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Mar 26, 2016

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Formazione a Distanza Estratto da Provider: Fabiano Group S.r.l. - Reg. San Giovanni 40 - 14053 Canelli (AT) Tel. 0141 827827 - Fax 0141 033112 - [email protected]
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Numero di Accreditamento Provider: 77Data di Accreditamento Provvisorio: 22/04/10 (validità: 24 mesi)La Fabiano Group è accreditata dalla Commissione Nazionale a fornire programmi diformazione continua per medici chirurghi con specializzazione in Oftalmologia eOrtottisti/Assistenti in Oftalmologia e si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e lacorrettezza etica di queste attività ECM.Iniziativa FAD rivolta a Medici Oculisti e Ortottisti/Assistenti in Oftalmologia.Obiettivo formativo: Innovazione tecnologica: valutazione, miglioramento dei processi digestione delle tecnologie biomediche e dei dispositivi medici. Technology AssessmentModulo didattico n. 1 del percorso formativo “Euvision” (Rif. 77-966) della durata complessivadi 12 ore.Numero di crediti assegnati al programma FAD una volta superato il test di apprendimento: 12

Provider:

Fabiano Group S.r.l. - Reg. San Giovanni 40 - 14053 Canelli (AT)Tel. 0141 827827 - Fax 0141 033112 - [email protected]

Formazione a Distanza

Estratto da

EuVision

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31/10 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology

Indice dei contenuti

Luce blu ed apparato visivo - prima partePasquale Troiano, Bruno Piccoli

4

Luce blu ed apparato visivo - seconda partePasquale Troiano, Bruno Piccoli

10

Neuroprotezione nel glaucoma: ruolo della citicolinaNicola Pescosolido, Barbara Imperatrice, Claudia Ganino, Monica Autolitano

16

Case report: Orbital RhabdomyosarcomaGyanendra Lamichhane, Pradeep Bastola, Gulshan Bahadur Shrestha

26

Case report: Rhino-orbital mucormycosisGarg Pragati, Khanduri Sachin

44

Metastasi dell’orbita: revisione della letteraturaPaolo Amaddeo, Stefano Fontana, Rolando Ghilardi

30

Le fotostimolazioni neurali sono tutte uguali? FSN integrata versus FSN customizzataPaolo Limoli, Laura D’Amato, Filippo Tassi, Roberta Solari, Riccardo Di Corato, Enzo M. Vingolo

38

Neuroprotezione nel glaucoma: ruolo della acetil-L-carnitinaNicola Pescosolido, Barbara Imperatrice, Claudia Ganino, Monica Autolitano

48

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4 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

Luce blu ed apparato visivo

Pasquale TroianoClinica Oculistica dell’Università di Milano - Fondazione Policlinico di Milano IRCCS

Bruno PiccoliIstituto di Medicina del Lavoro - Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma

RIASSUNTOLa luce blu rappresenta un rilevante fattore dirischio fototossico in particolare per la macula.La fonte principale di luce blu è il sole, ma sonosempre più diffusi negli ambienti confinati dilavoro, sistemi artificiali di illuminazione cheemettono luce blu. La luce blu è, secondo la recente letteratura, si-curamente in grado di accelerare in modo si-gnificativo il processo del ciclo visivo, inducen-do la produzione di maggiori quantità di so-stanze ossidanti (Reactive Oxygen Species,ROS), di sostanze tossiche (A2E) e di cataboli-ti (lipofuscina).Questo tipo di sollecitazione luminosa della re-tina porta alla formazione di drusen che sonoconsiderate lo stadio evolutivo iniziale della de-generazione maculare senile (Age-relatedMacular Degeneration).I soggetti più esposti agli effetti della luce blusono i soggetti giovani (dove la trasmissionedella luce alla retina è ottimale) e, soprattutto,i soggetti operati di cataratta (dove la lente in-traoculare impiantata non è sempre in grado difiltrare il blu e la retina è meno resistente allaintensa sollecitazione luminosa indotta dallaluce blu).Per le suddette ragioni sarebbe estremamenteutile introdurre l’obbligo per i costruttori di ap-parecchi illuminanti di allegare un foglio illu-strativo sulle caratteristiche di emissione deidiversi apparati, soprattutto per le apparec-chiature ad impiego lavorativo.Sull’altro fronte, altrettanto utile sarebbe codi-ficare tutti i tipi di lenti (intraoculari, oftalmi-che, a contatto, da sole) in base alle loro capa-cità di filtrazione delle diverse lunghezze d’on-da della radiazione ottica, come del resto avvie-ne, ad esempio, per le creme solari.

ABSTRACTBlue light is a significant factor in cau-sing a damage in the retinal tissue, par-ticularly in the macula. Main source ofblue light is the sun, even though pro-gressively more diffuse is in indoor envi-ronments the use of lamps emitting inthe band of blue.It has been demonstrated that blue light iscapable of increasing substantially the vi-sual cycle and consequently the produc-tion of Reactive Oxygen Species (ROS),toxic compounds (A2E) and catabolites (li-pofuscin). All this leads to the developmentof drusen, which are considered, accor-ding to the literature, an early stage of Age-related Macular Degeneration (AMD).Young people are the most sensitivesubjects (due to the high transmissibilityof light by the optical media) and parti-cularly subjects who underwent cataractsurgery, where the intraocular lens is not“blue shielded” and retina is less resi-stant to the high photic damage inducedby blue light. For these reasons it wouldbe very useful if light fittings producersprovide adequate information on thelight spectra emitted by the lamps em-ployed, with specific regards to the workplaces.

PRIMA PARTE

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INTRODUZIONESi definisce “luce blu” la radiazione luminosacompresa tra i 380 ed i 520 nm (Figura 1). A queste lunghezze d’onda ed in determinatecondizioni di esposizione, l’occhio può esseresoggetto a danni retinici che possono essere dinatura termica o fotochimica. Il danno termico è determinato da un aumentosignificativo della temperatura dell’area retinicairradiata dovuto ad elevati livelli di potenza dellaradiazione luminosa per tempi d’esposizioneanche molto brevi (milionesimi di secondo).Il danno termico è pressoché indipendente dallalunghezza d’onda della luce ed è raro. Il dannofotochimico, invece, si verifica in assenza di unaumento significativo della temperatura nellazona retinica irradiata, con bassi livelli di poten-za della radiazione luminosa anche a seguito diesposizioni di più lunga durata (minuti), ed è for-temente dipendente dalla lunghezza d’ondadella luce (massima lesività a 441/442 nm).La dose soglia per la lesione fotochimica è datadal prodotto della potenza per il tempo di espo-sizione (energia totale assorbita), ed è quindisoggetta al principio di reciprocità. Ne derivache, ad esempio, la lesione fotochimica blu-in-dotta può essere conseguenza dell’osservazionedi una sorgente ad alta intensità per un tempobreve o di una sorgente meno intensa, per un

tempo più lungo. È il valore di dose accumulatail parametro fondamentale in grado di determi-nare la soglia oltre la quale si produce il dannoretinico. Inoltre, le caratteristiche dei soggettiesposti condizionano notevolmente sia la dosedi luce blu in grado di raggiungere la retina chegli effetti sulla retina (danni in rapporto alla doseassorbita). La principale sorgente naturale diluce è il Sole. Esistono poi le sorgenti artificiali,vale a dire progettate dall’uomo per i più diffe-renti scopi oltre a quello primario dell’illumina-zione. Le diverse sorgenti artificiali possono es-sere distinte in due tipologie principali: quelleche emettono luce ad alta monocromaticità ecoerenza rappresentate dai laser, e quelle a“larga banda” con emissione incoerente che in-clude tutte le restanti. Il nostro interesse è rivolto unicamente alle sor-genti di luce incoerente ed in particolare alleemissioni nella banda inferiore del visibile, non-ché ai loro effetti sulla retina.La radiazione ottica proveniente da queste sor-genti artificiali è ampiamente utilizzata in appli-cazioni industriali, commerciali (solarium), me-diche e di ricerca scientifica ed anche abitative. Per queste sorgenti la letteratura internazionaleha sollecitato, nell’ultimo ventennio, l’attenzio-ne di ricercatori e produttori su uno specificoproblema, ormai noto come “rischio da luce blu”

Moreover, it would be very helpful tomake available the transmittance of theblue wavelengths in all sorts of lenses (in-traocular, ophthalmic, contact, etc.), as itis normally done, for instance, with suncreams.The availability of personal samplers, asit is currently done to workers exposed toionizing radiations, and the implementa-tion of adequate ergophthalmic healthsurveillance appears to be essential toprevent retinal damage in the operatorsexposed.KEYWORDS: blue light, macula, photo-toxicity, drusen, AMD.

In ambito lavorativo la questione si presenta, al -lo stato attuale delle conoscenze, assai più com -plessa (bibl lavoro dBA Modena), date le gran didifficoltà che ancora esistono, sia per una misu-razione affidabile del “blu” emesso dal le molte-plici ed assai diversificate sorgenti lu minose ar-tificiali presenti nell’industria e nel terziario, siaper una attendibile rilevazione delle reali con -dizione di esposizione (tipologia dei compiti la-vorativi svolti). È infatti da questi parametri chedipende l’effettiva “dose assorbita” dal lavorato-re, la cui quantificazione è assolutamente im-prescindibile, in ergoftalmologia, ove si vogliaaccertare (i) l’esistenza di un rischio di naturaoccupazionale, oppure (ii) dimostrare l’esisten-za di un rapporto di causa-effetto tra le altera-zioni retiniche presenti e le con dizioni di lavoroche le avrebbero determinate.PAROLE CHIAVE: luce blu, macula, foto-tossicità, drusen, degenerazione macularesenile (DMS)

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6 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

(Figura 2). Tale denominazione deriva dal tipo dispettro prodotto da alcuni particolari elementi il-luminanti, che si mantiene nella regione dellabanda violetto-blu. L’organo “bersaglio” di que-sto tipo d’emissione luminosa è l’occhio ed inparticolare la macula.Scopo di questo lavoro è analizzare gli effetti a li-vello retinico indotti dall’esposizione a “luceblu”, nell’obiettivo di evidenziarne i possibili ef-fetti anche in rapporto all’eventuale presenza diipersuscettibilità individuali.

