo tempo ad altri lavori accatastati da mesi nel suo laborato-rio.“E per il viso? E’ riuscito a trovare niente per la faccia?”“Oh, sì sì. E’ stato un bel grattacapo ma alla fine ho pen-sato che una maschera in lattice fosse la soluzione miglio-re.” Tutto contento il vecchietto si chinò sulla borsa e ne estrasse un cranio di plastica, probabilmente la testa di un manichino che portava sul volto un viso di lattice. La so-miglianza con Renata era inquietante.“Sulla base del calco che le ho fatto la scorsa settimana ho ricalcato i lineamenti di sua sorella su di uno strato di lat-tice. Lo provi.”Con un certo rigetto Nicolas indossò il volto di Renata. La maschera era disegnata in modo da ottenere un taglio de-gli occhi più femminile, pur mantenendo gli occhi di Ni-colas subito sotto. Il lattice permetteva anche di poterci

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applicare sopra dei prodotti cosmetici. Oltre a recitare, Nicolas avrebbe dovuto anche imparare a truccarsi.La figura ora era completa. Mancavano i dettagli, ma ad una persona che non conoscesse a fondo Renata la si po-teva anche dare a bere.“Veramente un ottimo lavoro signor Gianni. Davvero ec-cellente.”“Oh, grazie signor Nicolas. Per me è stato un vero piacere lavorare per lei.”Il signor Gianni rimase con l’aria di chi aspetta nel came-rino. Nicolas intuì che volesse essere pagato.“Purtroppo signor Gianni non posso pagarla ora. Le porto i soldi domattina insieme ad una bottiglia di quello buo-no.”“Per me va bene se va bene a lei signor Nicolas. Purtrop-po lo sa, alla mia età…”“…non si può certo permettere altre compagnie. Sì lo so, me lo dice sempre. Non si deve giustificare con me signor Gianni. Venivo al suo laboratorio con mio padre già da piccolo, quanti anni avrò avuto? Sei? Sette? Con i suoi soldi può fare ciò che vuole”. L’ultima parola, quel vuole, gli uscì più acuto, quasi musicale. Guardandosi allo spec-chio capì perché.“Ma, signor Nicolas, posso chiederle una cosa? ”“Ma certo, dica.”“Mi chiedevo, essendo ancora lontani da carnevale, per quale motivo volesse una maschera per sembrare sua so-rella. Già le somiglia abbastanza di natura. Non avrà mica intenzioni notturne un po’ particolari…”Nicolas sorrise. Renata no.“Niente di ambiguo, signor Gianni.” La voce era sempre più simile a quella di sua sorella. “Purtroppo mia sorella

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non mi ha dato il suo aiuto nel momento del bisogno. Ed io avevo veramente bisogno, in quel momento.”Il signor Gianni era spaventato. Di correre non se ne par-lava alla sua età, di usare la forza nemmeno.“Quindi ho deciso di aiutarmi da solo. Ucciderò mia so-rella e farò scomparire il corpo. Ne prenderò le sembianze e andrò alla polizia fingendomi una pentita. A quel punto li metterò sulle mie tracce, le tracce di Nicolas, e sfruttan-do la polizia ucciderò in modo pulito tutti i membri della setta che hanno votato contro di me. In seguito, tramite la polizia cercherò di capire cos’è lopins. Lei lo sa cos’è lo-pins signor Gianni?”Il vecchino era in evidente stato confusionale. Non capiva di che setta si stesse parlando né tantomeno cose fosse questo benedetto lopins.Nicolas gli si avvicinò. Il signor Gianni fece un passo in-dietro. Era con le spalle alla porta. Sudore e muco gli avevano inondato la faccia piena di rughe.“P-p-perché m-mi sta dicendo queste cose? ”“Oh, signor Gianni, non ha mai visto un thriller?”“…”“Un film giallo?”“S-sì.”“Bene. Ad un certo punto il cattivo, in genere alla fine, spiega per filo e per segno il suo piano. Inevitabilmente due minuti dopo lo arrestano. Sa perché? Sa perché il ge-nio del male, che ha architettato un piano così malvagio e perfetto, si arrende e sciorina tutta la storia?”“N-non lo so…” il vecchietto ebbe un barlume di speran-za. Se avesse risposto per bene alle domande di Nicolas forse sarebbe rimasto in vita. “Forse per spiegare il film al pubblico.”

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“No. Glielo dico io perché. Perché diventa pazzo. Tenersi dentro un segreto del genere, sapendo che nessuno verrà mai a sapere di tutti i dettagli, senza che nessuno ti possa dire “cazzo, bel piano!” ti fa diventare pazzo. Sapere di non venir mai elogiato ti manda al manicomio. Così il cat-tivo spiega tutto. Giusto per il gusto di sentirselo uscire dalla propria bocca. Per poter dire: “sentite qua che fottuta idea miè venuta!” Ed io faccio lo stesso. Solo che io lo dico a lei, all’inizio della storia.”“I-io…non parlerò…signor Nicolas glielo giuro, io non dirò niente a nessuno!”“Oooh sì, ne può stare certo.”Nicolas gettò le mani al collo del signor Gianni. La resi-stenza che l’anziano oppose fu veramente minima.Renata aveva appena ucciso un uomo.

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Capitolo 52 - Cambio d’abito

La Morte non credeva a quello che aveva sentito raccon-tare da Trentoni. Non sapeva se fare i compimenti a Nico-las per la genialata o buttarlo giù dall’elicottero in quanto fratellicida. Lui non aveva fratelli o sorelle ma arrivava lo stesso a capire quanto fosse difficile uccidere a freddo il proprio gemello. Solo un pazzo ci sarebbe riuscito.Appunto.“E il corpo dove l’hai nascosto?” LaMorte era assetato di particolari.“L’ho seppellito e ho fatto in modo che la ditta di Viviani facesse dei lavori sul luogo, in modo da tenere lontani eventuali ficcanaso. Con Provvedi al comune è stato fin troppo facile.” Nicolas stava ultimando la definitiva uscita di scena di Renata. Si tolse le scarpe e si vestì con gli in-dumenti portatigli da La Morte.“E adesso come ti senti?”“Con un nemico in meno.”Dopo una piccola pausa, LaMorte tornò a chiedere tutti i dettagli del piano ideato dal suo Sommo Canonico.“Ma come facevi a contattarmi ogni volta?”“Quando la sera tornavo nella casa che mi avevano affida-to ero in totale libertà. Accendevo il mio cellulare e ti chiamavo. Avrei anche potuto pisciare in piedi, ma poi avrei perso la concentrazione. Anche da sola parlavo con la voce camuffata. Una volta ti ho chiamato dal cesso di un locale in centro. Ho finto di piangere e sono scappata in bagno. Stamattina invece ho approfittato di essere an-data prendere un caffè da sola.”La Morte notò che Nicolas stava ancora parlando di sé al femminile ma non glielo fece notare.“Ma quindi…”

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“Sì, anche quando i poliziotti sono venuti al Monte Para-diso era stata opera mia. Volevo togliermi di torno in ma-niera pulita tutti quelli che avevano votato contro la mia proposta. Solo che sbarazzarsi di venti persone non è co-me disfarsene di una. Così ho deciso di sfruttare i poli-ziotti. Se ti ho avvertito prima del loro arrivo c’è un moti-vo.”“Ti sono sempre stato fedele, Nicolas.” Era la prima volta che lo chiamava col suo nome di battesimo.“Lo so.”L’elicottero pilotato da LaMorte stava ora sorvolando una zona di campagna. Nicolas distrusse con un piede il suo cellulare, bruciò con un accendino la sim card e gettò il tutto fuori dal portellone.“Trovato nulla? Niente di nuovo su lopins?”“Non sai quanto ci siamo vicini.”La Morte spiegò a Nicolas quello che aveva scoperto sul blog di lopinsjk, riferì del colloquio con Shadow e di chi avesse visto entrare nella sua villa.“Quindi lopins è un ragazzino.” La voce di Nicolas era a metà tra una riflessione e un sussurro.“La polizia lo sa già?” chiese La Morte.“No, non ancora. Quel cretino di Ciotti ha dimesso l’inte-ro nucleo informatico. Senza di loro non hanno nessuna possibilità.”“E allora perché sei scappato?”“Credo che mi avessero scoperto. Un’amica di mia sorella ha parlato con Ciotti, gli ha suggerito di andare alla Tor-retta. Saranno incompetenti, ma non fino a questo punto.”“Quello cos’è ?”“Ah, è un libro che quest’amica di mia sorella mi voleva far avere.”“Cazzo forse c’è una cimice! Gettalo via! Presto!”

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“Stai calmo, l’ho controllato. Non c’è niente del genere all’interno. Solo alcuni peli. Forse di gatto. Deve essere stata un’altra trappola di Ciotti. Sai, mia sorella era aller-gica ai gatti.”“Cosa pensi di dire al Canonicato? Li ho fatti arrivare da tutta Europa, pronti per stasera come mi avevi chiesto.”“Gli dirò quello che già sanno. Che ormai siamo in guer-ra. Tutti sanno quello che succede a chi si mette contro di me. Mia sorella, Provvedi, tutti quanti. Sono pronto anche a combattere da solo. Ma chi mi volta le spalle pagherà.”“Io sto con te.”“Lo so. I fratelli in Portogallo cosa hanno risposto? Ci saranno oggi?”“Sono stati i primi a darti pieno appoggio.”“Bene, saranno anche i primi ad entrare in scena.”Sotto di loro si era aperta una larga vallata, custodita gelo-samente da quattro alte montagne. Fra poco si sarebbero preparati ad atterrare.“Posso chiederti da dove ti è venuta l’idea della masche-ra? ”“Vedendo un film”“Fammi indovinare… Face-off ? ”“No. Mrs. Doubtifre.”

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Capitolo 53 - Punto e a capo

Il commissario Ciotti cercava di consolare l’ispettore Gai. Lo avrebbe volentieri strozzato con le sue mani, ma era pur sempre un amico. Ed era peccato mortale uccidere il prossimo.Nel frattempo era arrivata anche la notifica della nuova ed inutile intercettazione telefonica ai danni di Trentoni.Gai era visibilmente sotto shock.Aveva appoggiato la pistola ancora carica sulla scrivania di Ciotti e si era seduto con la testa fra le mani. Non aveva ancora proferito parola dall’arrivo del commissario.I due agenti speciali erano silenziosi come sempre. Attendevano l’arrivo del pm Scattaro per sapere cosa fare della loro giornata.“L’ha fatta sotto il naso a tutti noi, Stè. Non te le prendere. La colpa è di tutti.”Boston ripensò a quando stava per sparare per sbaglio a La Rita. Sarebbe finito tutto in un lampo. Diede un colpo di gomito a Jack e si fecero una risata sotto i baffi.“Rob, quello stronzo ha vissuto in casa mia. L’ho avuto sotto gli occhi per ventiquattro ore e non me ne sono ac-corto. E l’ho anche baciato.” Lo disse con un filo di voce.“Cosa?” Ciotti sperava di non aver capito bene.“Dopo la cena…eravamo un po’ brilli e…”“E nonostante ciò non ti sei accorto che…insomma…a-veva…”“Ho detto che ci siamo solo baciati, Rob.”Proprio in quel momento il pm Scattaro entrò dalla porta. Aveva preso un taxi ed era arrivata in tempo per poter sentire tutto.

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“Lo sbaglio è stato nostro infatti” esordì. “Abbiamo sba-gliato nell’affidare a lei la testimone. Che schifo! Sarebbe stato già grave dal punto di vista regolamentare se lo avesse fatto con una donna, ma addirittura con uomo! Credo sia intervenuta la giustizia divina.”“Non era una cosa programmata! E’ successo, punto e ba-sta.”“Ispettore, lei stava per fare sesso con una testimone sotto copertura.”“Non era sesso, era…” si interruppe giusto in tempo.“Oh mio Dio!” la Scattaro era divertita, indignata e scon-volta.Ciotti si passò una mano sul volto, “ci mancavano i pro-blemi di cuore” pensò.Gli speciali mascheravano a stento gli attacchi di risa.“Va bene, va bene” il commissario cercò di sottrarre Gai alle lapidazione verbale del pm che invece si riprese e tornò con la testa al caso.“Vediamo di organizzarci. Cosa sappiamo ?”“Trentoni è fuggito con un elicottero.” disse la Scattaro.“La pista dello studente poteva essere buona. Il professor Grasso non è stato rintracciabile e l’aiuto del Sistemista sarebbe stato utile.” Anche Gai si sforzò di pensare al la-voro.“Oh, ma lui sta lavorando. Ho organizzato una piccola commedia con il nucleo informatico per depistare i Ritar-dati. A me Renata non la raccontava giusta. Certo, non immaginavo che fosse qualcuno con addosso una masche-ra, ma avevo dei dubbi. Il Sistemista sta cercando di risa-lire al nome di quel ragazzo proprio in questo momento. L’ho semplicemente mandato a lavorare a casa. Eravamo d’accordo fin dall’inizio.”“Ed il libro? Anche quello faceva parte del piano?”

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“La Bizzarri mi ha detto che Renata era allergica ai gatti. Ho nascosto alcuni peli tra le pagine per vedere la reazio-ne. Lì ho capito che qualcosa non quadrava. Non era una semplice infiltrata. Era qualcun altro.”L’ufficio era diventato una sorta di laboratorio teatrale. A tempi quasi prestabiliti entrava qualcuno in scena con la battuta pronta. Stavolta era il turno del Sistemista. Portava un foglio in mano.“Ti stavo per chiamare” esclamò Ciotti abbastanza con-tento.“Sciei! Solo che con questa borratizza ti giuro che per te-lefono io ti wooo!”La Scattaro gli strappò di mano il foglio. Detestava parla-re con quella specie di disco rotto.“Davide Ciambelli!” esclamò. “Via Vecchi, 23. Jack, Bo-ston, andiamo.”“Non credo sia una buona mossa, signorina pm.” Li fred-dò Ciotti.“E perché mai?”“Dobbiamo parlare con un ragazzino di diciannove anni. E quei due non parlano, sparano!”Gli speciali annuirono facendo spallucce.“Quasi sicuramente il ragazzino non ha idea di tutto quel-lo che gli è stato creato intorno. Dobbiamo arrivare al suo professore. Lui ci può dare delle risposte. Probabilmente è in combutta con i Ritardati. O fugge da loro.”“Va bene. Noi andiamo a cercare il professor Grasso.” La Scattaro chiamò con gli occhi i suoi uomini.“Io e l’ispettore Gai andiamo dal ragazzo. A quest’ora lo possiamo trovare in casa per pranzo.”“E io? E no perché…” il Sistemista era l’unico ad essere rimasto senza una missione.

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“Tu hai fatto un ottimo lavoro. Se questo Davide Ciam-belli è quello che cerchiamo, ti faccio avere un computer nuovo.”“Sciei!”

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Capitolo 54 - Le origini di Shadow

47 anni fa

La sua decisione interruppe il pranzo della domenica co-me un fulmine interrompe un picnic.Squarciò l’armonia familiare con un singolo fendente che separò per sempre la sua vita da quella dei suoi genitori.Bastarono tre parole, un semplice “ci vado io” per dare il via ad una serie di eventi che avrebbero per sempre cam-biato la sua vita.Ivan aveva appena dodici anni ma non si era mai tirato indietro davanti ad una responsabilità. Sapeva che i veri uomini hanno dei compiti, degli oneri, e presto o tardi che fosse ci si sarebbe dovuto confrontare.“Tu hai già la scuola. E’ già un impegno grande.” gli fece notare suo padre.Sua madre, come al solito, pranzava con le maestranze nella cucina. Sebbene non fosse corretto, stava origliando la conversazione che avveniva nella sala da pranzo. Il suo unico figlio era la cosa più importante che avesse, e per-derlo l’avrebbe fatta morire.“La scuola non mi interessa. Tu non ne hai avuto bisogno. E sono sicuro che hanno scuole anche in Giappone.”“Non si tratta di Tokyo, Ivan. Si tratta di Otaru, una picco-lissima isola a nord. Non credo ci siano scuole in un posto del genere. E’ un isola di pescatori. E poi, sei ancora trop-po piccolo.”Troppo piccolo.Quelle due parole combinate insieme lo mandavano in bestia.“Papà, tu alla mia età già…”“Non dirmi quello che già so. Ma erano altri tempi.”

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“Sono sempre altri tempi.”“Ivan, cerca di capire. Ci andrei io se non fosse per questa maledetta gamba” e si diede un pugno all’altezza del gi-nocchio destro.“Cosa vogliamo fare allora? Perderemo tutto, venderemo la villa di famiglia e poi cosa ci rimarrà? Di cosa vivre-mo? Manda me. Sarò all’altezza.”“Un ragazzino di dodici anni non può volare fino all’altro capo del mondo e concludere un affare. Ci vorranno set-timane, forse mesi. Contrattare con vecchi pescatori non è cosa semplice. E poi in che lingua parleresti? ” pian pia-no, vide Ivan, suo padre stava cedendo.“Non lo so, ma nemmeno tu sai parlare il giapponese. So capire se le barche sono rottami o meno. So distinguere il pesce buono dal pesce marcio. Non serve niente altro.”“Forse dovremmo lasciar perdere.”“No! Hai capito? Non se ne parla. Non ci lasceremo cola-re a picco. Abbiamo solo questa possibilità. Ed io intendo sfruttarla.”Lo spirito di madre seppe cogliere la volontà espressa dal figlio. Il silenzio del marito fu più chiaro di mille parole.Aveva ceduto.Suo figlio sarebbe partito.Non l’avrebbe più rivisto.

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Capitolo 55 - Orario di ricevimento

Erano all’incirca dieci anni che il pm Scattaro non varca-va la soglia di un edificio universitario. Undici anni per la precisione da quando, fresca laureata in giurisprudenza, prese la strada per diventare pubblico ministero. Non era di sicuro la compagna d’università preferita dagli altri col-leghi di corso: esami come se piovesse e mai una volta che avesse passato il compito a qualcuno. Credeva che per essere un buon giurista bisognasse essere onesti anche nel privato, nel quotidiano. Si dovette ricredere pochi mesi dopo lo scontato 110 e lode, quando si trovò viso a viso con la vita vera. Nessuno lasciava nulla al caso, nessuno dava nulla per nulla. Anche se a malincuore si calò perfet-tamente nella parte. Dare per avere, cercare di avere senza dare. Ed i risultati vennero. Se ora era una delle donne più potenti della giustizia ita-liana lo doveva a tutto quello che aveva fatto in passato. Da sola, proprio come tra i banchi di scuola, a copiare se era necessario ma mai a passare nemmeno mezzo eserci-zio.Il potere dà esclusività.Percorse la stradina di mattoni che attraversava il giardino del campus ed entrò in portineria. Voleva passare per una ospite di un qualche convegno, così non si presentò come pubblico ministero. Se il professor Grasso si era fatto ne-gare di proposito doveva coglierlo di sorpresa. L’anziana signora alla portineria, alla quale erano più i denti che mancavano che quelli presenti all’appello, le consegnò il pass da esibire nei locali dell’università in cambio di un documento di identità. La Scattaro superò la porta di vetro e fu finalmente all’interno del dipartimento di informatica

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dell’ateneo. Decine di ragazzi sfrecciavano in tutte le di-rezioni, chi verso la mensa chi alla ricerca di un aula in cui studiare. Ne era passato di tempo, da quando anche lei era una studentessa: nessuno ai suoi tempi sarebbe andato a lezione con una felpa di un gruppo metal e una kefiah al collo.Dalla bacheca lesse che l’ufficio di Grasso era all’ultimo piano, il sesto. Si infilò il pass al collo tramite un cordino blu e salì con l’ascensore fino al sesto piano.Con fare disinvolto lesse tutti i nomi sui cartellini appesi alle porte degli uffici fino a bloccarsi davanti a quello che recitava “Ivan Grasso - Simona Pallotta”.Fece per bussare ma ritirò la mano. Appoggiò quindi l’orecchio alla porta in cerca di qualche suono.Silenzio.Formulò al volo in testa una storiella nel caso si fosse pre-sentato un fuoriprogramma e bussò.Nessuna risposta.Controllò con un rapido sguardo a destra e sinistra e con il pass che aveva al collo forzò la serratura. Le università non hanno soldi nemmeno per pagare i ricercatori o com-prare nuove apparecchiature, figurarsi per cambiare le ser-rature degli uffici; la porta si aprì con semplicità inaudita.All’interno c’erano due scrivanie, poste ad angolo retto. Una era ordinata, una matita e una spillatrice le uniche cose fuori posto; l’altra era visibilmente in disordine, compiti lasciati corretti a metà, custodie di cd aperte senza nulla all’interno. “La scrivania di chi è scappato di corsa” pensò la Scattaro.La sua attenzione si rivolse a quella porzione di ufficio. La calligrafia maschile leggibile sul calendario non la-sciava dubbi che si trattasse della scrivania di Ivan Gras-so. Il pc era spento, il pm lo accese ma all’avvio ci fu la

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richiesta di inserire una password: la Scattaro nemmeno ci provò e lo spense di nuovo.Frugò nei cassetti, sugli scaffali, ma non trovò nulla. Nes-sun accenno a Davide Ciambelli e sulla conferenza di ve-nerdì. Non trovò nulla di personale nei cassetti, solo un libro scritto in giapponese e una vecchia cartolina, dalla quale potè risalire, con molta fortuna, all’indirizzo di casa di Grasso. Diede subito ordine via cellulare ai suoi agenti speciali, che la aspettavano in macchina ad un parcheggio poco distante dal campus, di partire verso l’indirizzo ap-pena trovato.Lei sarebbe tornata in taxi.Ancora una volta.

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Capitolo 56 - Via Vecchi, 23

“Come facciamo? Tu fai il poliziotto buono ed io quello cattivo?”Uscire dal DipMaT e tornare ad essere da solo in coppia con il suo amico-collega Roberto, aveva fatto bene al-l’ispettore Gai. Nell’intimità dell’auto di Ciotti si sentiva di nuovo a suo agio. Aveva ovviamente i piedi sul cruscot-to, ed ovviamente il commissario al volante non lo tolle-rava, ma data la pesantezza della giornata cercò di non stare troppo addosso a Gai.“Non credo ci sarà bisogno. Anzi, probabilmente parlare con questo ragazzino non servirà a nulla. Credo che ignori tutto tutto quello che ha provocato.”“Secondo me la cosa migliore è portarlo via. Metterlo al sicuro.” convenne Gai.“Non sappiamo nemmeno se è lui il lopins che cerchia-mo.”“No, su questo possiamo essere sicuri.”“E perché? Non abbiamo prove.”“E invece sì. Mentre ne parlavo con Renata…con Trento-ni, negli occhi gli ho visto un emozione, un luccichio. Era come se gli brillassero. Ma non era una farsa.” anticipò di poco Ciotti. “No. Era una reazione autentica. Era come se stesse pensando ‘finalmente ce l’abbiamo fatta.’ ”“Vogliamo basare le nostre indagini su un luccichio negli occhi di un criminale pervertito fratellicida?” stavolta era stato Ciotti a fare la battuta ironica.Gai sembrò accusarla ma si riprese con un sorriso tirato, amaro.“Non è mica colpa mia se tutte le donne si innamorano di me. Ho fascino anche sulle imitazioni! Mica come te che non scopi dal ’97!”

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Se era in palla, non c’era verso di fregarlo.Arrivati al portone del condominio di Via Vecchi 23 suo-narono al campanello Ciambelli – La Casella.Una voce di donna rispose e li fece salire.Trattandosi di polizia la donna sulla quarantina piena ri-mase ad aspettare sull’uscio della porta. Quando vide emergere dalla rampa di scale i due agenti li fece acco-modare in salotto. Nell’abitazione c’era profumo di cibo cucinato, probabilmente sugo per la pastasciutta.La donna visibilmente agitata si tolse il grembiule ed an-dò ad indossare una vestaglia.“Cosa succede? Mio figlio ha avuto un incidente? Sta be-ne?” la voce era tesa.“Non si preoccupi signora, non è successo nulla di grave a suo figlio. Volevamo solo parlare con lui riguardo l’uni-versità.” Disse Ciotti con calma, per porre la madre in at-teggiamento disteso.“Oh…mio figlio non è ancora tornato. Lo aspettavo per pranzo ma mi ha chiamato per telefono per avvertirmi che aveva da fare con un suo professore. Sapete, sta condu-cendo un progetto importante, per il quale andrà anche in Portogallo. Dicono che potrebbero dargli una borsa di studio. Non so quando intende tornare. Forse devono fini-re il lavoro.”Ciotti e Gai avevano già capito tutto.“Beh…allora…sarà per un’altra volta.” Disse Ciotti pren-dendo la via della porta.La donna li accompagnò scusandosi ma sulla porta chiese: “Ma è successo qualcosa all’università? Perché dovete interrogare mio figlio?” nessuno aveva parlato di interro-gatori ma si sa, tutti vedono le fiction in tv.Ciotti non sapeva cosa rispondere. Gai seppe capire l’at-timo e la donna, quindi disse sottovoce:

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“Niente di grave. C’è un serial killer al dipartimento di chimica. Ma non lo dica a suo figlio che siamo stati qua: fosse lui il colpevole potrebbe farla fuori perché sa troppe cose” e si portò l’indice al naso, nel gesto internazionale del “fare silenzio”.La donna in vestaglia rimase scioccata, chiuse la porta gurdando ancora fisso davanti a se.Gai sghignazzava sotto i baffi.“Sei sempre il solito cretino” disse Ciotti.

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Capitolo 57 - Jack e Boston contro Shadow

Stranamente alla radio passavano una canzone che piace-va ad entrambi. Fermi, in macchina, ad aspettare che il pm tornasse dall’università, gli agenti speciali Jack e Bo-ston ascoltavano in silenzio Rollin’ dei Limp Bizkit. Da dietro gli occhiali scuri scrutavano i passanti, più per abi-tudine che per un motivo ben preciso. Jack si fumava l’ennesima sigaretta, Boston si lisciava la leggera barba sul mento.Ogni persona che passava sul marciapiede di fronte a loro si girava, quasi sconvolta, a guardare la loro macchina.“E le cinque peggior morti? Nel senso, come ti farebbe proprio girare il culo morire?” Boston aveva trovato una classifica che non avevano mai stilato.“Questa è bella. Beh, di sicuro, morire di malattia. Can-cro, leucemia, AIDS, tutte ste merde qua. Sfuggi alla mor-te per tutta la vita, ti sparano che senti i proiettili sfrec-ciarti vicino alle orecchie, poi cazzo muori in un letto con una vecchia che ti imbocca la minestra.”“Ok, condivido. Io direi anche in un incidente stradale. Cazzo, quando ci provano non mi beccano, poi sbaglio uno stop e mi fanno secco? Non va bene, no?”“A me non piacerebbe morire nemmeno come dicono tut-ti, scopando. Se avevo appena finito tanto tanto, ma men-tre sto nel momento topico, mi incazzerei come un gia-guaro!”“Io odierei morire dopo che ho iniziato un libro. Se poi sto all’ultimo capitolo, quando arrivo sù, o giù, tanto è uguale, so cazzi loro! Ma perché, hai pensato mai alla scena che lascerai morendo?”

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“Del tipo?”“Che ne so. Magari ti prende un colpo mentre sei al cesso e per sbaglio hai una rivista porno da froci in mano. Ma-gari tuo figlio è frocio e l’ha lasciata in bagno. Arriva l’ambulanza ed il dottore ti dichiara morto. Mentre cagavi leggendo del porno per froci. Non è bello per nulla.”“Eh, no.”“Pensa anche ad uno che muore in un incidente stradale. Viaggiava tranquillo, poi alla radio, mettono che ne so…Gigi D’alessio. Si incazza, cerca di cambiare stazione, si distrae e finisce contro un palo. Arriva il solito dottore, con la solita ambulanza e dirà ai suoi disperati familiari: “se ne è andato ascoltando il suo idolo.” Ma vaffanculo!”Il cellulare di Boston squillò.“Dica pure.”“Grasso non c’è. Dev’essere scappato. Provate a casa. Vi do l’indirizzo. Andateci piano.”Una volta recepito il recapito, Jack mise in moto e partì sgommando buttando la sigaretta ancora accesa dal fine-strino.Non ci misero molto ad arrivare a casa di Grasso. Una volta superata la zona cittadina intasata dal traffico nel-l’ora di punta, la strada di periferia era libera e Jack potè affondare il piede sul gas. Per sicurezza Boston caricò il tamburo del revolver.Parcheggiarono subito dietro ad una Twingo viola, di fronte al cancello elettrico della villa e scesero. Al video-citofono una voce di donna in là negli anni volle sapere chi fossero. Guardandosi a vicenda, i due risposero al-l’unisono: “Agenzia delle imposte.”La donna indugiò un attimo poi aprì il cancelletto laterale. Subito dopo anche il cancello principale si spalancò. Con lo sguardo fecero una rapida visita del giardino, cercando

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di mettere a fuoco eventuali punti di fuga. Non lasciavano mai nulla al caso.Mentre i due agenti si dirigevano alla porta d’ingresso videro sfrecciare da fuori la rimessa auto sita sotto all’abi-tazione una station wagon blu. Il cancello era stato aperto da Grasso, al volante dell’auto. E c’era un’altra persona seduta al posto del passeggero.Jack e Boston scattarono verso l’auto e riuscirono a porsi tra la vettura ed il cancello. Grasso non sembrava mini-mamente intimorito e non tolse il piede dall’acceleratore. Togliendosi dalla traiettoria dell’auto i due agenti si butta-rono di lato e spararono alle gomme della station wagon. I colpi andarono a segno e prima di uscire del tutto dal can-cello la macchina andò in testa coda. Immediatamente Grasso uscì dall’abitacolo, ed il ragazzo che gli sedeva accanto fece lo stesso cercando di scappare sulla strada. Era Davide Ciambelli. Jack fu subito addosso a Grasso mentre Boston si occupava del ragazzino.“Dove stavate andando? Dov’è Trentoni?” Grasso non rispondeva per una sua scelta, Davide era invece muto dal terrore. Era evidente che il suo professore si aspettava una cosa del genere. Per questo lo aveva fatto venire di corsa a casa sua. Jack estrasse la pistola e la puntò al collo di Shadow. “Allora? Dove lo stavi portando?”Alla vista dell’arma Davide sbiancò totalmente. Due per-sone che sembravano sicari stavano minacciando il suo professore che sembrava lo stesse rapendo. Davide igno-rava di cosa fosse capace il suo professore, conosciuto come Shadow. Le parole del suo prof lo avevano messo in guardia. Quando lo aveva raggiunto telefonicamente gli aveva detto: “Probabilmente ci verranno a cercare. Cerca-no te. Tu sei importante ma se ti fidi di me non ti faranno nulla di male.”

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E lui si era fidato.Vide che l’espressione sul volto del docente cambiava. Stava cercando la concentrazione. Respirava in modo re-golare, stava aspettando l’attimo. Davide capì cosa fare.Grasso piantò un gomito nel plesso solare di Jack che ri-mase senza fiatò e lasciò andare la presa. Boston si buttò a mani nude sull’uomo di circa trentacinque anni più vec-chio liberando Davide. Il ragazzo frugò nervosamente tra le tasche e trovò le chiavi della sua auto. Si buttò al suo internò e mise in moto.La posa assunta da Shadow spiazzò per un momento l’at-tacco di Boston. L’uomo si era accucciato sulle gambe piegate, il busto ruotato per un quarto, braccio sinistro avanti disteso e braccio destro allargato dietro. L’attacco di Boston fu velleitario, ceco. Shadow lo prese per un braccio e sfruttando la sola forza dell’attaccante lo mandò per terra. Scattando come un felino arrivò alla Twingo e partirono a tutta velocità.Da per terra, i due agenti speciali rimasero senza parole. Senza pistola non erano poi quest’arma letale.“Hai…hai visto ? Si muoveva come…come…”“Come un ninja.”

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Capitolo 58 - Un occasione d’oro

3 giorni fa.

“Come ti trovi ? La casa è di tuo gradimento?” Il capitano Manfucci cercava sempre di instaurare un dialogo nel tra-gitto che portava La Rita alla sua nuova casa. Era la terza volta che la accompagnava personalmente e voleva farla sentire al sicuro.“Sì, non mi posso lamentare.”“Sei nervosa? Pentita di quello che hai fatto?”La Rita fece di no con la testa.“Sta tranquilla, riusciremo a fermare tuo fratello. Te lo prometto.”La Rita annuì e per un attimo sembrò veramente convinta che tutto sarebbe andato per il verso giusto.Arrivati al cancello, La Rita scese dall’auto salutando.“Ci vediamo domattina” rispose al saluto Manfucci.Il capitano rimase in folle finché La Rita non entrò in ca-sa. Mentre si apprestava a fare manovra, notò il cellulare de La Rita sul cruscotto. Se l’era dimenticato.Non avendo voglia di scendere, suonò il clacson ripetu-tamente. Dalla finestra della cucina si affacciò il viso de La Rita. Manfucci gli fece i fari e dopo un minuto La Rita uscì.Arrivata davanti al finestrino chiese cose fosse successo.“Il cellulare. Te lo sei dimenticata.”“Ah, grazie.”E sparò.Colpì il capitano Manfucci in pieno petto. Un’altra volta. E un’altra. E un’altra.Si mise di fronte all’auto e sparò tre colpi sul parabrezza.

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La Rita estrasse dai pantaloni una seconda sim card, la infilò nel telefonino e chiamò Camilletti.“Sono Trentoni”“Dimmi tutto.”“Sono riuscito a trovare mia sorella. Stava in una villetta. Ho dovuto uccidere un poliziotto. L’ho appena legata. Vieni qua ed aiutami a portarl…merda!”“Che succede?”“Arrivano altri poliziotti! Forse hanno sentito gli spari! Corri, vieni a prendere mia sorella! Corri! Mi stanno se-guendo!”Camilletti sentiva il fruscio del vento attraverso il telefo-no.“Cerco di portarmeli dietro, così puoi recuperare Renata! Corri!”Trentoni smise di correre intorno all’auto e chiuse la co-municazione con tutta calma. Non c’era nessuno in giro.Silenzio di tomba.Tornò in casa, prese un biglietto da visita che aveva in un cappotto e ci scrisse sopra il suo numero di telefono e le sue iniziali e lo lasciò vicino al cancello. Con un pezzo di nastro adesivo americano si tappò la bocca. Prese uno spezzone di corda e ci si legò le mani alla bell’e meglio. Quando decise di essere credibile, si accucciò vicino al corpo senza vita di Manfucci e attese l’arrivo di Camillet-ti.Si sforzò di versare qualche lacrima.Quando questi arrivò erano passati appena cinque minuti. Senza proferire parola caricò velocemente Renata sul re-tro del furgone con cui era arrivato. Mentre si apprestava a tornare al volante si guardava continuamente alle spalle e nel girarsi vide che la mano del poliziotto che sembrava morto si mosse.

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Manfucci riaprì gli occhi. Non era morto. Non ebbe il tempo di capire chi fosse né cosa stesse succedendo. Camilletti estrasse la pistola dal cassettino porta oggetti e lo freddò definitivamente pian-tandogli una pallottola in mezzo agli occhi. Lo sparo ri-suonò nella campagna circostante.Nel buio del furgone Trentoni si concesse una risata.