LA RADIAZIONE OTTICAIl comportamento della radiazione ottica è rego-lato dai fenomeni tipici della meccanica ondula-toria, quali riflessione, diffusione, rifrazione, as-sorbimento, interferenza, diffrazione, polarizza-zione ecc. ma, ai fini dell’interazione con i tes-suti biologici, la maggiore rilevanza va attribui-ta ai primi quattro. Riflessione, diffusione e rifra-zione giocano un ruolo importante nella forma-zione delle condizioni di esposizione: la riflessio-ne della radiazione da parte dei tessuti, adesempio, può contribuire in modo sostanzialenel ridurne l’assorbimento, mentre un mezzodiffusore (sia esso l’atmosfera o un vetro opa-lino) posto tra sorgente e tessuto biologico, èin grado di attenuare anche notevolmente l’e-nergia emessa in una determinata direzione. È comunque del tutto evidente che, ai fini del-l’effetto biologico, il fenomeno fondamentale èquello legato ai processi di assorbimento dienergia che portano a profonde modificazioninella struttura dei tessuti oculari attraverso inte-razioni con atomi e molecole. La risposta biolo-gica di questi ultimi è fortemente legata all’ener-gia dei fotoni incidenti. Tali interazioni di tipo fi-sico possono produrre lesioni a carico del tessu-to retinico. È opportuno ricordare che “poten-

Figura 1. Spettroelettromagnetico totale

e frazione del visibile

Figura 2. Esempio di esposizione rischiosa a radiazioni elettromagnetiche ad alta frequenza

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zialmente dannose” non sono solo le sorgenti ar-tificiali; anche il sole è responsabile di diversepatologie oftalmiche, in particolare a basse lati-tudini e nelle sempre più estese aree suscettibi-li all’influenza del cosiddetto “buco nell’ozono”.La “normale” esposizione alla luce solare non ri-sulta dannosa, sia per effetto dei riflessi sponta-nei di protezione, che per la collocazione anato-mica del globo oculare, il quale risulta protettodai rilievi osteocutanei orbitali, dalle ciglia edalle palpebre. Nella Tabella 1 sono riportate leampiezze delle bande spettrali della radiazioneottica. Nella Tabella 2 sono riportati gli intervallidi lunghezza d’onda che corrispondono indica-tivamente alla percezione delle principali tona-lità cromatiche. Le prime indicazioni sul fattoche la radiazione ottica può comportare un ri-schio per le strutture oculari si hanno fin dal-

l’antichità, proprio in rapporto alle osservazionisolari. Il più antico riferimento lo si trova già negliannali cinesi risalenti al 2158 a. C. In tempi e luo-ghi più vicini a noi troviamo Platone che nelFedone, per bocca di Socrate, avverte come unanon corretta osser-vazione del Sole possa dan-neggiare la funzione visiva. La prima descrizio-ne scritta di un danno retinico da luce viene daBotenus nel 17° secolo1. Il primo lavoro speri-mentale sui danni retinici da luce è stato con-dotto da Czerny nel 1867; il quale utilizzandodelle lenti positive focalizzò la luce solare sullaretina di diversi animali2. La prima pubblicazio-ne realmente scientifica giunge alla fine dell’ot-tocento, grazie a Dufour che studia numerosicasi di cecità osservati nella popo-lazione in re-lazione all’eclissi di sole del 19 luglio 1879. In se-guito, praticamente dopo ogni eclissi solare, tro-via-mo riportati in letteratura casi di cecità chetrovano una prima sistematizzazione nel lavorodi Verhoeff e Bell del 19163. La scoperta deldanno retinico da luce blu è relativamente re-cente4,5, ed ha consentito di chiarire alcuniaspetti della patogenesi della maculopatia foto-tossica legata alle procedure di microchirurgiadella cataratta, che nel 1995 rese necessario unavvertimento pubblico da parte della Food andDrug Administration statunitense6. Per lungotempo, infatti, si è creduto che la maculopatia fo-totossica fosse correlata al danno termico indot-to dagli infrarossi, ma gli studi relativi alla con-duzione e dissipazione del calore del tessuto re-tinico, hanno consentito di portare precise e so-stanziali critiche a questa teoria.

STRUTTURE OCULARI E LUCE BLULa luce blu è un fattore di rischio per la retinaanche perché è compresa nello spettro di radia-zione visibile per l’occhio umano. La capacità ditrasmissione della luce da parte delle struttureoculari sane è molto buona, con un coefficientedi trasmissione complessiva appena al di sottodel 100%. La retina viene raggiunta dalla radia-zione ottica con lunghezze d’onda comprese tra380 e 950 nm. Anche se circa l’80% della radia-zione ottica che raggiunge la retina è compresatra 380 e 780 nm, l’assorbimento da parte dellaretina della radiazione ottica è massima nell’in-tervallo di lunghezza d’onda compreso tra 450 e550 nm. La radiazione ultravioletta ad alta ener-gia (minore di 300 nm) viene totalmente assor-

Denominazione Ampiezza della Bandadella Banda

UVA 100 – 280 nm

UVB 280 – 315 nm

UVC 315 – 400 nm

LUCE 400 – 780 nm

IRA 780 – 1400 nm

IRB 1400 – 3000 nm

IRC 3.0 µm – 1 mm

Tabella 1. Bande spettrali della radiazione ottica

Tonalità cromatiche Lunghezza d’onda in nm

Viola 400 – 425

Indaco 425 – 486

Blu 486 – 493

Blu-verde 493 – 510

Verde 510 – 552

Verde-giallo 552 – 573

Giallo 573 – 587

Arancio 587 – 645

Rosso 645 - 780

Tabella 2. Intervalli di lunghezza d’onda indicativi per leprincipali tonalità cromatiche

71/10 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology

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bita dalla cornea. Le lunghezze d’onda compre-se tra 300 e 360 nm vengono quasi del tutto as-sorbite da cornea e cristallino. La quota di radia-zione non precedentemente assorbita (meno del2%) viene completamente arrestata dal vitreo. Un’altra osservazione relativa all’interazionedella radiazione ottica con le strutture oculari ri-guarda l’angolo con cui la radiazione ottica col-pisce l’occhio. Infatti, i raggi obliqui vengono va-riamente riflessi dalla superficie oculare e daquesto ne consegue che solo una parte della ra-diazione ottica verrà trasmessa all’interno del-l’occhio ed una parte ancora minore sarà assor-bita dalla retina (Figura 3).Con l’invecchiamento la densità ottica di tutti imezzi diottrici aumenta, ma soprattutto au-menta quella del cristallino cosicché la retinaviene raggiunta da una minore quantità di luce:ad esempio, a 75 anni il cristallino trasmette 3volte meno luce che a 15 anni. La trasmissione

di luce dai mezzi diottrici alla retina con l’invec-chiamento è nettamente più ridotta per le fre-quenze del blu e del verde rispetto alle altre fre-quenze; questa differenza di trasmissione giu-stifica la differente percezione cromatica che siaccompagna all’invecchiamento. Con l’invec-chiamento si riduce anche il diametro della pu-pilla. La riduzione complessiva con l’avanzaredell’età della trasmissione di luce alla retina edin particolare delle basse frequenze d’onda, puòapparire progettuale alla difesa della retinasempre più suscettibile, con l’invecchiamento,agli insulti luminosi. Oggi, grazie alla notevoleevoluzione della chirurgia della cataratta, checonsente risultati funzionali inimmaginabilisolo tre decenni fa, la sostituzione del cristalli-no con lenti artificiali ripristina una trasmissio-ne luminosa che la retina non è sempre in gradodi affrontare. �

(Fine prima parte)

Figura 3. Assorbimento percentuale della radiazione otticainferiore a 360 nm da parte delle diverse strutture oculari

(tratto da Luce e UV di B. Piccoli e S. Orsini – Biblioteca dellaLuce Reggiani, 1998)

1. DUKE-ELDER S, MAC FAUL PA. “Non mechanical injuries” in Duke-Elder S. System of Ophthalmology 1972, vol.14:837-916 Mosby.

2. CZERNY D. “Über Blendung der Netzhaut durch directes Sonnenlicht” S. B. Akad. Wiss. 1867, 6:409-411.

3. VERHOEFF FH, BELL L. “The pathological effect of radiant energy on the eyes” Proc. Am. Acad. Arts. Sci. 1916, 51:630-759.

4. HAM W. “Ocular hazard of current knowledge” J. Occup. Med. 1983, 25:101-103.

5. BERLER DK, PEYSER R. “Light intensity and visual acuity following cataract surgery” Ophthalmology, 1983, 90:933.

6. PUBLIC HEALTH ADVISORY. Retinal photic injuries from operating microscope during cataract surgery. United States Food and DrugAdministration, October 1995.

BIBLIOGRAFIA

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NOTE

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LA DEGENERAZIONE MACULARE

LEGATA ALL’ETÀ: IL PARADOSSO

RETINICO

La retina ed in particolare la macula rappresen-

tano un paradosso poiché mentre la loro fun-

zione è quella di ricevere e trasformare la luce

mediante l’ossigeno, contemporaneamente

l’interazione tra luce e ossigeno è alla base del

danno fotochimico della retina. La degenera-

zione maculare legata all’età (Age-related

Macular Degeneration, AMD) è stata messa in

relazione allo stress ossidativo subìto dai foto-

recettori e dall’epitelio pigmentato retinico

(EPR)7. Sia le cellule fotorecettoriali che quelle

dell’EPR sono cellule post-mitotiche non in

grado di riprodursi e devono sostenere per tutta

la vita i processi ossidativi indotti dalla luce8,9.

Nei primi 40 anni, la retina produce una gran-

de quantità di antiossidanti che sono in grado

di contrapporsi efficacemente allo stress ossi-

dativo. Dopo i 40 anni la produzione di antios-

sidanti si riduce e, contemporaneamente, i pig-

menti protettivi come il “lenticular 3-hydroxy

kynurenine” e la melanina vengono chimica-

mente trasformati da antiossidanti in pro-ossi-

danti e i cromofori fluorescenti come la lipofu-

scina cominciano ad accumularsi nel l’EPR, co-

sicché la retina diviene sempre più ai danni

conseguenti alla stimolazione luminosa10,11.

La luce assorbita dai fotorecettori è uno dei

fattori principali per la produzione di ossidora-

dicali che inducono il danno molecolare nel

tessuto retinico. Le lunghezze d’onda nell’am-

bito del “blu” producono un potente stress os-

sidativo nella retina e sono le principali re-

sponsabili del prolungamento degli effetti di

precedenti stress ossidativi12.

Dato che il danno fotorecettoriale indotto dalla

luce è proporzionale alla quantità di luce as-

sorbita dai fotopigmenti, la parte blu della luce

incrementa notevolmente il danno ossidativo

attraverso la sua capacità di indurre la cosid-

detta “fotoinversione dello sbiancamento”. In

condizioni normali, infatti, quando i fotopig-

menti assorbono la luce, la cellula fotorecetto-

riale “sbianca” divenendo incapace di assorbi-

re altra luce fino a quando il ciclo visivo non

avrà ricostituito i fotopigmenti. Se invece i fo-

topigmenti assorbono luce blu questa, anche

se il ciclo visivo non si è ancora completato,

rende i fotorecettori immediatamente dispo-

nibili ad assorbire ulteriori quantità di luce ed

il processo si ripete13,14. Il danno fotossidativo

indotto dalla luce blu porta alla formazione nel

segmento esterno dei fotorecettori di sostan-

ze tossiche indigeribili come ad esempio l’N-

retinil-N-retinilidene-etanolamina (A2E)15. La

stessa A2E quando viene colpita dalla luce blu

produce notevoli quantità di ROS (Reactive

Oxygen Species)16.

Alti livelli di esposizione a luce blu possono in-

durre una sufficiente produzione di ROS da

determinare la morte dei fotorecettori. Infatti,

quando si raggiungono alte concentrazioni di

A2E, questa sostanza ha un effetto di tipo “de-

tergente” sulle membrane cellulari e induce il

rilascio da parte dei mitocondri di proteine

apoptotiche17.

10 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

Luce blu ed apparato visivo

Pasquale TroianoClinica Oculistica dell’Università di Milano - Fondazione Policlinico di Milano IRCCS

Bruno PiccoliIstituto di Medicina del Lavoro - Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma

SECONDA PARTE

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Anche bassi livelli di esposizione alla luce blu

producono danni ossidativi che contribuisco-

no alla degenerazione a lungo termine della re-

tina. In particolare, bassi livelli cronici di espo-

sizione a luce blu inducono danni ossidativi a

carico delle cellule prossimali dell’EPR che,

giornalmente, assorbono i prodotti di scarto

derivanti dal metabolismo delle cellule fatore-

cettoriali18. Il danno molecolare da stress ossi-

dativo a carico del segmento esterno dei foto-

recettori (dove avviene l’assorbimento della

luce) si accumula nell’EPR e diviene il più im-

portante fattore di deterioramento a lungo ter-

mine della retina che si osserva sia nell’invec-

chiamento “normale” che nello sviluppo della

degenerazione maculare senile la cui patoge-

nesi iniziale coinvolge proprio le cellule

dell’EPR19. Il deterioramento dell’EPR inizia

quando diviene incapace di degradare alcune

componenti del metabolismo fotorecettoriale

come l’A2E che, come abbiamo già detto, è in-

digeribile. L’EPR accumula nel tempo mate-

riale tossico non trasformabile come la lipofu-

scina. La lipofuscina si accumula prevalente-

mente nelle cellule dell’EPR sottostanti la ma-

cula. Sia la lipofuscina che l’A2E originano dai

“retinoidi”. Non può essere solo una coinci-

denza il fatto che la macula ha anche la più alta

concentrazione di pigmenti visivi contenenti

11-cis-retinale come semplice conseguenza

della densità dei fotorecettori. L’elevata capa-

cità di assorbimento di fotoni conferita alla

macula dalla concentrazione di pigmenti visi-

vi si traduce in una elevata probabilità che

tutto il “trans-retinale” divenga disponibile

per la formazione di A2E20.

Dei metodi sicuri ed economici per ridurre

l’accumulo di lipofuscina e A2E sotto la macu-

la sono limitare l’esposizione alla luce intensa

e, soprattutto, limitare nettamente l’esposizio-

ne alla luce blu. Infatti, anche la lipofuscina

quando viene colpita dalla luce blu fotoprodu-

ce tanto più alte quantità di ROS e di ROI

(Reactive Oxygen Intermediates) quanto più è

bassa la lunghezza d’onda della luce (440-400

nm) che la colpisce21.

Le ROS ed i ROI danneggiano il DNA cellula-

re e inducono l’apoptosi delle cellule del -

l’EPR22.

L’accumulo di alte concentrazioni di lipofusci-

na nelle cellule dell’EPR e la sua esposizione

alla luce blu sono stati collegati alla perdita di

fotorecettori ed alla comparsa di AMD17.

In un contesto di questo tipo deve essere te-

nuto in considerazione anche il fatto che la re-

tina è dotata di recettori specifici per il blu non

solo, come è ben noto, a livello dei coni (coni S

con picco di sensibilità è 430 nm, da cui deri-

vano il nome di coni short o coni per il blu), ma

anche a livello delle cellule ganglionari della

retina dove sono state individuate cellule con

capacità recettoriale specifica per il blu deno-

minate “intrinsically photosensitive Retinal

Cell Ganglion” (ipRCG)23.

L’AMD inizia con lo sviluppo di drusen quan-

do le cellule dell’EPR non sono più in grado di

contenere la lipofuscina e cominciano a elimi-

nare rifiuti ossidativi nello spazio tra EPR e

membrana di Bruch24. Le drusen si formano

quando i rifiuti eliminati dalle cellule dell’EPR

in questo spazio si legano a componenti pro-

venienti dal circolo coroideale formando lega-

mi crociati con la membrana di Bruch25.

La presenza di drusen tra il circolo coroideale

della membrana di Bruch e le cellule dell’EPR

interferisce con il regolare apporto di ossigeno

e nutrienti ai fotorecettori che si trovano in

corrispondenza delle drusen che non essendo

adeguatamente nutriti muoiono. Questa pro-

gressiva degenerazione dei fotorecettori porta

alla forma “secca” di AMD26.

Anche la forma “umida” di AMD è collegata al-

l’accumulo di danni ossidativi ed alla fotopro-

duzione da luce blu di ROS. Le ROS alterano la

barriera ematoretinica formata dalla membra-

na di Bruch e dall’EPR favorendo l’invasione

dello spazio retinico da parte di piccoli vasi di

origine coroideale27.

IL RISCHIO DA LUCE BLU

Divenute più chiare le potenzialità dannose

della luce blu è necessario definire i soggetti

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più suscettibili e le condizioni di esposizione

più rischiose.

La luce blu fa parte dello spettro visibile e, per-

tanto, è sempre presente sia nella luce natura-

le sia nella luce artificiale. La quantificazione

della luce blu all’interno della radiazione otti-

ca è complessa e costosa in quanto richiede

l’utilizzo di strumenti estremamente comples-

si come lo spettroradiometro con monocroma-

tore (Figura 3).

Le problematiche di esposizione alla luce blu

hanno indotto i principali organismi interna-

zionali quali l’International Commission on

Non Ionizing Radiation Protection (ICNIRP) e

l’American Conference of Governmental

Industrial Hygienists (ACGIH) ad emettere in-

dicazioni sui valori limite di esposizione28,29 a

seconda delle caratteristiche dell’attività lavo-

rativa e delle caratteristiche della radiazione

ottica emessa. Infatti, essendo l’effetto della

luce blu sui fotorecettori retinici funzione della

sua lunghezza d’onda con massima lesività

per lunghezze d’onda comprese tra 435 e 440

nm, a questa verrà assegnato peso 1. L’analisi

della sorgente considerata deve pertanto es-

sere effettuata conoscendo l’energia emessa

per ogni singola lunghezza d’onda o banda di

poche lunghezze d’onda, in modo da poter

“pesare” correttamente l’esposizione.

Oltre al sole, tutte le sorgenti di luce artificia-

le sono fonte di luce blu. Tra le sorgenti di luce

artificiale più diffuse certamente quelle con la

maggiore emissione di luce blu sono le lampa-

de ad alogenuri metallici (Figura 4).

La loro diffusione è legata anche al fatto che

emettendo uno spettro luminoso ampio con-

sentono una buona discriminazione cromatica.

Per le suddette ragioni sarebbe estremamen-

te utile introdurre l’obbligo per i costruttori di

apparecchi illuminanti di allegare un foglio il-

lustrativo sulle caratteristiche di emissione

delle sorgenti, soprattutto per le apparecchia-

ture ad impiego lavorativo.

Sull’altro fronte, altrettanto utile sarebbe codi-

ficare tutti i tipi di lenti (intraoculari, oftalmi-

che, a contatto, da sole) in base alle loro carat-

teristiche di filtrazione della radiazione ottica

allo stesso modo delle creme solari.

Di assoluta rilevanza, in ambito ergoftalmico,

sarebbe l’esecuzione di una sorveglianza sani-

taria mirata in cui, accanto ad una anamnesi

lavorativa accurata fossero effettuate valuta-

zioni sullo stato anatomico della macula (ad

esempio le rilevazioni della presenza di dru-

12 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

Figura 3. Sulla sinistra uno spettroradiometro computerizzato utilizzato per rilevare l’emissionedell’illuminatore ad alogenuri metallici da 4 kW, sulla destra

Figura 4.Lampade ad alogenuri metallici

in un grande magazzino, solo le lampade cerchiate in

rosso emettono luce blu

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sen) orientate ad evidenziare qualsiasi stato

degenerativo precoce che possa essere in

qualche modo associato a lesioni indotte da

esposizioni acute e/o croniche a “luce blu”.

Infine, un’attenzione particolare meritano i

soggetti operati di cataratta i quali, per l’as-

senza dell’azione filtrante prodotta da un cri-

stallino “opacato” per effetto dell’età, diverreb-

bero maggiormente suscettibili di danno. Va

però rilevato che sono state recentemente

rese disponibili sul mercato lenti intraoculari

in grado di filtrare anche il blu, senz’altro utili

ai fini di limitare questo tipo di rischio.

Nei soggetti con particolari livelli di esposizio-

ne o con caratteristiche oculari che li rendano

maggiormente suscettibili all’azione della luce

blu (giovani, afachici, pseudofachici, con dru-

sen) devono essere fortemente raccomandati

dispositivi di protezione individuale. Questi

sono rappresentati dagli occhiali da sole e dalle

lenti a contatto.

Gli occhiali da sole devono avere uno schermo

laterale che, comunque, li rende inadatti a fil-

trare la radiazione ottica proveniente dall’alto

o dal basso; inoltre, presentano dei limiti nel-

l’utilizzo in ambienti illuminati artificialmente.

Le lenti a contatto già da qualche anno possie-

dono filtri efficaci per la radiazione ultraviolet-

ta. Mentre, solo da pochissimo tempo sono di-

sponibili sul mercato lenti a contatto in grado

di filtrare anche la luce blu. Esistono due tipi di

queste lenti con una diversa colorazione e

curva di trasmissione dello spettro luminoso,

ma entrambe in grado di filtrare la luce blu.

La curva di trasmissione della luce della

MaxSight Grey-Green (Figura 5) ci dimostra la

capacità di queste lenti di filtrare oltre a tutte

le basse lunghezze d’onda, anche una parte di

giallo-arancio; per questo trova una migliore

applicazione in condizioni di luce intensa e

brillante, mentre può risultare troppo “scura”

in condizioni di luminosità variabile.

La curva di trasmissione della luce della

MaxSight Amber (Figura 6) ci dimostra la ca-

pacità di queste lenti di filtrare tutte le basse

lunghezze d’onda senza interferire su quelle

dove l’occhio umano raggiunge la sua massi-

ma sensibilità; per questo trova una migliore

applicazione in condizioni di luce variabile o

artificiale.