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Capitolo 59 - Il punto della situazione

Dopo la triplice sconfitta, la squadra che si era formata per risolvere il caso di lopins e dei Ritardati si era ritrova-ta nell’ufficio del commissario Ciotti, ormai divenuto il quartier generale. Per il tempo trascorsoci, si poteva anche dire “seconda casa”. Nessuna delle tre spedizioni aveva portato dei frutti. Chi c’era andato più vicino erano stati Jack e Boston ma erano anche quelli che se l’erano vista peggio. Senza la raccomandazione del loro capo ad “an-darci piano” non ci sarebbero stati problemi, ma andando per il sottile avevano rischiato pesantemente di uscirne male. “Quel professore, Grasso, picchia come un orco!” disse Jack. “Dovevate vederlo. Rapido, scattante, forte. Avrà anche sessant’anni ma non gli si sta dietro. A mani nude, ovvio. A proposito” quella raccomandazione proprio non gli era andata giù “perché dovevamo trattarlo bene? L’im-portante non era il ragazzino?” si era rivolto a tutti ma guardava dritto verso la Scattaro. “L’importante in questa storia è Trentoni. E dobbiamo te-nere in vita le persone che sanno dov’è.” La Scattaro cer-cò di essere il più chiara possibile. “Il ragazzino è impor-tante fino ad un certo punto. Senza Trentoni avrebbe pub-blicato la sua scoperta, sarebbe diventato probabilmente milionario e nulla di questo sarebbe accaduto. Ma Trento-ni ha scoperto tutto e lo vuole usare a suo favore.”“Secondo me glielo ha venduto Grasso stesso.” disse Gai.“E’ illogico” rispose Ciotti. “Se così fosse perché Trentoni lo sta cercando? Per quale motivo si sarebbe infiltrato da noi? No, Grasso non sta con i Ritardati.” “Nemmeno con noi.” concluse Boston. “Stava fuggendo. E’ fuggito da noi. Però non sta nemmeno con i Ritardati.

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Io credo che stia per conto suo.” Questo scenario non si era ancora mostrato nei loro piani. Eppure aveva senso. Trentoni che sfrutta la polizia per arrivare a Grasso. La polizia che sfrutta Grasso per arriva-re a Trentoni. E Grasso? Cosa voleva? E soprattutto, chi stava sfruttando?“Di Grasso cosa sappiamo?” Boston voleva saperne di più.“Più o meno tutto sugli ultimi dieci, quindici anni. La fa-miglia Grasso è, o meglio dire era, una delle più ricche e potenti della zona.” Ciotti come al solito sapeva alla per-fezione tutto ciò che riguardava la sua città. Non aveva bisogno di Google, lui. “Avevano una grossa impresa itti-ca, parliamo della fine dell’Ottocento. Quasi un secolo di attività, e sempre ai massimi livelli. Se mangiavi pesce in qualsiasi posto della regione e anche oltre, che di quei tempi era molto più accessibile che ora, c’era una proba-bilità del 95% che provenisse da loro. Mio nonno mi rac-contava che si poteva incontrare tutta la famiglia Grasso la domenica mattina per la messa. Ai suoi tempi erano gli unici in città ad arrivare davanti alla chiesa con la carroz-za. Avevano anche una enorme villa in campagna, con tanto di servitù. Ma non la servitù che c’è in giro adesso. Una boliviana che stira le camicia la chiamano addirittura domestica. No, loro avevano una servitù colta, signorile, molto raffinata. A tutti i modi, nei primi anni novanta mo-rirono i titolari dell’azienda, Adolfo Grasso e sua moglie Berta. Dal nulla, nessuno si ricordava più di lui, spuntò fuori Ivan, il loro unico figlio. Tutti credevano che si sa-rebbe messo a capo dell’azienda di famiglia, un marchio storico, e invece vendette tutto. Azienda, terreni, posse-dimenti ,tutto. Tenne solo la villa di famiglia, forse per ricordo. La notizia era su tutti i giornali e come spesso

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accade, passati i primi giorni, nessuno se ne interessò più. Nemmeno io sapevo che ora fosse diventato professore universitario.”“Questa storia conferma che c’è qualcosa che non va con quel tipo” concluse Boston.“E conferma anche, purtroppo, che non abbiamo uno straccio di prova. Niente.” convenne Ciotti.“Una speranza però ce l’abbiamo” disse Gai. Tutti lo guardarono con la domanda negli occhi. Era però una domanda retorica, più che un vero interesse a sentire la sua idea.“Qualcuno sa parlare portoghese?”

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Capitolo 60 - Il Cubo

Se qualcuno si fosse preso la briga di stilare una statistica su quali professioni svolgessero i membri della setta dei Ritardati, sarebbe emerso un dato piuttosto inusuale. Mol-ti dei Ritardati lavoravano nella ristorazione: bar, alber-ghi, ristoranti, fast food.Forse perché avevano più occasione di vedere dal vivo persone che vivevano di apparenza più che di sostanza. O forse era solo una coincidenza.Ma tutto sommato era un bene per la setta tutta : molti locali a prova di polizia per tenere ricevimenti, cene ed incontri.Uno in particolare si rivelava molto adatto ad incontri se-greti. Si chiamava “La Perla” ed aveva l’insolita ubica-zione al centro di una muraglia composta da quattro mon-tagne. Sembrava che ce l’avessero calata giù dal cielo.Il ristorante era interamente di legno, proprio come una baita, aveva un portico esterno pieno di fiori ed era rag-giungibile da una sola strada. Un vero e proprio cul-de-sac.L’unica strada che conduceva a “La Perla” era stata sbar-rata con una bella transenna nuova di zecca con su scritto “Pericolo Frane” a circa dieci chilometri da lì. Solo chi sapeva la verità aggirava tranquillamente la transenna e proseguiva. Ed erano tutte persone con una cicatrice sulla tempia sinistra.Il ristorante risultava normalmente aperto ma qualche te-lefonata e l’avviso della transenna avevano permesso di lasciare l’intero locale alla causa comune.La causa dei Ritardati.Erano già arrivati molti, dalla Germania, dalla Spagna, dal Portogallo, alcuni dall’Inghilterra e dalla Francia. Una

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piccola delegazione era invece arrivata a nome di molti paesi dell’est, tra cui Romania e Repubblica Ceca. La Russia non aveva praticamente nessun membro attivo, causa la Guerra Fredda nel momento in cui la setta si sta-va formando. Avevano ben altri problemi da affrontare, i russi.Tra le persone invitate c’era anche il proprietario del risto-rante, detto Il Tasso e, ovviamente, tutto il Canonicato.Il Cubo.C’era Giacomo Mucchino, il secondo Canonico italiano, fresco quarantenne che portava una lunga coda e degli occhiali da vista; Joao Alberto Jardim, un anziano signore dall’aria austera proveniente dal Portogallo dove era un politico importante; Jordan Higginbotham la più giovane dei Canonici, anche lei eletta tramite abdicazione della madre inglese, avrà avuto al massimo ventisette,ventotto anni; Covadonga Serrano, spagnola della Castilla, bionda, con il naso all’insù, ricercatrice ambientale; Mette Brog-ger Hansen dalla Danimarca, velista professionista; Olga Fischer e Karen Richter dalla Germania; la prima era un po’ in là negli anni, sfiorava i cinquanta e portava i capelli nerissimi corti; la seconda, per metà asiatica da parte di madre, era nel pieno della trentina e difficilmente le si to-glievano gli occhi di dosso.Trentoni aveva detto la verità alla polizia. Soprattutto per non confondersi lui per primo. Cinque donne e tre uomini, un portoghese, una spagnola, una inglese, una danese, due italiani e due tedesche. Anche a saperlo, era impossibile risalire ai Canonici.Oltre ai membri del Cubo c’erano anche altri membri del-la setta, accompagnatori fidati dei Canonici, un po’ come La Morte lo era per Trentoni.

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Ognuno nella setta aveva un nome, ed infatti Nicolas si presentò come Loki.Era appena atterrato con La Morte a pochi metri dall’in-gresso principale.Era appena ridiventato Nicolas.Appena lo videro entrare tutti si zittirono, più per fargli piacere che per segno di riverenza. L’essersi auto nomina-to Sommo Canonico non era piaciuto a nessuno ma si sa, squadra che vince non si cambia, e sembrava che Loki avesse qualcosa di importante da dire ai Ritardati.Si mise in piedi, davanti ad una tv spenta. Tutti i Ritardati orientarono le proprie sedie per vederlo frontalmente.Forte della sua posizione, ma anche dell’elevata cultura media dei confratelli, Trentoni parlò in italiano.“Fratelli, sono finalmente arrivato al nostro obiettivo. Per mesi e mesi, ho cercato questa chiave, questa arma da usare a nostro vantaggio. Finalmente sono riuscito a tro-varla. Ho dovuto lottare, molti dei nostri fratelli hanno dato la vita, ma ce l’abbiamo fatta.”Nessuno, oltre a La Morte, sapeva di quello che era suc-cesso veramente a Renata. Probabilmente nessuno mai l’avrebbe saputo. Non era pensabile che la polizia svento-lasse una propria sonora sconfitta ai quattro venti.“Il mondo si poggia sulle solide, ma attaccabili basi del-l’informatica.” Sembrava un discorso preparato ma in realtà gli veniva spontaneo così.“Immaginate cosa potrebbe succedere se banche, multina-zionali, archivi di stato, si trovassero improvvisamente senza il supporto tecnologico.” Prese una pausa. “Sarebbe il caos.”

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I Ritardati ora pendevano totalmente dalle sue labbra, come sempre accadeva nei suoi comizi al Theatro o altro-ve.“Io posseggo la chiave per realizzare tutto questo. Si chiama lopins.”Un leggero brusio si alzo in sala.La parola che più spesso si era sentita dire nelle riunioni della setta sparse in tutta Europa ora aveva un significato.“Venerdì, con l’aiuto dei fratelli portoghesi, prenderò pos-sesso della nostra arma. Ovviamente, se il Canonicato mi concederà la maggioranza autorizzandomi ad agire.” Era ovvio che la maggioranza l’avrebbe ottenuta, in un modo o nell’altro.Olga Fischer si sforzò di parlare in italiano. Le uscì una voce che era l’archetipo del tedesco che parla italiano. Come il dottore Birkenmayer nel film di Fantozzi, o To-rakiki nel cartone Hello Spank.“Come tu pretendere di afere maggioranza? Tu non dare dettaglien di questo lopins.”Trentoni si concesse un attimo per pensare. Arricciò il labbro superiore e rispose.“E va bene. Lopins è una persona. Un ragazzino, in realtà. Un kinder. Ha fatto una scoperta molto importante. Qual-cuno di voi si occupa di informatica?”Mette Brogger Hansen alzò la mano. Si notava un braccio muscoloso, ma non il risultato di sedute in palestra. Era un braccio forte scolpito dal duro allenamento sulla barca.“Bene, si tratta della dimostrazione di P = NP. La cono-sci?”“Yes, it’s one of the millenium prize problem. It’s about the demonstration of polinomial class is equal to nonde-terministic polinomial class.” Mette capiva l’italiano ma non lo sapeva parlare.

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“Ok, i dettagli non li conosco, ma so che sarà una bomba nel panorama informatico mondiale. Crolleranno sistemi di sicurezza, codici, tutto. Sarà il ground-zero dell’era moderna. E nel lasso di tempo in cui il mondo sarà occu-pato a ricostituire la rete, ci insedieremo come forza do-minante nella politica planetaria. Se vogliamo, potremmo anche decidere di vivere senza l’informatica. O magari solo in piccole dosi.”Il piano era affascinante e folle allo stesso tempo ed il suo ideatore non era da meno. Vedendolo parlare si poteva cogliere il fascino esercitato dalle sue parole e la follia nei suoi occhi.Tutto il Cubo era combattuto nell’animo. Nel loro profon-do, sapevano che seguire Trentoni li avrebbe portati alla morte. Rischiavano di veder scomparire la loro setta, che di anno in anno, di generazione in generazione era pro-gredita ed aveva abbracciato migliaia di fedeli. Ma la setta rischiava di scomparire lo stesso, anche negando la mag-gioranza a Trentoni; troppi convegni, troppe riunioni in quegli anni, e mai un azione.Mai.Gli anni sessanta erano finiti, persone come i loro prede-cessori non esistevano più. Per contrastare l’incessante degrado che portava il pianeta alla rovina dovevano com-battere sullo stesso piano dei loro nemici.E a ben pensarci, anche votare contro Trentoni significava quasi sicuramente morire.Loki guardò fisso negli occhi uno ad uno tutti i canonici. Si soffermò su di ognuno con un espressione muta ma sempre diversa. Conosceva le idee dei suoi. Cercò di ap-parire duro con i progressisti e positivo con i conservatori.La Morte gli aveva confidato in elicottero che i portoghesi avevano già dato la loro disponibilità. Covadonga Serrano

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era quella che conosceva meglio, e sapeva che la pensava allo stesso modo.Gli mancavano due voti. Due voti per non ricorrere alla violenza.Le sue speranze erano riposte sulla ragazza inglese, Jor-dan, ancora troppo giovane per prendere una sua posizio-ne, e sulla velista danese, Mette. Non che avesse una con-vinzione su quest’ultima ma era certo del no delle due te-desche. E poi c’era Mucchino, una persona ancora troppo lontana dal definirsi.“Prima di fotare, voglio fare tu alcune domanta.”Aveva ragione Trentoni. Dalla Germania non arrivavano buona notizie.“Prego.”“Come tu spiegare nostri venti membri di setta morti in scontro con poliziei?”“Ci hanno preso di sorpresa. Come sapete mia sorella si era recata alla polizia ed aveva spifferato tutto. Non ab-biamo avuto il tempo di organizzarci.”“E como mai tu non era là?”“Ho avuto fortuna.”“A me semprare stranen ke pochi ciorni dopo votazione per tu, tutti i nostri fratelli che avere votato contro zono morti.”“E’ stata una coincidenza.”“E dofe ezzere tua zorella ora?”“Mia…mia sorella…è…è morta” e singhiozzò.Nessuno sapeva nulla, a parte La Morte che rimaneva a guardare ammirato lo spettacolo di Trentoni. Sembrava davvero disperato.“Io avevo cercato di riprendere mia sorella, e c’ero riusci-to.” Le parole si mischiavano alle lacrime.

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“Ma durante la sparatoria, ha perso la vita anche lei. E’ per colpa mia che è morta! Solo colpa mia!”Nell’ambiente Renata era abbastanza conosciuta. Sarebbe diventata sicuramente un Canonico, se suo padre non avesse abdicato.La notizia della sua morte colpì tutti. E fece pendere la votazione dalla parte di Nicolas. Ma non all’unanimità.Per quanto fosse sconvolta dalla perdita, Olga votò con-tro. Aveva avuto modo di sapere qualcosa su Nicolas e soprattutto conosceva le antiche tradizioni nordiche. Sa-peva bene quale era la prerogativa di Loki, il figlio di Odino. Al momento di votare tenne il braccio abbassato. E così fece Jordan, l’inglesina. Evidentemente aveva rice-vuto degli incarichi ben precisi dal sotto-cubo cui faceva riferimento. Si vedeva da come non commentasse e non chiedesse nulla. Si limitava ad ascoltare e a cercare di carpire il più possibile. Era stata mandata per un sopral-luogo. Nemmeno la delegazione dell’est Europa, che non ne aveva comunque il diritto, espresse mai un giudizio.Alla fine per sei voti contro due Trentoni ottenne la fidu-cia per attuare il suo piano.Fu solo in quel momento che iniziò a raccontare ciò che aveva in mente.

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Capitolo 61 - Il maestro e l’allievo

Davide guidava con i nervi tesi ed ogni tanto sbagliava ad inserire la marcia facendo sobbalzare la vettura sulla qua-le stava viaggiando insieme a Shadow. Il suo professore aveva lo sguardo serio, fisso all’orizzonte mentre lui su-dava vistosamente sebbene fosse pieno inverno. Oltre al-l’incognita della destinazione, Shadow non aveva mai aperto bocca nei quasi venti minuti trascorsi dalla fuga da quelli che sembravano due killer del cinema, Davide stava aspettando che il professore gli ponesse la domanda che tanto temeva. E alla quale avrebbe dovuto rispondere sin-ceramente, compromettendo così quel, seppur esile, buon rapporto.Erano usciti da un pezzo dalla strada secondaria dove era sita la villa della famiglia Grasso ed ora proseguivano su una strada extraurbana abbastanza trafficata. Davide co-nosceva poco quella zona, ma continuava a guidare e a non fare domande. Shadow gli indicava la direzione da prendere con un cenno della mano.Nel bel mezzo del turbinio dei suoi pensieri, Shadow aprì bocca.“Non mi hai detto la verità.”Silenzio.“…allora prof, cerco di spiegarle…sul mio blog io…”“Tu credi sia un gioco, vero? Credi che pubblicherai la tua scoperta, che ti daranno un mucchio di soldi, che proba-bilmente vincerai un sacco di borse di studio. Idiozie.”“No, aspetti, non volevo…su quel blog ci andranno cin-que persone al mese…”Shadow continuava senza ascoltarlo. Le domande che gli poneva erano puramente simboliche, non si aspettava cer-to una risposta razionale.

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“Una scoperta del genere vale più dei soldi. Vale più di un nome scritto sui libri. Vale più del vanto di figurare ad un convegno internazionale. Vale il potere. E bada bene, il potere vale più dei soldi, se non te ne fossi accorto.”Attese una reazione dal suo studente ma Davide guardava fisso in avanti, ormai pienamente fradicio di sudore, mu-to.“Certo che non te ne sei accorto. Sei troppo piccolo.”Ecco.L’aveva detto.La frase che più odiava, che più lo condizionava da gio-vane, che mai si sarebbe sognato di ripetere, era appena uscita dalla sua bocca. E la cosa peggiore era che l’aveva detto riflettendoci sù. Non era stata una semplice reazione d’istinto, era una cosa pensata, ragionata e per giunta ve-ra. Davide era davvero troppo giovane per avere la benché minima idea di cosa facesse girare il mondo. E pensare che alla sua età lui aveva già appreso il Bujinkan ed era nel Dan-Chi…ma questa era un’altra storia.Un’altra storia di altri tempi.L’attuale invece diceva che la polizia lo aveva cercato e non era mai accaduto nella sua vita. Diceva anche che i Ritardati di Trentoni avevano un solo giorno per risolvere l’indovinello che gli aveva posto ormai sei mesi fa e tutto lo faceva pensare che non si sarebbero accontentati di una pacca sulla spalla ed una sconfitta onorevole. E poi c’era-no quei due che li avevano attaccati poco fa, che gli ave-vano chiesto dove fosse Trentoni. Forse poliziotti, forse Ritardati eversivi, forse mandati dallo stesso Trentoni per creare chissà quel caos.Ma l’arma principale rimaneva sempre e comunque nelle sue mani. Mancava poco ormai alla conferenza portoghe-se e una volta divulgata la scoperta ci sarebbe stato ben

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poco da fare. Davide sarebbe stato protetto da organizza-zioni e stati ben più potenti di lui, che già di suo tanto de-bole non era. Nessuno, tra Stati Uniti, Russia o Cina si sarebbe fatto scappare l’opportunità di avere tra le proprie fila una persona del genere. E lui sarebbe stato lì, pronto a ritagliarsi uno spazio.Perché il potere, Shadow lo sapeva bene, è ben più impor-tante dei soldi.

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Capitolo 62 - Vorrei incontrarti

Cercando di trarre un bilancio da questi primi giorni di lavoro sul caso, nessuno poteva dire nulla di positivo sul-l’ispettore Gai. Era quello a cui era stato affidato il caso per primo, era quello a cui era stata consegnata la testi-mone, era quello che non aveva creduto alla sua storia e che si era fatto sfuggire Trentoni da sotto il naso.Oltre a tutto questo, ne era anche uscito male, nel pieno di una crisi esistenziale e sessuale dalla quale a stento ri-usciva ad uscire per malapena pochi minuti. Riusciva a fare un ragionamento, magari a sorridere o fare una battu-ta, poi ripiombava in quel silenzio personale ripensando a quel “Tu mi ami!” urlato da Trentoni mentre fuggiva con l’elicottero.L’amore.La cosa che più di ogni altra fuggiva nella sua vita. Que-sto evento non poteva che allontanarlo ancor di più dal provare sentimenti verso le donne. L’unica donna che si era sentito, non proprio di amare, ma comunque di rispet-tare e magari coccolare sotto le coperte di una domenica pomeriggio piovosa, si era rivelata il capo, maschio, di un organizzazione terroristica.Il piano che aveva proposto non era granché, lo sapeva anche lui, ma doveva tentare. Gai voleva, prima che que-sta storia finisse, rincontrare di nuovo Nicolas. Guardarlo negli occhi. Sentire cosa provava. Si stava man a mano convincendo che se lo avesse visto al naturale, lo shock gli sarebbe passato, e sarebbe potuto tornare la persona che era prima.Non ragionava razionalmente, sapeva che l’idea di andare in Portogallo senza un minimo indizio era rischiosa, ma lui doveva tentare.

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Il pm Scattaro stava analizzando tutti i pro e i contro di questa spedizione ad alta voce, valutando insieme al commissario Ciotti come e se sarebbero partiti. Nessuno pensava che dietro tutto questo ci fosse una questione amorosa.Jack e Boston erano taciturni. Per loro viaggiare non era mai stato un problema, se non quello di dover noleggiare una macchina sul posto, nel caso di un viaggio in aereo.Gli indizi che avevano erano meno di una manciata. Anzi, quasi nessuno. Le uniche cose che sapevano sui Ritardati erano quelle che gli aveva detto Trentoni (se fossero vere o false però nessuno lo sapeva) e quelle trovate dal Siste-mista sul web, ma erano informazioni reperibili da chiun-que.Però c’era quella pagina scritta in portoghese, di questa setta degli Atrasados, che parlava di lopins.L’unica traccia che avevano era quella. In Portogallo si parlava di lopins. E Lopins stava per partire per il Portogallo.Ciotti lasciò l’incarico della decisione al pm che a malin-cuore diede il suo avvallo. Non gli sembrava una grande idea, ma dovevano correre il rischio.“Va bene, chiamo il ministero immediatamente e predi-spongo il tutto per la partenza” disse la Scattaro.“Come ci organizziamo? Andiamo in incognito?” Gai era finalmente sollevato. La sua speranza di rivedere Nicolas prendeva forma.“Data la sua recente situazione psicologica e la sua non impeccabile condotta credo sia meglio che lei rimanga a casa.” Il pm gli aveva appena dato una pugnalata.“Che cosa?”

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“La missione che si sta organizzando non può lasciar spa-zio a drammi privati. Ci servono tutti gli uomini al mas-simo della forma.”Ciotti era d’accordo con il pm. Non voleva portare Gai in un operazione che poteva rivelarsi pericolosa. Ed in quel momento l’ispettore creava i problemi anziché risolverli.“No, mi sento responsabile. Mi è sfuggito da sotto le ma-ni. Ho sulla coscienza il peso della sua fuga. Voglio essere io ad arrestarlo.”“Non se ne parla. Un poliziotto emotivamente coinvolto non può prendere parte al caso. E questo è quanto.” Il pm alzò la cornetta del telefono sulla scrivania di Ciotti e compose il numero del ministero della difesa.“Sono il pm Valentina Scattaro. Devo parlare immediata-mente con il signor ministro.”Mentre il pm era al telefono, Gai fece pressione su Ciotti.“Rob, ci tengo a questo caso. Voglio esserci io ad arrestar-lo. Voglio che quello stronzo veda me, quando sarà battu-to. Ti prego, fallo per me. Per me.” Gli occhi di Gai erano imploranti. Si vedeva che non c’era il solo motivo profes-sionale dietro quella richiesta. C’era un motivo umano. Ciotti lo capì, si prese un attimo poi fece un cenno con la mano aperta alla Scattaro che seppur al telefono continua-va ad ascoltare le parole di Gai.“Si, va bene. Quattro posti. No, io non parto.”

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Capitolo 63 - Boa viagem

La Scattaro diede uno sguardo a Ciotti, di quelli che signi-ficano “me lo spieghi dopo che cazzo succede qua dentro” e come ogni buon leader si affrettò a fare buon viso a cat-tivo gioco.Aveva trascorso un abbondante quarto d’ora al telefono con qualcuno al ministero della difesa.“Va bene, se il commissario garantisce per lei, le darò il mio appoggio più totale per quel che riguarda questa tra-sferta. Io rimarrò qua in Italia e cercherò di essere pronta qualora il piano di Trentoni fosse di dimensione naziona-le. Il ministro ci ha dato immediata disponibilità. C’è un aereo che parte per Funchal domani mattina. E’ un aereo di linea e farà scalo a Lisbona quindi appena possibile ci invierà per e-mail i permessi per il trasporto delle vostre armi. Inutile dirvi che sarete in incognito, almeno sull’ae-reo.”“Con questi due dietro chi vuoi che ci creda?” pensò Gai immaginandosi la scena in cui Jack e Boston salgono sul-l’aereo.“Domande?” chiese il pm.“Direi tante” intervenne Ciotti. “Ad esempio, come ci muoviamo? Dove dobbiamo andare? Cosa dobbiamo fa-re?” il tono era evidentemente ansioso. Non aveva mai amato viaggiare ed alla sua età lo considerava un proble-ma non da poco.Con un tono risoluto, da promoter più che da giurista, il pm spiegò tutto quello che dovevano sapere.“Alloggerete all’Hotel Pestana, un albergo a cinque stelle che dà sul mare. Siamo riusciti ad avere con difficoltà due camere doppie, evidentemente il convegno ha attirato sul-l’isola molte persone. Il convegno del Clay Institute si

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terrà il giorno dopo il vostro arrivo al Tecnopolo, ovvero nel palazzo dove normalmente si tengono i convegni uni-versitari. Il palazzo del Tecnopolo è infatti gemello a quello dell’università locale. I due edifici sono divisi da un corridoio di vetro chiamato delfinario nel gergo stu-dentesco. Alle 11.00 inizieranno i convegni degli studenti, e probabilmente Ciambelli sarà tra questi. Dico probabil-mente perché sul sito non c’è un programma degli eventi. La mia idea è che voi scortiate in maniera trasparente agli occhi di Grasso il suo studente, sorvegliandolo da lontano ed eventualmente bloccando a priori gli attacchi dei Ri-tardati. Il ministero mi ha anche dato i nominativi dei prossimi voli per Funchal. Grasso e Ciambelli hanno pre-notato il volo del pomeriggio, quello dopo il vostro.”“E perché allora non prendiamo anche noi quel volo?” Gai come al solito non aveva capito la finezza.“Perché, ispettore, Grasso non deve sapere che sarete lì anche voi. Non sappiamo ancora da che parte sta, e se vi riconosce salta la copertura. E poi avrete qualche ora in più per sistemarvi, studiare il territorio e prepararvi a ri-ceverli.”“Siamo nello stesso albergo?”“Questa è l’unica incognita del caso. Forse hanno preno-tato con un nome falso. Forse alloggiano presso un priva-to. Dal ministero stanno cercando di incrociare i dati dei pagamenti per le prenotazioni con le carte di credito con i dati trasmessi per prenotare il biglietto aereo ma credo che partirete con questo dubbio. Altre domande?”“Sì.” Era sempre Gai. “Come cazzo ha fatto a sapere tutte ’ste cose in dieci minuti?”“Alla difesa non ci lavorano quattro gatti morti dal son-no.”“Ah.”

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“Altre domande?” stavolta la Scattaro credeva di aver fi-nito.“Sì, da parte nostra.” era Boston.“Cosa succede se cercano di rapire il ragazzino prima che prenda l’aereo?”“Assolutamente niente. All’aeroporto vi scortano i P.I.R.O.”

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Capitolo 64 - Boa viagem tambèm

Oltre alla polizia, anche i Ritardati stavano organizzando la partenza per il Portogallo. Ovviamente non c’entravano nulla aerei di linea ed alberghi. La setta poteva disporre di ingenti mezzi.Nel tepore prodotto dal camino della sala da pranzo de “La Perla” Trentoni esponeva il suo piano al Cubo. In par-ticolar modo, parlava con il Canonico Joao Alberto Jar-dim. L’anziano politico, nonché governatore della regione autonoma di Madeira, prestava molta attenzione alle paro-le di Nicolas. L’azione cadeva proprio sotto la sua giuri-sdizione e per un paese da sempre considerato di “serie B” poteva essere un punto di svolta.“La chiave, il nostro obiettivo, è un ragazzino di nome Davide Ciambelli. Ha scoperto una cosa molto importante per l’intero mondo informatico e la mia intenzione è uti-lizzarla per ricattare le maggiori aziende del settore ed i paesi industrializzati.” Per una volta nella vita Trentoni parlava senza omettere o mascherare niente. Ma c’era da giurarci che ci fosse dietro un perché.“L’unico ostacolo tra noi e la chiave è un convegno. Che si terrà venerdì mattina a Funchal, nell’isola di Madeira. Ora, tutto quello che dobbiamo fare è prendere il ragazzi-no prima che esponga al mondo intero la sua scoperta perché a quel punto sarà inutilizzabile. Tramite i nostri contatti ho scoperto che il ragazzino partirà con il suo pro-fessore, un certo Ivan Grasso di cui si sa poco o nulla, nel pomeriggio di domani.” La prima bugia di Trentoni aveva fatto la sua comparsa.“Quindi dobbiamo fare adesso!” disse Jardim con un ita-liano non proprio eccellente.

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“No, non c’è fretta. Preferisco andare a prenderlo sull’iso-la. La polizia italiana ha intuito qualcosa e potrebbe esser-ci di intralcio. Invece, una volta arrivati a Madeira, la si-tuazione sarà a nostro completo favore. L’intera isola è nostra. Abbiamo membri ovunque, a qualsiasi livello. Prenderli sarà più semplice una volta arrivati.”I membri del Cubo si erano convinti. L’operazione si pro-filava meno eclatante e difficile del previsto. Bisognava rapire un ragazzino e relativo accompagnatore, magari anziano. Niente di così invalicabile, rispetto all’ottenere un ruolo di prestigio nella politica mondiale.“Quanti uomini dofere kiamaren?” anche Olga si era con-vinta.“Tutti i fratelli sull’isola devono ritenersi arruolati venti-quattro ore al giorno a partire da ora. Da fuori credo che bastino poche persone. Tre o quattro al massimo. Il mini-mo necessario per coordinare il tutto. Ma soprattutto de-vono essere persone fidate.”“Chi vuoi se ne occupi?” chiese Mucchino.“Ci andrò io. Personalmente.”

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Capitolo 65 - Chagas

La telefonata arrivò come un lampo di flash. Raramente lo chiamavano per lavoro al cellulare dopo l’orario di chiu-sura del negozio e nemmeno questa faceva eccezione.“Estou”“Chagas? Sono Loki.”Istintivamente Chagas sentì il bisogno di abbassare la vo-ce ed andare sul retro del negozio, dove si era trattenuto per terminare qualche lavoro arretrato.La politica era dalla loro parte ma nella polizia c’era an-cora qualcuno determinato a fare per bene il proprio me-stiere.“Mi diga.” Nonostante fosse italiano da generazioni, la lingua che parlava ormai da sei anni stava prendendo il sopravvento.“Ho bisogno del tuo aiuto. Un grosso aiuto.”“Tudo quello che desidera.” In portoghese si dava abi-tualmente del voi. Dare del lei ora lo considerava quasi amichevole.“Venerdì mattina ci sarà un convegno al Tecnopolo. Un convegno importante, internazionale. Ho già avvertito molti dei fratelli laggiù. Ma per te ho un compito specia-le.”Chagas ascoltava con attenzione allisciandosi il pizzetto.“Tramite il tuo lavoro non ti dovrebbe essere difficile ri-uscire ad entrare. Devi tenermi d’occhio un paio di perso-ne. Un uomo sui sessanta ed un ragazzino, entrambi ita-liani.” Fece una pausa. Voleva che il suo interlocutore re-cepisse tutto per bene. “Il mio desiderio è che tu non ab-bia nessuno da controllare, perché vorrebbe dire che la nostra missione è riuscita per tempo. Ma se qualcosa do-

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vesse andare storto tu sarai là e non li perderai mai di vi-sta. Intesi?”“Sì, tutto claro.”“Perfetto” e riagganciò.Chagas poggiò il cellulare sul bancone del negozio ormai chiuso e tornò nel retro a terminare il proprio lavoro.

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Capitolo 66 - Il prof e lo studente

Con un po’ di forza la porta cedette. Una puzza di umido mista a calcinacci si era sprigionata fuori dal vecchio ap-partamento dopo lunghissimi anni.Shadow e Davide avevano aspettato in macchina, a volte girando intorno, a volte sostando su una piazzola di servi-zio, che si facesse buio. Il piccolo paese in cui si erano recati era in genere abbastanza dormiente, ma dovendo ricorrere allo scasso per potersi permettere un rifugio per la notte, era più prudente farlo con l’oscurità.Shadow conosceva quel posto, nei suoi primi anni di vita veniva spesso con i suoi genitori a passare i pomeriggi delle domeniche. Erano momenti lieti, spazzati via dalla sua decisione di partire per il Giappone.Davide seguiva il suo professore come un segugio, non lo perdeva d’occhio nemmeno un istante, terrorizzato di po-ter rimanere da solo in un posto che non conosceva e dove qualcuno poteva scovarlo.Arrivarono davanti ad una porta di legno, appena dopo l’imbocco di un vicolo. Shadow fece segno a Davide di fermarsi e di non fare rumore. Si guardò intorno e diede un secco calcio alla porta, proprio in prossimità della ser-ratura ormai arrugginita. Shadow fece entrare il ragazzo velocemente e richiuse la porta dietro di sé controllando che nessuno avesse visto o sentito niente.Davide attendeva in piedi nel buio di quella che doveva essere una sala.“Cosa stai facendo? Troviamoci un posto per dormire. Non possiamo arrivare fino a venerdì senza mai riposar-ci.”“Io…io voglio sapere cosa succede.”

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Il tremore dalla voce non sparì, ma l’espressione che fece fu abbastanza convincente.“Cosa vuoi sapere ?” Shadow stette al gioco.“Beh…perché stiamo fuggendo. Chi erano quei tipi che ci hanno aggredito a casa sua. Chi è quel Trentoni che cer-cavano. E…chi è lei in realtà.”L’intelligenza di Davide non era mai stata in discussione e Shadow fu piacevolmente sorpreso del riassunto del suo studente. Apprezzava la sua intelligenza ma non signifi-cava che gli avrebbe spiegato tutto. Cominciò con qualche piccola verità, ma aveva deciso che prima di atterrare a Funchal gli avrebbe rivelato tutto.Forse.“Va bene, sediamoci.” E si sedettero su di una antiquata rete metallica, in quella che doveva essere la camera da letto. Nell’oscurità tutti i movimenti erano goffi e rallenta-ti.Shadow accennò un sorriso e iniziò a parlare.“Stiamo fuggendo perché qualcuno è venuto a sapere del-la tua scoperta. E vuole impadronirsene.”“Ma noi non la stiamo nascondendo…voglio dire…ve-nerdì lo saprà il mondo intero.”“E’ questo il punto. Chi ci cerca vuole tenersela per sé.”“Lei sa chi è che ci cerca?”“Non ne sono più tanto sicuro. Ma chiunque sia riuscire-mo a divulgare la notizia.”“E’ quel Trentoni che vuole rubarci la scoperta?”“Lui è solo uno dei tanti. Uno di quelli che gioca allo sco-perto. Se tu mi avessi dato retta nessuno sarebbe risalito a te.”Ecco che tornava quell’argomento.

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“Ora non è il momento per recriminare. Cerca di dormire. E se non sei troppo stanco ripetiti mentalmente il discorso per venerdì.”Shadow si alzò ed uscì dalla stanza. Seppur spartano, il giaciglio di metallo era il più comodo della casa e lo avrebbe lasciato al ragazzo.“Non ci sono coperte, dovrai arrangiarti con i vestiti.”“Prof…posso farle un ultima domanda?”“Sì.”“Dove ha imparato a combattere in quel modo? Ha studia-to arti marziali?”“Il ninjutsu non è un arte marziale. E’ una filosofia.”Nel buio della casa Davide non poté vedere quell’espres-sione sognante e severa dipintasi sul volto del suo profes-sore.