Il vantaggio principale di un dispositivo di pro-

tezione individuale come le lenti a contatto ri-

spetto agli occhiali da sole è rappresentato dal

fatto che la lente a contatto ricopre intera-

mente la cornea e, quindi, annulla il rischio

correlato alla luce proveniente dall’alto o ri-

flessa dal basso. ■

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Figura 5. Curva di trasmissione della luce della MaxSight Grey-Green

Figura 6. Curva di trasmissione della luce della MaxSight Amber

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BIBLIOGRAFIA

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NOTE

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RIASSUNTOIl glaucoma è una patologia degenerativa che

colpisce le cellule gangliari retiniche del nervo

ottico dando luogo ad una progressiva escava-

zione della papilla ottica, dal punto di vista

anatomopatologo, che si traduce nella pro-

gressiva perdita del campo visivo.

Essendo una patologia ad andamento pro-

gressivo gli sforzi clinici e medici mirano a rag-

giungere l’arresto della degenerazione cellula-

re attraverso quella che viene chiamata neuro-

protezione.

Numerose sostanze sono state e sono tutt’ora

oggetto di studio per raggiungere tale scopo in

modi e tempi differenti.

La citicolina, a questo proposito, sembra avere

un’azione neuroprotettiva, confermata, da

studi in vivo ed in vitro, nei confronti delle cel-

lule gangliari retiniche che vanno incontro ad

apoptosi. Questa molecola è un nucleoside en-

dogeno precursore della fosfatidilcolina, com-

ponente indispensabile per la sintesi dei fosfo-

lipidi, che ha varie azioni all’interno della cel-

lula, tra cui il mantenimento di una membrana

plasmatica e mitocondriale strutturalmente

integre e l’azione antiossidante che impedisce

la degradazione della fosfatidilcolina in acidi

grassi con conseguente produzione dei radi-

cali liberi dell’ossigeno.

PAROLE CHIAVEGlaucoma, Pressione intraoculare (IOP),

Citicolina, Radicali liberi dell’ossigeno (ROS),

Mitocondrio.

INTRODUZIONEIl glaucoma è la seconda causa di cecità neipaesi industrializzati e attualmente ne sonoaffetti circa 67 milioni di persone (Quigley eBroman, 2006). Questa è una sindrome carat-terizzata da neuropatia ottica a evoluzioneprogressiva e difetti tipici del campo visivo,nella quale l’aumento della pressione intrao-culare (IOP) è il principale fattore di rischio.Studi recenti hanno dimostrato che il rischiodi cecità in pazienti con glaucoma ad angoloaperto in terapia è considerevolmente più altorispetto a quello che sarebbe da aspettarsi,con una percentuale pari a circa il 27% di pro-babilità di sviluppare cecità monolateraledopo 20 anni (Grant e Burke, 1982;Hattenhauer et al., 1998; Bergea et al., 1999;Ricard et al., 1999). Il fatto che alcuni pazienti continuino a svilup-pare danni al campo visivo nonostante la pres-sione intraoculare (IOP) sia normalizzata ècausa di frustrazione e ha sollevato numerosidubbi e perplessità sul tradizionale trattamen-to ipotensivo dei pazienti glaucomatosi(Bengtsson, 1981; Krakau, 1981; Varma et al.,1992; Brubaker, 1996) e nel contempo la pato-genesi del glaucoma resta materia di dibatti-to, in quanto rimangono irrisolti numerosiquesiti (Pescosolido e Imperatrice, 2006).Quindi, anche se, ormai è accertato che un fat-tore determinante nell’eziopatogenesi delglaucoma è l’aumento della IOP, tale incre-mento da solo non è sufficiente a determinarel'instaurarsi della patologia (Gaasterland eKupfer, 1974). Una conferma di quanto espo-

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Neuroprotezionenel glaucoma:

ruolo della citicolina

Sottoposto alla redazione il 19 Novembre 2009

Accettato per la pubblicazioneil 4 Gennaio 2010

Neuroprotezione nel glaucoma: ruolo della citicolina

Nicola PescosolidoUniversità di Roma “Sapienza” - Dipartimento di Scienze dell’Invecchiamento

Barbara Imperatrice, Claudia Ganino, Monica AutolitanoUniversità di Roma “Sapienza” - Dipartimento di Scienze Oftalmologiche

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sto è rappresentata dalle evidenze cliniche,emerse in seguito a numerosi studi, che in uo-mini e donne con la stessa IOP media, l'inci-denza del glaucoma a pressione normale, èdoppia nelle donne (Flammer, 1995). Sommeret al. (1991) hanno osservato inoltre che, nono-stante la IOP di uomini bianchi e neri sia pra-ticamente la stessa, l’incidenza del glaucomaè 4 volte maggiore nei neri, con un’uguale di-stribuzione in America, Europa e Giappone ein quest’ultimo paese la IOP diminuisce conl’aumentare dell’età (Anderson, 1989; Mura -kami e Okisaka, 1998).Perciò, è stato esaminato con particolare atten-zione il rapporto causa-effetto tra la IOP e ildanno glaucomatoso del nervo ottico (Mittaget al., 2000). L’incremento della IOP è dovuto adun alterato equilibrio tra forma zione di umoraqueo e suo efflusso attraverso il trabecolato edil canale di Schlemm (Quigley e Maumenee,1979; Quigley e Addicks, 1980; Haefliger et al.,2000; 2001; Lütjen-Drecoll, 2000).Rohen e Witmer dimostrarono nel lontano1972 che nei pazienti affetti da glaucoma pri-mario ad angolo aperto era presente a livellosubendoteliale del canale di Schlemm una for-mazione simil-placca, responsabile di una ri-duzione del deflusso di umor acqueo. Questi studi supportano l’ipotesi che il glau-coma sia dovuto primariamente ad un’altera-zione delle strutture trabecolari, responsabilipoi dell'incremento della IOP (Kass et al.,1976; Gaasterland et al., 1978; Hitchings,2000; Mittag et al., 2000). Questi concetti sono stati successivamenteridimensionati in seguito alla presenza dellaneurootticopatia glaucomatosa anche inocchi con IOP normale, riducendo pertantol’aumento della IOP ad uno, anche se il più im-portante, dei diversi fattori di rischio implica-ti nella patogenesi della malattia glaucomato-sa (Mao et al., 1991; Cioffi e Wang, 1999;Henry et al., 1999; Bonomi et al., 2000). Tutti i dati finora riportati vanno quindi versouna unica direzione: non solo incremento dellaIOP e peraltro nella forma di glaucoma a pres-sione normale (NTG) i trattamenti ipotensivi,almeno in una percentuale dei casi, non sem-

brano rallentare la progressione della malattiastessa (Collaborative normal-tension glauco-ma study group, 1998; Bautista, 1999).In sintesi, un incremento della IOP è notevol-mente rilevante per questa patologia anche seil danno al nervo ottico non è un fattore diret-tamente correlato ai livelli della pressione in-traoculare e questo è dimostrato dalla possibi-lità del verificarsi di danni al campo visivo inpazienti con IOP inferiori a 20 mmHg e dallapossibile assenza di danni campimetrici a va-lori di IOP superiori a 30 mmHg (Richler et al.,1982; Green e Madden, 1987; Vogel et al.,1990; Shirakashi et al., 1993; Suzuki et al.,1999; Bellezza et al., 2000). Tuttavia, nellamaggior parte dei pazienti si verifica un mi-glioramento della funzione visiva riportando ivalori alterati di IOP in ambiti fisiologici e unsuo peggioramento quando la IOP alterata nonè trattata (Novack et al., 1990; O’Brien et al.,1991; Curcio et al., 1996).Il glaucoma, da quanto esposto, viene a consi-derarsi una malattia multifattoriale in cui sononumerosi i fattori di rischio implicati e tra iquali l’aumento della pressione intraoculare èil più rilevante (Wilson et al.,1982; Fechtner eWeinreb, 1994; Nicolela e Drance, 1996;Anderson, 1999). Da ciò si evince che se la ma-lattia glaucomatosa è l’insieme di patologieche terminano in una neuropatia ottica, unaterapia volta a prevenire i processi che inne-scano il danno, più che a ridurre i fattori di ri-schio, potrebbe rappresentare un enorme po-tenziale terapeutico. In questa ottica si in-staura il concetto di neuroprotezione in quan-to questa è volta alla protezione del nervo ot-tico dalla degenerazione che si verifica incorso di glaucoma.La ragione per la quale il ruolo della IOP è statonotevolmente ridimensionato nella patogene-si dei danni campimetrici è, oltre la constata-zione di un glaucoma a bassa pressione, chein ogni paziente glaucomatoso ci sono varia-bili difficili da valutare e controllare come lapresenza di grandi cambiamenti della pressio-ne intraoculare durante l’arco diurno o ancorail diverso grado di evoluzione del danno glau-comatoso prima dell’inizio del trattamento

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mente classificata in base ai cambiamentimorfologici della regione papillare e peripapil-lare della testa del nervo ottico e dello stratodelle fibre nervose (Figure 1, 2). Queste varia-zioni includono la misura dell’escavazione deldisco ottico, la misura della configurazione delbordo neurale, la posizione e l’emergenza deivasi retinici dalla lamina cribrosa, la presenzae la localizzazione di emorragie superficiali pe-ripapillari, la misura, la configurazione e la lo-calizzazione di aree di atrofia corioretinica pe-ripapillare e infine il diffuso o locale restringi-mento delle arterie retiniche (Green eMadden, 1987; Evans et al., 1999; Gherghel etal., 2000; Jonas e Budde, 2000). Tutti questifattori sono elementi di aiuto non solo nelladiagnosi di neuropatia ottica glaucomatosama anche nel follow-up e trattamento terapeu-tico dei pazienti stessi qualora siano meglioconosciuti i processi attraverso i quali si ma-nifesta il danno. La complessità di questa patologia ha portatonel tempo a cambiare le definizioni eziologi-che del glaucoma. Recentemente, però, si è ar-rivati a concludere che il glaucoma deve esse-re visto come una patologia neurodegenerati-va e come tale deve essere trattato. Nel corsodegli studi di laboratorio, si è concluso che laneuroprotezione è la terapia a cui tendere glisforzi scientifici e che essa può essere rag-giunta sia farmacologicamente che immuno-logicamente (come si vedrà più avanti). Gli in-terventi farmacologici (ad esempio usandoagonisti α2-adrenergici selettivi) andranno aneutralizzare alcuni degli effetti tossici rila-sciati nel sito della lesione nervosa e, possibil-mente, andranno anche ad incrementare l’a-bilità dei neuroni non danneggiati a resisterea condizioni di stress dell’ambiente extracel-lulare. Gli interventi immunologici, invece, do-vranno stimolare quei meccanismi di riparopropri del singolo individuo al fine di neutra-lizzare tutte quelle molecole e fattori tossiciprodotti nel sito della lesione (Schwartz, 2001). In questo lavoro prendiamo ora in considera-zione una delle sostanze più note che vieneoggi utilizzata per la sua azione neuroprotet-trice: la citicolina.

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Figura 1.Immagine di una papilla ottica

normale

Figura 2.Immagine di una papilla ottica

con escavazione

(Chauhan e Drance, 1992; Teus et al., 1998;Bergea et al., 1999; Cooper, 1999).Findl et al. (2000) hanno per altro dimostrato,così come altri ricercatori, che la riduzione diperfusione della testa del nervo ottico è caratte-ristica in pazienti con glaucoma ad angoloaperto e ad essa è legata la comparsa di dannial campo visivo. Nonostante ciò, rimane anco-ra da stabilire se la compromissione del flussosanguigno a livello del disco ottico e a livello co-roideale contribuisca al danno al nervo ottico ti-pico dei pazienti glaucomatosi o se semplice-mente sia un fenomeno funzionale secondario.La neurootticopatia glaucomatosa è normal-

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La citicolina è il precursore naturale nella sin-tesi dei fosfolipidi soprattutto della fosfatidil-colina, importante per il mantenimento di unamembrana cellulare strutturalmente integra(Secades, 2001). Sappiamo infatti che la mem-brana cellulare è essenziale alla vitalità cellu-lare in quanto partecipa a vari processi indi-spensabili alla cellula, come il mantenimentodell’ambiente intracellulare costituendo unabarriera discriminante che regola il passaggiodelle sostanze all’interno della cellula e checontrolla la differenza di potenziale elettrico.Inoltre, a ridosso delle membrane cellulari av-viene la maggior parte delle reazioni biochimi-che e nel suo contesto sono localizzati i recet-tori di superficie che permettono il dialogodella cellula con le cellule circostanti e il restodell’organismo. Una lesione della membranacellulare porta a tre importanti eventi: 1. alcuni ioni normalmente concentrati nel-

l’ambiente extracellulare, in particolare ilCa2+, e altre molecole potenzialmente tossi-che, possono entrare in modo incontrollatonel citoplasma alterando i processi vitalidella cellula;

2. la capacità di comunicare tramite i recetto-ri di superficie viene perduta;

3. il contenuto intracitoplasmatico, ricco dienzimi litici, può riversarsi all’esterno dellacellula determinando un’estensione deldanno alle cellule contigue.

Pertanto, un’alterazione del turnover dei fosfo-lipidi compromette la validità dei sistemi diprotezione della membrana. Oltre a mettere arischio la funzionalità specifica della cellula,può causare uno squilibrio tra i segnali di so-pravvivenza e i segnali di morte in favore diquest’ultimi. La via dei fosfolipidi è, quindi, alcentro di questo equilibrio. Infatti, numerosisegnali di morte vengono attivati quando lasintesi della fosfatidilcolina è insufficiente agarantire un adeguato turnover dei fosfolipidi. Il mitocondrio è un altro sito cellulare dove lasintesi dei fosfolipidi svolge un ruolo impor-tante in quanto una funzione mitocondriale ot-timale è l’elemento indispensabile per blocca-re o limitare l’attivazione dell’apoptosi e dalmomento che le reazioni enzimatiche energe-

tiche avvengono in prossimità delle membra-ne interne del mitocondrio, la loro integritàstrutturale è indispensabile per mantenere unadeguato apporto energetico alla cellula.Nel caso dei neuroni periferici, come le RGC,la peculiare lunghezza delle loro terminazioniassonali rende queste cellule particolarmentesensibili a qualsiasi alterazione nei sistemi diprotezione della membrana cellulare. La citidin-5’-difosfocolina (CDP-colina), notacomunemente con il nome di citicolina, è unnucleoside endogeno naturalmente presentenell’organismo. È un precursore, come detto,della fosfatidilcolina, componente indispensa-bile per la sintesi dei fosfolipidi. La sintesidella citicolina è la tappa limitante nei proces-si di sintesi dei fosfolipidi, soprattutto duran-te i processi di riparazione delle membranedanneggiate di cellule non dotate di capacitàreplicative. Si ritiene che implementare i pre-cursori dei fosfolipidi sia fondamentale in con-dizioni di stress ischemico, degenerativo omeccanico delle cellule nervose (De Gregorio,2004). In particolare, nelle patologie a eziologiavascolare (come nello stroke) si rileva una per-dita di componenti fosfolipidici conseguente auna alterazione nel loro metabolismo (Cohen,1973), che conduce a lesioni irreversibili dellemembrane cellulari dei neuroni.Biochimicamente, si osserva una perdita difosfatidilcolina, che durante i processi ische-mici viene degradata in acidi grassi con pro-duzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS).Studi sperimentali suggeriscono che la som-ministrazione di citicolina possa indurre unariattivazione dell’anabolismo dei fosfolipidicon minore degradazione di fosfatidilcolina equindi ridotta formazione di ROS (Mykitaet al., 1986). La citicolina, una volta somministrata, va in-contro ad una rapida dissociazione in colina ecitidina che entrano entrambe nelle cellulenervose, ma separatamente e provvedono allaneuroprotezione mediante l’aumento dellasintesi di fosfatidilcolina (Grieb e Rejdak,2002). La colina è considerata una “quasi” vi-tamina in quanto il fabbisogno giornaliero èmolto elevato, con una RDA (Recommended

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Daily Allowance) di circa 800 mg. La sintesiendogena è insufficiente e quindi deve essereintegrata con l’apporto dietetico. Promossa dalla scuola di Virno (Pecori-Giraldiet al., 1989; Virno et al., 2000) in più lavori (10anni di studio), è stato osservato che ripetuticicli (ogni sei mesi) di iniezione intramuscola-re di citicolina prevengono il deficit perimetri-co glaucomatoso con un meccanismo neuro-trofico ed emodinamico (Virno et al., 1993). Unaltro studio di 8 anni di follow-up portato avan-ti da Parisi (2005) ha documentato i migliora-menti delle risposte bioelettriche retiniche ecorticali a seguito del trattamento con citico-lina di 30 pazienti con glaucoma. Ciò è statopossibile grazie all’uso dei potenziali visivievocati (VEP) e dei pattern-elettroretinogram-mi (PERG) che hanno quindi evidenziato unmiglioramento nelle funzioni elettrofisiologi-che suggerendo un potenziale uso di questasostanza a complemento della terapia ipoten-siva (Rejdak et al., 2003). A supporto dell’azio-ne neuroprotettiva della citicolina, vi è ancheil lavoro di Park et al. (2005) in cui si documen-ta la protezione esercitata dalla citicolinaverso un danno retinico indotto dall’acido kai-nico nei ratti.Esiste anche una serie di risultati sperimenta-li che suggerisce un effetto neuroprotettivodella citicolina mediato dall’inibizione dell’at-tivazione della fosfolipasi A2 (PLA2) (Rao et al.,2001). Tale azione sembrerebbe molto impor-tante in quanto da essa deriverebbe una seriedi inibizioni nei riguardi di alcune cascate en-zimatiche, con un effetto conclusivo protetti-vo per la struttura della cellula nervosa. Traesse sono state segnalate: la protezione dellacardiolipina (o difosfatidilglicerolo, il principa-le fosfolipide della membrana interna dei mi-tocondri) e della sfingomielina, la protezionedel contenuto di acido arachidonico e della fo-sfatidiletanolamina e l’attenuazione della pe-rossidasi lipidica. Inoltre, l’inibizione dell’atti-vazione della PLA2 sembrerebbe indurreanche una riduzione del rilascio di glutamma-to dalle cellule danneggiate e quindi una ridu-zione dell’azione eccitotossica di questo ami-noacido. Sperimentalmente, è stato anche os-

servato che la somministrazione combinata diciticolina e MK-801 (un inibitore specifico deirecettori NMDA del glutammato) ha un effet-to sinergico sulla riduzione del volume dell’a-rea infartuata in un modello di ischemia cere-brale nel ratto (Onal et al., 1997). Dal momen-to che la citotossità del glutammato è un mec-canismo importante di morte cellulare che in-terviene nel glaucoma, la capacità della citico-lina di ridurre il rilascio di glutammato me-diante l’inibizione dell’attivazione PLA2 po-trebbe rappresentare un ulteriore proprietàneuroprotettiva. Oltre alle già descritte e documentate azionimetaboliche nei processi di sintesi dei fosfoli-pidi, nelle reazioni energetiche mitocondrialie nella sintesi di alcuni neurotrasmettitori, laciticolina sembrerebbe anche indurre un lieveaumento della pressione arteriosa, sia sistoli-ca che diastolica, quantificabile in circa il 5%dei valori basali, che potrebbe essere di bene-ficio nel sostenere la perfusione del nervo otti-co (De Gregorio et al., 1992; 2003). In conclusione, il profilo farmacologico dellaciticolina spiega il miglioramento della sensi-bilità retinica e l’arresto della progressione deldeficit perimetrico osservato in un’elevatapercentuale di pazienti glaucomatosi. Gli ef-fetti della citicolina sul campo visivo si man-tengono per circa tre mesi e risultano ripetibi-li nel tempo (l’assenza di effetti collaterali du-rante il trattamento con citicolina garantisco-no un eccellente rapporto rischio/beneficio). Ancora un altro studio (Schuettauf et al., 2006)documenta le proprietà neuroprotettive dellaciticolina in un modello sperimentale di com-pressione del nervo ottico nel ratto. In questiesperimenti, gli Autori hanno valutato la per-centuale di RGC protette dal trattamento sin-golo con citicolina, da quello con il litio e dallasomministrazione combinata dei due farma-ci valutando anche il possibile meccanismoanti-apoptotico dovuto ai due farmaci. Il litioè un catione monovalente largamente impie-gato nei disordini bipolari del comportamen-to, ma è anche in grado di proteggere i neu-roni in vitro ed in vivo da vari insulti (Chuanget al., 2002). I meccanismi d’azione della neu-

20 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

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211/10 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology

Figura 3.Immunoreattività a Bcl-2 disezioni retiniche radiali di rattodopo 3 giorni dallacompressione del nervo ottico.Dopo la compressione siosserva un aumentodell’espressione di Bcl-2 inmodo predominante nellecellule dello strato gangliare inratti trattati con citicolina (C2),litio (C3) e combinazioneciticolina-litio (C4) rispetto allaretina trattata con soluzionesalina (C1) (modificata, daSchuettauf et al., 2006)

Figura 4.Immunoreattività a Bcl-2 disezioni retiniche radiali di rattodopo 7 giorni dallacompressione del nervo ottico.Dopo la compressione siosserva un aumentodell’espressione di Bcl-2 inmodo predominante nellecellule dello strato gangliare inratti trattati con citicolina (C2),litio (C3) e combinazioneciticolina-litio (C4) rispetto allaretina trattata con soluzionesalina (C1) (modificata, daSchuettauf et al., 2006)

Figura 5.Immunoreattività a Bcl-2 disezioni retiniche radiali di rattodopo 21 giorni dallacompressione del nervo ottico.Dopo la compressione siosserva un aumentodell’espressione di Bcl-2 inmodo predominante nellecellule dello strato gangliare inratti trattati con citicolina (C2),litio (C3) e combinazioneciticolina-litio (C4) rispetto allaretina trattata con soluzionesalina (C1) (modificata, daSchuettauf et al., 2006).