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Capitolo 67 - Ora

“Hai preso tutto?”“No, ho fatto solo la borsa degli attrezzi.”“L’hai preso un UZI anche per me?”“Sì, sì. Però adesso cercavo il phon.”“Sarà in bagno.”“E no, non lo trovo!”“Senti, il backgammon lo prendo io.”“Eccolo! Era in cucina.”“Ah già! Ci avevo asciugato i calzini.”“Ma in cucina?!?”“Sì perché sennò mi si bruciava la polenta.”Jack e Boston stavano mettendo le ultime cose in valigia. Sebbene non fossero sicuri di dover usare le armi, per loro la prudenza non era mai troppa.

“Partiremo io e te. Domattina con l’aereo privato di Jar-dim. Ci sarà anche lui, così passeremo da ospiti ufficiali.”“Scusami Loki, ma non ci farebbe comodo qualcun al-tro?”“Ho già chiamato Chagas.”“Ah. Bene.”La Morte e Trentoni avevano deciso di rimanere a “La Perla”. Il mattino seguente sarebbero decollati con il CH-7, destinazione aeroporto militare dove li attendeva un piccolo charter destinazione Funchal.

“Ti troverò. Lo so che ci sarai anche tu. Lo so, vuoi veder-ti lo spettacolo in prima fila.”Gai era nello stanzino di casa sua. Aveva tra le mani dei vestiti appartenuti ad una donna ormai morta che non ha mai conosciuto e che invece crede di amare.

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“Prendiamo come esempio il gioco del sudoku. Oppure la procedura per cifrare dati con l’algoritmo RSA…”Davide aveva freddo, cercava di coprirsi con il giaccone più che poteva, ma prima di abbandonarsi al sonno stava ripercorrendo mentalmente i punti chiave del suo discor-so.

“Agente Severini?”“Mi dica.”“Domattina lei e la sua squadra siete operativi. Dovete scortare degli agenti in partenza fino all’aeroporto.”“Ancora i Ritardati?”“Affermativo.”Il pm Scattaro non aveva un buon presentimento. Avrebbe preferito partire anche lei per il Portogallo. Lasciare a quattro uomini la responsabilità di una missione tanto de-licata non la lasciava dormire tranquilla.

“O que acontece?”“Nada. Estou um bocadinho nervoso para o trabalho.”“Gregorio, vem dormir. Sao as duas horas!”“Ta bem, ta bem, chego.”Erano diversi anni che Gregorio non prendeva parte ad una operazione sul campo. Si era trasferito per non dover-si più sporcare le mani e mai avrebbe immaginato che proprio laggiù avrebbe preso parte ad un azione organiz-zata da Trentoni in persona. Nella sua casa di Sao Marti-no, sua moglie Estrela lo aspettava a letto.

“Stavolta è l’ultima, lo prometto. Se esco vivo da questo caso, vado in pensione.”

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Sul letto c’era preparata una enorme quantità di vestiti, sintomo di chi non viaggia spesso. Ciotti sperava fosse l’ultimo viaggio di lavoro della propria vita.

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Capitolo 68 - Armi e bagagli

Fortunatamente per i civili e per i gestori dell’aeroporto i Ritardati avevano deciso di passare all’attacco direttamen-te sull’isola di Madeira. Avere uno scontro contro gli uo-mini del P.I.R.O. in pieno giorno all’interno di una struttu-ra pubblica piena di civili ignari dei fatti sarebbe stato un problema. Gli stessi P.I.R.O. , che normalmente fremeva-no per entrare in azione, stavolta facevano gli scongiuri per non dover estrarre le armi.Per non destare sospetti, K-Nossi parcheggiò Ciccio qual-che centinaio di metri prima dell’ingresso al terminal e si appostò lì. Jack e Boston, che quando prendevano l’aereo avevano l’abitudine di mettersi in giacca, erano scortati dalla Mondeo di Serpico mentre Ciotti e Gai erano partiti con l’auto di Pixel.Per garantire una degna copertura della zona Supermotor ed Akane avevano raggiunto in moto un ora prima l’aero-porto, appostandosi in un bar nei pressi del gate.La mobilitazione fortunatamente non servì, e gli agenti in partenza congedarono la scorta che poteva tornare alla base. Ma sempre in servizio, in quanto il pm Scattaro li aveva messi in reperibilità non stop fino alla mattina di sabato.All’interno dell’aereo di linea portoghese, Jack e Boston si andarono a sedere ai propri posti, una fila dietro a Ciotti e Gai.Entrambi avevano anche il bagaglio a mano, al contrario dei loro compagni viaggio che avevano solo il bagaglio imbarcato al check-in.“Che vi siete portati dietro? Tutta casa?” Era Gai che si era girato all’indietro per fare conversazione.

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“In una abbiamo portato qualcosa per passare il viaggio e nell’altra…”Una delle hostess si era avvicinata ed interruppe la con-versazione. Chiese in portoghese cosa avessero nel baga-glio a mano perché dal check-in gli era stato segnalato un qualche errore e doveva ricontrollare.Boston estrasse una carta bollata dalla tasca della giacca e la mostrò alla hostess aprendo un pezzettino la zip del borsone. Con gli occhi sgranati e una voce tremolante la hostess ringraziò e si diresse in fondo per la solita recita “le uscite di sicurezza sono qui qui e lì.”“Dicevo, nell’altra abbiamo i ferri.”“Una borsa intera?!?”“Cazzo, stiamo via due giorni.”“Ehi Rob!” Ciotti era già quasi addormentato. Aveva pau-ra della partenza e si era calmato con una tisana e un paio di pillole. Con la bocca impastata rispose con un grugnito e si voltò vero l’ispettore.“Cazzo Rob!” stava urlando sottovoce. “Questi hanno un borsone di armi! Io mi sono portato solo la pistola d’ordi-nanza!”“Perché tu non le sai usare le armi, Stè.”“Ma che caz…non lo state a sentire.”“Da quanti anni è in servizio ispettore?” chiese Jack.“Sono otto anni a marzo.”“E quante volte ha sparato? Non intendo dire se ha ucciso o ferito qualcuno, intendo dire premere il grilletto.”“Boh non so…tre volte..forse due…”“Capisco” Jack si fece una risata e si allacci òla cintura.Incassata la figura di merda Gai si girò e tornò al suo po-sto.Passarono cinque minuti dal decollo e Gai si girò nuova-mente verso i due agenti speciali.

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Stavolta li vide concentrati e silenziosi, intenti a giocare a backgammon.“Chi vince?”Zero risposte.“Ma…come cazzo giocate?”Lo sgomento di Gai era ben giustificato. La tavola del backgammon di legno, i triangolo, le pedine, i dadi, era tutto nero.“Praticamente” Boston stava agitando il bussolotto con i dadi “si litigava sempre per chi dovesse prendere i neri. Fare una volta per uno era una cazzata da bambini e di giocarsela in qualche modo era troppo rischioso.”Gai rifletté sul quel ‘rischioso’ detto da uno che ammaz-zava la gente per professione e che se ne andava in giro con uno zaino di pistole ma aveva paura di passare la vita a giocare con le pedine bianche.“Allora abbiamo pensato di comprarlo uno che invece di essere nero e bianco fosse rosso e blu.” Con un doppio 3 aveva mangiato una pedina di Jack. Ma non ci rispec-chiavamo nei colori. Dopo un paio di partite lo abbiamo buttato dalla finestra. ”L’ispettore non stentava a crederlo.“Così ce lo siamo fatti fare uno su misura. Se vede bene ” e mostrò da vicino la pedina appena mangiata a Jack “non è interamente nera. Al centro c’è un pallino rosso. Sulle mie il pallino è verde. E gli stessi colori contraddistinguo-no le cuciture delle punte e i puntini sui dadi.”Jack lanciò i dadi e ottenne un 4 e un 5. Rientrò con la pedina presa dalle mani di Gai e la partita riprese.Gai era allibito così torno al suo posto ed ascoltò un po’ di musica con l’Iphone, sfogliando un catalogo di moda.Mentre Amy Winehouse “tornava al nero”, al suo fianco Ciotti si godeva un profondo sonno.

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Capitolo 69 - Una coppia all-in

4 anni fa.

“Ma dov’eri finito? Ti cerco da mezz’ora!”“Scusa, ero in videoteca. Cercavo il film che mi manca per l’esame di venerdì. Che c’è?”Era l’ora di pranzo, e tutti gli studenti del campus si sta-vano dirigendo verso la mensa universitaria.“Guarda qui.”Simone alzò un volantino davanti agli occhi di Paolo. Rosso su bianco, una scritta urlava che ogni mercoledì e venerdì si poteva giocare a texas hold’em no limit. Ovve-ro il poker sportivo a due carte senza limite di puntata. Più in basso si ricordava che l’iscrizione era di sole 15 euro e che si poteva arrivare a vincere fino a 400 euro.“Quindi?”“Come quindi? Se vinciamo paghiamo l’affitto dello stu-dentato per un altro mese.”“E poi? Il mese prossimo siamo da capo. No mi dispiace, non ci sto.”“E come vorresti fare? Troviamo un lavoro? Torniamo a casa?”“Non l’ho detto. Ho detto che investire 15 euro a testa, per vincerne 400 non mi pare una buona idea.”“Allora non lo so…cerchiamo di dare ripetizioni a qual-cuno o…”“No no, la strada del poker mi sta bene, lo sai. E’ che dobbiamo puntare più in alto. Lo sai chi è PellePelle?”“Certo che lo so. E la risposta è no.”Simone si avviò per il corridoio, stracciò e gettò il volan-tino in un cestino.“Ma ascoltami prima.” Paolo gli era tornato davanti.

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“PellePelle organizza delle serate diciamo private, in uno degli uffici sopra la mensa. Ci sono tutti universitari forse, ok, qualcuno non è uno studente ma sono comunque ra-gazzi. Non ci sono professionisti di mezzo.”“Ma giocano con puntate minime di 100 euro. E non l’ho sentito dire solo una volta, che qualcuno ci ha rimesso di brutto.”“Ma siamo in due. In genere organizzano tavoli da otto persone. Al massimo nove. Non dico di giocare sporco, tutti sanno che abitiamo insieme e quindi non ce lo fareb-bero fare. Però possiamo andarci due sere diverse. Così il primo va a capire chi gioca come, ed il secondo va e vin-ce.”“Forse però ti sfugge che siamo in ritardo con la retta di due mesi e dobbiamo anche pagare l’affitto. Con cosa ci sediamo al tavolo di PellePelle?”“Dove l’hai buttato quel volantino?”

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Capitolo 70 - Sala d’aspetto

Lo scalo a Lisbona fu relativamente breve. Ciotti ne ap-profittò per andare in bagno con comodo e risvegliarsi, Gai cercò di abbordare con discreto successo una bionda canadese che però aveva come destinazione Barcellona. Poco male, Gai lo aveva fatto per tenersi in allenamento.Jack e Boston tenevano sotto controllo il borsone mentre guardavano un programma tv nazionale in uno degli schermi siti in sala d’aspetto. Il loro bagaglio culturale, fatto di missioni all’estero, gli consentiva di capire tutto ciò che il tarchiato presentatore stava dicendo.Nello stesso momento, anche Shadow e Davide erano in una sala d’aspetto di un aeroporto, ma erano ancora in Italia.Lungo la strada per l’aeroporto si erano fermati per fare colazione in un autogrill e con l’occasione si erano rimes-si in sesto dopo una notte passata all’avventura. La pro-spettiva di una doccia calda e di un letto morbido una vol-ta arrivati a Funchal era la linfa vitale in quel momento per il giovane studente.Shadow aveva ripreso a non parlare. Apriva bocca solo quando necessario e mai per più di quattro o cinque paro-le. Il timore che i Ritardati fossero ovunque lo teneva in allarme.Nonostante tutte le paranoie (“accortezze” avrebbe detto Shadow) i due erano arrivati in orario all’aeroporto e sen-za imprevisti.Ritirarono i biglietti al check-in, imbarcarono i bagagli e si diressero direttamente al gate.Fu Davide ad interrompere il silenzio.“Dormiremo in albergo? Crede sia sicuro?”

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“No, non ho prenotato nessuna camera d’albergo. Lo avrei fatto ieri, ma gli eventi recenti me lo hanno sconsi-gliato. Una prenotazione è semplice da scovare e, a diffe-renza dei biglietti aerei, non necessaria.”“Mi scusi prof…ma…intendeva prenotare ieri sera? Con tutta la gente che arriverà per la conferenza? Mi dica la verità, per una volta.”Shadow era irritato da tutte quelle domande, ma si era ri-promesso di dire tutto al ragazzo.Quasi tutto.“Va bene, ti spiegherò tutto. Quando due sere fa sei venu-to da me per rivedere la presentazione, qualcuno era stato lì prima del tuo arrivo. Mi aveva chiesto di te. Era riuscito a sapere che avevi scoperto qualcosa di importante. Ero alle strette, minacciava di uccidermi. Così per salvarmi la vita gli ho dato il tuo nome.”“Che cosa? Allora mia madre, mio padre, sono in perico-lo!”“Sta tranquillo. Gli ho dato il tuo nome informatico. Gli ho detto che era lopins quello che cercavano. Ero sicuro che da questa sola informazione non sarebbero arrivati a te e avrebbero lasciato in pace me. Invece, grazie al tuo blog eccoci qua. In fuga.”Davide si sentiva in colpa. E ne aveva anche, una minima parte. Ma questo non poteva saperlo. Non riusciva ad immaginare il suo professore, che tanto si era sbattuto per aiutarlo nella ricerca, a venderlo a qualcuno.“Quando questa persona se ne è andata, ti ha visto entrare dal cancello. Vi ho osservati dalla finestra. In quel mo-mento ho disdetto la nostra prenotazione. Ma non quella per l’aereo. L’aereo lo dovevamo per forza di cose co-munque prendere. Quindi bisogna stare attenti, perché potrebbero volerci attaccare qui.”

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“Allora quei due di ieri mattina chi erano? Se volevano me, perché invece se la sono presa con lei?”“Non ho idea di chi fossero. Ma dal loro atteggiamento non credo che fossero dalla stessa parte di chi ti vuole.”Shadow aveva il sospetto che fossero della polizia ma non intendeva rivelare troppo a Davide. Dirgli che era ricerca-to da un uomo che aveva minacciato di ucciderli, che era-no in fuga, che i suoi familiari potevano essere in perico-lo, era già tanto.Fortunatamente il gate si aprì e poterono prepararsi a sali-re sull’aereo.“Ora facciamo silenzio e cerchiamo di non dare nell’oc-chio.”

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Capitolo 71 – Tranquillità apparente

Nella prima serata di giovedì 13 Novembre, il bianco-verde aereo di linea atterrò all’aeroporto di Santa Caterina in perfetto orario. “All’estero sono sempre più precisi” pensò Davide.La temperatura era notevolmente più alta rispetto all’Ita-lia, la gente andava in giro con solo un maglioncino, alcu-ni addirittura in camicia.Shadow e Davide ritirarono i bagagli e salirono su un taxi per farsi portare alla non troppo distante Funchal.Davide era incantato, con gli occhi fuori dal finestrino. Una lunga fila di luci brillava nel buio prima di lasciare spazio ad un immenso e profondo nero. L’oceano di notte è uno spettacolo angosciante.Shadow balbettò qualche parola in un portoghese abba-stanza buono ed il tassista li fece scendere lungo l’Aveni-da do Mar, davanti ad un locale che si chiamava FX.Sebbene Funchal fosse il capoluogo della regione, in giro non c’era praticamente nessuno, nonostante l’ora non fos-se delle più tarde.I locali erano tutti chiusi, a parte l’immancabile McDo-nald’s ma Shadow non si volle piegare alla legge della globalizzazione, così proseguirono sul lungomare in dire-zione est tenendosi l’oceano a destra. Davide non riusciva a non guardarlo.“Prof, lei non ci rimane incantato?”“L’oceano diventa noioso, quando lo si ha davanti per tut-ta la vita.”“Io non mi stancherei mai di fermarmi a guardarlo.”Superarono un piccolo campo da beach volley, un’incre-dibile mongolfiera ferma a terra e un infinità di chioschi

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di gelati chiusi, fino ad arrivare alla stazione centrale dei bus.Da lì la strada saliva verso l’interno, lasciandosi alle spal-le la spiaggia.A malincuore Davide voltò la schiena all’oceano e seguì il suo professore verso un hotel, il cui piano terra era occu-pato da un piccolo centro commerciale.Da quello che aveva potuto vedere da Google Earth, erano dalla parte opposta della città, rispetto al luogo della con-ferenza. Infatti, di camere libere ce ne erano a bizzeffe e nonostante le remore di Shadow, il portiere volle per forza vedere i documenti.Riottenuti i documenti, salirono in camera, che si trovava al secondo piano, numero 16.“È sicuro qua?”“Non lo so. Non posso saperlo. Smetti di chiederlo.”“Mi scusi.”“Salendo ho visto che la cucina è chiusa, quindi per ma-giare dovremo uscire. Ce l’hai un cappello, una sciarpa, qualcosa?”“Sì, ho una sciarpa.”“Bene. Mettitela e cerchiamo di non farci riconoscere.”“Ma abbiamo dato i nostri nomi alla reception.”“Appunto. Ora sanno chi siamo. Dovremo essere non ri-conoscibili ad eventuali descrizioni del portiere.”“A me sembrava un tipo a posto.”“E’ per questo che io sono il professore e tu l’alunno.”

Trovare un posto dove mangiare non fu tanto difficile. A differenza della zona del Caìs (il porto) verso il nord della città era quasi tutto aperto. Evidentemente le persone del luogo non andavano fin giù sul lungomare per mangiare fuori.

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Il solo problema era che la città di Funchal si sviluppava tutta in pendenza, e quindi girare a piedi era molto fatico-so. Il movimento fisico e la sciarpa davano a Davide un eccessivo calore e sotto alla copertura era fradicio di su-dore. Shadow non aveva corso ai ripari (un vecchio è po-co distinguibile da un altro vecchio) ma aveva una vali-getta ventiquattr'ore dove aveva riposto tutto il materiale per la presentazione di Davide. Lasciarla in albergo sa-rebbe stato un errore imperdonabile.Arrivati ad un piccolo locale senza insegna entrarono ed ordinarono. Shadow leggeva il menu e lo traduceva a Da-vide che su suggerimento del professore scelse il bacal-hau com plàtanos mentre l’altro ordinò un filetto di espa-da.La serata corse via tranquilla, nessuno sembrava fare caso a quei due turisti italiani (potevano mascherarsi quanto volevano ma l’italianità restava) e finito di mangiare tor-narono senza problemi all’albergo.Il portiere consegnò le chiavi della camera e constatato che nessuno aveva fatto perquisizioni all’interno della stanza andarono finalmente a dormire su di un letto mor-bido e lenzuola pulite.

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Capitolo 72 – Navilhas

C’è un paesino ad ovest di Funchal chiamato Camara dos Lobos. Il paese è piccolissimo, praticamente una strada, un porto, ed una piccola scogliera nera che si dilunga per-pendicolarmente ad esso verso il mare. L’età media non è inferiore ai cinquanta anni e nel resto dell’isola di Madei-ra gli abitanti di questo paese sono grottescamente chia-mati “navilhas” letteralmente “serramanico”.Trovare vita per le strade, anzi, la strada, di questo posto è impresa ardua, specialmente in una sera di metà novem-bre. Eppure se c’è un punto sulla Terra dove si possa dire che in questo preciso momento c’è “movimento” è pro-prio Camara dos Lobos.Joao Alberto Jardim lo ha fatto divenire con il passare de-gli anni il quartier generale dei Ritardati, un punto di gran lunga meno strategico di Lisbona o Porto ma di certo più sicuro.A Trentoni devono aver brillato gli occhi quando seppe che proprio in uno dei posti in Europa dove la presenza dei suoi confratelli era più massiva ci sarebbe stato lo scontro finale per accaparrarsi lopins. Però in quel mo-mento era nei panni di Renata e gli occhi non potevano di certo brillargli.

“Fratelli, irmaos, benvenuti.” Il portoghese di Trentoni era minimale ma volle lo stesso dire due parole ai suoi con-fratelli. Dopo i primi tentennamenti prese a parlare in ita-liano, con Jardim pronto a tradurre venutali passaggi non chiari.Il locale dove si erano radunati una trentina di persone era un bar sul porto strutturato su due piani. Al piano terra c’erano il bancone, i bagni, i tavoli, una televisione e al-

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cune foto ormai sbiadite di vecchie imprese di alcuni pe-scatori locali che mostravano fieri il loro trofeo.Al piano inferiore, posto sotto il livello del mare c’era quella che doveva essere la sala da gioco, con tavolini da quattro posti, muri ingialliti dal troppo fumo, un biliardo rattoppato e un altro mini bancone.Le sedie erano tutte occupate da uomini e donne accorsi da tutta l’isola per poter ascoltare dal vivo le parole del loro nuovo leader. Strano a dirsi, ma in Portogallo Nicolas era considerato un buon condottiero.“Questa notte per noi Atrasados” parlava italiano ma al-meno il nome della setta si sforzava di tradurlo “sarà il momento della verità. Questa notte scriveremo il nome di Madeira nella storia. Nella storia che noi inizieremo a scrivere da domani. Il vostro Canonico qui presente ha lavorato bene in questi anni, ha servito bene la nostra cau-sa. E’ arrivata l’ora di ripagarlo degli sforzi fatti. Fategli vedere che sapete agire. Fategli vedere che sapete osare. Fatemi vedere che siete degni della nostra setta!”Una pioggia di applausi ruppe per un momento la tensio-ne che si avvertiva nella stanza.“Ora vi dirò cosa dobbiamo fare. Per prima cosa, ho sapu-to che degli agenti della polizia italiana sono arrivati qui, sulla nostra isola.”. Trentoni era entrato totalmente nella parte. Diceva nostra isola.“Sono solamente in quattro, ma potrebbero essercene altri in arrivo. Grazie ai nostri uomini all’aeroporto sappiamo anche dove alloggiano. Hotel Pestana, camere 42 e 43. Due di loro sono pericolosi, li ho visti da vicino, mentre gli altri due sono agenti da ufficio. Possono essere bravi quanto vogliono ma contro dieci di voi non ce la faranno mai”.

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La Morte, che aveva ascoltato tutto stipato in un angolo, iniziò a passare agli altri membri delle fotocopie riportanti nomi e foto degli agenti Jack, Boston, Ciotti e Gai.“Uccideteli tutti, tranne questo qua” e sulla propria copia Nicolas indicò col dito l’ispettore Gai.“Portatemelo vivo, l’ultima volta che ci siamo visti non abbiamo avuto modo di terminare il discorso”.Trentoni stava per dare l’ordine di partire per hotel Pesta-na quando Jardim gli passò il proprio cellulare. Dall’altro capo c’era qualcuno in attesa con delle novità belle gros-se.Nicolas ascoltò quello che aveva da dire, riattaccò e sorri-dendo si rivolse alla sua assemblea: “Abbiamo un piccolo cambio di programma”.

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Capitolo 73 – Passi

Era lampante che in quei giorni sull’isola stava accadendo qualcosa di insolito. Quando i quattro poliziotti italiani scesero le scalette dell’aereo nell’aeroporto di Santa Cate-rina furono squadrati dall’alto in basso, come se raramen-te persone dal vestiario distinto sbarcassero da quelle par-ti. Evidentemente la grande massa di scienziati che stava arrivando a Funchal da tutto il mondo non aveva ancora costituito la normalità.Jack e Boston fecero strada all’ispettore Gai e al commis-sario Ciotti, vistosamente spaesato dal lungo viaggio e dal profondo sonno. Usciti dall’aeroporto si infilarono tutti nello stesso taxi (stretti, ma le spese seppur coperte dal ministero dovevano essere minime) e percorrendo la Ave-nida do Mar nel senso opposto a quello che avrebbero poi intrapreso Davide e Shadow qualche ora dopo, arrivarono fino all’Hotel Pestana.L’albergo era stupendo, interamente bianco con inserti bordeaux e oro. Alla reception capirono subito chi fossero e gli consegnarono le chiavi delle camere senza nemmeno chiedere un documento. Avrebbero dovuto capire subito che c’era qualcosa che non andava, ma vivere da star, an-che se solo per un giorno, ti fa passare di mente certe ac-cortezze.Alla camera 42 Jack e Boston salutarono i loro compagni di viaggio che invece proseguirono sul corridoio di mo-quette rosso vivo fino alla 43.“Che ne pensi?” fece Gai appena entrato e già disteso scalzo sul letto vicino la finestra.“Che è da matti.” Ciotti aveva ancora su la giacca e la cravatta ma stava già spostando i suoi indumenti dalla va-ligia all’armadio.

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“Voglio dire, credi che siano già qui?”“Sì. Tutto me lo fa pensare. All’aeroporto non è successo nulla, non ho visto niente di strano nemmeno qua all’arri-vo. Se fosse successo qualcosa in Italia il pm ce lo avreb-be già fatto sapere. Quindi sì, credo proprio che cerche-ranno di prendersi il ragazzino tra stanotte e domattina.”“E credi che ce la faremo?”“Me lo auguro.”“Rob…”“Che c’è?”“Ordiniamo la cena in camera?”“Oddio…”Nella camera a fianco l’aria era totalmente diversa. Vivere sull’orlo di una missione impossibile era ormai la prassi per gli agenti speciali del pm Scattaro che vivevano quella serata come mille altre nella loro carriera.Giocando a backgammon.Avevano trascinato uno dei comodini tra i due letti e con ognuno seduto sul porprio lanciavano dadi e stilavano classifiche.Mentre Jack malediva il cielo per un 6-3 Boston era inde-ciso se inserire al quinto posto la Becks o la Tennent’s.Ma tutto si interruppe.Il rumore di passi sulla moquette del corridoio era troppo cadenzato ed ordinato.Troppo.

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Capitolo 74 – Sedici a zero

I Ritardati mandati da Trentoni parcheggiarono diretta-mente nel parcheggio dell’hotel. D’altra parte era stato lo stesso direttore ad informare la setta dell’arrivo dei poli-ziotti italiani.I Ritardati erano circa una ventina, tutti uomini, e armati pesantemente. L’unico problema era riuscire a portare a termine la missione senza dover usare le armi. L’Hotel Pestana era uno dei più grandi ed importanti di Funchal ed era stato prenotato da molti degli scienziati accorsi per il Workshop del Clay Institute. Improvvisare una sparatoria là dentro sarebbe stata difficilmente copribile alla stampa e agli altri ospiti dell’albergo. A meno che la missione pa-rallela alla loro non fosse andata in porto. Allora sì che si sarebbe potuto scatenare il putiferio.Quando il gruppo armato entrò nell’atrio si divise in due gruppi; il primo salì le scale subito a destra mentre il se-condo attraversò la hall e prese la rampa di scale a sini-stra. Contavano di bloccare un eventuale fuga dei loro obiettivi di modo da metterli in mezzo tra due fuochi.L’hotel era silenzioso ed i loro passi non erano da meno; procedevano lentamente sulla moquette, avvicinandosi sempre più alle stanze 42 e 43.Dalle loro informazioni sapevano che nella 43 c’era l’uo-mo che Trentoni voleva vivo, così decisero di entrare dapprima in quella stanza, uccidere il suo compagno di stanza e poi usarlo da ostaggio per uscire dall’hotel.Finalmente giunsero alla porta 43.Il capogruppo salito da destra, che era lì già da una trenti-na di secondi, coordinava tutti gli uomini. Contò con le dita fino a tre poi strisciò la scheda magnetica passepar-tout nella fessura apposita sulla porta della stanza e la por-

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ta si aprì. Ciotti stava dormendo nel letto più vicino alla porta mentre Gai era in bagno con la porta aperta a sfoltir-si la barba (non si rasava mai completamente).Ancora con la schiuma sul viso, a torso nudo, scalzo e con un misero asciugamano alla vita, Gai si gettò verso il letto e arraffò tra i vestiti in cerca della pistola. Il trambusto svegliò Ciotti che in pochi secondi seppe leggere la situa-zione e si rigirò sul letto infilandocisi sotto proprio mentre i Ritardati aprivano il fuoco su di lui con delle pistole si-lenziate.“Cazzo Rob! Tutto bene?” Gai aveva finalmente trovato la pistola e si era riparato dietro al proprio letto, ad un paio di metri da Ciotti che era ad un paio di metri dalla porta.“Spara per Dio, spara!” Ciotti stringeva ancora tra le mani le lenzuola a righe rosse e bianche.Gai alzò una mano oltre il materasso e sparò un paio di colpi senza badare troppo alla mira. Infatti i colpi termina-rono sul soffitto, facendo però un po’ di paura ai Ritardati, che erano rimasti nel corridoio. Scampato il pericolo, il primo gruppo entrò nella stanza dirigendosi verso Gai al-cuni e verso Ciotti altri.Il commissario frugò nel cassetto del comodino e fu arma-to anche lui. Una vecchia abitudine, quella di tenere la pistola sul comodino mentre dormiva, che si rivelava sempre utile.Esplose subito un paio di colpi ed uccise i primi due Ri-tardati entrati. Ciotti non sparava se non era necessario, ma quando lo faceva lo faceva per bene.Gai prese la mira con più convinzione e cercò di imitare il suo amico e collega. Uno dei tre colpi sparati andò a se-gno, ferendo mortalmente un altro dei confratelli di Tren-toni.

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Venti uomini armati, con i capelli rasati, cicatrice sulla tempia sinistra, armati e preparati, vestiti e protetti, si sta-vano facendo mettere in difficoltà da due sprovveduti beccati nel sonno, uno nudo e con la schiuma da barba ancora sul viso e l’altro in un improbabile pigiama grigio e verde.Ad un eventuale fallimento Trentoni non avrebbe perdo-nato.Gli spari di Gai e Ciotti, non opportunamente silenziati, erano stati uditi in tutto l’albergo. Ormai andare per il sot-tile non serviva più. Tre Ritardati rimasero sulla soglia della stanza 43 mentre i restanti cercarono di avvicinarsi alla 42 in modo da cogliere di sorpresa gli altri due obiet-tivi: non ce la fecero.In un lampo si trovarono in mezzo al corridoio due uomi-ni vestiti da sera che senza dar tempo agli avversari di ri-ordinare le idee fecero partire le dita e i loro UZI iniziaro-no a suonare.Sei Ritardati caddero, un paio solo morti, il resto total-mente dilaniati.Jack e Boston avanzarono lungo il corridoio e fecero fuori altri cinque Ritardati che fecero sì in tempo a sparare qualche colpo ma non abbastanza da prendere la mira.Ora ne rimanevano soltanto tre, quelli che erano rimasti sulla soglia della porta, quelli che partiti per aggirare i nemici, si trovavano ora tra due fuochi. Avanzando lenta-mente per il corridoio Jack gettò via l’UZI ormai scarico ed estrasse il revolver. Appena ebbe sotto tiro i tre sogget-ti anche Boston cambiò l’arma.Quattro pistole stavano mirando tre uomini. Calcolando che Jack e Boston difficilmente avrebbero fatto cilecca rimaneva solo un Ritardato, che doveva sperare nella cat-tiva balistica di Ciotti e Gai.

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Gli agenti speciali continuavano ad avanzare e vollero sfruttare il vantaggio.“Que acontece?” chiese Boston.Nessuna risposta.“O que você está procurando?”I tre uomini ormai spacciati avrebbero a quel punto anche spifferato tutto, vista l’orribile morte dei proprio amici e fratelli. Ma l’ordine del Sommo Canonico era di tornare vincitori, o di morire provandoci.Si involarono giù per le scale correndo all’impazzata. Bo-ston freddò l’ultimo, Jack il penultimo.Considerando che non avevano nulla di concreto da chie-dergli, che magari per l’hotel avrebbero potuto incontrare qualche innocente, che era ovvio chi li avesse mandati, decisero di lasciarlo andare. Che andasse pure da Trentoni a riferire quanto accaduto.Più Trentoni si innervosiva, più c’erano speranze di bat-terlo.

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Capitolo 75 – La Policia

Gai uscì dal bagno, si asciugò il viso e si passò una crema dopobarba sulla pelle. Ciotti era seduto sul letto a parlare con Jack e Boston di quanto appena successo.“Che cosa pensa di fare commissario?” Jack si fumava una meritata sigaretta. “Non lo so. In circostanze normali cercherei di chiamare l’Interpol, o la polizia locale. Ma solo in circostanze nor-mali.” C’erano tre cadaveri distesi sul pavimento della stanza 43. E altri tredici erano stesi in un lago di sangue comune lungo il corridoio. Svegliati dal rumore degli spa-ri, tutti gli ospiti dell’albergo si erano rifugiati nella cuci-na, al piano terra, aspettando che il fragore degli spari cessasse. Quando i colpi terminarono e videro correre via un uomo sui quaranta con una pistola in mano capirono che era finita. Il direttore ovviamente non aveva chiamato la polizia, ma di fronte alle insistenti richieste dei segrega-ti nelle cucine (alcuni erano portoghesi in vacanza, ma la maggioranza erano ospiti del convegno a cui avrebbe par-tecipato anche Davide) chiamò le forze dell’ordine. Ov-viamente il direttore non era riconducibile alla setta e Trentoni avrebbe saputo come venirne fuori. Sarebbe sta-to anche facile, dato che erano morti tutti. La polizia por-toghese transennò tutto il piano dove era avvenuta la stra-ge e proseguì con gli interrogatori ai quattro poliziotti ita-liani. Anzi, due, dato che Jack e Boston ufficialmente non erano poliziotti. Ed infatti sparirono. Spostarono le armi nella stanza di Ciotti e Gai che tanto avevano il visto mi-nisteriale e misero il backgammon ancora aperto e con attenzione a non spostare le pedine, sotto il letto (al ritor-no avrebbero finito la partita interrotta dalla sparatoria). Approfittando del loro abbigliamento da sera scesero su-

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bito nella hall e appena la polizia arrivò si mescolarono tra gli altri ospiti. Quando salirono a fare il sopralluogo i due speciali erano già in un locale a bere poncha. La dif-ficoltà evidente di Ciotti e Gai a parlare una lingua che non fosse l’italiano fece passare la voglia di interrogatorio al commissario della Policia di Funchal. Si limitò a legge-re i documenti e a prendere i nomi. Avrebbe verificato il tutto via telefono con il ministero italiano. Ovviamente la polizia locale sapeva di che matrice fosse l’irruzione. Sul-l’isola i Ritardati, o meglio, gli Atrasados erano ben fa-mosi e molto ben inseriti negli organi amministrativi. Una sorta di mafia che su quell’isola aveva attecchito mentre nel resto d’Europa faticava a carburare. Solo che non si erano mai scoperti così tanto. E se erano arrivati a tanto significava che qualcosa di grosso era in ballo. E quindi la Policia si sarebbe tirata indietro. Gli Atrasados erano una forza incontrastabile, si diceva anche che Joao Alberto Jardim, il governatore dell’isola da oltre quarant’anni anni fosse uno dei membri della setta. Questo la diceva lunga su cosa potesse o non potesse fare la polizia. Ciotti e Gai tornarono finalmente a dormire mentre i loro colleghi por-toghesi tranquillizzavano gli ospiti dell’albergo montando una storia di terroristi islamici e di corpi speciali interve-nuti a sedare l’iniziativa. Non era la verità, ma in qualche modo ci erano andati vicini. Di sicuro due poliziotti come il commissario Ciotti e l’ispettore Gai non potevano aver fatto tutto da soli.