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roprotezione fornita dai due farmaci non sonoancora del tutto chiari, ma potrebbero avereun effetto additivo, con l’indiretta attenua-zione della stimolazione della fosfolipasi A2(come discusso precedentemente) e della for-mazione di radicali idrossilici come processiattribuiti alla citicolina (Adibhatla et al., 2003)mentre l’aumento dell’espressione della pro-teina anti-apoptotica Bcl-2 nelle RGC come ef-fetto neuroprotettivo indotto dal litio (Chuanget al., 2002; Huang et al., 2003; Rowe eChuang, 2004). Negli esperimenti degli Autori è stato osserva-

to un aumento dell’espressione di Bcl-2 nelletre condizioni operative con una maggiore in-duzione nel trattamento singolo con litio(Figure 3-5) ma si è potuto dimostrare per laprima volta che gli effetti neuroprotettivi dellaciticolina potrebbero essere anche mediatidall’aumento dell’espressione di Bcl-2.In conclusione, la riduzione della IOP è solouno degli aspetti da prendere in considerazio-ne nel trattamento del glaucoma a cui se nedeve associare uno neuroprotettivo, la citico-lina, da quanto esposto, è un farmaco che si èrilevato utile allo scopo. ■

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24 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

Page 25: EUVISION 1_10 fad_blu

NOTE

Page 26: EUVISION 1_10 fad_blu

ABSTRACTOrbital Rhabdomyosarcoma is not so

commonly encountered in ophthalmic

practice. Here we report a 3 year male

child with gradually progressive nodular

swelling over the left lower lid and protru-

sion of same eye ball for one year and was

diagnosed as having alveolar type of

Orbital Rhabdomyosarcoma with lymph

node metastasis after incisional biopsy. It

was managed with chemotherapy.

KEY WORDS: Rhabdomyosarcoma, No -

dular swelling, Protrusion.

INTRODUCTIONRhabdomyosarcoma is the most common soft

tissue tumor in children1. The incidence is 6

cases per 1,000,000 population per year (ap-

proximately 250 cases) in children. The name

is derived from the Greek words rhabdo,

which means rod shape, and myo, which

means muscle. Although Weber first descri-

bed rhabdomyosarcoma in 1854, a clear histo-

logical definition was not available until 1946,

when Stout recognized the distinct morpho-

logy of rhabdomyoblasts2. Several distinct hi-

stological groups have prognostic significan-

ce, including embryonal rhabdomyosarcoma

(ERMS), which occurs in 55% of patients; the

botryoid variant of ERMS, which occurs in 5%

of patients; alveolar rhabdomyosarcoma

(ARMS), which occurs in 20% of patients; and

undifferentiated sarcoma (UDS), which occurs

in 20% of patients3.

CASE REPORTA 3 year young male child presented with gra-

dual progressive nodular swelling over left

lower lid for one year which was initially small,

painless and only present nasally. Along with

the swelling parents noticed bulging of the left

eyeball. Gradually the lid swelling and the bul-

ging of the eyeball progressed; patient

couldn't close his left eye. The swelling beca-

me diffuse, the left eyeball displaced outward

and up and developed redness and pain.

Initially treated with topical ointment, eye

drop and some oral medication (no document)

from the nearby medical shop. Parents also

give history of diminution of vision in left eye

from last six to eight months. There was no hi-

story of trauma, Leucokoria, fever, weight loss.

He had normal birth history with all milestone

of growth achieved in time.

Visual acuity of left eye was difficult to access

due to pain and swelling. The eye lids were

diffusely swollen, hyperemic with visible tor-

tuous vessel over it and lagophthalmos. Eye

ball was proptosed superotemporally. A non

tender firm mass of approx. 7x8 cm, located in

the inferior part of globe was palpated that had

extended posteriorly, base not palpable (get

above the swelling not possible), immobile,

not separated from the globe, no bruit heard

over the mass. Retropulsion and Pulsation

26 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

OrbitalRhabdomyosarcoma

Sottoposto alla redazione il 7 Dicembre 2009

Accettato per la pubblicazioneil 18 Febbraio 2010

Case Report

Orbital Rhabdomyosarcoma

Gyanendra Lamichhane, Pradeep Bastola Lumbini Eye Institute, Bhairahawa, Nepal

Gulshan Bahadur Shrestha B.P. Koirala Lions Centre for Ophthalmic Studies, IOM, Kathmandu, Nepal

Page 27: EUVISION 1_10 fad_blu

were absent. There was Crusting with

Keritinization of bulbar as well as lower tarsal

conjunctiva, congestion and chemosis pre-

sent. Cornea showed inferior puntate kerati-

tis. RAPD was present and just faint fundal

glow was present. The examination of the

right eye was normal. General examination

showed normal vitals. Multiple lymhnodes in

the submandibular region were present and

few of them were matted, local temperature

not raised non tender, rubbery feel and not at-

tached with overlying skin, average size of

around 2x3 cm, immobile, attached to un-

derlying structure. A mobile tender lymph

node of around 5x5 cm size, firm, not attached

with overlying skin or underlying structures in

the preauricular region on the Left. All syste-

mic examinations were found normal accor-

ding to paediatric consultation.

CT scan of head and orbit showed large ill-de-

fined predominantly homogenous soft tissue

attenuation mass lesion of approx 55x52 mm

size seen involving left orbit projecting ante-

riorly and showing extension in to the retro or-

bital region with obscuration of whole of the

orbital and retro orbital structures including

optic nerve. However no obvious calcification

or intracranial extension noted. Routine blood

investigations, Liver and Renal function tests

were normal. Peripheral smear, CXR and USG

abdomen were also normal.

A provisional diagnosis of Left orbital

Rhabdomyosarcoma was kept and an incisio-

nal biopsy of the left lower lid mass and exci-

sional biopsy of the enlarged lymph node was

planned and done under GA.

The HPE report showed proliferation of tumor

cell arranged in psedopapillae, alveolar pat-

tern, lobules solid nests with multiple pseudo

rosette having central fibrovascualr core. Cells

composed of small round to oval cells with mi-

nimal Pleomorphism having scanty cytoplasm

and hyperchromatic nuclei with inconspi-

cuous nucleoli some of the areas showing cells

arranged in solid sheets.

The section from cervical lymhnode showed

almost complete effacement of nodal archi-

tecture replaced by tumor cells proliferation

similar to that seen in orbital mass suggesti-

271/10 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology

Page 28: EUVISION 1_10 fad_blu

ve of alveolar type of rhabdomyosarcoma.

Thus final diagnosis of Alveolar type of

Rhabdo myosarcoma (made depending upon

the HPE report) with lymph node metastasis

was made.

Paediatric consultation was repeated and as

per advice chemoreduction with vincristine,

Adriamycin and Ifosamide tried. The mass did

not reduce in size so planned for debulking sur-

gery and second cycle chemotherapy but pa-

tient got discharged against medical advice.

DISCUSSIONAlthough the tumor is believed to arise from

primitive muscle cells, tumors can occur

anywhere in the body except bone. The most

common sites are the head and neck (28%),

extremities (24%), and genitourinary (GU)

tract (18%).

Other notable sites include the trunk (11%),

orbit (7%), and retroperitoneum (6%).

Approximately 87% of patients are younger

than 15 years, and 13% of patients are aged 15-

21 years. Our patient age is also quite same as

in a case series mentioned by Kaliaperumal et

al.4 where the age of the patients ranged from

3 to 29 years.

The finding of proptosis in children as the

most common presenting sign in our patient

underlines the importance of orbital rhab-

domyosarcoma in the differential diagnosis of

such a presentation.

Jones et al., have reported that 100% of the

cases in their study had proptosis5. However,

Schinter et al., have documented 71% of cases

with proptosis6. Boparai and Dash, in their

case series had eleven out of 14 cases presen-

ting with acute onset proptosis with inflam-

matory signs7.

The symptoms in our patient arise as a small

lid mass. There are also case reports on rhab-

domyosarcoma in which the cases have pre-

sented as palpable lid nodules and on occa-

sion felt to be a chalazion, cystic lesions or lid

tumor of vascular origin8,9. Awareness about

these less common presentations of this fatal

malignancy is essential to ensure early detec-

tion and initiation of treatment.

X-ray is not of much help in the diagnosis but

CT scan gives an idea of the total extent of the

lesion. CT scan is also of tremendous value in

follow up to detect recurrence. Metastases are

found predominantly in the lungs, bone mar-

row, bones, lymph nodes, breasts, and brain.

Four histopathological subtypes of rhab-

domyosarcoma have been described: embryo-

nal, alveolar, botryoides and pleomorphic10. It

is believed that the embryonal, alveolar and

botryoides variants are of mesenchymal origin

and that the pleomorphic variant is derived

from mature skeletal muscle. The pleomorphic

type is the most differentiated type and car-

ries the best prognosis followed by the em-

bryonal and botryoides types10. The alveolar

type has been shown to carry the worst pro-

gnosis. Thus our case was the one with the

worst prognosis.

Earlier orbital rhabdomyosarcoma was treated

by orbital exenteration. In 1979, Abraham et

al. demonstrated irradiation alone or in combi-

nation with chemotherapy to be more effecti-

28 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

Page 29: EUVISION 1_10 fad_blu

ve than exenteration for both control and long-

term survival11.

Reports of the efficacy of combined radiothe-

rapy and chemotherapy were confirmed by

the Intergroup Rhabdomyosarcoma Study,

which showed a three-year survival rate of

93% in a total of 127 patients with localized

orbital rhabdomyosarcoma12. Radiotherapy

and chemotherapy have also been enlisted in

treatment of local recurrences and metasta-

tic disease13.