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Capitolo 76 – Nicolas si infuria

Mentre la Renault Clio blu scuro svoltava verso Avenida do Mar, il cellulare del Ritardato alla guida interruppe la concentrazione di tutto il gruppo. Erano partiti da meno di quindici minuti da Camara dos Lobos ed erano ormai a pochi metri dalla loro meta.L’uomo accanto al conducente rispose e con sorpresa sentì la voce di Jardim ordinare l’annullamento della missione. Trentoni era su tutte le furie e aveva deciso immediata-mente di farli tornare alla base.I Ritardati fecero inversione di marcia e si apprestarono a seguire gli ordini.

“Non è possibile! Siete degli idioti!”Nella luce soffusa del bar adibito a covo, Trentoni si stava sfogando con l’unico sopravvissuto della spedizione al-l’Hotel Pestana. L’uomo, vistosamente traumatizzato dal-l’esperienza e anche leggermente ferito, si stava facendo medicare sul biliardino. Trentoni camminava nervosamen-te per la stanza urlando.“Non solo avete fallito, ma avete allertato anche la polizia portoghese! Razza di idioti!”“Loki, la polìcia non farà nulla. Quasi tuda la isola è dala nostra parte.” Jardim cercava di tranquillizzare il Sommo Canonico.“E’ quel quasi che mi preoccupa! Avevamo l’occasione di arrivare al ragazzo prima dell’alba di domani. E invece queste nullità hanno giocato alla guerra nell’hotel più fa-moso e pieno della città! Hai idea di quanta gente impor-tante ci sia qua in questi giorni? Ormai la polizia sarà tutta allarmata!” Nicolas digrignò i denti e si sedette.

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“Non possiamo correre rischi ormai. Dobbiamo rimandare a domani. A domattina. Prima che salga sul palco a pre-sentare il lavoro.”“Ma domani, in pieno jorno sarà muito dificile!”“Per questo lo faremo per bene.”“Ma para la strada ci sarà muita polìcia…”“Non lo faremo per strada. Lo faremo dentro al Tecnopo-lo.”“Entrare sarà impossivel!”“Ho già qualcuno che sarà dentro.”“E chi è?”“Chagas”“Oh. Non sapevo.” Jardim rimase interdetto nell’udire quel nome. Chagas era fuori dal giro da diversi anni.“Le cose andranno fatte come dico io. Anzi, come le fac-cio io.” E si voltò ad incrociare lo sguardo dell’unico so-pravvissuto alla mattanza del Pestana, che seppe sostenere lo sguardo solo per qualche secondo, prima di abbassare la testa solennemente.

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Capitolo 77 – Il giorno

Il mattino arrivò velocemente.Davide aveva dormito benissimo, anche se a brevi inter-valli.Il giorno era arrivato e rispetto a quel che si immaginava solo pochi giorni fa le difficoltà si erano moltiplicate.Se prima il suo unico pensiero era pronunciare corretta-mente i termini inglesi, ora riuscire a riportare a casa la pelle era l’incombenza più urgente.Ma per tornare a casa sano e salvo avrebbe dovuto divul-gare la sua scoperta. E per divulgare la scoperta avrebbe dovuto presentarla. E quindi pronunciare per bene i ter-mini in inglese. Anche di fronte problemi enormi, ci si trova sempre a scontrarsi con l’immediato. Un po’ come quando un uragano raggiunge la nostra casa : l’importante è sopravvivere, ma se sopravviviamo poi dovremo pulire e mettere a posto.Shadow non voleva però che la concentrazione verso il pericolo Trentoni si abbassasse. Si affacciò furtivamente dalla finestra più volte nel giro di pochi minuti mentre Davide si vestiva. Era sicuro che Trentoni non avrebbe lasciato nulla di intentato.“Come mai ci hanno lasciati stare? Voglio dire, durante la notte avrebbero potuto trovarci” chiese lo studente mentre goffamente si avvicinava in cerca di aiuto per il nodo alla cravatta.“Non ne sono sicuro, ma credo che abbiano avuto i loro motivi. Sarebbe da sciocchi pensare che non ci abbiano trovato. Loro sanno che siamo qui, in questa stanza in questo momento. Solo che hanno ritenuto più opportuno non venirci a prendere. Ma lo faranno. Entro stamattina ci proveranno, e dovremo stare attenti.” Shadow giudicò che

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il nodo fosse abbastanza decente e Davide potè continuare a vestirsi. Era la prima volta nella vita che si metteva un vestito e che non indossava scarpe da ginnastica.“Prof…siamo soli, non è vero? Cioè…se decidono di prendermi, non ho scampo. Men che meno quaggiù, dove nessuno ci conosce.”Shadow era quasi commosso da tanta genuinità ed inge-nuità al tempo stesso.“Davide…non ti avrei mai esposto ad un rischio del gene-re se non fossi stato capace di proteggerti. Te l’ho già det-to molte volte in questi ultimi giorni : fidati.” Il tono di voce fu quello di circostanza, ma dentro di sé Shadow sa-peva bene quante poche speranze avessero.

A dispetto del calendario, Funchal offriva ai suoi cittadini una splendida e calda giornata di sole, ventilata dalla brezza che dall’oceano risaliva per le strade della città fino ad arrivare su su fino a Monte dove l’altitudine gio-cava dalla parte dell’inverno, costringendo agli eventuali pendolari un doppio abbigliamento.Shadow e Davide salirono su di un taxi simile a quello che li aveva accompagnati dall’aeroporto all’hotel e si diressero verso il Tecnopolo. Con enorme sorpresa e sol-lievo videro che le strade erano piene di poliziotti. Non semplici vigili urbani ma veri e proprio agenti di polizia, armati e schierati. Addirittura ad una rotatoria davanti ad un ipermercato c’era una camionetta blindata e almeno una dozzina di agenti.Shadow chiese il perché di tanto dispiego di forze, al che il conducente gli passò un quotidiano dicendo semplice-mente “Terrorismo.”Infatti, il giornale titolava “Sventato Attacco” con in pri-ma pagina una foto scattata probabilmente da qualche im-

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pavido curioso col cellulare che riprendeva il corridoio dell’Hotel Pestana sbarrato dai nastri della polizia e dei cadaveri sulla moquette.Sfogliando l’interno del giornale si evinceva che l’attacco era stato pianificato da un gruppo terroristico di matrice araba che aveva come bersaglio la distruzione di un ala dell’hotel, in particolare di quella dove pernottavano al-cuni scienziati americani arrivati per la conferenza del Clay. L’attacco era però stato sventato ed il gruppo inte-gralista mandante era stato già prontamente debellato dal-l’isola grazie alle sofisticate e precise informazioni del-l’intelligence.E non solo. I terroristi che stavano innescando l’ordigno erano stati identificati ed in un incredibile scontro a fuoco con l’unità speciale della polizia locale avevano tutti per-so la vita.Seppur gli articoli fossero scritti in modo meticoloso e coerente, Shadow non credeva nemmeno ad una parola. Se poi, in una delle foto “rubate” dal curioso, si vedevano le facce dell’ispettore Stefano Gai e del Commissario Ro-berto Ciotti allora non possiamo parlare di coincidenze. Evidentemente i Ritardati avevano sbagliato albergo. Op-pure avevano deciso di eliminare per prima cosa la polizia italiana considerandola più pericolosa. In ogni caso, non erano più soli.Shadow fece finta di nulla e riconsegnò il giornale al con-ducente.“Le cose stanno cambiando” pensò Shadow. “Ora la poli-zia è in allerta e anche dall’Italia sono arrivati rinforzi. Mancano solo due ore. Due ore e saremo salvi.”

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Capitolo 78 – La disposizione delle pedine

Jack e Boston non lasciavano nulla al caso. Uscendo dal-l’hotel Pestana in piena notte si erano portati dietro i pass “ospiti” per entrare al Tecnopolo ed assistere al workshop. I pass, le sigarette per Jack e una pistola a testa era tutto quello che avevano prelevato prima di liberare la camera. Dopo una notte passata tra cadaveri e pallottole avevano trovato finalmente riposo da un fittacamere poco lontano dal Pestana ed ora si avviavano in taxi verso il Tecnopolo.Avevano deciso che si sarebbero incontrati con Ciotti e Gai direttamente là.Come si notava a primo sguardo, il Tecnopolo non era nato per ospitare eventi del genere. Due palazzi gemelli di sei piani, collegati da un corridoio trasparente costituiva-no l’intero ateneo universitario, il palazzo dei congressi, la biblioteca e la mensa. Anche troppo per la piccola isola di Madeira ma decisamente poco per un convegno mon-diale. Ovunque c’erano stand di associazioni che regala-vano poster e opuscoli su inquinamento, clima e ricerche spaziali. Chiunque bazzicasse nel raggio di cento metri aveva il pass verde al collo con su scritto “guest” o rosso con scritto “admin”. Su di una bacheca nell’atrio del pa-lazzo di destra (quello di sinistra era l’università) c’era appeso il programma della mattinata dove si invitavano tutti i partecipanti alla conferenza delle 11.00 in sala quat-tro dove gli studenti non ancora laureati avrebbero espo-sto i propri lavori di ricerca.Tra la folla si erano perfettamente nascosti anche Shadow e Davide. Il primo era molto attento a notare teste rasate e cicatrici sulle tempie ma ogni tanto incontrava un vecchio

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collaboratore e si fermava a scambiare qualche parola; in alcune occasioni presentò Davide come suo “studente modello.” E ci teneva molto affinché venissero in sala quattro a sentire cosa aveva scoperto il suo studente. Da-vide capiva il perché: più gente c’era, più era difficile per i Ritardati entrare e fare quello che volevano.Mentre Shadow discuteva con un professore dell’universi-tà di Honk Hong il taxi con Ciotti e Gai si arrestò ed i due scesero. I buoni erano tutti arrivati sul luogo della batta-glia finale.Mancavano i cattivi.Eppure, tra la folla, con la cicatrice nascosta sotto i folti capelli castani, pizzetto altrettanto folto e pass rosso da “admin”, uno dei cattivi stava regolando il diaframma del-la sua reflex, pronto ad entrare in scena.

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Capitolo 79 – Il tavolo di PellePelle

4 anni fa

Racimolare i soldi ai tornei dei bar intorno all’università fu un gioco da ragazzi. Le ore spese a giocare a poker con gli amici, o anche da soli, o su internet, o a guardare vec-chie finali delle World Series si stavano finalmente rive-lando utili a qualcosa.Simone e Paolo andarono a giocare più volte in quella set-timana e a turno vinsero ogni volta. Con un investimento iniziale di 30 euro vinsero le prime 800 euro che poi rein-vestirono le sere successive arrivando ad un totale di 2000 euro.Passarono due notti a pensare come giocare, su chi dove-va andare per primo e con quanti soldi. Gli esami incom-bevano, specialmente “Storia del Cinema” per Paolo ma la prospettiva del colpo gobbo riempiva i loro pensieri.Così andarono a cercare PellePelle.PellePelle era il soprannome di uno studente di fisica, non troppo alto, dall’abbigliamento hip-hop, in regola con gli esami e universitariamente conosciuto come mago della carte. Dalla briscola allo scopone, dal poker al burraco, nei giochi di carte era imbattibile.Lo trovarono a ripulire di qualche euro di metallo dei po-veri studentelli del primo anno in una delle aule studio del dipartimento di fisica a scala quaranta.Gli dissero che avevano un migliaio di euro a testa da giocarsi a poker e lui si prese tre giorni di tempo per fargli sapere se la serata si riusciva ad organizzare.Balle.Tutti lo sapevano che si giocava sempre, ogni settimana. Quei giorni gli servivano ad indagare sui giocatori.

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Esattamente tre giorni dopo la richiesta Simone ricevete una email di conferma. Si giocava la sera seguente.Ovviamente c’erano delle regole per accedere al tavolo:- Almeno 500 euro cash.- Essere studente universitario con tanto di libretto.- Non c’erano rebuy, ovvero possibilità di rientro.- Un solo vincitore che intascava tutto il montepremi.Come stabilito, il primo ad andare sarebbe stato Simone, con ottocento euro, in modo da avere, in caso di perdita, una seconda chance con una base di partenza più elevata per Paolo.Non esistevano più né libri né appunti, solo le giocate in dvd di Johnny Chan e Max Pescatori.Arrivate le 22.00 i due salivano al terzo piano del palazzo della mensa del campus.Si giocava in uno degli uffici della direzione, in particola-re in quello del padre di PellePelle, il quale era anche pre-sente al tavolo in veste di dealer.Il perché è semplice: l’organizzatore della serata, cioè lui, intascava il 20% del piatto.Al tavolo si sedettero in sei compreso PellePelle, ma una decina di persone stava in piedi, intorno al tavolo, tra cui Paolo. Nessuno era teso come lui.Si giocava il convitto, la retta, il futuro.A detta di PellePelle non c’era il pienone quella sera per-ché si giocava con troppi pochi soldi.Simone non conosceva gli altri giocatori ma dovevano essere studenti di giurisprudenza o di medicina a giudica-re dagli orologi o dalle scarpe.La partita fu breve.Simone non vide una carta buona e lentamente perdeva le fiches. Quando capì di essere spacciato, con Paolo all’an-golo sudato come se corresse una maratona, andò all-in

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con Asso-Sette. Non uscirono carte buone e vinse il pre-sunto studente di medicina con i brufoli.A questo punto la parte di Paolo era fondamentale.Smaltirono la delusione e poche sere dopo erano di nuovo là.Stavolta la posta in gioco era più alta, ci si sedeva con milleduecento euro di posta ed i giocatori al tavolo erano nove.Paolo iniziò bene, vinse qualche piatto e sopravvisse a tre giocatori.Simone non aveva più nemmeno un millimetro di unghia tra tutte e dieci le dita.Passavano i minuti e Paolo andò per la prima volta nella sua partita all-in con K-Q ed eliminò uno che si vedeva da lontano un chilometro che non sapeva giocare e sopravvi-veva di fortuna.Ora erano in cinque.Lo scontro tra PellePelle ed il brufoloso che aveva elimi-nato Simone la volta precedente si risolse a favore del pa-drone di casa.Rimanevano in quattro, però Paolo era corto di stack. L’ideale, pensò, sarebbe stato andare all-in coinvolgendo due giocatori, al fine di triplicare le fiches.“Ma magari ci cascano! Ma magari!” pensò Simone che aveva letto il pensiero dell’amico al tavolo.Dopo cinque mani foldate ed uno stack ancor più corto ecco l’occasione: una coppia di Jack e la posizione di bot-tone. Paolo rilanciò sperando di far abboccare qualcuno (andare all-in li avrebbe spaventati pensò) e PellePelle ed il tipo silenzioso che non aveva mai aperto bocca copriro-no.Al flop uscirono Asso di Picche – Jack cuori – Donna di quadri.

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Paolo fece i suoi ragionamenti. “Se avessero avuto una coppia loro in mano, tipo QQ o AA avrebbero rilanciato già prima del flop, quindi no. Se hanno un asso, hanno coppia, al massimo doppia coppia e con il tris li batto. Quattro quinti di scala? Forse, ma con un K-10 non avrebbero coperto così d’istinto. Dai, sono in vantaggio. Contro un colore perdo, ok, ma faccio in tempo a folda-re”.PellePelle puntò. Una buona puntata, in relazione al piat-to.Il muto ci pensò su, forse un bluff, forse no, ma chiamò anche lui.Paolo era lì lì per foldare, si vedeva che poteva coprire la puntata ma gli sarebbero rimaste poche fiches in caso di sconfitta.Ci pensò.Poi chiamò.Al turn il padre di PellePelle girò un Tre di Cuori.Carta inutile.Immediata la puntata di PellePelle, call del Muto e stavol-ta all-in diretto di Paolo. I due valutarono a lungo, ma l’occasione per buttare fuori un avversario era enorme così chiamarono entrambi. Si girarono le carte. AQ di Cuori per PellePelle, KK per il Muto. Paolo era in van-taggio ma non così tanto come sperava.Tutti nella stanza seguirono le dita del padre di PellePelle mentre scartava una carta e girava la successiva: un K di Cuori.Colore per PellePelleTris di K per il muto.Un misero tris di Jack per Paolo.Perderono tutto.Tutto.

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Capitolo 80 – Seminari

La conferenza delle 11.00 era una delle più attese. Nor-malmente la parte di tempo dedicata agli studenti veniva seguita con attenzione, cercando di individuare elementi validi su cui puntare in termini di ricerca, ma non c’era mai la folla. Stavolta invece i primi a prendere posto sulle comode poltroncine della sala quattro erano stati proprio gli organizzatori del workshop, che avevano con sé anche una vistosa e quanto mai sospetta valigetta. Il servizio di sicurezza li aveva fatti passare senza nessun controllo, fidandosi del pass rosso in bella mostra e così anche gli altri ospiti del convegno, dapprincipio intimoriti dalla strana valigetta, decisero di seguire i seminari dei giovani studenti attirati dalla curiosità. L’attentato della notte pre-cedente veniva subito ricondotto a quella valigetta che era ormai l’argomento del momento.Tra gli uomini in prima fila ce ne era uno che non aveva l’aria da scienziato. Se ne stava in disparte, accovacciato oltre l’ultima poltroncina e mentre si preparava una siga-retta con del tabacco sfuso cercava di calcolare il giusto obiettivo da montare e quale pellicola usare. La gente man mano riempiva la sala. Molti si fermavano sulla porta, accolti da una gentile hostess, a leggere il programma del-la conferenza. Gli studenti che avrebbero esposto i loro lavori erano quattro e provenivano da tutto il mondo.

Daniel Piroladay, americano, presentava un lavoro sulle grafiche domotiche dei siti internet;Paul Barnard, dalla Francia, applicava degli algoritmi ge-netici ad un interfaccia su grid per il calcolo delle mosse del gioco degli scacchi;

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Friz Becth Sorbeilen, austriaco, aveva sviluppato un soft-ware di gestione di sensori e plasmoidi.Infine c’era l’italiano Davide Ciambelli, con il suo semi-nario dal titolo “Se si tagliano i baffi ai gatti diventano ciechi”.Mentre Piroladay veniva presentato e saliva sul palco, an-che Gai e Ciotti entrarono nella sala. “Rob” disse Gai sot-tovoce “vedi niente di strano?”“No. Però stiamo in campana perché succederà di sicuro qualcosa. La pistola l’hai presa?”“Sì. Rob?”“Che c’è?”“Ma qui la fica zero?”“Quando torniamo, se torniamo, ti metto a lavorare con il Sistemista.”“Sorridi Rob! Finiamo su Wired!”Il fotografo in prima fila si era voltato verso il pubblico e stava scattando delle foto con un obiettivo decisamente troppo grande per le distanze ridotte della sala. Mentre i due poliziotti sorridevano cercando di farsi inquadrare, sotto al pizzetto, il fotografo Chagas, rideva a sua volta, mettendo a fuoco e constatando che quelle facce erano proprio le stesse che Trentoni gli aveva indicato su di un foglio fotocopiato. Mentre lo studente americano mostra-va dei disegnini al pubblico in sala, Boston e Jack erano scesi al piano dei garage dove gli spogliatoi delle palestre erano stati adibiti a camerini. Da lontano avevano seguito Shadow e Davide, non accorgendosi di essere stati a loro volta riconosciuti dal professor Grasso. Il quale ovvia-mente era ben felice di quel pedinamento.Meno restavano soli meglio era.“Stavolta dovremo essere perfetti.”“In che senso?”

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“Ieri ce ne è sfuggito uno. Ed abbiamo fatto troppo casi-no. Oggi c’è un obiettivo da raggiungere.”Mentre i due gironzolavano disinvolti per i freddi corridoi del seminterrato del Tecnopolo, un taxi stava facendo scendere due uomini pressoché identici nell’aspetto nel parcheggio soprastante. Nicolas e La Morte, completo grigio e testa rasata, si avviavano all’ingresso del palazzo pendendo un po’ dal lato in cui portavano la ventiquattr’o-re.

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Capitolo 81 – Shinobi

47 anni fa

Se avesse avuto l’abitudine di scrivere un diario, Ivan avrebbe senz’altro annotato come i primi mesi di vita in Giappone erano stati bellissimi.Dall’altra parte del mondo aveva notato che non conta chi sei, ma cosa fai e come lo fai. Lui era un bambino di do-dici anni ma gestiva i rapporti di affari come un dirigente navigato. E tutti lo rispettavano per questo, anche i com-pratori che nelle sue richieste intravedevano un po’ di biz-ze infantili anziché vere e proprie strategie di mercato.Ma dopo i primi mesi, le cose peggiorarono.In tre settimane il suo stabilimento sul porto e un paio del-le sue imbarcazioni vennero prese di mira cinque volte da parte di alcuni attacchi anonimi. Una barca colò a picco mentre nei restanti attacchi si aveva avuto a che fare col fuoco. I danni erano stati ingenti e gli affari ne avevano risentito ma mai una volta accennò qualcosa di tutto ciò a casa.Voleva essere lui stesso a risolvere la situazione. Quello che non capiva era il perché. Si stava comportando per bene, rispettava tutti, concludeva gli affari in maniera onesta e solo con persone affidabili.Eppure qualcuno voleva fargliela pagare.Durante uno di questi attimi di sconforto, andò a parlare con uno dei suoi pescatori più anziani che stava riparando una rete.La lingua era un notevole impedimento ma riusciva sem-pre a farsi capire.Forse perché era un bambino.

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Il vecchio pescatore gli fece capire con i gesti che lui e la sua famiglia si stavano arricchendo con i prodotti del loro mare. Lui era contento di lavorare per lui, vedeva che era un bravo ragazzo, ma cercò di fargli capire che non tutti al mondo sanno accettare le sconfitte.Molte famiglie dell’isola stavano facendo la fame perché non trovavano più lavoro da quando lui e la sua azienda erano arrivati in Giappone.E poi fece un gesto, che rimase per sempre negli occhi di Ivan: con la punta di un bastone tracciò sulla sabbia leg-germente umida degli strani tratti, formanti un kanji.Nella sua breve esperienza ad Otaru non aveva imparato a scrivere ma riusciva a leggere qualche carattere.Riconobbe il simbolo del cuore sormontato da quello del-la spada.“Shinobi” disse il vecchio.Ivan ringraziò il vecchio e tornò a casa con sullo sfondo un roseo tramonto sull’oceano blu.Una volta giunto a casa prese le sue cose, le infilò in una borsa e tornò al porto.Il vecchio pescatore stava inforcando la bicicletta per tor-nare a casa ed incrociò lo sguardo con il ragazzo. Rimase-ro un momento fermi, solo il mare pareva ancora muover-si. Poi, una volta capite le intenzioni del ragazzo chinò il capo in un sincero cenno di saluto e pedalando sparì dalla vista di Ivan.Il giovane sistemo delle coperte sul pontile del pescherec-cio più grande e si preparò per la notte.

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Capitolo 82 – Parrucche

Un’altra statistica interessante sul conto dei Ritardati è la seguente: il giorno 14 novembre 2008 non si riusciva a trovare una parrucca in tutta l’isola di Madeira. Erano let-teralmente andate a ruba (nel senso che molte non erano state pagate) durante la settimana.

Un applauso fragoroso sancì la fine della presentazione di Paul Barnard, un applauso che risuonò anche al piano de-gli spogliatoi.Friz Becth Sorbeilen si alzò dalla panca normalmente uti-lizzata per esercitare gli addominali e si apprestò a seguire una hostess.“Ancora un altro e tocca a te” disse in inglese uno degli organizzatori rivolto a Davide. Il ragazzo si asciugò le mani sudate su di un asciugamano e si infilò la giacca.“Manca ancora molto. La sgualcisci.” Quel molto detto da Shadow voleva significare molte cose.Mancava veramente molto al suo momento.Passarono alcuni minuti ed accadde.Davide e Shadow lo sapevano, ma mancava così poco che quasi speravano di avercela fatta.Tre bidelli erano scesi dal piano superiore per passare lo straccio.Due hostess sorridenti erano in piedi sulla porta ad atten-dere il turno di Davide.L’organizzatore che poco fa aveva avvertito Davide non si trovava più.In un lampo le due hostess si tolsero dalla porta lasciando spazio all’irruzione dei bidelli che presero alla sprovvista i due all’interno. Il più basso dei tre bloccò Davide e gli passo uno straccio intorno alla bocca per non farlo urlare;

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gli altri due si gettarono sull’anziano professore che tenne botta e sfoggiando un paio di colpi mise k.o. uno dei due e si apprestava a fare altrettanto con il secondo. Poi si senti-rono degli spari. Alcuni silenziati, altri no. Shadow sapeva già cos’era successo.Il corpo di una delle hostess si riversò a terra perdendo sangue da un buco nel petto. C’era da giurarci che l’altra aveva fatto la stessa fine.Dalla porta sbucarono Jack e Boston. Piantarono un colpo alle gambe del Ritardato che bloccava Davide e poi lo fi-nirono quando il ragazzo era già fuori area di tiro.Approfittando del diversivo Shadow ruppe in tre parti il braccio del suo diretto antagonista e lo finì girandogli il collo in una posizione innaturale. Boston freddò anche l’uomo già stordito da Shadow.“Siamo dalla stessa parte allora!” disse Jack mentre to-glieva la parrucca ad uno degli uomini uccisi, mettendone in evidenza la cicatrice sulla tempia.Non ci furono momenti per i convenevoli.Una seconda ondata di Ritardati con la parrucca arrivò nello spogliatoio.Shadow aveva il vantaggio di non dover contare le pallot-tole così si mise in un angolo. Davide si rifugiò alle spalle dei due agenti speciali che oltre alle pistole in uso aveva-no nei pantaloni i loro personalissimi revolver. Altri sei colpi, niente di più. Se avessero avuto il loro borsone…I Ritardati si gettarono senza schema all’interno dello spogliatoio.I primi che riuscirono ad entrare furono addosso a Shadow che li sistemò a dovere spedendoli al creatore mentre i successivi vennero freddati dai colpi di pistola di Jack e Boston.

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Ma ne rimanevano comunque tanti. Non c’era una fine-stra, non c’era una seconda uscita. Quello spogliatoio era stato scelto appositamente per finalizzare l’attacco e se Ciotti e Gai non fossero scesi immediatamente per chiu-derli tra due fuochi, i Ritardati avrebbero vinto.Ma Ciotti e Gai non si vedevano. Che non avessero senti-to gli spari era impossibile, anche il rumore degli applausi si propagava tra i piani, figurarsi delle esplosioni.Ma loro non c’erano e i Ritardati continuavano ad arriva-re. Bidelli, uscieri, hostess, tassisti, camerieri, giornalisti, erano tutti Ritardati in incognito.Nessuno se ne era accorto per via delle parrucche.Le parrucche.Un classico stratagemma da Nicolas Trentoni.

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Capitolo 83 – Nicolas ci mette la faccia

Il fotografo guardò con disinvoltura l’orologio e si appo-stò davanti la porta di ingresso della sala per avere una visione più panoramica dell’ambiente.Scattò un paio di foto poi un tonfo sordo seguito da dei colpi molto più limpidi arrivò da uno dei piani sottostanti.Subito Ciotti e Gai balzarono in piedi, così come fecero tutti all’interno della sala. Tutta la folla si stava dirigendo verso la porta ma il fotografo la bloccava non curandosi, pare, degli spari appena sentiti. Quando la folla iniziò a farsi più pressante cercando di uscire, il fotografo estrasse dalla sua custodia degli obiettivi una pistola e la puntò verso il primo della fila, un ricercatore matematico tede-sco. Senza aprire bocca gli piantò una pallottola in testa ed il matematico cadde a terra, esanime. La folla indie-treggiò e Gai e Ciotti non ebbero il tempo di intervenire, bloccati dalla muraglia umana di persone in preda al pani-co.Nel frattempo, una decina di uomini armati entrarono nel-la sala, poi una hostess chiuse la porta a chiave dal di fuo-ri.A Gai si gelò il sangue nelle vene.Per simili motivi Ciotti iniziò a sudare.“Ciao Stè.”Trentoni esordì così mentre due dei suoi uomini lo anda-vano ad immobilizzare e a disarmare, ed altri due faceva-no lo stesso con Ciotti.“Ottimo lavoro Chagas.”“Non c’è di che, Loki.” Il fotografo era italiano.

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La folla che dapprima si era agitata e stava urlando cer-cando di scappare era ora ferma immobile, incapace di credere e capire quello che stava accadendo.“Signori, al piano di sotto i miei uomini stanno ultimando un importante lavoro, quindi vi prego di restare fermi ai vostri posti, oppure qualcuno si farà male.”Un Ritardato tradusse le parole di Nicolas al pubblico del-la conferenza.Poi Trentoni chiamo a sé l’uomo con la valigetta. Tutti capirono che dentro la valigetta ci doveva essere un arma, magari chimica, e che la loro fine era vicina.Invece, quando l’uomo fu abbastanza vicino, Nicolas gli sparò in pieno petto.Le urla si alzarono forti in tutto l’edificio.Nicolas si chinò sul corpo senza vita e si appropriò della valigetta. All’interno c’erano dei soldi in contanti ed un sacco di fogli.Poi rivolgendosi ai due poliziotti disse: “L’attestato di vit-toria. Sapete, la scoperta di lopins, vale un milione di dol-lari. Questo qua era l’unico, oltre a noi ovviamente, a sa-pere della scoperta.”Richiuse la valigetta e la consegnò a Chagas.“Signori, la conferenza è ufficialmente terminata. Ora porterò con me questi due signori e quando i miei uomini riceveranno l’ok vi farò evacuare dall’edificio.”Si ripetè la scena della traduzione e Loki uscì dalla porta, seguito da Gai e Ciotti, immobilizzati dai suoi uomini. Poi la porta venne richiusa e lasciati dentro gli ospiti della conferenza.Mentre il corteo di Loki si recava all’uscita due dei suoi caddero. Colpiti alla testa da dei colpi precisi, infallibili.Jack e Boston stavano correndo attraverso l’atrio all’inse-guimento de La Morte che aveva con sé Davide. Subito

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dietro Shadow che però non aveva il passo dei due e ral-lentò.Trentoni estrasse la pistola e gliela puntò contro immobi-lizzandolo.“Fermo!” urlò.“Hai avuto il coraggio di venire di persona. Molto audace, da parte tua.”“Zitto!” e fece cenno ai suoi di bloccare Shadow.Ciotti e Gai si stavano facendo migliaia di domande in testa, non riuscivano a capire nulla di quello che stava ac-cadendo ma approfittarono del momento per divincolarsi dalla morsa dei loro guardiani. Shadow colpì mortalmente gli uomini che aveva di fronte e schivò la pallottola spara-ta da Nicolas il quale si girò e sparò alla cieca verso Ciotti e Gai prima di iniziare a correre verso la direzione presa da La Morte insieme a Chagas.Per Shadow era già abbastanza essere sopravvissuto e non se la sentì di correre dietro a Trentoni, sapendo inoltre di non riuscire mai a raggiungerlo. Del resto, quelli che non erano fuggiti erano automaticamente morti. In un corpo a corpo non avrebbero mai avuto la meglio su di lui.Ma per Gai non era abbastanza.Si fiondò dietro Trentoni, come quella volta in cui lo se-guì per le scale del DipMaT, prima di lasciarselo sfuggire in elicottero.Stavolta non poteva fallire.Stavolta doveva sapere.

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Capitolo 84 – Diecimila

4 anni fa

Mentre li accompagnava fuori, il padre di PellePelle prese una direzione diversa dalla solita, fermandosi davanti ad una porta di massiccio legno scuro. Una puzza di fumo proveniva dall’interno.“Ragazzi, ho visto che è stata una serata un po’ sfortunata per voi, eh!”Paolo e Simone non avevano le forze nemmeno per ri-spondere.“Però vi ho visti giocare. Siete forti. Solo che non avete avuto fortuna. Normalmente non lo faccio ma…su di voi ho intravisto del potenziale. Quindi farò un piccolo sgarro alla regola.”Estrasse dal portafogli un blocchetto degli assegni e ne staccò uno da diecimila euro.I due ragazzi non avevano la minima idea di cosa stesse succedendo.“Ecco fatto! Allora, voglio darvi la possibilità di rifarvi. Siete bravi, cazzo, molto bravi, non potete finre così la serata. Avete solo avuto sfortuna. Prendete questi soldi in prestito. Qua dietro, dietro questa porta, ci si giocano i soldi, i soldi veri. Si puo uscire di qua anche con un mi-lione di euro” e mentre lo diceva ondeggiava il pollice.“Vi faccio questo prestito, entrate e giocate. Se vi va male me li restituirete nel tempo. Con calma, a rate. Se invece vincete, me lo restituite subito. Che ne dite?”I due si guardarono poco convinti, ancora frastornati dalla perdita di poco prima.“Ragazzi, accettate il consiglio. Avete le tasse da pagare, l’affitto, delle belle famiglie che vi aspettano a casa. Tu

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Paolo hai una graziosa sorellina che tra poco inizierà le scuole superiori. La tua ragazza, Simone, invece mi dico-no sia tra le più carine dell’università….insomma…non vorrete mica rovinare tutto per una partita di carte no?” E quando disse no, quel no, tutto fu più chiaro.Erano nella merda.Ma la colpa era la loro.Tutta loro.E ne sarebbero usciti fuori da soli, o ci sarebbero affogati dentro insieme.Presero l’assegno ed entrarono.Il padre di PellePelle se ne tornò di là soddisfatto.All’interno la puzza di fumo era devastante. Un tavolo di sei persone adulte era intento a giocare a poker tradiziona-le a cinque carte.Sul piatto oltre alla fiches c’erano anche orologi, chiavi di automobili di lusso ed assegni.Come quelli che avevano in mano adesso loro.Quasi tremando si sedettero.Due uomini sui quaranta erano sudatissimi, occhiaie da record e camicia sbottonata. Era evidente che quelli sul tavolo erano i loro oggetti.Quello che faceva da mazziere spiegò brevemente le rego-le ai nuovi entrati che senza parlare annuirono.In meno di dieci mani avevano perso i 10000 euro dell’as-segno più altri 50mila euro “prestati” dal mazziere per tentare di rifarsi di quelli persi.Arrivati ad un debito di 100mila il mazziere si ritenne soddisfatto e li lasciò andare.Galleggiando sull’incredulità, sperando di risvegliarsi da un incubo troppo reale per essere vero, con nessun tipo di confusione in testa, ma al contrario, un assenza arida di pensieri, tornarono al convitto del campus.

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Andarono a letto vestiti, non si parlarono mai, nemmeno il mattino seguente dopo un intera notte passata in bianco a contemplare il soffitto.Ma se le prime ore erano servite ad assorbire la botta, le restanti erano servite ad organizzare la controffensiva. Non erano tipi da piangersi addosso e di sicuro non ave-vano la minima intenzione di pagare un debito ottenuto barando.

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Capitolo 85 – Una mano sfortunata

“Se hanno del gas siamo fottuti!”Le alternative per i quattro bloccati nello spogliatoio non erano delle più rosee. Potevano finire ammazzati a colpi di pistola fuori o avvelenati dal gas dentro. L’unica vera arma in loro possesso era Lopins.I Ritardati avevano ordine di prenderlo vivo e mai e poi mai avrebbero rischiato di ferirlo andando incontro alla furia di Trentoni. La situazione adesso era in stallo. Ogni Ritardato entrato era poi caduto morto e quindi la tattica era un po’ cambiata. Ora i Ritardati aspettavano fuori, in cerca di un idea vincente. Lo stesso facevano Jack e Bo-ston dentro, ma con delle risorse ben più limitate.Avevano bisogno di un idea.“Diamogli il ragazzo.” suggerì Boston.“Come?” Shadow non credeva alle sue orecchie.Davide era totalmente sbiancato.“Sono in difficoltà anche loro. Se gli diamo il ragazzo crederanno di avercela fatta. Non rischieranno di entrare per ammazzarci.”“E quindi?”“Tu ci sai giocare a poker?”“No.” Shadow continuava a non credere alle parole che sentiva.“E’ semplice. A volte, ci sono situazioni in cui nessuno ha il punto in mano per vincere. Ma nemmeno delle carte così scandalose da voler foldare. Quindi, in teoria, si pro-cede a suon di check fino al river e si vede chi ha vinto. Mi segui?”“Veramente no.” Il dargli del tu lo innervosiva in maniera aggiuntiva.

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“E’ lo stesso. Questo significa giocare da deboli. Noi in-vece dobbiamo giocare da campioni. Bluffiamo. Finora abbiamo rilanciato dimostrandoci forti, anche se in realtà non avevamo niente in mano. Ora abbiamo checkato. Be-ne, è un segnale di debolezza. Ora addirittura gli facciamo capire che potremmo lasciare. Invece al river chiudiamo il punto e li fottiamo!”“E cosa ci serve per chiudere questo punto?” Shadow ormai aveva perso le speranze. “Tanta fortuna.” Boston prese Davide per un braccio e lo usò come scudo per uscire dallo spogliatoio a mani in al-to. In portoghese disse agli avversari che glielo consegna-vano e che si arrendevano. Avanzò di qualche passo, sem-pre coperto dal corpo del ragazzo. Quando fu a meno di un metro dal gruppo di Ritardati lo lasciò. Davide provò subito a correre indietro verso lo spogliatoio per lasciare campo libero a Shadow e Jack ma uno dei Ritardati lo bloccò per un braccio.Era LaMorte.Lo tirò a sé e inizio a correre verso l’uscita. Il piano non era andato perfettamente a buon fine.Anzi, per un cazzo.Shadow e Jack si fecero spazio a furia di pallottole, calci e pugni e con un po’ di fortuna, stavolta sì, i tre furono sulla scia de LaMorte. Mentre attraversavano l’atrio uccisero due Ritardati che gli intralciavano la strada mentre realiz-zarono per un attimo che davanti a loro, a pochi metri c’era Trentoni in persona. La decisone doveva essere pre-sa nel giro di una frazione di secondo ma all’unisono de-cisero di cercare di salvare il ragazzo, che era stato messo in pericolo proprio da un loro sbaglio. Notarono che Shadow si era fermato ma loro si voltarono e continuaro-no a correre. Fuori dal Tecnopolo l’intervento della poli-

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zia era abbondante. Messi in preallarme dall’attacco della sera prima al Pestana, appena si udirono degli spari i poli-ziotti erano già in postazione fuori dall’edificio. Alcuni avevano provato ad entrare ma i Ritardati appostati come palo glielo avevano impedito. La Morte saltò dentro ad un taxi che lo aspettava col motore su di giri tenendo Lopins sotto controllo e partirono sgommando. Dietro di loro Jack e Boston stavano gettando via le pistole ormai scari-che ed impugnavano i revolver. Arrivati al parcheggio vi-dero una schiera di Ritardati pronti a fare fuoco. La poli-zia locale intervenne sedando il tentato attacco così i due agenti speciali poterono requisire una Clio ad un passante. Calcolarono i tempi di un eventuale spiegazione al condu-cente e decisero che avrebbero fatto più in fretta a sparar-gli. Boston aprì la portiera e gli sparò ad una gamba men-tre Jack lo trascinava fuori e si metteva al volante. Boston non lo dichiarava apertamente, ma sapevano tutti e due che era Jack quello che guidava meglio.

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Capitolo 86 – Uno di voi

37 anni fa

Le prime due notti passarono tranquille.Ma alla terza qualcuno si fece vivo.Ivan si svegliò di soprassalto. Per quanto si fosse impe-gnato mentalmente a restare sveglio, un bambino di dodi-ci anni prima o poi crolla.I rumori venivano da poppa. Qualcuno stava salendo sul peschereccio dalla parte del pontile. Ivan rimase nel buio il più possibile e da dietro a delle casse cercò di sbirciare.C’erano tre uomini interamente vestiti di nero. Solo gli occhi rimanevano scoperti dai loro abiti.Due di loro stavano trasportando un pesante bidone di lat-ta e con fatica lo avevano appostato sotto l’albero mae-stro.Il terzo dava le direttive sottovoce e nel frattempo era sal-tato giù dalla barca, tornando sulla terraferma. I due tra-sportatori erano stati richiamati indietro e quando furono a distanza di sicurezza quello che sembrava essere il capo dei tre accese con un fiammifero uno straccio che legò poi intorno ad una freccia. Mentre con un occhio chiuso cer-cava di prendere la mira Ivan saltò fuori urlando.Il colpo era già stato scoccato. Con un balzo Ivan fu sul pontile mentre il peschereccio dietro di lui esplose in un enorme bolla rossa che fiammeggiava nella notte nera.I tre attentatori furono sorpresi dalla presenza di Ivan che ora giaceva a terra privo di sensi.Evidentemente il loro obiettivo non era quello di uccider-lo, così lo presero su e lo portarono via con loro.

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La mattina dopo, quando Ivan riprese i sensi, la prima co-sa che vide fu un tetto di paglia. Lo avevano portato in una specie di capanna. Il suo giaciglio era in perfette con-dizioni e poco più a sinistra lo attendeva un piatto con la colazione già pronta. Ancora intontito dall’esplosione si alzò in piedi ed uscì dalla capanna.Si trovava nel bel mezzo di un villaggio, a giudicare dal panorama nell’entroterra dell’isola di Otaru, in quanto l’oceano non era visibile da nessuno dei quattro lati. Un uomo gli venne incontro.Comunicando a gesti gli ordinò di tornare a riposare ma Ivan non volle ascoltarlo.Il villaggio intorno a sé lo incuriosiva.Lo affascinava.Prese a gironzolare in lungo e in largo.Le donne più adulte si stavano incamminando con dei grossi cesti di vimini per il raccolto giornaliero; le ragazze più giovani rimanevano al villaggio cercando di sbrigare le faccende quotidiane, come sistemare le capanne o an-dare a prendere l’acqua al pozzo.Gli uomini invece, sia vecchi che giovani, facevano tutti la stessa cosa.Si allenavano.Si allenavano a combattere.I più grandi erano i maestri dei più piccoli, che fin dall’età di cinque o sei anni venivano iniziati al Fu No Kata, l’arte di combattere come il vento.Ivan si sedette in terra e assistette a tutta la sessione mat-tutina di allenamento.Dagli occhi riconobbe tre degli uomini che la sera prima avevano fatto esplodere la sua imbarcazione. Erano alcuni dei maestri del villaggio.

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Finito l’allenamento Ivan si avvicinò al capo dei tre e gli fece capire di voler provare a combattere.L’uomo scrollò la testa.Non si potevano mostrare le tecniche di combattimento a degli estranei, così, per gioco. Diventare un ninja, uno shinobi, era un percorso lungo tutta la vita.“Solo…… noi…… combatte….. ninja.” L’uomo cercò di farsi capire sforzandosi di ricordare alcune parole in ita-liano.“Io voglio essere uno di voi”

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Capitolo 87 – Troppo veloci, troppo furiosi

Il piano originario prevedeva la fuga di Trentoni nella stessa macchina su cui era salito La Morte ma il piano B recitava “l’importante è prendere lopins”. Ed era quello che aveva fatto La Morte. Una volta accaparratosi il ra-gazzo era volato via come il vento lasciandosi alle spalle inseguitori e Trentoni stesso.Il taxi Mercedes sul quale stava sfrecciando in direzione Camara dos Lobos non era un vero e proprio bolide. Sul-l’isola non era facile reperire un automobile decente, an-che tramite i potenti mezzi dei Ritardati.La guerriglia che si era scatenata nel parcheggio del Tec-nopolo gli aveva fatto accumulare un piccolo vantaggio sulla Clio di Boston e Jack che facevano di tutto per ri-manere incollati alla scia del taxi giallo. L’onesto motore dell’utilitaria gemeva e soffriva cercando di dare alle ruo-te tutto quello che l’agente Jack richiedeva.La strada era tranquilla.Tutti i poliziotti erano accorsi verso il Tecnopolo, non preoccupandosi di quello che poteva succedere in direzio-ne opposta.Meglio per tutti. Più spazio per lanciarsi oltre i centottanta all’ora.La vettura dei Ritardati ospitava quattro persone. Due uomini davanti e La Morte dietro con Davide imbavaglia-to pieno di terrore.Arrivati all’uscita della superstrada per Camara dos Lobos La Morte e l’uomo sul sedile del passeggero estrassero le pistole. L’uscita era situata su di una curva abbastanza stretta ed era l’occasione ideale per i loro inseguitori di

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farsi vivi negli specchietti; per questo si erano premuniti per un eventuale sorpasso.Il conducente scalò dalla quinta alla terza ed imboccò la rampa dell’uscita mentre Jack, preso ormai fuori tempo, fu costretto a frenare violentemente e a giocare di freno a mano per restare in carreggiata e non finire sottosopra; la Clio urtò con la fiancata sinistra contro un guardrail ma alla fine riuscì a rimanere in strada.Non ci fu tempo per assaporare la manovra da manuale che i primi colpi fecero brillare la vernice della carrozze-ria, mandando in frantumi il parabrezza.Jack incassò la testa fra le spalle ed estrasse la mano sini-stra dal finestrino impugnando il revolver e cercò di resti-tuire qualche colpo. Era un gran tiratore ma in quella si-tuazione era difficile anche per lui andare a bersaglio. Bo-ston invece non sopportava di lavorare scomodo. Uscì con il busto dal finestrino e sparò due colpi impugnando la pistola con entrambe le mani. Il primo frantumò il lunotto posteriore riducendo la visibilità dei propri avversari men-tre il secondo mancò di poco la ruota posteriore destra.La strada dopo la rampa non era più a quattro corsie ma solo a due, con un dirupo sulla sinistra e la parete rocciosa sulla destra.La guida si faceva più tecnica e fu così che le auto si ri-trovarono quasi a speronarsi.I piccoli tamponamenti mandavano all’aria i tentativi di mira da entrambe le parti e siccome per i due agenti spe-ciali i proiettili erano da centellinare, passarono ad un at-tacco fatto di urti e speronamenti.Le macchine sbandarono più volte, le auto che viaggiava-no in direzione opposta erano costrette a manovre folli pur di rimanere in strada. Qualche auto invece si era ac-

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codata, non capendo cosa stesse succedendo, se stavano girando la scena di un film oppure no.La Morte ogni tanto si sporgeva per prendere la mira ma i colpi non andarono mai a bersaglio.La Clio era costantemente attaccata al paraurti del taxi e poco a poco cercava di superarlo.Boston impugnò saldamente il revolver in mano e si con-centrò; Jack chiese ancora una volta uno sforzo al motore dell’auto presa in prestito (“se avessi avuto la nostra!” pensò) e centimetro dopo centimetro le due auto si trova-rono perfettamente allineate.Jack aveva scelto di accostarsi sul lato sinistro del taxi dato che La Morte si sporgeva e sparava dall’altro.Boston prese la mira.“Un colpo al copertone ed è fatta.” pensò.Tirò indietro il cane e BUM.Qualcuno li aveva toccati da dietro.Boston imprecò a voce alta e si voltò indietro. Un altro taxi era entrato in gara.Un taxi guidato da Nicolas Trentoni.Boston non era sicuro di aver visto bene ma gli parve di vedere l’ispettore Gai sul sedile posteriore dell’automobi-le successiva.Cosa ci facesse lì era difficile da spiegarsi.Boston era rimasto con due soli colpi, Jack con tre.Era arrivato il momento di andare all-in.Boston si fece passare l’arma da Jack che a malincuore gliela diede. Era come una figlia, per lui.Con una puntò l’auto di Trentoni, con l’altra quella de La Morte. Poi fece fuoco.Il taxi dove viaggiava Davide sbandò con un foro sul co-pertone anteriore sinistro; quello di Trentoni rimase in

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traiettoria e urtò violentemente la Clio facendola sobbal-zare.Boston stava per fare di nuovo fuoco quando si sentì un boato.Gai si era sporto dall’auto su cui viaggiava in veste di passeggero e aveva sparato verso Trentoni. Il colpo era ben indirizzato ma ruppe soltanto un finestrino, lasciando la possibilità a Nicolas di terminare il proprio lavoro. Pre-se la mira e con la sua semiautomatica squarciò una gomma della Clio; Jack lottò con lo sterzo ma non ce la fece e la macchina finì nel dirupo.Un fumo nero si sollevò dal baratro.Gai urlò e fece segno al conducente di farlo scendere.Trentoni lo notò con la coda dell’occhio e si arrestò.Scese dalla macchina.“VAFFANCULO!” la pistola di Gai era scarica ma spera-va di intimorirlo.“Ispettore! Così si saluta un vecchio amico? Intimo, per giunta.”“NON CI PROVARE!”“A fare cosa? Oh, non ti voglio far innervosire. Figurati! Dopo le notti che abbiamo passato insieme!”“Un altro passo e sparo!”“Davvero vuoi uccidermi?”Quella voce.Trentoni stava camuffando la voce.Stava facendo parlare Renata.“Sta indietro!”“Ispettore! Siamo solo io e te. O meglio. Sei solo tu. Non vorrai mica farmi paura con una pistola scarica? ”“STAI ZITTO! La storia finisce qui. Ti dichiaro in arresto, per terrorismo ed omicidio.”“Omicidio? Io non ho ucciso proprio nessuno!”

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“Tua sorella! NON HAI FORSE UCCISO TUA SOREL-LA?”“Mia sorella ? Renata? Sì…forse sì. Ma a te che cazzo te ne frega? Nemmeno la conoscevi! Stè…”“Io…”Trentoni approfittò dell’attimo di sbandamento di Gai e lo colpì con una ginocchiata al basso ventre. Gai provò a reagire ma il dolore lo aveva immobilizzato rendendo più facile la sua cattura.La Morte stava raggiungendo Nicolas che gli ordinò di caricare anche Gai sul taxi, insieme a Davide.L’ispettore non oppose nemmeno resistenza alla sua cattu-ra ed anzi pareva ormai rassegnato ad accettare lo sfortu-nato esito di quella missione che tanto ardentemente ave-va voluto intraprendere.Due occhi sbarrati lo aspettavano nel taxi. Quelli di Davi-de, che vista la macchina di Boston e Jack volare nel di-rupo e Gai immobilizzato al suo fianco aveva definitiva-mente perso la speranza.

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Capitolo 88 –La Canzone di Jack e Boston

Nel rotolare giù per il dirupo, si accese l’autoradio.Antena 3 trasmetteva As Meninas con “Bom Xi Bom Xi Bom Bom Bom”. Il tono allegro e spensierato con cui queste ballerine brasiliane criticavano il sistema economi-co si metteva in netto contrasto con la situazione che si era andata a creare laggiù. La Clio era distrutta ed il ser-batoio si era spaccato lasciando fuoriuscire il suo contenu-to tutto intorno alla vettura, impregnando la poca erbaccia nei dintorni e conferendogli un bizzarro color blue. Gli agenti Boston e Jack erano rimasti all’interno della vettura non avendo avuto il tempo di gettarsi fuori dai finestrini. Jack aveva le gambe incastrate sotto alla carcassa della macchina, probabilmente nemmeno più funzionanti, come se tenesse ancora i piedi sui pedali. La camicia bianca era così zuppa del sangue che gli fuoriusciva dalla bocca e da altre ferite sul busto che ormai faceva un tutt'uno col nero della giacca. Di fianco a lui il suo socio non se la passava meglio. Un braccio era rimasto schiacciato sotto la portie-ra e lo stesso Boston dubitava che fosse ancora attaccato alla spalla. Da quello che provava si sarebbe sbilanciato sul “no”. Anche le sue gambe erano inutilizzabili. Le la-miere erano penetrate nella carne all’altezza dei polpacci ed il dolore si propagava fino al collo, dove una scheggia del finestrino gli si era conficcata poco sotto l’orecchio. “Cazzo cambia ‘sta merda!” urlò lamentandosi Boston.Jack allungò una mano e riuscì ad arrivare al tasto della sintonia delle frequenze radio. Armeggiò un pò con i tasti, cercando di trovare qualcosa di decente. In quel momento i dolori lancinanti che dal corpo risalivano fin su al centro

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nervoso e poi ridiscendevano allagando i nervi di rossa sofferenza non esistevano più. Pregava però di trovare in fretta un pezzo decente alla radio. Finalmente udì le prime note di “Carrie” degli Europe e lasciò andare la presa sul frontalino. Immediatamente le fitte ricominciarono.When light goes down, I see no reason“Ce la fai a muoverti?” chiese quindi Jack.For you to cry. we’ve been through this before“No. Cazzo mi fa male dappertutto. Tu invece?”In every time, in every season“Io devo avere qualche squarcio nella pancia. Sento tutta roba calda che mi scende sulle gambe.”God knows I’ve tried“Ho capito.”“Trentoni, lo hai beccato ?”“Sì, in piena faccia. E’ morto sul colpo.”So please don’t ask for more.I read your mind, with no intentionsBoston tastò con l’unica mano ancora utilizzabile il terre-no intorno a lui. Quando sentì il freddo di una vecchia amica strinse forte la presa e riportò il braccio nella posi-zione di partenza. Mise la bocca della sua vecchia amica sotto al collo di Jack.Of being unkind, I wish I could explainIt all takes time, a whole lot of patienceJack aveva già provveduto. Il suo revolver era già ben saldo tra le dita della sua mano, sotto il mento di Boston.If its a crime, how come I feel no pain.“Senza rancore.”“Senza rancore.”Can’t you see it in my eyes This might be our last goodbye

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Poi, un doppio botto simultaneo sovrastò la musica, preci-samente nel momento del riff di chitarra, lasciando pieno spazio all’acuto di Joey Tempest.Carrie, carrie, things they change my friendCarrie, carrie, maybe well meet againE fu così che le brevi vite di Paolo Fiocchettisomewheree Simone Pizzoagaintrovarono epilogo.Again.

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Capitolo 89 – La rincorsa di Gai

pochi minuti fa

Se si fosse fermato a pensare a tutte le conseguenze che il suo gesto poteva comportare, Gai si sarebbe fermato, im-pietrito, e avrebbe visto Trentoni scomparire lentamente.Invece agì d’istinto come poche volte gli capitava, da freddo calcolatore che era, e si fiondò all’inseguimento di Nicolas.L’istinto.Quello che ci accumuna agli animali e che ci discrimina dalle macchine.Quello che ci condanna e quello che potrebbe salvarci.Gli esseri umani.Vero e proprio popolo di mezzo di questo mondo.Furbo e forte da distaccarsi dalle bestie ma superstizioso ed egoista da non lasciare il passo agli automi. Trentoni intendeva sfruttare tutto ciò a suo favore. La centralità della macchina per rendere l’uomo un animale.Un evoluzione al contrario.Gai non pensava a questo mentre correndo a difficoltà con la cravatta che gli sbatteva in faccia trovò una semiauto-matica in terra, come in genere si trova una moneta da un euro, o un biglietto usato del bus.No, niente intervento divino.Era una delle armi gettate da Boston e Jack durante la rin-corsa a La Morte. L’ispettore verificò che una pallottola era ancora pronta per essere esplosa e continuò la corsa. Vide Trentoni salire su un taxi e di fronte alla possibilità di lasciarselo sfuggire saltò dentro un auto che transitava di là e pronunciò la frase che credeva di non dover mai usare: “Segua quella macchina!”

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Sfortunatamente per lui il conducente non capiva l’italia-no così dovette ripetere l’ordine utilizzando i gesti e la pistola.A quel punto l’uomo capì e terrorizzato cercò di fare alla lettera quello che intuiva l’uomo alle sue spalle stesse chiedendogli.

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Capitolo 90 – La prima cotta

Sul taxi sul quale viaggiava Trentoni si era ricostituito lo stato generale dei Ritardati. Con Nicolas alla guida e Chagas alla sua destra, La Morte teneva a bada i due ostaggi Gai e Davide.Non che ce ne fosse bisogno (Davide era ormai un mani-chino e Gai era abbastanza intelligente da capire che non c’era via di fuga) ma tralasciare un piccolo particolare e mandare tutto all’aria proprio ora che erano ad un passo dalla vittoria non sarebbe stato perdonabile.Raggiunto telefonicamente, Jardim si occupò di inviare sul luogo dell’incidente una squadra di S.O.S. stradale di fiducia per ripulire il tutto senza lasciare tracce. Certo, molta gente aveva assistito ai fatti, ma i pettegolezzi diffi-cilmente uscivano da un paesino, figurarsi da un isola in mezzo all’oceano.Arrivati a Camara dos Lobos, lo stesso Jardim diede il benvenuto a Trentoni.Li stava aspettando nella sala seminterrata del bar divenu-to quartier generale.“Complimentos Loki” cercava di parlare italiano.“Non servono. Non è ancora finita.”“Abbiamo il giovane. Era o quelo che volevamo, non è?”“Sì, ma abbiamo una sorpresa.”Dietro di lui La Morte scendeva le scale con Gai al guin-zaglio. Gli avevano ammanettato le mani e lo tiravano come fosse uno schiavo. Subito dietro Chagas faceva lo stesso con Davide.Jardim espose il suo sorriso a mostrare tutta la dentatura.“Chagas! O melhor da sua categorìa! Sapevo che no avrebbe fallito.”“Il suo turno arriva ora.”

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Un paio di Ritardati sistemarono Gai su di una sedia, lo legarono ad essa e lasciarono spazio a Chagas.Chagas, al secolo Gregorio Sgrigna, era il torturatore uffi-ciale dei Ritardati. Molte volte negli anni passati si era trovato a dover ricorrere a metodi brutali per far parlare o semplicemente punire qualcuno. Ma quando una volta, si era trovato su ordine di Trentoni a dover torturare una ra-gazza la cui unica colpa era stata quella di essersi presen-tata ad un assemblea con un piercing al labbro, decise di smetterla. Le urla della ragazza che subiva il suo tratta-mento lo avevano quasi fatto impazzire. Decine e decine di buchi le aveva fatto, su tutto il corpo, usando una spil-latrice.“Così con tutti questi gingilli sarai ben accetta tra le tue amiche. Magari ne diventerai il capo branco!” questa era stata la motivazione di Nicolas che mai una volta si era dovuto sporcare le mani. Era sempre Chagas a dover agi-re. Vedere quei volti martoriati dal dolore. Ascoltare quelle urla disumane.Dopo quell'episodio disse basta. Trentoni non voleva la-sciarlo andare, il rischio che nessun altro avrebbe avuto il coraggio di prendere il suo posto e che avrebbe dovuto fare tutto da solo gli aveva fatto impuntare i piedi.Ma Chagas non voleva saperne. Per colpa non sua gli altri membri lo disprezzavano, lo temevano.Chiese aiuto al Cubo, cogliendo al volo l’occasione pro-prio poco prima che Trentoni si incoronasse Sommo Ca-nonico. Di fronte alle pressioni del Cubo Nicolas dovette cedere, ma non troppo. Venne accolta la sua richiesta di trasferimento ma Nicolas, tramite Jardim, riuscì ad indi-rizzarlo a Funchal, dove sarebbe stato sorvegliato più da vicino.

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La sua passione per la fotografia e la botanica fecero sì che Madeira fosse una meta ben accetta e trasferitosi lì aprì un piccolo studio di fotografia e si costruì una felice nuova vita.Fino alla telefonata di Loki di pochi giorni fa.La possibilità di ripiombare in situazioni simili a quelle già vissute lo gelava.Ed ora ci era di nuovo faccia a faccia.Trentoni voleva che perquisisse Gai sapendo già che non aveva armi con sé.In poche parole, voleva che lo torturasse.Gli occhi di tutti erano su di lui.Sul biliardino erano stati poggiati vari attrezzi a lui ben conosciuti. Coltelli, forchette, trapani, accendini, chiodi, forbici, spille.Riguardando quegli oggetti iniziò a sudare. Ora aveva Estrella, una bella casa, dei clienti affezionati che porta-vano a stampare le loro 13×18 dopo ogni occasione di fe-sta. Aveva il mare a pochi metri dal negozio, delle dome-niche silenziose, dei lunedì senza stress, degli inverni sen-za neve.Eppure sentiva tutte queste paia di occhi che lo puntava-no.Lo colpivano.Lo penetravano.Compresi quelli di Gai.Gai cercava di tenere uno sguardo fiero, quasi menefre-ghista, ma un fondo di paura si poteva notare.Chagas prese coraggio.Allungò una mano ad afferrare le forbici.Le contemplò tenendole tra le mani. Le guardava come si guarda una vecchia cotta delle scuole dopo dieci anni.

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Quello sguardo che significa “Ah, sei tu! Mi piacevi tan-to, lo hai sempre saputo non è vero? Ma mi hai fatto sof-frire. E vederti oggi non mi fa nessun effetto. Io sono di-verso.”Strinse le forbici tra indice e pollice.“Lasciatemi solo.”

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Capitolo 91 – Riprendersi

La dimostrazione di arti marziali finalizzate alla morte data da Shadow convinse Ciotti che nella storia c’era qualcosa che non quadrava. Un professore universitario, non troppo anziano, aveva ucciso a sangue freddo e a ma-ni nude tre uomini dall’aspetto cattivo e di circa venti anni di meno. Intorno a loro al Tecnopolo si stava scatenando l’isteria generale. Ovunque si voltassero a guardare c’era gente che correva urlando in tutte le direzioni; la maggior parte cercava di raggiungere l’uscita, altri cercavano di impedirglielo. Molti erano dei Ritardati, altri erano poli-ziotti, altri semplici civili o ricercatori o scienziati. Cerca-re di fare una distinzione tra bene e male era impossibile. Probabilmente altri uomini di Trentoni sarebbero arrivati a terminare il lavoro, quindi la soluzione migliore era quella di andarsene. Nella follia generale, Shadow trovò uno spiraglio per raggiungere il portone d’ingresso e gui-dò Ciotti attraverso un mare di braccia e gambe.Finalmente furono fuori.Rimasero per qualche secondo fermi, ad osservare lo sce-nario che gli si mostrava intorno.Centinaia di vite fuori controllo, in balia di istinti primor-diali come la sopravvivenza, la paura, la selezione natura-le. Ciotti si chiedeva come fosse possibile tutto questo, se in qualche modo era evitabile, e se mai si sarebbe arrivati a superarlo.Quello che vedeva era l’emblema della vittoria dei Ritar-dati.Un disorientamento generale, una totale assenza di con-trollo.A meno di miracoli, Trentoni aveva vinto, passando per la vita di sua sorella arrivando alla conquista di Lopins. An-

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che Shadow guardava il terrore attorno a sé. Lui però, nel fondo dell’anima, non era un buono come Ciotti. Lui era arrivato più di una volta alla violenza, alla lotta armata, all’eversione, all’uccidere, e comprendeva bene il tutto. Solo che stavolta era lui il conservatore, il padrone. Quello da rovesciare.Giocare in difesa dopo molti anni in attacco non è sempli-ce. Ma più che difendersi era l’ora di contrattaccare.“Andiamo!”“Cosa?” Ciotti era visibilmente spaesato.“Andiamo! Non saranno tanto lontani! L’ispettore li stava rincorrendo! Forza!” “Non…non ce la possiamo fare. Abbiamo perso.”“Dobbiamo tentare! L’ispettore Gai conta per lei almeno quanto conta per me aver trascinato in questa storia quel ragazzo! Abbiamo il dovere di tentare!”“Non c’è niente da tentare! Non abbiamo armi, non ab-biamo uomini, non sappiamo dove andare!”Le urla della gente ipnotizzavano il commissario che arri-vò a coprirsi le orecchie con le mani.Però era vero.Non avevano nessuna traccia.O forse sì.Suoni di una sirena.Sirena che passa, corre, accelera e se ne va.Ambulanza.Incidente.Auto.Inseguimenti.“Andiamo!”“Dove?”“Presto!”

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Shadow iniziò a correre verso il parcheggio e trovò decine di auto ferme, guidate dai gesti di alcuni poliziotti per non intasare la zona e permettere l’arrivo delle ambulanze. Passarono attraverso la fila di auto disposte in fila indiana e si trovarono oltre il parcheggio, dove il traffico scorreva un pò meglio. Con il tesserino di Ciotti requisirono un automobile e si diressero verso la direzione indicata da Shadow, dove aveva sentito allontanarsi le sirene del-l’ambulanza. Era l’unica speranza che avevano; fallita questa pista Trentoni avrebbe vinto ed il suo piano attuato.

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Capitolo 92 – La vita oltre la carta

La saggezza di Shadow suggerì di non soffermarsi troppo. In quell’isola chiunque poteva essere un Ritardato.Ma quello che videro fu abbastanza.Un auto veniva recuperata da un burrone da un argano e giunta sull’asfalto ne vennero estratti due corpi.Ciotti non ebbe difficoltà a riconoscere i corpi ormai sen-za vita degli agenti Boston e Jack.Sulla strada c’era tutto un agglomerato di detriti. Un auto distrutta addosso ad una parete della strada, vetri, bossoli, cerchioni.Nessun altro corpo però, oltre quelli degli agenti della Scattaro.Poteva voler dire tutto e niente.Shadow ritenne di aver visto abbastanza e decise di torna-re indietro. Nessun albergo era ormai sicuro quindi la de-cisione era presa già prima di prenderla in considerazione: direttamente all’aeroporto e di nuovo in Italia.Ciotti si stava riprendendo dallo shock, e si fece forza di tornare totalmente in sé per compiere un compito molto delicato; comunicare al pm Scattaro la notizia della morte dei suoi agenti speciali.Estrasse il cellulare dalla tasca, cercò il nome nella rubri-ca e prima di premere il tasto verde della chiamata si fer-mò a fissare il display in due colori.Scattaro.Quante volte aveva letto quel nome su un fascicolo o sullo schermo del pc.Mai nella vita lo aveva letto con tanta attenzione.Scattaro.Si era sempre limitato nel vederlo come una serie di lette-re.

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Un identificativo.Ispettore, pm, commissario.La persona dietro la carica.L’uomo dietro la facciata.La vita oltre la carta.Una persona con sentimenti, che getta l’immondizia, che ha dato il suo primo bacio, che si pulisce dopo che ha fini-to in bagno.Persone.Cha a volte muoiono quando meno lo si aspetta e che al-trettanto inaspettatamente nascono.Persone con piani malvagi come Trentoni, persone che come Ciotti credono nell’Alto.Un uomo di fede attraversa momenti bui. Ma proprio at-traverso la fede ne esce, altrimenti quei momenti divente-rebbero eternità.Questa è un ulteriore prova di fede.Una prova generale, sottoposta a tutti gli esseri umani.Lui, che in questa storia ha già perso un amico, sta realiz-zando per la prima volta che può perderne altri.Aiutati, che Dio ti aiuta.Preme il tasto verde.“Pronto pm Scattaro? Trentoni è fuggito, c’è stato un in-seguimento e…”

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Capitolo 93 – Le origini di Boston e Jack

4 anni fa

“Va bene qui o più a destra?”“Più a destra che qua c’è il sole. Vai vicino all’albero.”“Se vado vicino all’albero secondo me si nota che è tutto finto. Cazzo è un rapimento mica una rappresentazione teatrale!”“Eh ho capito ma contro sole poi non ti si vede la faccia e non sei riconoscibile. E poi scusa dopo dove mi metto io?”Simone si diresse verso l’albero indicatogli da Paolo. Erano al centro del parco della città, dove in genere si an-dava a fare jogging, oppure a fare un pic-nic nelle giorna-te estive. Per evitare che altre persone assistessero alle riprese, c’erano andati alle 6.30 del mattino. Paolo stava ultimando di posizionare la piccola videocamera digitale sul cavalletto mentre un anziano signore si avvicinava ad una panchina per riposarsi dopo la prima camminata della giornata.“Ti ricordi come la dobbiamo girare?” chiese Paolo men-tre si sistemava il pesante giaccone nero ed indossava uno scuro passamontagna sul volto.“Sì sì basta che ti sbrighi che poi cominciano ad arrivare i vecchi incazzati del mattino!”“Incazzati?”“Sì, sì incazzati. Passati i sessant’anni ti guardano tutti con astio; qualsiasi cosa dici o fai non va bene. Passati i sessanta, ti incazzi per ogni cosa.”

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“Se lo dici tu. Dai, mettiti in posizione. Il video è già par-tito.”Simone prese un bel respiro, fece una decina di passi al-l’indietro, si concentrò, ed iniziò a passeggiare spensiera-to per il parco, in direzione dell’albero. Paolo fece il giro dietro alla videocamera e prese una lunga rincorsa impu-gnando la pistola di plastica che usavano a carnevale per mascherarsi da cowboy. In pochi secondi fu addosso a Simone che ignaro della situazione si ritrovò braccato da un omone che non era altro che il suo coinquilino più un paio di cuscini sotto il maglione. Simone iniziò ad urlare e l’Omone lo immobilizzò bloccandogli le mani sotto le ginocchia e tappandogli la bocca con un fazzoletto. Intan-to la videocamera riprendeva tutto, pronta a riversare il contenuto della sua memoria su di un pc per poter essere rielaborato e montato. L’Omone si avvicinò alla videoca-mera e con il passamontagna ancora indosso mosse le labbra seguendo un copione ben preciso senza dire nulla: le parole necessarie sarebbero state appiccicate al filmato in fase di montaggio. L’Omone tornò indietro verso il corpo tramortito di Simone che urlava e piangeva guar-dando la telecamera; gli legò braccia e gambe lo trascinò via, fino a portarlo fuori dall’inquadratura.“Ottima, direi. Non credi? Ah si, il bavaglio”Paolo liberò Simone che una volta liberato espresse il suo consenso, caricò tutto sulla macchina e si diresse con il suo amico verso la casa dei suoi genitori. Dopo circa due ore arrivarono a destinazione. Con una banale scusa si giustificò con i suoi genitori (le lezioni erano terminate e dovevano studiare con calma lontano dal campus) e si piazzò in camera sua con Paolo.In un certo senso era vero.Questo era il loro lavoro di tesi.

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Anzi, molto di più.Era un lavoro da centomila euro che poteva salvargli la vita. In meno di ventiquattr’ore il video era finito. La sce-na in cui l’Omone parla diretto in camera era stato dop-piato usando una scena di un vecchio film di Mel Gibson e tutto sembrava realistico. Addirittura, i due si chiesero se fare gli attori non fosse il loro destino. Masterizzarono il video su di un dvd poi Paolo prese la macchina e tornò al campus. Arrivato a destinazione iniziò a girare tra le aule dell’università chiedendo se qualcuno avesse visto Simone, che era un bel pezzo che non lo vedeva e che non gli rispondeva al cellualre. Nessuno disse di averlo visto e soddisfatto del suo giro tornò in camera ed attese che si facesse notte.Lentamente, arrivarono le 23.00.Uscì dallo studentato ed andò al secondo piano del palaz-zo della mensa, lì dove tutto era cominciato. Il padre di PellePelle lo vide arrivare, gli fece segno di attendere e finita la mano che stava conducendo lo andò a ricevere in disparte. “Buonasera ragazzo! Hai portato i soldi ? O al-meno la prima parte.”Paolo raccolse le forze, fece una faccia da duro e rispose :“Noi non ti paghiamo. Né oggi né mai. Anzi, vogliamo indietro diecimila euro.”Il padre di PellePelle sorrise.“Ah-ah, bella questa. Vuoi scherzare? Fuori i soldi, forza che ho di là dei giocatori che aspettano.”“No, ascoltami. Noi non ti paghiamo nemmeno un euro. Sei tu che paghi. Se ti sta bene, stiamo pari così. Altri-menti, te la vedrai con la polizia.”“Polizia? Ahahaha ragazzo, mi fai ridere. E cosa dirai alla polizia? Che sei stato così tonto da perdere centomila euro

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di tua spontanea volontà a poker? Dai, accetta il consiglio. Pagami, o sarete tu ed il tuo amico a vedervela brutta.”“Ok. Così hai deciso. Ma poi non dire che non te l’avevo detto.”E detto questo tornò sui suoi passi.