In conclusion, the primary modality of treat-

ment of rhabdomyosarcoma is combining ra-

diotherapy and chemotherapy, which appears

to permit effective control and possible cure of

this disease. At the time of biopsy, maximum

debulking is essential. Exenteration is mutila-

ting and induces the most unfortunate cosme-

tic appearance postoperatively. However,

exenteration may be indicated in cases of in-

complete tumor regression or in cases of re-

currence after treatment with chemotherapy

and radiotherapy. Judgment by the experien-

ced therapist may be valuable in maximizing

the gain and minimizing the risk of therapy in

individual cases. ■

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REFERENCES

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30 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

Metastasi dell’orbita: revisione della letteratura

Sottoposto alla redazione il 30 Novembre 2009

Accettato per la pubblicazioneil 15 Febbraio 2010

Metastasi dell’orbita: revisione della letteratura

Paolo Amaddeo, Stefano Fontana, Rolando GhilardiU.S.C. Ch. Maxillo-Facciale Ospedali Riuniti di Bergamo

RIASSUNTOI tumori orbitari rappresentano una patolo-gia relativamente infrequente; l’incidenza ditumore primitivo maligno dell’orbita è dicirca 2/1.000.000 fino alla sesta decade divita, si raddoppia oltre i 60 anni e raggiungecirca 10/1.000.000 oltre gli 80 anni.L’incidenza dei secondarismi orbitari a par-tenza da strutture contigue che si presenta-no nel 5% nel caso dei bambini, dell’11%negli adulti e nel 21% negli anziani. Le me-tastasi più frequentemente si riscontranonel sesso femminile in relazione all'’elevataincidenza del carcinoma mammario, trequarti dei pazienti hanno un’anamnesi per-sonale positiva per un qualsiasi carcinoma.Al momento della diagnosi della metastasiorbitaria, una percentuale oscillante tra il71% ed l’85% dei pazienti presenta altre me-tastasi in un altro organo. La sopravvivenzamedia, dopo la diagnosi di metastasi orbita-ria, oscilla tra i sei ed i settanta mesi; ed è inaumento grazie alle cure sempre più raffina-te. Non ci sono dei segni clinici tipici di me-tastasi a localizzazione orbitaria, ma in ge-nere la rapidità e l’importanza dei sintomipossono essere sproporzionati in rapportocon altri processi espansivi non canceroge-ni dell’orbita, bisogna tener conto anchedegli esami clinici specifici, come la palpa-zione mammaria nella donna, l’esplorazionerettale nell’uomo e la palpazione addomina-le nei bambini.

ABSTRACTOrbital tumors are rarely frequently di-seases, the incidence of malignant tumoris 2/1.000.000 till the sixt decade, afterthis age the incidence is redoubled andafter the eight decades is 10/1.000.000.The incidence of orbital secondarismmade by nearly tissues is present in 5 %of the children, 11% in the adult popola-tion and 21% after the 65 years old.Secondarism are more present in femalepopulation due to the high incidence ofthe breast cancer; 75% of the diagnosis oforbital tumors have a positive anamnesisfor malignant cancer. At the moment oforbital tumor diagnosis the 71% to 85% ofthe patient have a secondarism in another district. The survival after orbitaltumor diagnosis is between 6 to 70months and is increased by better andbetter medical therapy. There are no spe-cific symptoms due to malignant orbitaltumors but the swiftness and the gravityof the symptoms are disproportionatedinstead of non tumoral diseases.Diagnosys can be obtained thanks tobreast palpation in female population,rectal sounding in male population andabdomen palpation in the children.

KEYWORDS: Orbital tumors, Orbitalmetastasis, Maxillo-facial surgery

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Figura 1. Presenza dellemetastasi orbitarie per sesso(Freedman M.I. e Folck J.C.,1987)

33%67%

Uomini Donne

Figura 2. Prevalenza dellemetastasi orbitarie per sesso(Goldeberg R.A. e Rootman J.,1990)

37%63%

Uomini Donne

49%

2%2%3%3%4%

6%

8%

9%

14%

Mammella Melanoma NeuroblastomaPolmone Prostata VescicaGastrenterico Testicolo TiroideSconosciuto

Figura 3. Prevalenza dellemetastasi orbitarie per tumoreprimitivo (Freedman M.I. e FolckJ.C., 1987)

311/10 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology

INTRODUZIONEI tumori orbitari rappresentano una patologiarelativamente infrequente; l’incidenza di tu-more primitivo maligno dell’orbita è di circa2/1.000.000 fino alla sesta decade di vita, siraddoppia oltre i 60 anni e raggiunge circa10/1.000.000 oltre gli 80 anni1. La cisti dermoi-de è invece la più comune massa orbitaria ri-scontrabile in età pediatrica, mentre è infre-quente nella popolazione adulta. I tumorilinfoidi rappresentano il 3% dei tumori orbita-ri nel bambino, l’8% nella popolazione genera-le ed il 28% nell’anziano ed anche nell’inci-denza dei secondarismi orbitari a partenza dastrutture contigue che si presentano nel 5%nel caso dei bambini, dell’11% negli adulti enel 21% negli anziani1.

METODOGrazie alle migliori tecniche terapeutiche, ladurata della vita dei pazienti oncologici si èallungata ed il numero di metastasi orbitariediagnosticate, conseguentemente, è au-mentato. Sfortunatamente, dopo la diagnosidi metastasi orbitarie, le possibilità di so-pravvivenza restano ancora piuttosto flebili ela maggior parte dei pazienti sopravvivepoco più di un anno. Spesso il trattamentonon è che palliativo2-3-4-5-6. La reale inciden-za delle metastasi orbitarie è piuttosto diffi-cile da determinare con precisione; studianatomici su cadaveri mostrano che le me-tastasi oculari sono più frequenti rispetto aquelle orbitarie, probabilmente ciò è dovutoalla maggiore vascolarizzazione della coroi-de2-3-7. Le metastasi più frequentemente siriscontrano nel sesso femminile in relazioneall’elevata incidenza del carcinoma mamma-rio3-4-6 (Figura 1-2). Tre quarti dei pazientihanno un’anamnesi personale positiva perun qualsiasi carcinoma, mentre nel 25% deicasi la metastasi orbitaria rappresenta ilprimo segno della malattia generale. Al mo-mento della diagnosi della metastasi orbita-ria, una percentuale oscillante tra il 71% edl’85% dei pazienti presenta altre metastasi inun altro organo, con maggior prevalenza peril polmone e per l’osso4-6-7.

Prevalenza delle metastasi orbitarie in relazio-ne ai tumori primitivi: le metastasi mammarierappresentano, a seconda degli Autori, unapercentuale oscillante dal 42% al 53% dei casi,quelle broncopolmonari dall’8 all’11%, quelleprostatiche dal’8,3 al 12%, le metastasi da me-lanoma dal 2% al 5,5%, le gastrointestinali dal4,4 al 5,2%, le renali il 3,2%, il 12,9% da tumo-ri vari come: il carcinoma tiroideo, quello te-sticolare, pancreatico, uterino, parotideo,

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ovarico, pleurico tra l’8 ed il 11% dei casi iltu more primitivo resta misconosciuto3-4-5-6-7-8-

9 (Figure 3-4-5-6).

Etiopatogenesi

L’orbita, posteriormente al setto, non contienevasi linfatici, dunque le metastasi raggiungo-no l’orbita per via ematica dopo aver percorsola circolazione polmonare. È teoricamentepossibile anche che le metastasi possano arri-vare per via retrograda a livello orbitario attra-verso il tronco vertebrobasilare. Le cellule neo-plastiche viaggiano attraverso il sistema caro-tideo e giungono così a livello orbitario attra-verso l’arteria oftalmica2-6.

Localizzazione orbitaria

Per lungo tempo si è ritenuto, a torto, che il latopiù frequentemente interessato da metastasifosse quello sinistro, per una ragione anatomi-ca: l’arteria carotidea comune a sinistra pren-de origine direttamente dall’arco aortico,mentre la corrispettiva destra nasce dallabiforcazione del tronco brachio cefalico, si è ri-tenuto quindi che il passaggio delle cellule tu-morali fosse più agevole a sinistra. In genera-le la distribuzione dell’incidenza delle meta-stasi risulta essere equamente divisa3-4

(Figura 7). Secondo alcuni autori, i quadrantipreferenziali sarebbero il quadrante superioreed il quadrante esterno con una percentuale difrequenza pari al 39% per il quadrante esternoe del 32% per quello superiore2 (Figura 8).

Localizzazione tissutale

La metastasi può interessare il contenente,quindi l’osso orbitario, oppure il contenuto,rap presentato dal bulbo, dal grasso e dai mu-scoli extra-oculari, infine può coinvolgere dif-fusamente e contemporaneamente tutta l’or-bita. L’osso ed il grasso sono coinvolti circa neldoppio dei casi rispetto al muscolo. L’inte res samento di una struttura rispetto al-l’altra dipende dalla natura del tumore primi-tivo; per esempio, le metastasi mammariecoinvolgono preferenzialmente la componen-te grassa, le metastasi prostatiche coinvolgo-no più spesso l’osso2.

RISULTATISopravvivenza

La durata media della sopravvivenza dipende

44%

Mammella Melanoma VariPolmoneProstata Rene

Sconosciuto

11%8%

5%

4%

3%

14%

11%

GastrentericoFigura 4. Prevalenza dellemetastasi orbitarie per tumore

primitivo (Goldeberg R.A. eRootman J., 1990)

Mammella Melanoma SconosciutoProstataPolmone Rene

ParotideGastrenterico

53%

Surrene

12%

8%

6%

5%

5%

8%2% 1%

Figura 5. Prevalenza dellemetastasi orbitarie per tumore

primitivo (Shields J., 2001)

Mammella Melanoma SconosciutiPolmoneProstata Gastrenterico

Tiroide

44%

11%11%

11%

11%

6%6%

Figura 6. Prevalenza dellemetastasi orbitarie per tumore

primitivo (Holland D., 2003)

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Sinistra Destra Bilaterale

50%

8%

42%

Figura 7. Incidenza dellemetastasi per orbita (GoldebergR.A. e Rootman J., 1990)

Superiore Interno EsternoInferiore

30%

12%

20%

38%

Figura 8. Incidenza dellemetastasi nei quadranti orbitari(Goldeberg R.A. e Rootman J.,1990)

100%

90%

80%

70%

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%

95%

85%

70%65%55%

60%

35%

25%

15% 10%

5%

0 20 40 60 80 100 120

Tempo (mesi)

Perc

entu

ale

di s

opra

vvive

nza

Figura 9. Sopravvivenza con metastasi orbitarie (Holland, 2003)

331/10 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology

dalla natura del tumore primitivo, general-mente le metastasi sopraggiungono, in un pe-riodo variabile da quindici a circa trentunmesi dopo la diagnosi di tumore primitivo, conuna grande variabilità in funzione dell’istolo-gia del tumore stesso. Generalmente la so-pravvivenza media, dopo la diagnosi di meta-stasi orbitaria, oscilla tra i sei ed i settantamesi; ed è in aumento; tuttavia il 58% dei pa-zienti decede nei sei mesi successivi la dia-gnosi di metastasi orbitaria2-6-9 (Figura 9). I pazienti affetti da tumori sensibili ad ormo-noterapia, come per esempio il tumore prosta-tico e quello mammario hanno una maggioresopravvivenza a lungo termine. Il periodo cheintercorre tra la diagnosi di carcinoma mam-mario primitivo e quello di metastasi orbitariaè lungo e la sopravvivenza media, dopo la dia-gnosi, è superiore ad un anno. Nel caso delmelanoma cutaneo, la disseminazione meta-statica è molto rapida e la sopravvivenza è ri-dotta dopo la diagnosi di metastasi orbitaria.La sopravvivenza più lunga si riscontra nellemetastasi da carcinoma mammario, prostati-co e da tumori carcinoidi. In contrapposizione,tumori broncopolmonari, renali, oppure ga-strointestinali hanno un comportamento clini-co più aggressivo ed alcune volte la diagnosidi metastasi orbitaria precede quella del tu-more primitivo; l’evoluzione è rapida e la so-pravvivenza media risulta essere inferiore asei mesi dalla diagnosi di metastasi2.