***

Come d’accordo Paolo doveva comunicare a Simone il mancato accordo con il padre di PellePelle per attuare la seconda fase del piano.Si autenticò su di un programma di chat all’ora prestabili-ta e scrisse “Ziro Char”.Simone si autenticò con un falso account sulla stessa chat, lesse il messaggio e scrisse “Zebra Knocker” per confer-ma.A quel punto, con indosso un cappotto lungo ed un cap-pello ben calcato sugli occhi, Simone uscì di casa e spedì il pacco contenente il dvd all’indirizzo di casa sua. In al-legato aveva inserito un foglio su cui aveva scritto con delle lettere ritagliate da un giornale di volere un riscatto per la sua stessa vita.Certo, la storia sarebbe stata più verosimile se avesse in-viato un dito, però per diecimila euro poteva bastare un dvd.Tornato a casa chiamò a rapporto mamma e papà.“Allora, avete capito? Stiamo facendo un progetto impor-tantissimo per l’università. Con Paolo stiamo girando un cortometraggio. Un poliziesco. Per esigenze di copione facciamo noi gli attori. A me mi rapiscono e la polizia in-daga insieme a Paolo per ritrovarmi. Una delle scene pre-vede che la polizia vada a casa del rapito, cioè io, e che i genitori siano disperati per la scomparsa. Ora, soldi non

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ne abbiamo per ingaggiare altri attori, quindi, vi chiedo il favore di farlo voi. Ce la fate? ”“Non ho capito.”“Mamma…dai, te lo spiega dopo papà. Tu hai capito?”“Sì ,sì…ma…”“Non ti preoccupare. Devi solo sembrare scosso, un pò agitato…magari, qualche lacrimuccia.”“Eh, vabbè. Se è per l’università ti aiutiamo. A proposito, quando hai intenzione di finire ? Sai, la retta è molto cara e…”“Se il progetto viene bene, la laurea è in una botte di fer-ro.”

***

Non ci volle molto a far sembrare la storia credibile.Simone non si vedeva in giro da due giorni e Paolo lo cer-cava in continuazione.La ciliegina sulla torta fu la finta chiamata di Bruno Piz-zo, fatta in maniera del tutto inconsapevole ad un vero poliziotto.La polizia arrivò insieme a Paolo un paio d’ore dopo a casa di Simone, che nel frattempo si era nascosto in gara-ge dopo aver dettato le direttive ai genitori.Paolo faceva da coordinatore ed ogni tanto faceva l’oc-chiolino ai genitori di Simone, per ricordargli che per quanto i poliziotti sembrassero reali era solo un film.Simone aveva anche posizionato la videocamera,spenta, in corridoio dicendo che gli serviva un inquadratura larga della scena.I poliziotti accorsi requisirono il filmato e promisero di ritrovare il figlio scomparso al piu presto.Bruno li salutò accorato e richiuse la porta.

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Il fatto era di una certa rilevanza.La polizia ordinaria trasferì il compito delle indagini al reparto antimafia, in quanto quello che diceva l’Omone protagonista del video era difficilmente comprensibile ma parlava di un debito non pagato e Simone prima di essere imbavagliato faceva il nome del padre di PellePelle, già indagato per associazione mafiosa con la famiglia Valen-ziano.Il caso venne affidato al pm Scattaro, già all’epoca il più affidabile pubblico ministero della regione.Il pm era già sulle tracce del padre di PellePelle, più di una volta era arrivata vicina a metterlo dietro le sbarre però c’erano molti, troppi poliziotti, con il vizio del gioco, ed avere una bisca dove giocare dove un piccolo debito poteva essere barattato con una piccola protezione, era il top della vita.Ma stavolta non c’erano scuse.Si parlava di rapimento, di riscatto, di minaccia di morte.Paolo riuscì a fotocopiare il mandato di perquisizione ot-tenuto dal pm e lo portò al padre di PellePelle.“Ora siamo a cinquantamila. Se me li dai, blocco tutto.”“Tu? Un ragazzino? Senti, so che voi giovani con questi diavolo di computer riuscite a realizzare tutto, ma non ci casco. Vedi, io e la polizia siamo così” e fece il gesto di unire indice e indice.“Pagami. O vedrai quello che ti succede.”

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Le cose stavano sfuggendo di mano ai due giovani stu-denti.Tutto il dipartimento antimafia seguiva con attenzione il caso del rapimento.Dopo anni e anni di duro lavoro, intercettazioni ed infil-trati, c’era un concreto caso con il quale ottenere un man-dato di cattura per il padre di PellePelle e per raggiungere (era questo il vero obiettivo) la branca della famiglia Va-lenziano che finanziava la sua bisca e molti altri traffici illeciti della zona.Solo che il rapimento non esisteva.Il pm Scattaro perfezionò le fasi dell’operazione di perso-na e di fronte alle sue richieste secche e dirette Paolo non potè fare a meno di cedere, almeno in parte.

Disse che sì, qualche volta erano andati a giocare nelle bische organizzate dal padre di PellePelle, e che, esatto, erano stati in quelle tenute nel palazzo della mensa uni-versitaria e che probabilmente Simone c’era stato e non aveva pagato il debito.Paolo era terrorizzato.Con questa cazzata potevano mandare all’aria anni e anni di lavoro delle forze di polizia. E a giudicare da come si poneva nei riguradi degli altri, c’era da giurare che sareb-be stato più piacevole finire nelle mani di un torturatore mafioso che tra quelle del pm Scattaro.Paolo avvertì Simone che la situazione gli era sfuggita di mano. Chiamò a casa, fece finta di parlare con Bruno, cioè Simone, degli ultimi sviluppi delle indagini, ed aspet-tò che lo richiamasse da una cabina.“Forse dovremmo confessare che è stato tutto uno scher-zo”

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“Smettila. Ormai non possiamo più farlo. Andiamo fino in fondo.”“Ma quando stasera faranno irruzione nella mensa e non ti troveranno, né oggi né mai, mi spieghi cosa facciamo?”“Mi troveranno. Dì al padre di PellePelle di portare i sol-di. Cinquanta mila euro. E manda la polizia al terzo pia-no.”Ed attaccò.Paolo era sempre più in confusione.Fece mente locale. Mancava ancora qualche ora alla reta-ta.Andò alla mensa e trovò il padre di PellePelle in preda al panico. Girava su e giù per gli uffici fumando nervosa-mente.Appena si accorse di Paolo gli si fece icontro ansioso.“Hai una borsa?”“…”“Avete vinto. Mi è arrivata una soffiata. Non so come cazzo lo sapevate ma ormai non conta più molto. Ho i cinquanta mila.”Paolo fece un passo indietro, come colpito da pugno in pieno naso.“Hai una borsa, uno zaino, insomma qualcosa dove met-terli !?!”“Sì…ero appunto venuto per questo. Però le condizioni sono cambiate. Cento mila.”“Brutto bastardo! I patti erano…”“Me ne fotto, dei patti. Centomila euro e ti tiro fuori da questo casino.”“Lo sapevo! Lo sapevo! A far affari con la mafia…mi hanno messo in mezzo, lo capisci? Io gli servivo solo co-me copertura! Sono quello che si prende le colpe se tutto va a puttane! I soldi li ho rubati a loro. Senza dire nulla a

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nessuno. Nemmeno della soffiata. Mi sciolgono nell’acido se lo scoprono, ma ormai non mi interessa più. Voglio uscire da questo giro! E tu, piccolo bastardo mi chiedi centomila euro? Dove li trovo tutti questi soldi io?”“Avrai tutti i soldi delle puntate di stasera. Trovali. Fab-bricali. Non mi interessa. Portali qua fra due ore. Ah, e se vuoi salvarti il culo, manda la polizia al terzo piano.”Finita la discussione percorsero entrambi il corridoio del-l’uscita. Ma per la prima volta nella vita lo attraversarono a sentimenti inversi.

***

Giunsero le 22.30.Oltre alla vistosa sudorazione ed irascibilità del padre di PellePelle non c’era nulla di insolito negli uffici della mensa. Persone che giocavano in modo pulito, altre che vincevano.Poi, nel silenzio di una mano decisiva, il frastuono.Poliziotti da tutte le parti, pistole spianate, carte per aria, tavolini rovesciati.I più cattivi estrassero le pistole, i più furbi si gettarono tra le gambe dei tavoli.In pochi secondi la situazione era già sotto controllo.Uno dei poliziotti primi ad entrare, il capitano Manfucci, si recò dal padre di PellePelle, evidentemente il padrone di casa.“Dov’è? Diccelo! DOV’E’ ???”Quell’uomo che terrorizzava tanto gli sprovveduti ragaz-zini che arrivavano a giocare al suo tavolo, se la fece sot-to, e con la mano fece il segno “tre”.Terzo piano.Nei momenti di tensione, la memoria non si inganna.

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I poliziotti corsero su per le scale, tra loro c’era anche una determinatissima pm Scattaro.Nel frattempo un altra squadra di agenti stava ammanet-tando tutti i presenti al secondo piano.Il capitano Manfucci notò con attenzione che al terzo pia-no c’erano solo due porte. Decise di lasciar perdere quella del bagno e sfondò quella con scritto “Ripostiglio”. A cal-do, non si rese conto che fosse già apperta.Stranamente all’interno non c’era nessuno di guardia. Ma videro la figura imbavagliata di Simone.Lo liberarono e tra abbracci e sorrisi scesero di nuovo al secondo piano.Nel frattempo era giunto anche Paolo oltre a tutti gli stu-denti del campus, attratti dagli spari.Un agente semplice si avvicinò al pm Scattaro con una borsa in mano.“Signor pm, guardi qua.”Era piena di soldi.“Il riscatto! Mio dio i soldi dei miei genitori!” Simone si gettò ad abbracciare il pm Scattaro.“Oh mio dio! I risparmi di una vita della mia famiglia e di tutti i miei parenti!”Il padre di PellePelle, ammanettato, stava per mandare all’aria tutto, bruciante di rabbia per essere stato preso in giro da due ragazzini ma l’arrivo di un gruppo di mafiosi, quelli cattivi, fece distogliere l’attenzione dai soldi.Evidentemte anche loro avevano un informatore persona-le.Entrarono dietro una pioggia di colpi ferendo mortalmen-te diversi poliziotti e, obiettivo principe dei mafiosi, il pa-dre di PellePelle, che, tradendo la famiglia, si era meritato una condanna a morte per direttissima.

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Nella confusione il capitano Manfucci coprì i due ragazzi perdendo la radio e ribattè al fuoco. I poliziotti erano in minoranza adesso e proabilmente nessuno sarebbe uscito con le proprie gambe di lì.“Pm Scattaro. Anche lei qui. Non me l’aspettavo.” quello che parlava sembrava essere il capo del gruppetto appena arrivato. E sembrava conoscere per bene il pm Scattaro.“Valenziano. La prigione non ti è servita a gran che. ”“No. Infatti sono qui per ringraziarla. Con le sue indagini ha mandato in galera me e mio padre. Quindi, eccole il mio regalino.”Valenziano alzò la pistola all’altezza della fronte del pm Scattaro. Ma non fece in tempo a sparare.Paolo aveva raccolto una pistola dalle mani di un agente morto e fece fuoco istintivamente.Colpì Valenziano in pieno petto.Preso dall’euforia si unì al capitano Manfucci e rispose al fuoco finchè anche Simone, che sognava di partecipare ad una cosa del genere, si unì a loro.Insieme permisero al capitano Manfucci di farsi largo tra tavolini, fiches e carte fino a raggiungere la ricetrasmit-tente e chiamare rinforzi che con facilità portarono dietro le sbarre tutti i seguaci della famiglia Valenziano.

***

Con qualche bugia, ormai se ne erano dette a bizzeffe, Simone riuscì a farsi restituire i centomila euro del “ri-scatto” pagato dalla sua famiglia.Fece a metà con la famiglia di Paolo.Gli studi però, non furono terminati dai due studenti.Avevano trovato un lavoro.Un lavoro da duri.

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Ed avevano trovato una dura come capo.Solo, dovevano dire qualche bugia a casa, per poter intra-prendere questa nuova professione.Ma tant’è, ormai ci erano abituati.

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Capitolo 94 – Il ruolo di un leader

In cuor suo lo sapeva. Lo aveva sempre saputo. Prima o poi sarebbe accaduto. Perché, come poteva non accadere?Inseguimenti, sparatorie, agguati.Nessuno schiva le pallottole per tutta la vita.Nemmeno due dannatamente bravi come loro.È per questo, che quando il commissario Ciotti diede la notizia della scomparsa degli agenti Boston e jack al pm Scattaro, questi non si sconvolse.Un pò era dovuto al personaggio.Lei comandava, e se lei piangeva, allora cosa erano auto-rizzati a pensare i suoi subordinati?Doveva essere, o almeno sembrare, decisa, senza senti-menti, un leader impavido e carismatico.Aveva sempre lavorato da sola anche per questo motivo.D’accordo, era sempre circondata da molte persone du-rante il suo lavoro ma mai nessuna era direttamente colle-gata a lei.Ma con loro era diverso.Li aveva conosciuti bambini, ragazzi, ed aveva deciso di tenerli con sé. Aveva intravisto in loro un potenziale.E non si era sbagliata.Decine e decine di azioni fatte insieme.Decine e decine di successi.Sul lavoro erano inseparabili.Poi, come spesso accade, proprio nell’unico episodio vis-suto distante, la tragedia.Non c’è tempo per i ricordi.Il generale comanda.Il generale ordina.Il generale non sbaglia mai.Valentina si passa il dorso della mano sugli occhi bagnati.

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Per un attimo è lei, solo lei, la sua vera essenza.Si soffia il naso su un fazzoletto di stoffa, si ricompone e compone un numero sul cellulare.È di nuovo il pm Scattaro.“Agente Severini? Tenga pronti tutti i suoi uomini. C’è la battaglia finale.”

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Capitolo 95 – Le colpe

Tutto sommato il viaggio in aereo gli servì per mettersi in pari con le loro esperienze sul caso.Tra turisti e uomini d’affari Shadow e Ciotti ebbero modo di parlare di tutta la storia in assoluta tranquillità, distanti migliaia di metri sopra i problemi fisicamente e centinaia di chilometri mentalmente.Una sorta di sala di decompressione dove far defluire la tensione accumulata per poi rigettarsi nella mischia.Ciotti gli parlò de La Rita, dell’inizio delle indagini e del ritrovamento del corpo di Renata; Shadow gli raccontò la sua versione, fatta di studenti modello e di una setta che voleva impadronirsene.E di un professore che, accecato dal potere che avrebbe utilizzato a fin di bene, aveva spinto un ragazzino tra le braccia della setta.Potevano raccontarsi quel che volevano, ma negli atteg-giamenti, nelle parole, nelle pause, in tutto ciò che face-vano, emergevano dei chiari segnali di colpevolezza.Shadow si sentiva responsabile per tutto. Era stato lui a trattare per primo con Trentoni, ed in un certo senso, era stato lui a dar vita a tutta una serie di eventi che avrebbero portato alla morte Renata prima e centinaia di persone poi.Aveva ucciso molte volte nella sua vita, ma per la prima volta lo aveva fatto indirettamente, praticamente senza volerlo. Aveva sottovalutato le conseguenze di un suo ge-sto. Un comportamento che non gli apparteneva in quanto shinobi.Anche Ciotti si sentiva responsabile, ma in modo diverso.Lui si sentiva responsabile anche quando, la domenica mattina prima della messa, andava ad accendere la tv per

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leggere le notizie sul televideo e capitava sulla pagina dei bollettini delle stragi del sabato sera.Sentiva il fallimento come uomo di stato, come istituzio-ne.Dopo tanto parlare di fatti più o meno conosciuti, si arrivò al momento clou.La domanda.“Ma tu con chi stai?” chiese Ciotti a Shadow, guardandolo dritto negli occhi.“Ho sempre lottato per me stesso. Ma stavolta non posso. Devo recuperare ad un mio sbaglio. Sto con voi.”“Bene. Ma devo sapere una cosa. Chi sei? ”Era ovvio che il senso la domanda venne colto al volo da Shadow. Ciotti non intendeva mica nome cognome e co-dice fiscale. Intendeva dire cosa avesse fatto nel periodo in cui era sparito. In quei lunghi anni di assenza da casa.“Quando avevo poco più di dodici anni andai in Giappone per curare gli affari di famiglia. I primi mesi corsero via tranquilli ma poco a poco accaddero degli incidenti sulle nostre proprietà. Così una notte mi nascosi su una barca e…”Un ninja ed un poliziotto cristiano.I buoni potevano contare su di un alleato.

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Capitolo 96 – 1,2,3 Fooooorza!

Il pm Scattaro li andò a prendere di persona all’aeroporto. Il pericolo Ritardati era ormai scongiurato e la presenza di scorta armata non era più necessaria.Per quanto fosse stata avvertita per telefono dal commis-sario Ciotti rimase un pò sorpresa dal vedere il professor Grasso uscire dal terminal in sua compagnia.Finora lo aveva inquadrato nella lista dei cattivi e la man-cata trasferta in Portogallo non le aveva di certo permesso di cambiare idea.Se solo sapesse che era entrata abusivamente nel suo uffi-cio e che aveva frugato tra le sue carte…“Il professo Grasso immagino.” disse gettando via il moz-zicone di sigaretta e tendendo la mano per una stretta san-citoria dell’alleanza.“Sono io. E lei deve essere il pubblico ministero Scatta-ro.”Shadow tese la mano.Ciotti visse quel momento da spettatore. Vide le dita delle mani avvicinarsi pian piano, fino a toccarsi e stringersi.Il pm e Shadow si guardarono fissi negli occhi, ma non dissero nulla. Nessun “Piacere, piacere mio.”Perché in realtà non era un piacere l’essersi incontrati.La stretta si protrasse per qualche secondo cosicché anche Ciotti partecipò. Tese la sua mano ed anche lui strinse la stretta già formata.Guardò negli occhi i due nuovi compagni di squadra. Sembravano una squadra ridotta di un qualche sport che si riunisce nello spogliatoio prima della finale e si carica, mettendo tutti una mano al centro per poi toglierle di col-po urlando il grido di battaglia.

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Nessuno degli ignari viaggiatori sapeva chi fossero o per cosa stessero stringendo un patto.Si univano per fermare Trentoni.Si univano per salvare Lopins e Gai.Si univano per non rendere vani i sacrifici di Manfucci, Boston e Jack.Si univano per salvare il mondo.

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Capitolo 97 – Messaggio

Il trio che si era formato procedeva in macchina in dire-zione DipMaT.Dell’intero gruppo iniziale che aveva preso parte alle in-dagini erano rimasti solo loro tre. Anzi, contando il pro-fessor Grasso come nuova entrata, erano rimasti in due.Non c’erano più i caduti sul campo, non c’era più nem-meno l’ispettore Gai. Di lui non avevano nessuna notizia.Sul luogo dell’incidente non c’erano altri corpi oltre quelli di Boston e Jack ed averlo visto correre dietro a Trentoni era tutto ciò che avevano in pugno per poterlo rintraccia-re.Che equivaleva a dire nulla.Ciotti aveva provato a rintracciarlo sul cellulare ma ov-viamente risultava non raggiungibile. Quel particolare faceva credere al commissario che il suo amico fosse vivo nelle mani dei Ritardati. Ma era più una speranza che una convinzione.Mentre l’autista guidava nel traffico, il pm Scattaro iniziò ad esporre i suoi pensieri.“Commissario, facciamo il punto.”Erano bastati un paio di giorni di lontananza, un paio di eventi andati storti, che il pm era passato di nuovo a dare del lei a Ciotti.Il commissario lo notò ma ritenne opportuno non sottoli-nearlo.Iniziò a raccontarle tutto, dall’arrivo all’hotel Petsana e dell’attacco dei Ritardati, di come Boston e Jack avessero fatto un ottimo lavoro. Le raccontò della conferenza, di Trentoni che li sequestrava e che sparava al responsabile del pagamento del premio.

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A volte veniva interrotto da Shadow, che dava la sua ver-sione dei fatti.La Scattaro continuava ad annuire e quando i due ebbero finito prese la parola.“Ho capito. Quale pensate sarà la prossima mossa di Tren-toni?”Shadow e Ciotti si guardarono come fossero allo spec-chio, poi, quasi all’unisono, risposero :“Non lo so.”“Mi piacerebbe dire di conoscerlo abbastanza da poter prevedere le sue mosse, ma non è così. Ci ha dimostrato di essere imprevedibile, freddo. Potrebbe aver già venduto la scoperta di Lopins a qualche multinazionale.”“No, lo escluderei.” La Scattaro sembrava molto convinta delle sue parole. Aveva fatto i compiti a casa.“Trentoni non ha architettato tutto questo per soldi, per vendere un prodotto. Lo ha fatto per dare una lezione agli esseri umani, per poterne diventare il salvatore e carcerie-re.”“Su questo ha ragione il pm” disse Shadow. “Io ho avuto diversi contatti con lui e con…il suo entourage, e di sicu-ro non lo fa per soldi. Una vola mi ricordo venne da me il suo braccio destro, si fa chiamare La Morte. Mi disse che una volta ottenuto Lopins «non avrebbero più avuto biso-gno di una classe dirigente nel mondo che avrebbero ri-formato». Chissà cosa intendeva”.“Lo faranno da soli. Vogliono utilizzare la scoperta di Lo-pins per innalzarsi a gestori del mondo. Dobbiamo solo scoprire da dove intendono farlo.”Ciotti annuiva, ma con la testa era rimasto a ventiquattr'o-re fa. Le sparatorie, le urla,la scomparsa di Gai, tutto quanto di terribile successo solo un giorno fa e non solo doveva essere cancellato per potersi proiettare verso il presente. Difficilmente in carriera aveva avuto a che fare

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con un caso del genere. Nella confusione della sua mente sentì la Scattaro pronunciare una parola. Non era sicuro di aver capito bene.“Sì, commissario, ho già avvertito i P.I.R.O. Sono pronti in qualsiasi momento per operare in qualsiasi posto.”“Ma…signorina Scattaro, non crede sia meglio parlarne? Quando abbiamo coinvolto i P.I.R.O. l’ultima volta al monte Paradiso c’è stata una strage di innocenti e… ”

BLIP BLIP

“Uff…scusate, mi è arrivato un messaggio.” Ciotti era visibilmente urtato. Odiava essere interrotto dal suono di quell’affare, ma mai nella sua più fervida immaginazione avrebbe osato sperare quanto di bello c’era scritto in quei pochi caratteri. Il viso gli si riempì di un sorriso enorme, sembrava un sole nelle prime ore di un mattino di mezz’estate.Una lacrima gli rigò involontariamente il viso.Shadow e la Scattaro lo guardavano perplessi.“Mio Dio…ma allora è vivo!”

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Capitolo 98 – Credere o Non Credere?

I Ritardati tornano a casa domani. Ciao antifica.

Queste erano le poche parole comparse sul telefonino di Ciotti, un sms inviato dal numero corrispondente a Stefa-no Gai.La facile e istantanea felicità lasciarono il passo a dubbi ben più complessi una volta arrivati in centrale.“Potrebbe essere un falso messaggio per depistarci” sug-gerì la Scattaro.“Ma..non credo…insomma…a che scopo?” Ciotti invece voleva credere all’ipotesi di un ispettore Gai vivo e quan-tomai sul pezzo.“È un atteggiamento tipico di Trentoni. Depistare, inne-scare falsi allarmi, diffondere false notizie…” anche Shadow aveva intrapreso la strada della diffidenza.“No, vi dico che è lui.”“Come fa ad esserne sicuro commissario?”“Innanzitutto il saluto. «Ciao antifica». Solo Stefano parla così.”“Potrebbero averlo forzato a dirglielo. Oppure Trentoni quando era nelle vesti de La Rita glielo ha sentito dire e se lo è ricordato.”“No, no, vi dico di no. È stato lui, lo ha fatto apposta, per permetterci di capire che era veramente lui. E poi scusate, a che scopo utilizzare il suo telefono? Avrebbero potuto essere localizzati! Non avrebbero mai corso un rischio così grande.”“Però abbiamo provato a chiamare il numero di Gai ma risulta ancora irraggiungibile…”

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“Perché lo hanno preso! O si è fatto prendere, non lo so. Comunque sia, Gai è con i Ritardati. E in un momento di distrazione ci ha inviato quel messaggio.”La Scattaro si prese un pò di tempo per pensare.Credere che Gai tutto da solo sia stato capace di infiltrarsi tra i Ritardati e fargli recapitare il loro prossimo sposta-mento aveva dell’incredibile.Però era, per l’ennesima volta in quella settimana, l’unico indizio che avevano. Ed in un modo o nell’altro dovevano farlo fruttare.I Ritardati tornano a casa.A casa in Italia?O a casa di Trentoni?E se fosse un agguato?C’era un solo modo di saperlo.O almeno, lo sperava.Il pm tornò nelle vesti del prode generale.Si legò i capelli in una lunga coda rossa, si accese una si-garetta proprio sotto il cartello di divieto sito sulla parete come a volerlo sfidare ed iniziò ad impartire ordini.Se i Ritardati avevano usato la polizia per arrivare a Lo-pins, lei avrebbe usato i Ritardati per arrivare a Trentoni.

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Capitolo 99 – Uno spettro dal passato

Nel pomeriggio di un nuvoloso sabato, il DipMaT era tor-nato ad essere il centro operativo del caso dei Ritardati.Il pm Scattaro aveva riaperto tutti i fascicoli relativi al caso, e li stava ricontrollando uno per uno cercando un qualche dettaglio che poteva essergli sfuggito in prece-denza e tornarle utile adesso.Era anche venuto il tempo di allargare la squadra.Con il cellulare aveva ordinato all’agente Severini di rag-giungerla al DipMaT ed aveva bocciato qualsiasi candida-tura proposta da Ciotti per inserire un nuovo agente nella squadra. Ormai si fidava solo dei suoi uomini più stretti. E subito dopo gli agenti speciali venivano loro.I P.I.R.O.“Professor Grasso, lei aveva dei contatti con i Ritardati?”La domanda del pm Scattaro era stata secca e diretta, co-me un colpo di falce in un campo di grano.Il commissario Ciotti alzò lo sguardo dallo schermo del computer del suo ufficio per assistere alla scena. Nel frat-tempo sullo schermo la home page di uno dei maggiori quotidiani nazionali titolava “Attacco islamico in Porto-gallo” con sottotitolo “Morti e feriti durante una confe-renza scientifica. Al Qaeda lo rivendica in serata”.Shadow tentennò.La domanda era stata sì secca e tagliente, ma non del tutto inaspettata. Sapeva che una volta confessato di aver tratta-to con Trentoni, la successiva richiesta sarebbe stata pro-prio quella.Finse un pò di rimanere sorpreso.Non tanto perché avesse in mente un doppio gioco. Anzi, giunto in quella condizione, era disposto a tutto pur di mettere le cose a posto.

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Si concesse però il lusso di tenersi un “uscita di sicurez-za” da quella storia.“Sì. Avevo dei contatti con Trentoni. Con lui solamente.”“E come lo conosceva? Lei non è un membro, mi pare.”“No, in effetti non sono membro della setta.”“E allora?”“Nella mia vita ho avuto a che fare con diverse situazio-ni.”“E…”“Ed ho incontrato molte persone.”“Insomma vuole parlare o no?”“I ruoli che ricopro sono ben più grandi di quello che si immagina.”“Ci provi.”“Ecco…”“Forza, sù…”“Io…”“Sto aspettando.”Shadow stava per farlo.Indispettito dalla stronzaggine della Scattaro, stava per farlo.Esercizi di meditazione.Autocontrollo.Training autogeno.Tutto sprecato.Anni e anni di addestramento, e davanti ad una spocchio-sa poliziotta stava cedendo.Stava per raccontarle tutto.Di come era venuto a contatto con la setta dei Ritardati, di quanto fossero delicati i suoi incarichi e quanto importan-te fossero le informazioni che conosceva. E di conseguen-za la sua vita.

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Stava per farlo, ma proprio mentre apriva bocca per ini-ziare si sentì sbattere la porta.“OH CAZZO! LUI CHE CI FA QUI !?!”L’agente Severini stava cercando di entrare nell’ufficio ma il terrore nel rivedere il professor Grasso lo aveva bloccato sull’uscio.

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Capitolo 100 – Solo 24 ore

“Vi conoscete già?” il pm Scattaro era ancora in versione Irritante.“Salve. Credo di doverti chiamare ‘agente’ ”“Non è possibile! E’ lui! E’ lui!”La Scattaro non capiva cosa stesse succedendo.“Credo di doverle qualche spiegazione, pm.” Shadow si alzò dalla sua sedia ed iniziò a raccontare.“Sei anni fa, lei pm era ancora una delle promesse della magistratura ed il commissario Ciotti svolgeva già il suo attuale lavoro. Io, invece, non ero ancora un professore di informatica. Ero un uomo di Stato. Lavoravo per il gover-no.”Shadow fece una pausa.“Il mondo occidentale si era appena risvegliato dall’incu-bo delle Torri Gemelle, terrorismo e minacce ambientali stavano minando le fondamenta della libertà umana. Nel mio ruolo di…diciamo ministro aggiunto, dovevo correre ai ripari. Così il governo italiano mi diede l’incarico di creare una squadra militaristica all’avanguardia, dove in-vestire la maggior parte dei fondi destinati alle sovven-zioni militari e che comprendesse i migliori uomini sul mercato. Ovviamente il tutto doveva rimanere segreto. Iniziai subito la mia ricerca, e qualche mese dopo mi chiamarono dal ministero della difesa. Un giovane poli-ziotto aveva ucciso brutalmente moglie ed amante scoper-ti nel suo letto. Mi eri subito sembrato uno dotato, Ales-sio.”“Vaffanculo!” la risposta di Severini fu più che chiara.“Vaffanculo! Mi hai trascinato in un incubo! Mi hai fatto uccidere centinaia di persone! Tu ed il tuo governo del cazzo!”

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“Mah, agente Severini, non ti ricordi di come eri fiero? Di come la tua vita si era improvvisamente realizzata? Ucci-devi i cattivi, eri uno dei buoni, e cosa più importante nes-suno sapeva quello che eri veramente! Abbiamo utilizzato la tua follia per difendere la libertà! ”“Pazzo! Quanti di quelli che mi hai fatto ammazzare era-no innocenti, eh? Quanti? Tutti forse?”“Agente Severini, si calmi…” la Scattaro non sapeva da che parte stare. Per lei la giustizia veniva prima di tutto, ma l’interesse della nazione non poteva venire meno. Nei suoi panni, avrebbe fatto la stessa cosa di Shadow.“No! La mia vita si era risollevata, è vero. Ma ero stato ingannato. Non l’avrei mai scoperto se non fossimo andati in missione in quell’agriturismo. Erano tutti innocenti. Dal primo all’ultimo! E noi li abbiamo trucidati!”“Tu fai quel che è giusto!”L’unico che non partecipava alla diatriba era Ciotti. Lui era un semplice poliziotto. Niente giochi di potere od in-ganni. Tutto quel marcio nei piani alti gli dava il volta-stomaco.“Piantatela!” finalmente Ciotti intervenne.“Non mi interessa quel che pensate l’uno dell’altro. E nemmeno di quello che è accaduto sei, dieci o cento anni fa. Abbiamo solo che da perdere a dividerci. Voglio chie-dervi solo un ultimo favore.”Gli altri tre nella stanza lo guardavano.“Restiamo uniti, ancora un altro giorno. Solo ventiquattro ore. Mettiamo a posto le cose. Salviamo il salvabile, poi, ognuno per sè, Dio per tutti.”“Io ci sto” rispose prontamente il pm.“Anche io” fece Shadow.Ci volle un attimo, poi anche Supermotor accettò.

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“Ci sto anche io. E con me vi da il mio appoggio tutto il mio gruppo. Ma ad una condizione.”Ciotti accennò di andare avanti. Non che decidesse nulla, se mai c’era qualcuno che poteva avvallare la richiesta di Supermotor era la Scattaro, ma in quel momento il com-missario era totalmente calato nella parte del leader.“Quando tutta questa storia sarà finita voglio il congedo. Da tutto e tutti. Fatemi figurare in un archivio di defunti. Stracciate i miei rapporti. Non mi interessa. Con voi avrò chiuso.” e girò la testa di tre quarti, a guardare Shadow di sbieco.Nel vedere quello sguardo, la Scattaro e Ciotti non ebbero nessun dubbio.“Accettiamo.”

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Capitolo 101 –La terza vita di Shadow

27 anni fa

“Siamo ad una svolta epocale per il nostro ordine di guer-rieri. Per la prima volta in centinaia di anni, abbandone-remo la sacra veste shinobi e ci caleremo nel mondo reale, come foschia nella notte.”Il bujin Igasaki Nagato aveva riunito tutti i dan-jin del Giappone per dettare le nuove disposizioni.Erano ad Ayamacho, nei terreni del tempio di Shokakuji di Higashiyubune all’interno del sito funerario di Fuji-bayashi Nagato, antenato dell’attuale bujin. L’avvento della tecnologia, la globalizzazione, tutto quello che di moderno ora conosciamo, aveva imposto una sterzata evi-dente anche al modo di interpretare la sacra arte del nin-jutsu. Non era più possibile combattere vestiti di nero lan-ciando shuriken, in questo nuovo mondo. Bisognava lan-ciare impulsi elettronici in vestiti Calvin Klein, incontrare in morbidi salotti i principali colpevoli di questo degrado sociale, e poi spazzarli via, come fossero moscerini.Il ninja del duemila è cambiato.Il ninja del duemila è un arrampicatore sociale, anziché di alberi; vive nell’oscurità dell’ipocrisia malcelata dei po-tenti; uccide la personalità anziché la persona, il suo inte-resse è il bene del mondo, e non del solo Giappone.“Shadow, data la tua grandiosa abilità con la tecnologia, avrai il ruolo più difficoltoso che spetta ai dan-jin. Verrai infiltrato in una grande multinazionale dell’elettronica direttamente qui in Giappone.

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Ti sposterai a Tokyo. Sarai inserito in azienda come team manager nella sezione programmatori. Molti di noi sono già in quell’ambiente ma nessuno è mai arrivato in alto come te. Presta attenzione. Dovrai metterci a conoscenza di tutte le possibili innovazioni che intendono introdurre nel mercato. Dovremo essere i primi a saperli sfruttare.”“Maestro, la ringrazio di questo incarico. Mi sento onora-to. Farò il possibile per il nostro ordine.” Shadow salutò con estrema riverenza il proprio maestro, prima di rag-giungere l’aeroporto e volare verso la propria nuova vita.I bagagli erano già pronti.

***

La vita a Tokyo era totalmente diversa da quella ad Otaru. Forse perché era la sua vita ad essere diversa. Non doveva più contare sui raccolti dei campi o sul pescato giornaliero per poter mangiare. C’erano locali a volontà, supermercati dove si poteva comprare qualsiasi cosa. Anche la sua casa era diversa. Tanto per iniziare doveva prendere l’ascenso-re perché abitava al quarto piano; le stanze erano enormi, “potremmo abitarci anche in otto”, pensava Ivan, e soprat-tutto aveva un grandissimo balcone che dava sulla città. Che per molti poteva anche sembrare un lusso, ma che per Ivan rappresentava un incubo. Le macchine che passava-no continuamente sotto la finestra non lo lasciavano dor-mire in santa pace.Anche il lavoro non era il massimo.Tutto il giorno seduti a fissare degli schermi verdi e neri a scorrere righe e righe di codice da cercare di correggere. Nessuna attività fisica, nessuna forma di meditazione. Si chiedeva come facessero a dormire tranquille queste per-sone, in sovrappeso e senza il minimo addestramento.

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Fortuna che almeno in altri ambiti le cose andavano me-glio.C’era una sua collega che gli stava simpatica, e sembrava che la cosa fosse ricambiata.Ed era anche molto carina. Portava i capelli lunghi fino alle spalle, ma non per un vezzo estetico. Un occhio atten-to come quello di Ivan non poteva fare a meno di notare la cicatrice che portava sulla tempia sinistra quando nelle giornate più calde si raccoglieva i capelli in uno chignon.Ed inoltre, era come lui, uno straniero.Veniva dall’Inghilterra, ed era una promessa nel campo della programmazione.Si chiamava Jane.Jane Higginbotham.

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Capitolo 102 – Ferite

Nel bar di Camara dos Lobos la situazione era assoluta-mente sotto controllo.Erano passati circa quarantacinque minuti da quando Chagas era rimasto solo con l’ispettore Gai e Trentoni de-cise che fosse abbastanza.Almeno per oggi.LaMorte era stato eletto a controllore di Davide. Non che la cosa lo impegnasse più di tanto; da quando avevano catturato anche Gai aveva perso tutto la fiducia che aveva nel credere che la situazione si sarebbe sistemata. Ora an-che nell’atteggiamento, spalle basse e sguardo in terra, dava segnali di sconfitta.Le cose non migliorarono quando vide quello che Chagas aveva combinato a Gai.Nella stanza c’era puzza di orina e sangue.Gai giaceva esausto, dolorante, in un fiume di sangue che dal busto e dalle braccia colava fin giù alle caviglie, rac-cogliendosi poi in una pozza tutto intorno alla sedia.Chagas aveva ancora dei ferri in mano, anche lui ricoperto del sangue di Gai.Trentoni non batté ciglio, anzi, quel panorama lo aveva messo in moto nell’organizzare le prossime mosse della setta.Si soffermò giusto un attimo a valutare se la vita di Gai fosse stata in pericolo e riprese a parlare.“Ottimo lavoro Chagas. Ma come ho fatto di questi tempi senza di te?”Chagas era visibilmente imbarazzato. Ricevere compli-menti per come si è torturato un altro essere umano non capita tutti i giorni.

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Trentoni ordinò ad alcuni membri di ripulire la stanza, Gai, e di lasciarlo solo con l’ispettore.Evidentemente non aveva nessun bisogno di riunire i membri della setta in quel luogo di tortura, ma voleva mostrare loro, e soprattutto a Davide, quello che era capa-ce di fare. O di permettere.Quando tutti uscirono dalla stanza prese una sedia e si se-dette di fronte a Gai che nel frattempo si era leggermente ripreso.“Contento?” gli chiese.Con un filo di voce Gai provò a rispondere.“Di..di cosa?”“Di tutto. Potevi benissimo rimanertene a casa. Fare il fallito come hai sempre fatto. Riempirti di preoccupazioni e buoni ideali finché sei in servizio e subito dopo fregar-tene e tornare in quel buco pieno di cazzate che ti ritrovi per casa. Sai, tutte quelle creme per il corpo tutte insieme non le avevo mai viste se non in una profumeria. Ma…a giudicare da come ti ha ridotto Chagas ti serviranno. Ec-come. Sì perché, non so se te lo stai chiedendo, ma ti la-scerò vivere. Torturarti è stato un piacere personale. Una piccola vendetta per avermi infilato quella tua cazzo di lingua in bocca. Che c’è? Non rispondi? Ah, perché ho ucciso mia sorella e lascio in vita te? Beh, mi pare ovvio. Uccido solo quelli che mi intralciano la strada, non quelli che me la spianano. Tu Stè sei stato un tesoro!”Di nuovo quella voce. Stava tornando a parlare come Re-nata, o meglio, la presunta tale.Gai era impassibile. Le ferite avevano ripreso a sanguina-re.Involontariamente aveva ripreso a pensare a Renata come ad una persona reale. Ne provava addirittura nostalgia, per qualche secondo. Poi come un fulmine gli tornava in men-

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te che la vera Renata non l’aveva mai conosciuta e che era solo quel pazzo che aveva davanti abilmente truccato.“Per chi lavori?” Gai aveva trovato il coraggio e le forze per parlare.“Cosa hai detto?” le parole uscivano dalla bocca di Tren-toni con un leggero fremito. Gli occhi erano spalancati.“Potrai fregare i tuoi, ma non freghi di certo me. Non si fa così tanta strada senza un appoggio. Per chi lavori? Dai, ormai avete vinto, puoi dirmelo. O ti vergogni di dire a tutti che sei solo il burattino di qualcuno più in alto di te?”Trentoni strinse il pugno, come a voler colpire Gai. Ma si fermò e fece defluire il sangue dalla testa. Si avvicinò al viso di Gai e quasi sussurrando disse:“Ascoltami. Non so se questo trucchetto funziona con i ragazzini che ogni tanto arresti per aver rubato le caramel-le, ma se non vuoi che ci ripensi sul tenerti in vita, chiudi quella cazzo di bocca.”Gai continuò a fissarlo negli occhi mentre il Sommo Ca-nonico si alzava e si dirigeva verso la porta.Quello che doveva fare l’aveva fatto.Ora sperava solo che bastasse.

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Capitolo 103 – Campo

Mezz’ora fa

Gai non aveva ancora realizzato che tutti quegli affari sul biliardino erano stati portati fin lì per potergli bucare le carni. Se ne rese conto razionalmente quando vide la pun-ta scintillante delle forbici farglisi incontro all’altezza del petto e altrettanto razionalmente pensò di avere le alluci-nazioni. Neanche il tempo di pensarlo che lo sentì di nuo-vo.Un sussurro, però deciso.“Urla!”“Cosa? Devo urlare ?” chiese incredulo con gli occhi a Chagas, che con lo stesso linguaggio rispose affermati-vamente.All’improvviso gli fu tutto chiaro.O almeno lo sperava.Ed urlò. Anche perché le forbici lo ferirono proprio in mezzo allo sterno. Una ferita lieve, poco più di un graffio, ma che faceva male e sanguinava. Continuando a parlare con gli occhi e con i gesti, Chagas disse che era necessa-rio che qualche ferita se la facesse. L’importante era che alla vista ci fosse del sangue. Gai annuì, inevitabilmente. Chagas ripose le forbici e prese il bisturi. Con una lama più fina poteva lavorare con più precisione e colpire me-glio i punti non vitali. Gli fece qualche incisione sul petto dove fa più colpo e meno danno. Poi qualche graffio sulle braccia, in modo che il sangue, colando, rendesse tutto più macabro. Poi ancora sulle mani, sui piedi ma non sulla faccia. Chagas ci aveva provato ma Gai era stato intransi-gente.

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Pericolo di vita in missione va bene, ma tornare a casa, anche se fortunatamente, e rimanere sfregiato no. La parte vogue dell’ispettore non si sopiva nemmeno in un mo-mento del genere.Mentre Gai si cimentava in qualche urlo (di cui alcuni provocati effettivamente dal bisturi) Chagas lo perquisì fino a trovare nella tasca dei pantaloni quello che cercava.L’ iPhone.Si era quasi dimenticato di averlo. L’averlo spento per precauzione appena catturato glielo aveva fatto passare di mente.Lo porse a Gai, al quale liberò le mani per un istante spe-rando che Trentoni non entrasse in quel preciso momento.Chagas girò il dito indice in senso antiorario, un gesto che Gai prese per “Domani.” A questo punto l’ispettore lanciò un grido giusto per coprire il suono del tasto premuto per disattivare la soneria ed aprì l’editor per gli sms con Cha-gas che faceva cenno di sbrigarsi. Gai danzò velocemente con le dita sulla tastiera virtuale del cellulare ed inviò il messaggio.Quello che apparì sullo schermo fu: INVIO FALLITO.Non c’era campo!Tra i denti imprecarono entrambi, sembravano due muti che maledivano il cielo. Chagas prese l’iPhone in mano ed iniziò a girare per la stanza pregando di vedere quel miraggio che in quel tragico momento era rappresentato da una tacca di segnale.Finalmente in un angolo direzionato ad ovest la tanto agognata tacca apparì ed il messaggio risultò inviato.Il tempo di riporre il cellulare nella tasca di Gai, legargli di nuovo le mani ed aprirgli qualche nuovo taglio sul cor-po che Trentoni fece il suo ingresso.

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Capitolo 104 – Ritorno

Non ci fu tempo nemmeno per uno sguardo, nemmeno per compiacersi del lavoro che due persone totalmente scono-sciute avevano portato a termine in nome di un amicizia nata per questioni più grandi di loro in meno di un minu-to.I personaggi della setta che ultimamente si erano ritrovati più in vista sarebbero tornati in Italia con degli elicotteri, mentre tutti gli altri, totalmente al di sopra di qualsiasi sospetto e con delle belle parrucche in testa, sarebbero volati con dei regolari voli di linea.Gai fu preso di peso da due Ritardati e fatto salire su un elicottero simile a quello che aveva permesso la fuga di Trentoni dal DipMaT. Con lui a bordo c’erano anche La Morte e Davide. Chagas invece era stato imbarcato su di un altro elicottero. Con lui c’erano altri tre uomini fidati di Trentoni e Loki stesso, che però stava scambiando delle parole con Jardim.Erano tutti nel largo parcheggio fuori il bar che accoglieva giusto un paio di auto e delle barche messe in secca du-rante l’inverno. “Loki, nao sarà tropu rischiuoso tornare na Italia? Rimani qua, eu penso seja meglior.”“No, ho un posto sicuro anche là. Ormai non ci sarà più nulla da temere.”“A questo propositu volevu chiederti uma coisa.”“Ascolto.”“Come posiamo utilizare o lopins? Hai ja pensatu a chie-dere ajuda…”“Jardim, vecchio mio. Non hai ancora capito? Mi dispia-ce, ma è troppo tardi.” Trentoni salutò Jardim con una mano, che proprio in quell’istante, comprese.

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I due elicotteri si sollevarono in un turbine di aria fredda, che per pochi attimi agitò l’immobilità di Camera dos Lo-bos.Jardim seguì con gli occhi acquosi gli elicotteri sparire oltre l’orizzonte.Tra il frastuono delle pale, a centinaia di metri di altezza, si udirono solo un paio di colpi.

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Capitolo 105 – Jordan

24 anni fa

“Non capisco come possa essere successo.”“Nemmeno io.”“Come abbiamo potuto?”“Non lo so.”“Ora cosa facciamo?”“Non ne ho idea.”In una posa immobile, come due statue, Ivan e Jane sede-vano rigidi sul divano della loro casa.La cena era pronta da un paio d’ore ma si erano dimenti-cati del cibo. In effetti, il cibo era l’ultimo dei loro pensie-ri in quel momento.I loro sguardi assenti sembravano fissare ben oltre il tavo-lino della sala sul quale era appoggiato un test di gravi-danza positivo.“Dovremo cercarci una casa più grande.”“Dovremo comprare un auto più grande.”“Dovremo trasferirci in periferia, dove c’è meno smog.”“Dovrò lasciare il mio progetto per un anno”“Dovrò guadagnare di più.”“Dovremo fare i turni per cambiarla.”“Perché, si sa già che è femmina?”“Me lo sento.”“Dovremo sposarci…?”“Ivan…” e per un attimo gli occhi di Jane tornarono pre-senti. “Ci sono diverse cose che devo dirti. Su di me, su tutto quanto. A partire dalla cicatrice, io…”“Te la sei procurata cadendo da cavallo, lo so.”

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“No ascolta, in verità io non ho vinto una borsa di studio per venire qua a Tokyo. O meglio l’ho vinta, ma non co-me pensi tu.”“Beh, se siamo in vena di confessioni, neanche io ho avu-to il posto come fanno tutti…”Le spiegazioni continuarono per tutta la notte.Ci furono parti dolorose da dover rievocare, momenti bel-li da riassaporare e la triste realtà da digerire.Non potevano sposarsi. Non potevano neanche progettare una vita insieme, perché, che vita potevano mai costruire due persone del genere? Vite sacrificate ad ideali più grandi di un televisore nuovo o del colore della sala da pranzo che proprio per questo motivo non sarebbero mai state vite “normali.”Ma durante tutta la notte, almeno su di una cosa furono d’accordo e felici.Si sarebbe chiamata Jordan.

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Capitolo 106 – Ora

E venne il sabato.

L’agente Severini aveva appena ottenuto la promessa di congedo dal pm Scattaro e stava tornando alla base dei P.I.R.O. dove avrebbe organizzato la sua ultima missione. Anche il resto della squadra era rimasto sconvolto nel ve-nire a conoscenza di quanti innocenti ci fossero tra le vit-time del Monte Paradiso.Ma per il rispetto che provavano verso il loro leader ac-cettarono di combattere un ultima volta.“Ma daremo le dimissioni subito dopo. Se sopravvivere-mo.” disse Pixel a nome di tutti.

Il commissario Ciotti aveva ritrovato la Fede che solo po-che ore prima aveva sentito vacillare.Il suo amico Stefano Gai era vivo.Ed era anche riuscito a rimediare un informazione deter-minante per l’indagine.Con una forza tutta nuova che gli correva in corpo si mise a pensare a come fermare Trentoni.“Perché alla fine, i buoni vincono.” pensò fra sé.

Trentoni stava sorvolando le ultime miglia di mare prima di incontrare la costa italiana.Il suo piano era finalmente giunto all’atto finale.Sul suo elicottero Chagas tremava come un ramoscello al vento.Non metteva piede sul suolo natio da quando aveva deci-so di abbandonare la setta. Tornarci ora da traditore non lo metteva di buon umore. Specialmente sapendo che Tren-toni ha occhi ed orecchi dappertutto.

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“Com’è stato? Intendo, torturare di nuovo una persona.”“Come andare in bicicletta.”

Il pm Scattaro si era presa un paio d’ore da dedicare a due compagni scomparsi.All’aeroporto stava arrivando un elicottero che in realtà non era mai partito che riportava a casa due salme che non erano mai esistite.Si concesse un attimo per salutare per l’ultima volta gli agenti Boston e Jack.Da domani non sarebbero più esistiti.Durante una vacanza due giovani studenti, Simone P. e Paolo F. sarebbero morti in un incidente stradale.Shadow era con lei.Anche se per poco, aveva avuto modo di combatterli e di spalleggiarli.“Erano dei bravi pistoleri.”“I migliori.”

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Capitolo 107 – Verbale

2 anni fa

Relazione “2T”

Categoria : Top Secret

Oggetto : Verbale Finale

Nel corso della mia indagine, svoltasi principal-mente negli Stati Uniti, Italia e Medio Oriente, della durata di circa 6 anni, ho potuto appurare che non esiste correlazione alcuna tra l’indiziato Trentoni Ni-colas e l’attentato avvenuto in data 11/09/01.

Pertanto dichiaro conclusa la mia attività investi-gativa chiedendo l’archiviazione della stessa.

Shadow

“Che ne pensi?”“Sei tu il professore.”“Io dico che può andare. Al ministero non circolano per-sone molto colte.”“Non capisco ancora perché lo stai facendo.”“Te l’ho già detto. In futuro potrei aver bisogno di uno come te, Nicolas.”

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Capitolo 108 – Un ritorno glorioso

Gli elicotteri erano stati parcheggiati a lisca di pesce come fossero state due automobili.Nel terroso parcheggio del ristorante “La Perla” c’era il pienone, sebbene fosse chiuso.Loki era tornato con Lopins proprio come aveva promes-so solo tre giorni fa. Il Cubo lo attendeva adorato, come un innamorato aspetta la propria amata dopo un periodo di lontananza e castità.C’erano ancora tutti i Canonici ed i rispettivi uomini di fiducia.Il momento era di quelli storici e non si poteva disertare per nessuna ragione.I Ritardati diventavano qualcosa di reale, di tangibile nel quadro politico mondiale. Avevano un ruolo da protagoni-sta e finalmente avrebbero cercato di far ragionare gli es-seri umani.Volenti o nolenti che fossero.Trentoni entrò per primo, per gustarsi subito il fragoroso applauso che i suoi confratelli tenevano in serbo esclusi-vamente per lui.Subito dopo fecero la loro comparsa La Morte, anche lui accolto con clamore, Davide e Gai ormai lasciati liberi senza nemmeno le manette e Chagas, visibilmente imba-razzato cui però il Cubo dedicò un applauso rumoroso quasi quanto quello per Trentoni.“Fratelli” Loki prese la parola e la sala cadde nel silenzio.“Fratelli, da oggi il mondo ha un nuovo ordine. Da oggi, i Ritardati sono realtà.”Ancora applausi.

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“Molti fratelli sono caduti per portare a termine la missio-ne. Ma come vedete, non sono stati sacrifici vani. Lopins è nostro.”Tutti nella sala dimostravano il loro dolore restando in silenzio, per dedicare un tributo ai confratelli scomparsi.Tutti tranne Olga Fischer.Sentiva che c’era qualcosa di strano nella voce di Trento-ni, come se fosse contaminata dalla menzogna.A quel punto tanto valeva parlare apertamente, come fece nell’assemblea precedente quando aveva chiesto cosa ne era stato di Renata.“Dofe essere Jardim?”La domanda risvegliò tutta la sala dalla commemorazione.Trentoni dovette dare il meglio di sé, ancora un altra vol-ta.“E’...è morto anche lui.”Brusio sommesso, espressione di Olga tutt’altro che acci-gliata.La Canonica tedesca accennò a proseguire con le doman-de ma si fermò, morsicandosi la lingua.Trentoni prese quel ripensamento come una vittoria e con-tinuò nel suo discorso.In quel momento di empasse a Gai venne l’idea di urlare, di dire a tutti come stavano realmente le cose.Che Jardim era stato ucciso su mandato di Trentoni e che la stessa sorte era toccata a Renata.Poi ci ripensò.Sarebbe servito solo a fargli prendere qualche legnata in più.E poi, se Chagas aveva voltato le spalle a Trentoni, poteva aver convinto anche qualcun altro. Poteva anche essere che la metà delle persone presenti avessero già tradito Trentoni e fossero d’accordo con Chagas.

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La situazione non era poi così disperata.Avevano ancora una carta da giocarsi.Solo che non sapeva come.

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Capitolo 109 – Verità

Le bottigliette d’acqua e le vaschette di alluminio che avevano contenuto pollo allo spiedo avevano ricoperto tutta la scrivania del commissario Ciotti. C’era ancora un piccolo spazio libero, così il commissario ci appoggiò il bollente caffè preso distributore.Ora che avevano una pista non avevano la minima inten-zione di correre il rischio di perdersi un eventuale nuovo messaggio di Gai.Il clima era ormai rilassato.Si aspettava il via per poter scattare.Dovevano aspettare ed aspettare.Niente dipendeva più da loro.Il pm Scattaro aveva preferito un thè al caffè, e lo beveva piano, mentre sfogliava per la centesima volta il fascicolo dei Ritardati.Ormai conosceva a memoria anche i numeri di pagina.Shadow si era un attimo assentato, forse per andare in ba-gno, con grande timore del commissario e del pm che te-mevano un colpo di scena, che invece non arrivò.Shadow tornò dopo qualche minuto.La serenità di poco prima aveva lasciato spazio ad una preoccupazione profonda.Con occhi bui Shadow rientrò nell’ufficio.La Scattaro poggiò il fascicolo ancora aperto sulle gambe.Ciotti mandò di traverso un goccio di caffè.Entrambi aspettavano che Shadow parlasse.Il vecchio professore attraversò tutta la stanza e si prese una sedia.Si sedette pesantemente, a capo chino.Sembrava gli avessero appena comunicato un lutto in fa-miglia.

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Shadow provò a parlare, ma non ci riuscì.Non sapeva da dove iniziare.Era consapevole che raccontare tutta la storia, adesso, avrebbe compromesso la sua carriera.La sua vita.Era rimasto nell’ombra per tutta un esistenza, ma stavolta doveva uscire allo scoperto.Non voleva mettere in pericolo ulteriori vite.Specialmente la sua.Scatenato da quell’eventualità, iniziò a raccontare.“So dove sono i Ritardati.”

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Capitolo 110 – L’inizio della fine

Il pm Scattaro guardò Ciotti ed insieme si avvicinarono con le sedie a Shadow.“Di cosa sta parlando?”“Dei Ritardati. Sò dove si sono nascosti.”“Come fa a saperlo?”Shadow era una smorfia di dolore. Non lo avevano mai visto così. Aveva sempre ostentato sicurezza, pacatezza.Invece ora sembrava un bambino indifeso.I due colleghi si fecero avanti, come a volerlo coccolare.“Mia…mia figlia, è un Canonico della setta.”“Cosa?” La Scattaro aveva già messo da parte la tenerez-za.Si era alzata in piedi e sputava fuoco dagli occhi.Ciotti invece rimase così, accucciato, come colpito da un incantesimo.“Da giovane…saranno ormai trent’anni” disse così per sembrare meno patetico ma si ricordava precisamente an-ni, mesi e giorni “ho conosciuto una ragazza. Lavoravamo entrambi a Tokyo. Lei era…è inglese. Si chiama Jane.” solo pronunciarne il nome lo aveva rinvigorito.“Siamo stati insieme per alcuni anni. Poi nacque nostra figlia. A quel punto non potevamo più nasconderci l’un l’altra. Lei era Canonico dei Ritardati, io uno shino-bi…non potevamo certo creare una famiglia.”“E perché no?” chiese Ciotti senza nemmeno sapere il significato della parola shinobi.“Perché le nostre vite in realtà non appartenevano a noi. Eravamo lì per portare a termine i nostri obiettivi, non per trovare compagnia. Però successe. Ci innamorammo. Ma non potevamo permettere che le nostre vite fossero una condanna per nostra figlia. Dopo poco tempo comunque il

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mio bujin mi trovò un posto all’interno del governo. Mi muovevo nell’ombra delle istituzioni e come copertura mi diedero una cattedra all’università. Così ci lasciammo, sapendo di farlo. All’epoca eravamo così pieni di ideali che rinunciammo alla nostra felicità insieme per onorarli.”“E non lo siete più?” chiese la Scattaro.Shadow volse uno sguardo torvo al pm che quasi si spa-ventò.“Quale persona sana di mente rinuncerebbe all’amore dal-la sua vita per uno stupido ordine? Eravamo marionette. Fantocci incapaci di sapere cosa fosse la felicità. E’ per questo che ho offerto Lopins a Trentoni.”Ciotti e la Scattaro non credettero alle loro orecchie.“Che cosa?”“Quando scoprii cosa aveva dimostrato Davide non lo ri-ferii al mio ordine. Volevo uscirne, una volta per tutte. Ma essere un ninja non è come essere abbonati al Blockbu-ster. Allora offrii una falsa grande occasione a Trentoni. Se lui trovava Lopins, glielo avrei consegnato, in cambio di un ruolo da comandante. Volevo proteggere mia figlia e sapevo che Trentoni in quel periodo stava smuovendo e parecchio le acque della setta. Se c’ero io a controllare il tutto, lei sarebbe stata salva.”“Mi faccia capire. Come faceva a conoscere Trentoni? Glielo aveva presentato Jane?”“No. Quando Jane era Canonico Trentoni era solo un ra-gazzino. Ma quando lo vide scalare le posizioni allora ab-dicò. E il suo ruolo venne passato a Jordan, mia figlia. Lei non sa nemmeno che io esisto. Non ho mai avuto contatti con lei, almeno direttamente. Sua madre regolarmente mi tiene informato sulla sua vita. È lei che poco fa mi ha chiamato dicendomi dove si è riunito il Cubo.”

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“Professo Grasso, non ha risposto alla mia domanda. Co-me si è messo in contatto con Trentoni la prima volta?”“… ha presente l’attentato alle Torri Gemelle?”“Beh, certo.”“E’ stato lui. Lui e i Ritardati. Hanno conoscenze, appoggi che nemmeno si immagina. Io ero l’incaricato Top Secret che doveva indagare sui possibili attentatori. Quando lo scoprii, seppur aiutato da Jane, non me la sentii di incri-minarlo. Il mondo aveva già un colpevole su cui scaricare le proprie colpe. Avevo paura che arrivando a Trentoni avrebbero condannato anche mia figlia. Così feci cadere le accuse.”“E’ pazzesco.” Ciotti scrollava la testa, come chi rifiuta di credere ad una storia sugli UFO.La Scattaro, che era invece più avvezza a certi giochi di potere, credeva ad ogni singola parola. Ma aveva comun-que quell’espressione trasognata.“Volevo vendicarmi di chi mi aveva rovinato la vita. La mia, quella di Jane e di Jordan. In un colpo solo avrei spazzato via i Ritardati e dato la caccia agli shinobi. Solo quando la vita di Davide è stata messa in pericolo ho rea-lizzato che stavo giocando ad un gioco pericoloso.”“Un gioco?” la Scattaro era furiosa.“UN GIOCO!?!?!? Sa quante persone sono morte per causa sua? A causa delle sue pene d’amore?”“La situazione è recuperabile…”“RECUPERABILE??? Crede che recupereremo Boston e Jack? Crede che recupereremo tutti i morti al Monte Pa-radiso? Crede che recupereremo l’ispettore Gai? E Davi-de?”Le prospettive pessimistiche del pm caddero di conse-guenza su di Ciotti.In un solo colpo era tornato a temere il peggio.

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“Trentoni è da solo, non dividerà con nessuno la scoper-ta…è vero, ha agganci, ma sappiamo dov’è in questo momento. Ed in questo momento sono più vulnerabili di quanto fossero all’agriturismo.”“All’agriturismo erano stati messi apposta per farceli uc-cidere! Lo vuole capire?” ormai il pm era un ammasso di nervi.“Volevo dire che se la squadra dell’agente Severini è con noi, possiamo ancora farcela.”“Perché dovrei mettere in pericolo i miei uomini migliori solo per rimediare ad un suo sbaglio? Dovrei arrestarla. O consegnarla ai Ritardati.”“Star qui a pensare ai se e ai ma ormai non serve a nulla. Possiamo ancora fermare i Ritardati e salvare l’ispettore Gai e Davide. Ed è questo quello che conta. Penseremo dopo a tutto il resto.” Ciotti cercò di chiudere per l’enne-sima volta lo scontro tra i due e cercare di farli concentra-re sul momento.Il momento diceva che avevano un fattore sorpresa da sfruttare.Sempre che non l’avesse orchestrato Trentoni.

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Capitolo 111 – La Canzone di Severini

Nel quartier generale dei P.I.R.O. si respirava un aria in-solita.Da quando era arrivata la chiamata della Scattaro si erano tutti messi al lavoro.La consueta carica adrenalinica esaltata dal volume dello stereo che sparava musica metal aveva lasciato spazio ad un altro tipo di concentrazione. Gli unici rumori udibili erano gli strappi di velcro che si aprivano e chiudevano, i carrelli delle pistole che correvano oliati a perfezione pronti a recitare la parte del giudice supremo, il main-frame che di tanto in tanto emetteva un suono di sincro-nizzazione con gli apparecchi collegati.Era l’ultima missione.Certo, ogni missione era preparata come se potesse essere l’ultima, ma stavolta lo sarebbe stato per certo.Sopravvissuti o morti, avrebbero lasciato per sempre quel-la vita.Non si sentivano più militari.Non erano più i buoni.Non dopo le decine di innocenti che avevano trucidato per errore. O meglio, per inganno.Adesso, mentre si preparavano, erano soltanto uomini e donne che si apprestano a fare il loro lavoro.Né più né meno di un banchiere.Il più silenzioso era Serpico.Era quello che più spesso si trovava a pensarla diversa-mente da Supermotor e che a differenza degli altri non aveva partecipato alla strage del Monte Paradiso.Lui la sua parte di orrore l’aveva già vissuta, e sentirsi un impiegato era un qualcosa che provava da tempo.

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Severini si strinse il giubbetto e chiamò il resto della squadra a sé.This is the end“Ragazzi, stavolta faremo come dico io. Cerchiamo di non uccidere nessuno. Nessuno di innocente, almeno.”My only friend, the endOf our elaborate plans, the end“Il piano è semplice. Hanno scoperto dove sono i Ritarda-ti. Ci sono persone pericolose, come Trentoni e i suoi uo-mini, ma ci sono anche persone normali. Nel senso che non hanno piani di conquista del mondo e non hanno mai ucciso nessuno. Magari messi apposta da Trentoni per farceli uccidere.”Of everything that stands, the endSeverini prese un momento di pausa.“Effettivamente, tra quelli che abbiamo ucciso nel corso degli anni, ci sono sempre stati quelli normali. Ma non pensiamoci adesso.”No safety or surprise, the end“Non abbassiamo la guardia però. Non cambia nulla. Se ci sparano, spariamo. Se cercano un posto in cielo, glielo garantiamo. Su questo voglio essere chiaro : non andiamo a fare una fottuta gita. Carichiamo fucili, pistole, tutto. Solo che stavolta staremo attenti agli effetti collaterali.”I’ll never look into your eyes…again“Da domani sarete liberi. Fate in modo da gustarvelo da vivi.”There’s danger on the edge of town“I Ritardati sono nascosti in un ristorante fuori città. Ri-spetto all’agriturismo sarà più semplice. Un solo piano, un solo edificio, spalle coperte dalle montagne.”Sul maxischermo apparve la foto via satellite della zona.Ride the King’s highway, baby

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“Partiremo con Ciccio, sarà congedo anche per lui.”Weird scenes inside the gold mine“Non so cosa troveremo all’interno. Potrebbero stare là ad aspettarci, come potremmo coglierli di sorpresa. La cosa importante è non credere a tutto ciò di strano che vedre-mo.”Ride the highway west, babyRide the snake, ride the snake“Prendiamo Trentoni. Lo dobbiamo a noi stessi, oltre che al commissario e al pm Scattaro. Abbiamo scelto di fare questo lavoro per combattere i criminali. L’unico vero criminale che ci sia mai capitato tra le mani è Trentoni. Per tutti gli altri non abbiamo prove. Potremmo aver ucci-so solo innocenti.”Le facce che vedeva recitavano un mea culpa silenzioso.The snake is long, seven miles“Non cadiamo nella trappola. Sfruttiamo il senso di colpa a nostro favore. ”Ride the snake…he’s old, and his skin is cold“Cavalchiamolo, anche se gelido. Usiamo la rabbia che abbiamo dentro per espiare la colpa. Forse non basterà, ma sarà un buon inizio. ”This is the end“Questo è tutto.”Beautiful friend“Amici.”This is the end“Non ve l’ho mai detto. Ma arrivati a questo punto non ha senso mantenere le gerarchie.Siete stati gli unici amici della mia vita.”Severini non diede tempo nemmeno per pensare di ri-spondere, o magari di chiudersi in un abbraccio.Estrasse la pistola dalla fondina e la fissò a lungo.

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Forse mentalmente gli ripeté le stesse parole dette prima agli altri.My only friend, the end

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Capitolo 112 – Suona il telefono

Il racconto di Trentoni era terminato, ed ora tutto il Cubo era a conoscenza dei fatti.I fatti che Trentoni voleva far sapere loro.Per Olga, Jane ed il resto dei Canonici non esisteva nes-suno Shadow, Gai era colui che aveva ucciso Renata e gli altri Ritardati, ed ora tutti insieme avrebbero sfruttato le potenzialità di Davide per rifondare il pianeta.Per questo Trentoni chiese loro di restare ancora qualche giorno in Italia, così da avviare le trattative con i capi di Stato come un unico corpo. Anche se era sottinteso che avrebbe diretto tutto Loki.La Morte aveva preparato una piccola postazione di co-mando riunendo un paio di tavolini dove aveva collegato un computer portatile con connessione internet, un cellu-lare con una scheda tedesca ed il telefono fisso del risto-rante.Con quest’ultimo, Loki fece la prima di una lunga serie di telefonate.Tutti i Canonici si erano avvicinati per ascoltare la comu-nicazione.Trentoni chiese in inglese di farsi passare il presidente.Ah, era Loki che parlava.Olga e gli altri Canonici si scambiarono sguardi increduli. Avevano un potere contrattuale immenso.Ce l’avevano fatta.Loki aveva promesso un nuovo corso per la setta e ce l’avevano là, davanti agli occhi, reale, tangibile.I dubbi di Olga sull’integrità di Trentoni si mitigarono all'ebbrezza del successo, divenendo fugaci e fumosi.Non si chiese nemmeno come avesse avuto quel numero.

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Loki era al centro della scena e nessuna accusa reggeva al suo cospetto.Sul viso di Loki si leggeva tensione e fermezza.Come sui visi di quei giocatori di poker che tanto piace-vano a Boston e Jack quando avevano in mano due assi.Dall’altra parte del filo presero la chiamata.Trentoni iniziò a stilare le pretese della sua, più che mai sua, setta.Chiese di riformare i principali organi costituzionali mon-diali per permettere l’accesso della sua setta a certi incon-tri.Chiese di avere potere decisionale sulla politica interna-zionale.E chiese tante altre cose.Dall’altra parte, c’era solo incredulità.Scappò anche una risata.Chi era lui per pretendere cose simili?Loki raccontò della scoperta di Lopins, e le risate scesero di volume.Poi minacciò di entrare nel sistema di difesa americano nel giro di un paio di giorni per provare la bontà delle sue richieste.A quel punto le risate cessarono.Chi era dall’altro capo disse che non si poteva trovare un accordo del genere per telefono. Su di una linea non pro-tetta, per giunta.Trentoni rispose “benissimo” e comunicò le coordinate GPS del ristorante “La Perla”.A presto sarebbe arrivato un aereo privato, di quelli che non esistono, a prelevarlo.Nessuno credeva a quanto era appena successo.Il presidente degli Stati Uniti aveva ceduto.

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Stava per dare udienza a Trentoni per far entrare i Ritarda-ti nei salotti della politica.E lo stava venendo a prendere!Erano tutti ammaliati dallo charme di Trentoni.Fiero condottiero che porta il suo popolo alla vittoria.Persino Gai in un piccolo antro privato stava ammirando Trentoni.Forse era la prima volta che provava una cosa del genere per un uomo.Malgrado le violenze, le torture, i morti, Trentoni sembra-va brillare di luce propria.Andò a cercare con lo sguardo Chagas, unico amico su cui contare in quella situazione.Era l’unico a non avere la bocca aperta.Risvegliatosi dall’incantesimo, Gai azionò la mandibola e chiuse anche la propria.

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Capitolo 113 – Amore, Fede, Giustizia

“Ha avvertito i P.I.R.O?” chiese Ciotti.“Sì. Gli ho detto di partire appena possibile.” la Scattaro stava fumando nervosamente.“Noi cosa facciamo?”“Andiamo.” Shadow si era ripreso.“Voglio mettere fine a tutta questa storia. E se voi non vo-lete seguirmi lo capisco. Ma fidatevi, di uno come me là in mezzo, ne avranno bisogno.”Eppure quello che la Scattaro e Ciotti vedevano nella luce artificiale dell’ufficio era un vecchio professore col cuore infranto.Ciotti decise di seguirlo.“Sono stato in questo ufficio per anni, a prendere decisio-ni per gli altri. Credo che sia giusto andare, stavolta. Mol-te persone mi sono morte intorno, Gai sta rischiando la vita, i suoi agenti sono morti…e noi sempre qui, a non sporcarci le mani. Dobbiamo andare.”La Scattaro non era una donna d’azione. Vestiva sempre elegante, portava i suoi oggetti personali in una borsa e a malapena sapeva che differenza correva tra revolver e semiautomatica.E teneva molto alle sue scarpe.Però di fronte alle parole del commissario non poté tirarsi indietro.Aveva qualcuno da vendicare.Il che non significava che avrebbe sparato, ma che almeno doveva essere sul posto, quello sì.Tutti e tre insieme partirono, ognuno appellandosi al pro-prio Dio.L’Amore di Shadow, che aveva creato tutto questo e che li stava trascinando in una battaglia; il Creatore di Ciotti,

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che tutto rende possibile e tutto vede, nel quale il com-missario confidava per la riuscita della missione, o per raccomandare la sua anima; la Giustizia della Scattaro, che inevitabilmente doveva calare la sua spada su Trento-ni.Quale dei tre avrebbe trionfato era difficile dirlo, poteva anche non trionfare nessuno, ma ognuno di loro in cuor suo, sperava.Sperava di dover sentire il nome di Trentoni per l’ultima volta; sperava di portare a casa sani e salvi Gai e Davide; sperava di donare all’umanità un domani.Che fosse migliore o peggiore dell’oggi non aveva impor-tanza.

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Capitolo 114 – Minaccia terrorista

Nel giro di poche decine di minuti, troppo poche per chiunque avesse avuto la lucidità necessaria a capire il quadro completo, si sentirono le pale di un elicottero fen-dere l’aria sovrastante il ristorante “La Perla”.Ma in fin dei conti l’elicottero poteva essere partito da una base americana sita in Italia, e quindi che diavolo po-tevano significare dieci, venti o quaranta minuti?Il Cubo cercò conferma visiva.Chi si affacciava alle finestre, chi usciva nel parcheggio.Trentoni aveva mantenuto la calma.Chiamò a sé con lo sguardo Davide, sempre seguito da La Morte, e lo portò con sé fuori dal locale.Un elicottero interamente nero si stava abbassando sul terreno subito dietro il parcheggio per gli abituali clienti del ristorante.Due uomini vestiti di nero, occhiali scuri e auricolare sce-sero dal portellone e si avvicinarono a Trentoni.Lo perquisirono accuratamente, poi fu il turno di Davide.Sembrava un bambino a Disneyland.Però non rideva.I due uomini in nero si diedero l’ok e permisero a Trento-ni di salire sull’elicottero, sempre con Davide a rimorchio.Mentre si chiudeva il portellone, Trentoni diede un’oc-chiata indietro, e si gelò nel vedere lo sguardo interrogati-vo di La Morte.Fu quel secondo di esitazione a costargli caro.Stava per lasciarlo a terra, chiudere il portellone e fuggire via, senza nemmeno fermarsi a guardare dall’alto quello che una coppia di F/A-18 Hornet stava per compiere.E tra tutti quelli rimasti intrappolati là sotto, ingabbiati dalle montagne e sepolti dalle macerie del ristorante con il

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marchio di “terroristi islamici annientati dalle forze ame-ricane”, ci sarebbe stato La Morte, il suo più fedele colla-boratore.Più che un braccio destro, più di un amico.Non un fratello, dato quello che aveva serbato per Renata, ma di sicuro una persona importante, che stava lasciando morire come tutti gli altri che invece lo avevano attaccato, giudicato, ostacolato.Fermò la corsa del portellone, forse per permettere a La-Morte di salire, forse per dire una delle sue frasi ad effet-to, tipo “questo covo di terroristi sta per essere raso al suolo” quando sentì in lontananza un assolo di chitarra devastante.

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Capitolo 115 – La Canzone dei P.I.R.O.

La particolare morfologia della valle sulla quale si ergeva “La Perla” condizionò le scelte di Supermotor.K-Nossi, Pixel e lo stesso Supermotor partirono con Cic-cio sparando i Children of Bodom dalle potenti casse montate sul tetto mentre Akane era stata dirottata sull’eli-cottero A-129 Mangusta pilotato da Serpico.In una valle come quella priva di punti ciechi l’utilizzo di un cecchino era inutile oltre che rischioso. Meglio avere una mano ferma sopra la testa.An old cowpoke went riding outOne dark and windy day,Dato il livello del volume, anche se era ormai buio e man-cavano ancora un centinaio di metri al ristorante, i Ritar-dati erano a conoscenza del loro arrivo.Upon a ridge he rested asHe went along his way,Quello che i P.I.R.O. videro da dietro il vetro antiproiettile di Ciccio era un banalissimo elicottero, privo di benché minima protezione agli scontri a fuoco che si stava prepa-rando a partire, circondato da persone che si vedeva lon-tano un miglio che non fossero armate.Supermotor non credeva ai suoi occhi.Era talmente facile che non avrebbero sprecato nemmeno un proiettile.When all at once a mighty herdOf red eyed cows he saw,Quando all’improvviso un frastuono superò i decibel della musica.A-plowin’ through the ragged skies

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And up a cloudy draw.Due F/A-18 Hornet, nel gergo militare i Calabroni, neri come la notte, stavano squarciando il cielo novembrino.Yippee-yi-ya, yippee-yi-yo,Ghost riders in the sky.A confronto la Mangusta di Serpico era una pistola ad ac-qua.L’ultimo compito della squadra si stava rivelando più du-ro del previsto.Their brands were still on fire andI calabroni aprirono il fuoco.Their hooves were made of steel,Su di Ciccio, sulla folla, sul ristorante.Their horns were black and shiny andK-Nossi sentì i proiettili picchiettare e rimbalzare sul tet-tino di Ciccio e decise di fare manovra, per cercare di ri-spondere ai colpi.Their hot breath he could feel,Le manovre che compivano i Calabroni erano al limite dell’acrobatico, i membri del Cubo, Gai, Chagas e tutti gli altri cercavano riparo forzandosi di distogliere lo sguardo da quelle piroette magistrali.A bolt of fear shot through him asPiovevano colpi da tutte le parti.Mucchino rimase ucciso, così come altri membri della setta.He looked up in the sky,Chagas riconobbe il modello degli aerei e capì tutto.Cercò nel disordine generale l’ispettore Gai, e lo trovò al riparo di una botte di legno ornamentale, che normalmen-te conteneva dei fiori.For he saw the riders comin’ hard

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I colpi di uno dei Calabroni erano diretti a lui, ma con un balzo riuscì a tuffarsi illeso dietro la botte di Gai.Yippee-yi-ya, yippee-yi-yo,Ghost riders in the sky.Ora i Calabroni si disposero in linea, creando un muro di proiettili tra l’elicottero con Trentoni a bordo ed il resto della folla.Stavano proteggendo l’area per permettergli di innalzarsi in volo e fuggire.Their faces gaunt, their eyes were blurred,C’era qualcuno che non era d’accordo.Their shirts all soaked with sweat,Alle loro spalle sorse la Mangusta dei P.I.R.O.They’re riding hard to catch that herd,But they ain’t caught ‘em yet,L’agilità di una Mangusta è nettamente superiore a quelle di un Calabrone. Approfittando della loro macchinosa manovra, Akane si sporse fuori dal portellone e con la mi-traglia sparò una serie infinita di colpi.Facendogli il solletico.’cause they’ve got to ride forever onThat range up in the sky,All’unisono, come se se lo aspettasse, Akane si rintanò chiudendo il portellone mentre Serpico lasciò partire un missile AGM-114 Hellfire.Si era detto di non uccidere nessuno, ma se erano gli altri a menare le mani per primi…beh, i P.I.R.O. non si tirava-no mai indietro.On horses snortin’ fire, asThey ride on hear their cry:Il missile danneggiò pesantemente un’ala di uno dei due Calabroni, costringendolo ad abbassarsi di quota ed inevi-tabilmente ad atterrare.

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Yippe-yi-ya, yippee-yi-yo,Ghost riders in the sky.Ora la battaglia era più equilibrata, anche se ancora a svantagggio dei buoni.As the cowpokes loped on past him andSupermotor chiamò K-Nossi e Pixel all’attacco i quali scesero all’impazzata da Ciccio e si gettarono sui resti del Calabrone abbattuto.He heard one call his name,Severini aveva già caricato il mitra pronto a scaricarlo sul pilota americano, quando si sentì chiamare.Era Shadow, appena arrivato in compagnia del pm Scatta-ro e del commissario Ciotti.If you want to save your soul from hell“Penso io al ragazzo!”In realtà voleva dire “Penso io a Trentoni” ma Supermotor gli fece comunque l’ok con la mano.A-riding on our range,Then, cowboy, change your ways today,Or with us you will ride,Era l’ora della resa dei conti.Avrebbero sconfitto il nemico.O ci avrebbero convissuto.Yippee-yi-ya, yippee-yi-yo,Ghost riders in the sky.

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Capitolo 116 – Rinforzi

Sotto quella pioggia di colpi l’elicottero sul quale era sali-to Trentoni non poteva alzarsi in volo.La Mangusta dei P.I.R.O. Lo teneva sotto tiro e a meno di qualche exploit dell’unico Calabrone rimasto in volo la situazione di stallo difficilmente si sarebbe sbloccata.Non fosse stato per la vita di Davide a cui badare e per il rigore di Serpico tutto sarebbe finito in pochi secondi.Le uniche persone al corrente di tutta la storia erano, oltre a Trentoni, i due agenti federali a bordo del suo stesso eli-cottero e Chagas, che però ci era arrivato per induzione.Trentoni si era venduto agli americani.E per essere sicuro di liberarsi per sempre dei Ritardati e dei loro piani troppo idealisti, fatti di democrazia, non violenza ed assemblee, aveva riunito tutte le più alte cari-che della setta in un unico luogo, senza via di scampo, e ci aveva mandato le forze belliche americane.Avrebbero spacciato tutto per un raid su di un covo di ter-roristi islamici, come spesso avevano fatto, anche negli ultimi giorni, o sarebbe stato insabbiato tutto come un in-cidente.Il fatto è che Trentoni aveva sfruttato i Ritardati per an-nientare i Ritardati.Coloro che da sempre combattevano le contraddizioni nel mondo, stavano per essere cancellati dalla storia proprio da un controsenso.Ma tant’è.In quella storia di controsensi ce ne erano stati fin troppi, e che un paradosso concludesse la storia era forse la ma-niera più adatta.

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D’altronde come potevano sperare Olga, Mucchino, Jor-dan e tutti gli altri Canonici di gestire una situazione del genere? Di saper utilizzare la scoperta di Lopins?Avrebbero dovuto capirlo fin da subito che le idee di grandezza di Trentoni non erano roba per loro.Eppure, anche ora che era chiaro, anzi, cristallino, l’unico ad aver realizzato era Chagas.Il rinnegato.Il torturatore.Il traditore prima del tradimento di Loki.“Ci faranno fuori.”“Chi?”Gai era nascosto dietro ad una pesante botte di legno in posizione innaturale. Aveva timore di rovinarsi le scarpe così cercava di strusciarle il meno possibile.“Gli americani. Appena riusciranno a far decollare Tren-toni quaggiù sarà un disastro. Dobbiamo scappare. Ades-so.”Gai stava per rispondere, cosa non lo sapeva nemmeno lui, quando i suoi pensieri furono interrotti da un rumore di corsa.Fu contento di quell’interruzione.Senza quell’imprevisto avrebbe dovuto confrontarsi con se stesso, scoprire se si sarebbe comportato da codardo o da eroe.Ciotti e la Scattaro stavano correndo accucciati nella loro direzione.Avevano entrambe una pistola in mano, ma che puntavano in ciascuna direzione tranne quella degli elicotteri. C’era da chiedersi se fossero state almeno cariche.Ciotti ebbe un sussulto. Rivedere l’amico vivo, in forma e in tutta la sua boriosa eleganza lo sollevò.Non era ancora sicuro di trovarlo là.

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Vivo, per lo meno.“Antifica! Piemme! E’ un piacere rivedervi ragaz…”“La faccia finita. Che succede?” chiese la Scattaro.Chagas prese la parola e spiegò la situazione ai due poli-ziotti.“Quindi siamo in stallo.” proseguì Ciotti.Chagas annuì.Un altro rumore di passi che si avvicinavano.Era Jordan Higginbotham con una decina di Ritardati.Avevano fatto il giro da dietro il ristorante.Chagas instaurò un breve quanto diretto dialogo con quel-la che era a tutti gli effetti un suo superiore. Anche se in quell’inferno era difficile stare ai convenevoli.Spiegò in inglese la situazione alla Canonico che si offrì di collaborare.“Comunque sono capace di parlare italiano. Mia madre mi ha quasi costretto ad impararlo. Oggi è la prima volta che lo uso.”Si sapeva far capire, ma parlarlo era un altra cosa.La Scattaro chiamò all’adunata Severini con la linea diret-ta che sparando qualche sventagliata di mitra qua e là ar-rivò a destinazione con K-Nossi e Pixel.Ora in quel piccolo quartier generale erano in un numero sufficiente per poter fare qualcosa.I tre agenti P.I.R.O., i due poliziotti ed il pm, Chagas, Jor-dan e altri otto Ritardati, cinque uomini e tre donne.Sedici persone.Erano abbastanza sedici persone per sfidare un F/A-18 Hornet?

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Capitolo 117 – Tavolo

Quello che dava fiducia al Gruppo dei Sedici era che tolto l’enorme potenziale del Calabrone, gli uomini da sistema-re sarebbero stati pochi.Due federali, il pilota del Calabrone stesso, Trentoni e La Morte.Un problema poteva essere la penuria di armi (solo i P.I.R.O. Ciotti e la Scattaro erano armati) e la posizione di Davide, indifeso e disarmato tra le mani folli di Trentoni.Se per qualche motivo Trentoni si fosse visto sconfitto la prima persona su cui scaricare la rabbia sarebbe stata pro-prio lui.Supermotor ordinò a K-Nossi e Pixel di dare la propria pistola di backup a Gai e Chagas. Lui diede la propria a uno dei Ritardati, e la stessa cosa fece il pm Scattaro. Nel-le sue mani era come non averne.Rimaneva da studiare un piano che fosse il meno suicida possibile.Severini iniziò a dare ordini, mandò alcuni Ritardati al-l’interno del ristorante, diede delle direttive a Serpico ed Akane via radio e valutò il da farsi con i suoi uomini.Rimasero al riparo in quel punto per un altra manciata di interminabili minuti, poi Supermotor diede l’ordine via radio.“Akane! Buttati! Ora!”Come un tuffatore olimpionico, un corpo tutto nero si but-tò dalla Mangusta formando in volo un crocifisso, un cro-cifisso di morte che aprì il suo paracadute poco prima che fosse troppo tardi.Supermotor aveva intenzione di sfruttare la scarsa agilità del Calabrone.

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Come fu di nuovo in piedi, Akane imbracciò il mitra e corse verso l’elicottero di Trentoni, non dovendosi preoc-cupare di nient’altro dato che il Calabrone, colto alla sprovvista era ora tenuto sotto tiro da Serpico.Sebbene l’equilibrio fosse precario, Akane uccise al primo colpo molti Ritardati che erano sopravvissuti al primo scontro e che non avevano ancora capito cosa stesse suc-cedendo.Simultaneamente alla sua corsa, anche il Gruppo dei Se-dici si era attivato.Coloro che erano disarmati reggevano un lungo tavolo recuperato all’interno del ristorante creando uno scudo, seppur di fortuna, per coloro che erano armati.Procedevano a passo d’uomo coordinati dalle direttive di Severini.Perfino la Scattaro si era prestata alla causa ed ora mar-ciava portando con le braccia il peso del tavolo.Akane era ancora lontana, così i federali, colti del tutto impreparati dagli eventi, si prepararono per ricevere i Se-dici.Gai, miope di vecchia data, stringeva gli occhi per cercare di scovare Trentoni. Il suo sguardo correva di qua e di là, poco sopra alla linea del tavolo, ma non trovava il suo obiettivo.Dov’era finito Trentoni?

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Capitolo 118 – Pesce Piccolo

Pochi minuti fa

La corsa di Shadow non poteva essere fluida come trenta anni fa, ma una vita passata ad esercitarsi per essere uno shinobi dava i suoi risultati.In poche folate fu dietro alla carcassa semidistrutta del primo Calabrone, che era ora anche la bara del suo pilota.Mentiva a se stesso quando diceva di star facendo tutto questo per il ragazzo.Era Trentoni quello che voleva.Rappresentava il suo fallimento.Un banale, se vogliamo, errore di valutazione.Lasciare il pesce piccolo in libertà per poter arrivare al pesce grande molte volte si rivelava una fallace verità.Se lasciavi in giro il pesce piccolo sbagliato, si nutriva fino a diventare lui stesso il pesce grosso, e a quel punto non potevi farci più nulla.Fu una lezione che Shadow apprese solo in quel momen-to.Con la vita della sua ignara figlia in pericolo.In quel momento non aveva contatti con nessuno, non fa-ceva parte di nessuno schieramento e nessuno faceva con-to su di lui. Attese un diversivo per poter fare la sua parte e d’un tratto arrivò : vide uno dei P.I.R.O. gettarsi dall’eli-cottero ed un gruppo capitanato da Severini che si avvici-nava sorreggendo un tavolo.Non poteva immaginare chi ci fosse a sorreggerlo, coperta dalla stazza e dal peso del tavolo.I due federali erano attenti in direzione tavolo, mentre La Morte si fece incontro ad Akane. Trentoni era solo col ra-gazzo. Non esisteva momento migliore.

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Tornando per pochi attimi quello che era, si avvicinò sen-za far rumore all’elicottero di Trentoni che seppur isolato rimaneva comunque armato.Passo dopo passo era arrivato alla coda. Pochi metri, e sarebbero stati faccia a faccia.Le previsioni dicevano che dalla parte anteriore dell’eli-cottero sarebbero piovute pallottole, così Shadow tentò di arrivare a Loki da sopra.Saltò sulla coda e fu con un balzo sopra la fusoliera.Trentoni era là, sotto di lui. Teneva un braccio intorno al collo di Davide. Un gesto che a giudicarlo fuori contesto poteva essere confuso con qualcosa di genuino e paterno.Shadow trattenne il respiro e affondò il colpo.Il suo braccio passò soltanto di striscio vicino al volto di Trentoni che sbalordito si ritrasse facendo cadere Shadow.Trentoni lo colpì con un calcio al volto, tenendo sempre sotto la sua ala Davide. Shadow fu di nuovo in piedi ma Trentoni gli puntò contro la pistola.Il rumore degli spari fu assordante.Il Gruppo dei Sedici aveva iniziato ad avanzare veloce-mente costringendo i federali alla ritirata dentro l’elicotte-ro.Trentoni non volle fare la stessa fine e se la batté con Da-vide mentre Shadow cercava ancora di capire come fosse rimasto ancora vivo.Superato lo shock li inseguì.Inconsapevole di essere seguito a sua volta.

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Capitolo 119 – Momento

C’è un momento, un singolo, breve, istantaneo momento, che può far pendere le sorti di una battaglia da una parte piuttosto che dall’altra.Può influire il caso, la bravura, un errore, un aiuto dal-l’Alto.In un momento la vita di un uomo, o di tanti uomini, o di una nazione, o addirittura del mondo, può cambiare.Basta un piccolissimo dettaglio, e si passa da vincitori a sconfitti.O da sani a folli.Quel pomeriggio di sabato 15 novembre, Ivan Grasso det-to Shadow avrebbe abbandonato il mondo dei sani di mente, per abbracciare quello della pazzia.

L’unico riparo disponibile in quel campo di battaglia im-provvisato era la fusoliera distrutta del Calabrone schian-tatosi a terra dopo l’impatto col missile lanciato da Serpi-co.Ed era là che Trentoni aveva condotto Davide, in una cor-sa smodata e disarticolata che per poco non fece perdere i sensi al ragazzo.Appostatisi dietro i rottami, Trentoni frugò nelle sue ta-sche cercando il telefono cellulare.Doveva compiere tutto con una sola mano, dato che con l’altra teneva la pistola ed abbracciava Davide.Non trovandolo, ebbe un gesto di stizza e scalciò i rottami che rimanevano del Calabrone.Si rivolse a Davide.“Ascoltami. La tua scoperta vale molto. Moltissimo. Mol-to di più di quello che possono offrirti loro.” e con il men-to indicò la zona della sparatoria.

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“Tu non mi conosci. Credi di sapere chi sono. Ma ti sba-gli. Quello che sono io lo so solo io, intesi?” era una do-manda che non prevedeva risposta.Davide annuiva senza nemmeno capire le parole pronun-ciate da Loki.“Se vieni via con me, se collabori, potrai diventare qual-cuno. Chiunque tu vorrai. Avrai soldi, potere, donne. Devi solo venir via con me. Non ti sto proponendo una catte-dra! Uno squallido sgabuzzino dove passare la vita e fare i conti con gli spiccioli che ti rimangono in tasca. Ti sto parlando di ricchezza. Potere! Non c’è nulla di sbagliato in questo. Nulla che possa giustificare una tale reazione!” e continuava con il mento ad indicare.“Vogliono sottrarti la scoperta! Farla loro! Metterla al servizio della comunità. Quante volte hai sentito dire que-sta frase? Eh? E sai cosa significa? Significa che nessuno, se non chi decidono loro, ci guadagnerà qualcosa. E non ci pensare neanche, a reclamare qualche briciola! Puoi scegliere!”Gli occhi di Davide correvano tra la bocca e le mani di Trentoni.In quel momento gli sembravano tutte parole sacrosante.Eppure un qualcosa di più grande di lui, proveniente dal-l’interno, lo bloccava. Rifiutava i ponti d’oro offertigli.Quand’ecco che Shadow spuntò, barcollante e sanguinan-te, ma ancora vivo e pericolosamente addestrato.“Trentoni! Lascia il ragazzo! Combatti da uomo!”“Shadow…il ragazzo è libero di fare quel che vuole, non è vero?”Davide non riusciva a muoversi. Inconscio, subconscio e tutto ciò che ci governa erano in conflitto tra loro.

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La postura di Shadow era quella di un nonno particolar-mente apprensivo che attende il proprio nipote dopo un giro in bici stranamente troppo duraturo.“Davide è libero di venire da te, o rimanere con me. E’ qualcun altro che non ha questa chance.”Sorridendo, Trentoni consigliò a Shadow di controllare le fila del Gruppo dei Sedici.Avevano sopraffatto i due federali rimettendoci il tavolo, ed ora se le dovevano vedere con i vari scagnozzi del Cu-bo, ma erano in netta superiorità, anche perché molti Ri-tardati stavano iniziando a capire, catechizzati da Olga Fischer, quale fosse il vero piano di Loki.Un boato assordante fece cadere a terra tutti quanti, sbal-zati via dalla scossa del terreno provocata dallo schianto definitivo del secondo Calabrone, abbattuto da Serpico dopo un’estenuante duello aereo.I Buoni stavano vincendo.Shadow si rimise in sesto dopo la caduta e cautamente si voltò, temendo un colpo di testa di Trentoni.Quello che vide gli fece sgranare gli occhi e sbattere il cuore in gola.D’un tratto la normale salivazione aveva cessato di fun-zionare.“La vedi?”Certo che la vedeva.Jordan Higginbotham, Canonico della Setta dei Ritardati, figlia di Jane Higginbotham ed Ivan Grasso, stava nel bel mezzo della sparatoria, spalleggiandosi con Gai ed il pm Scattaro.Approfittando della reazione pietrificata di Shadow, Tren-toni prese la mira mordendosi la lingua, forse un inconsa-pevole movimento muscolare, forse un tentativo di repri-mere una risata, ed aprì il fuoco.

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Il colpo sibilò vicino alle orecchie di Shadow stesso e di Gai, andando a centrare la tempia sinistra di Jordan, che cadde a terra, senza più vita.Il cuore di Shadow ebbe un sussulto una specie di sbalzo di corrente, poi lo stesso sussulto si propagò verso l’alto, arrivando al cervello, al sistema nervoso e poi di nuovo giù, fino a raggiungere tutto il corpo.Trentoni aveva già cambiato obiettivo, ora aveva una testa coperta da pochi capelli bianchi nel mirino.Seppur a malincuore, sparò.Si rimise l’anima a Dio, che solo lui avesse da giudicarlo una volta salito in Cielo.Il commissario Ciotti aveva sparato.Non sparato per uccidere, questo no, ma a spiegarlo a pa-role non ce l’avrebbe fatta neanche lui.Aveva sparato verso una persona, questo lo doveva am-mettere. Ed il fatto che la persona fosse un criminale della peggior specie, non poteva essere una cristiana giustifica-zione.Ma non poteva far altro.Il sangue zampillò dalla gamba di Davide che con il suo grido di dolore e conseguente sobbalzo mandò a vuoto il colpo di Trentoni facendogli perdere la pistola.Shadow era ancora vivo.E pronto per la sua atroce vendetta.

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Capitolo 120 – Comunità

L’intuizione di Chagas era stata giusta.Uno del gruppo doveva disinteressarsi di tutto e procedere in silenzio dietro a Shadow, che si era fiondato verso Trentoni.La presenza di un poliziotto garantiva la sorveglianza su di un loro eventuale accordo.Nei pensieri di tutti infatti, colui che li avrebbe seguiti andava a sorvegliare, garantire, non ad uccidere.Ecco perché ci andò Ciotti.Ma nel momento decisivo, in quel momento che fa la dif-ferenza, non ebbe la possibilità di tirarsi indietro.Prese la mira e sparò.I rischi erano alti, Davide impallava la maggior parte della visuale, ma le conseguenze erano ancor più catastrofiche.Ciotti visse un momento di trance, non c’è dubbio.Per un momento calcolò che rischiare la vita di un ragaz-zino di appena diciotto anni era accettabile, se c’era da salvare il mondo.Non c’è la controprova, ma se Trentoni avesse freddato Shadow, niente avrebbe potuto più fermarlo.A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, c’è da stare sere-ni se il colpo ha soltanto ferito la gamba di Davide; ma a vederlo mezzo vuoto, c’è rammarico per non aver centra-to la fronte di Trentoni.Comunque sia, questa è la storia e non c’è niente rimpro-verare al commissario Ciotti.Per ora.

“Davide! Davide!” ormai la copertura di Ciotti era saltata, ed urlava a gran voce per farsi sentire in quel baccano.

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Ciotti era rimasto dietro gli alberi del parcheggio del ri-storante e si sporse per farsi vedere da Davide.Trentoni era finito col sedere a terra.Con le mani tastava il terreno alla ricerca di Davide e del-la pistola, o almeno ad uno dei due, una qualsiasi arma per difendersi da Shadow.Ma Davide si era trascinato fino a Ciotti, sempre in silen-zio, senza dire nemmeno una parola.“Perdonami. Stai bene?”Davide annuiva, né più ne meno di come faceva con Tren-toni.“Dai, ti porto via da qui.”Ciotti lo prese da sotto un braccio e lo aiutò ad arrivare fino alle auto parcheggiate sulla strada principale.“Non devi aver paura. E’ tutto finito. Ti portiamo al-l’ospedale appena possibile. Tu sei una persona importan-te. La tua mente, è importante. Quello che hai scoperto potrà essere messo al servizio della comunità. ”

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Capitolo 121 – Morte

“L’hai uccisa…l’hai uccisa…l’hai uccisa…” il mantra recitato da Shadow era interminabile.Cambiava l’intonazione, espressione, velocità, ma le pa-role rimanevano sempre le stesse.L’hai uccisa.L’hai uccisa.L’hai uccisa.Senza armi, giochetti psicologici, maschere e aiutanti, Trentoni era poca cosa.Un calcio lo colpì al volto.E subito un altro alle costole.Gli si ruppe il naso, sentiva il sangue colargli nel colletto della camicia.Continuava a tastare il terreno, cercando una pistola che chissà dov’era finita.L’hai uccisa.Un altro calcio alla testa.L’hai uccisa.I colpi di Shadow erano chirurgici. Colpivano solo dove facevano male.L’hai uccisa.“Che cazzo credevi, eh? Che non sapessi niente di te? Che facessi accordi con te senza prendermi una qualche garan-zia?”Con il tallone Shadow gli fece saltare la gran parte dei denti.“Beh vecchio, ti sbagliavi. Ti sei sbagliato. Lo so che era tua figlia. E non me ne frega un cazzo!”L’hai uccisa.L’hai uccisa.Trentoni si alzò in piedi, con difficoltà.

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Più che per rispondere ai colpi era per non morire soffoca-to dal proprio sangue.Da in piedi prestava un bersaglio troppo facile a Shadow che potendo contare anche sulla forza delle mani diventa-va una condanna a morte.Colpì velocemente Trentoni, alternando mani, gomiti, gi-nocchia e gambe.Non c’era niente che potesse fare per salvarsi la vita.Il gruppo dei Sedici si stava avvicinando.Erano arrivati ad un armistizio con i Ritardati che ora ascoltavano solo le parole di Olga Fischer.Gai fu il primo a prendere la parola.“Dobbiamo fermarlo, dobbiamo mettere Trentoni in pri-gione. Se lo lasciamo continuare lo ammazzerà!”Gli uomini della P.I.R.O. Attendevano un ordine.La decisione spettava al pm Scattaro.“Lasciatelo finire.”

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Capitolo 122 – La guerra è finita

Veder battagliare Akane e LaMorte con in mano le loro armi preferite era esattamente come vedere un match di tennis tra Federer e Nadal.Uno spettacolo per gli occhi, colpi magistrali e movenze leggiadre, ma per i due protagonisti era tutt’altro che di-vertente.Nessuno dei due avrebbe mai abbandonato e nessuno dei due aveva punti deboli da far trionfare l’altro.Una partita così sarebbe andata avanti per ore.Akane non riusciva a crearsi lo spazio necessario per ri-congiungersi ai Sedici, LaMorte non riusciva a colpirla in un punto scoperto.Nel frattempo era caduto un aereo, morte un sacco di per-sone, e loro non si erano accorti di nulla.Erano lì, in trincea, studiando un piano.Quando ad un tratto si avvicinarono a passo lento i mem-bri dei Sedici e tutti gli altri Ritardati ormai consapevoli della verità. Alcuni impugnavano ancora la pistola, ma i loro sguardi erano rilassati e sereni.Per un attimo LaMorte caricò la pistola, ma la gettò subi-to.La guerra era finita.

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Capitolo 123 – Sipario

Appena finito di uccidere Trentoni, la Scattaro diede ordi-ne di arrestare Ivan Grasso. Al processo avrebbe dovuto rispondere di associazione a delinquere, terrorismo ed omicidio. Se per i primi due capi d’imputazione poteva contare su qualcuno, per esempio i suoi datori di lavoro, per il terzo non ci sarebbe stato niente da fare.Il pm aveva decine di testimoni oculari e la garanzia che Shadow avrebbe passato gli ultimi anni della sua vita in carcere.Gli consentì di uccidere Trentoni non per appagarlo di vendicarsi della morte della figlia, ma per impacchettare per bene l’unico capo d’imputazione che nessuno avrebbe mai potuto inficiare e sbattere in cella una persona che al pari di Trentoni lo meritava più di tutti.Come previsto, Akane, K-Nossi, Pixel e Supermotor pre-sero congedo immediato dall’unità speciale P.I.R.O.Akane intraprese la carriera di istruttrice di palestra, K-Nossi aprì un officina meccanica e Pixel venne assunto da un azienda di software per nastri trasportatori.Di Supermotor non si seppe più nulla, ma provate a vede-re se riconoscete qualcuno nella scena dell’esplosione del ponte nel film “Operazione: Quello”.Ma nonostante gli addii, l’unità P.I.R.O. non chiuse i bat-tenti.Ora era diretta dall’agente Serpico ed era alla ricerca di nuovi talenti.Ne aveva solo uno a disposizione.Si chiamava Danilo Nalli, e sull’uniforme nera portava il nome in codice “LaMorte.”

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Capitolo 124 – Epilogo

3 mesi dopo

I festeggiamenti ed il clima sereno successivo al termine del caso dei Ritardati avevano già lasciato il posto alla solita atmosfera cupa e triste.C’erano state sentenze (come quella di 30 anni di reclu-sione per Shadow) e promozioni (quelle di Gai e Ciotti), c’era stato spazio per riassaporare ogni momento di quel-l’incredibile settimana, iniziata come sempre dal letto del-la sconosciuta di turno e finita stavolta, per la prima volta, in un ospedale.Ferite da curare, cuori da assestare, vite da dover riordina-re.Ma non subito.Il caso dei Ritardati e di Lopins non era ancora stato ar-chiviato.Molte pressioni si erano fatte vive negli ultimi tempi, da tutte le parti del mondo.Chissà come la notizia, seppur insabbiata subito, aveva corso.I Ritardati davano la loro piena disponibilità a chiunque gliela chiedesse.Ma i tempi degli attentati erano finiti.Un sano, lungo e doloroso cammino verso la rifondazione del genere umano, quella sì era rimasta, ma senza la lotta armata.Per la prima volta Gai e Ciotti entrarono nell’ufficio di una sorridente ed amichevole pm Scattaro.Era molto ben ordinato e grande più del doppio di quello di Ciotti e Gai messi insieme malgrado le rispettive pro-mozioni.

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I rappresentati del ministero della difesa erano pronti ad accoglierli e tutti stranamente negavano di aver mai cono-sciuto un certo Ivan Grasso.L’incontro era stato voluto dai Ritardati, ora sotto la guida commissariata di Olga Fischer, per poter porre fine una volta per tutte a questa storia.Nell’ufficio, oltre ai già citati membri del ministero, sede-vano ad un tavolo: Olga Fischer, il pm Scattaro, il vice questore Ciotti, il commissario Gai ed un silenzioso Da-vide Ciambelli, vistosamente claudicante appoggiato ad un bastone. Il colpo di Ciotti gli aveva rotto un femore, e difficilmente sarebbe tornato a camminare come prima.Uno del ministero, con occhiali da vista ed un vistoso anello all’anulare sinistro prese la parola.“Davide, so che sei ancora particolarmente scosso per quello che ti è successo alla gamba e tutto quello che hai dovuto passare…ma sono passati diversi mesi e noi…vo-levamo sapere cosa avevi deciso di fare.”“Zi…noi folere mettere a zicuro tuoi rizultati.”“Sì, ecco, noi vogliamo proteggerti, e mettere in atto la tua scoperta per il bene della comunità. Dacci i tuoi do-cumenti, ed insieme ad un gruppo di esperti potremo svi-lupparla meglio. Che ne pensi? Potresti comunque colla-borare con noi mentre finisci di studiare.”Davide aveva un espressione torva.Allora era vero.Aveva ragione Trentoni.Volevano solo sfruttarlo e per farlo non avevano esitato a sparargli e renderlo zoppo!No, non avrebbe ceduto.“Signori, quello che ho scoperto è mio e solo mio.”Mise una mano sotto la giacca.Tutti pensarono in un piccolo capriccio da ragazzini.

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Credevano che stesse per consegnare loro i fogli con tutti gli studi realizzati.Credevano di star per ricevere Lopins.Ed invece Davide estrasse una pistola.Ciotti non potè fare a meno di riconoscerla.Era quella sfuggita a Trentoni.“Ed ora, se non vi dispiace, ho un appuntamento. Con qualcuno che crede davvero in me!”Davide uscì dall’ufficio camminando all’indietro, pog-giandosi precariamente sul bastone che tanto odiava por-tare in giro.Con l’altra mano teneva la bocca della pistola spianata su quel gruppo di falsi salvatori del mondo. In particolare si soffermava spesso sul volto di Ciotti.Si stava dirigendo verso il balcone.Il rumore di pale d’elicottero era sempre più forte.Gettò il bastone sul tavolo quasi colpendo il commissario Gai e si sostenne alla ringhiera.Poi una figura tutta nera si calò dal cielo con una corda e lo afferrò.La figura oscura comunicò attraverso la ricetrasmittente un qualcosa del tipo: “We got it!” e sparì nel buio insieme a Lopins.Il silenzio ricadde sulla sala così com’era scomparso, al-l’improvviso.Stavano ancora guardando di fuori con il naso all’insù, un cielo nero e freddo che non aveva niente di buono da an-nunciare.“Cazzo!” fu la sola cosa che seppe dire il neo commissa-rio Stefano Gai.

FINE

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