Clinica

Non ci sono dei segni clinici tipici di metasta-si a localizzazione orbitaria, ma in genere la ra-pidità e l’importanza dei sintomi possono es-sere sproporzionati in rapporto con altri pro-cessi espansivi non cancerogeni dell’orbita.Bisogna tener conto anche degli esami clinicispecifici, come, per esempio, la palpazionemammaria nella donna, l’esplorazione rettalenell’uomo e la palpazione addominale neibambini2. I segni tipici di un interessamentometastatico possono dipendere dall’istologiadel tumore, anche se la capacità dell’orbita èdi circa 30 ml ed un aumento del suo contenu-to porterà ad esoftalmo. I segni più comune-

mente presenti sono: diplopia, alterazionedella motilità estrinseca oculare, effetto massacon spostamento del bulbo, ptosi oppure sen-sazione di una massa palpabile2. La diplopia ele alterazioni della motilità oculare sono le ma-nifestazioni tipiche di un interessamento mu-scolare od adiacente ai muscoli; la palpazionedi una massa, la riduzione dell’acuità visiva e

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34 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

l’esoftalmo sono segni caratteristici. Tipi ca -men te le metastasi mammarie causano unesoftalmo che si può riscontrare anche nel25% dei casi nelle metastasi polmonari e ga-striche. Anche la sede risulta influenzare la cli-nica, la localizzazione anteriore risulta essere

responsabile d’edema, di ptosi e di una massapalpabile con, spesso, disordini oculo-motori;le localizzazioni posteriori, si caratterizzanoper una riduzione dell’acuità visiva ed un esof-talmo irriducibile, solo successivamente si ve-rifica un interessamento della motilità ocula-re2. Goldberg e coll. distinguono cinque mani-festazioni cliniche di presentazione: effettomassa (66% dei casi), con spostamento delbulbo o palpabilità in caso di localizzazioneanteriore; effetto infiltrativo (24% dei casi),quando l’infiltrazione può determinare diplo-pia, esoftalmo, ptosi e compromissione deimovimenti oculari; effetto funzionale (5% deicasi) nel caso in cui i pazienti presentino unariduzione dell’acuità visiva; effetto infiamma-torio (5% dei casi) se il dolore è il sintomo piùfrequente, spesso esacerbato dai movimentied associato a chemosi, edema periorbitario epalpebrale; in ultimo l’esordio può essere si-lenzioso, se non si ha nessun sintomo e la dia-gnosi spesso è radiologica e casuale2-7. Co -mun que sia il segno più frequente risulta es-sere l’esoftalmo monolaterale accompagnatoda modificazioni palpebrali e disordini oculo-motori, edema papillare diagnosticabile all’e-same del fondo oculare, riduzione dell’acuitàvisiva per compressione del nervo ottico, solotardiva risulta essere la palpazione di unamassa2-3-4-5-6-7-8 (Figure 10-11-12).

DISCUSSIONEDiagnosi

Le metastasi compaiono spesso tardivamentea distanza dal tumore primitivo, il quale spes-so è stato anche già trattato con successotanto da non essere neppure riportato inanamnesi dal paziente. Nel sospetto di una pa-tologia orbitaria di possibile significato meta-statico, bisogna eseguire un’accurata anam-nesi e, in assenza di diagnosi di tumore primi-tivo, compiere sempre una palpazione mam-maria nella donna, una valutazione prostaticanell’uomo e broncopolmonare in entrambi isessi2-5-6-7. Dal punto di vista degli esami di la-boratorio può essere utile il dosaggio di alcunimarkers tipici delle neoplasie come: A.C.E.(antigene carcino-embrionario), un suo au-

Massa Funzionale InfiammatorioInfiltrativo

30%24%

5%5%

Figura 10. Presentazione clinicadi metastasi orbitaria (Goldeberg

R.A. e Rootman J., 1990)

Diplopia Edema palpebraPtosi

30%

Dolore MassaEdema occhio

18%17%

13%

12%

10%

Figura 11. Presentazione clinicadi metastasi orbitaria (Goldeberg

R.A. e Rootman J., 1990)

Diplopia EnoftalmoProptosi

23%

Edema Dolore

23%

18%

16%

11%

7% 2%

Rossore Rid. VisusFigura 12. Presentazione

clinica di metastasi orbitaria(Holland D., 2003)

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351/10 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology

mento può coincidere con un tumore del gros-so intestino o della mammella; P.S.A., (antige-ne prostatico specifico), un suo valore elevatopuò essere connesso con una neoplasia pro-statica; H.C.G, (gonadotropine corionicheumane), specifiche per i tumori del testicolo.Per quello che concerne la diagnosi strumen-tale, fondamentale è il ruolo dell’ecografia,esame non invasivo e di buoni risultati che, difronte ad un esoftalmo monolaterale, elimineràla diagnosi differenziale con una miopia unila-terale2-5. L’esecuzione di una T.A.C., in scan-sioni sia assiali quanto coronali, permetteràanche eventualmente una ricostruzione tridi-mensionale. Tipicamente l’immagine di unametastasi sarà caratterizzata da una massamal definita, densa rispetto al tessuto grassointorno, d’intensità simile a quella muscolare,associata spesso ad erosione ossea. La T.A.C.può anche mostrare il quadro di un’infiltrazio-ne diffusa ai tessuti orbitari, con enoftalmocome nel caso delle metastasi a partenza dallamammella, dal polmone, dal pancreas o infinedall’intestino2-5. La presenza di aree di osteo-lisi evidenzia la partenza dalla tiroide e dalrene, mentre, la comparsa di osteocondensa-zione può far presupporre un interessamentoprostatico, infine un coinvolgimento muscola-re con un ispessimento della muscolatura me-desima può essere riconducibile ad un mela-noma cutaneo2-5. La risonanza magnetica nu-cleare, contrariamente alla T.A.C., non risultaessere un esame di prima scelta; può essereutile per ulteriori dettagli anatomici sia delleparti molli quanto del nervo ottico. La possibi-lità di ottenere maggiori dati riguardo le carat-teristiche tissutali può significativamente au-mentare le possibilità diagnostiche. Ad esem-pio l’intensità del segnale in T2 può essere di-scriminatorio per distinguere patologie in-fiammatorie idiopatiche (bassa intensità) dalinfoma o metastasi (alta intensità)5. Qualorale tecniche non invasive non fossero dirimen-ti, l’ago-aspirato può rappresentare un effi-ciente, economico e relativamente sicuro me-todo per ottenere materiale per studi citologi-ci2-5. Una delle migliori applicazioni dell’ago-aspirato risulta essere proprio nella diagnosi

delle metastasi orbitarie. Quando è positivapuò risparmiare al paziente l’onere ed il rischiodi una biopsia a cielo aperto, soprattutto quan-do non è possibile l’exeresi radicale. Se il ma-teriale è sufficiente, si possono compiere studisui recettori ormonali e sugli antigeni di su-perficie direttamente sul campione prelevatodall’ago, come per esempio nel caso del carci-noma prostatico e mammario2-5. L’ago-aspira-to, nei tumori dell’orbita, è una tecnica nonunivocamente riconosciuta ma che in maniesperte può portare ad una diagnosi specificain un’elevata percentuale di casi9-10.

Diagnosi differenziale

La diagnosi differenziale deve porsi nei con-fronti dei tumori primitivi dell’orbita, in quellia partenza dal seno frontale per contiguità, maanche per patologie infiammatorie pseudo-tu-morali, malformazioni artero-venose e fistoleartero-cavernose2.

Terapia

Spesso è palliativa, guidata da due imperati-vi: il benessere generale del paziente ed ilmantenimento della vista. La tecnica di primascelta è quella della radioterapia; con un do-saggio da 30 a 50 Gray, in dosi frazionate, siottiene una riduzione della massa e del dolo-re con un successo stimabile tra il 70% ed il90% dei casi. Spesso, inoltre, gli effetti secon-dari della radioterapia non sono visibili per l’e-siguità della vita restante. L’uso dell’ormono-terapia è utilizzabile per tumori responsivicome il tumore della mammella trattato conantagonisti estrogenici e progesterone ed ilcarcinoma prostatico trattato con antagonistidel testosterone. L’approccio chirurgico ge-neralmente è limitato solo ai casi di metasta-si isolata o quando esiste una problematicacompressiva maggiore2-5.La biopsia a cielo aperto è indispensabile nelcaso in cui l’ago-aspirato non abbia portato aduna diagnosi certa; l’importante è prelevaredel tessuto non traumatizzato per poter realiz-zare le tecniche immuno-isto-chimiche e perla valutazione dei recettori ormonali. Variepossono essere le vie di accesso per la biopsia

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a seconda della localizzazione della metastasi;si potrà avere un approccio anteriore transat-tale a livello della palpebra superiore, median-te orbitotomia anteriore transcongiuntivale la-terale o mediale garantendo un accesso nellaparte posteriore dell’orbita od infine grazie ad

un orbitotomia laterale secondo Kronlein. Inconclusione le differenti manifestazioni clini-che delle metastasi orbitarie conducono, qual-che volta, ad un ritardo nella loro diagnosi, so-prattutto se il tumore primitivo non è stato in-dividuato2-5. �

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BIBLIOGRAFIA

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NOTE

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38 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

Le fotostimolazioni neuralisono tutte uguali?

FSN integrata versus FSN customizzata

Sottoposto alla redazione il 23 Dicembre 2009

Accettato per la pubblicazioneil 29 Gennaio 2010

OBIETTIVILa fotostimolazione neurale è una metodicadi stimolazione finalizzata al miglioramentodella qualità della visione e delle performan-ce riabilitative in pazienti ipovedenti. È ingrado di incrementare PEV, visus, velocità dilettura e stabilità di fissazione. Abbiamo ipotizzato che la fotostimolazioneabbia come meccanismo principale quello distabilizzare le fissazioni con modalità a ca-scata a partenza dalla detezione foveale etutti gli altri parametri visivi. Non tutte le me-todiche di fotostimolazione neurale sonouguali ma ognuna ha caratteristiche differen-ti associabili per raggiungere un risultato ria-bilitativo più efficace.

Questo studio mira a confrontare la stabiliz-zazione delle fissazioni all’interno del PRL(preferred retinal locus) e il secondario incre-mento delle performance visive nei pazientiipovedenti riabilitati con la fotostimolazionecustomizzata rispetto a quelli trattati con fo-tostimolazione integrata.

PAZIENTI E METODI Abbiamo considerato un campione di 21 pa-zienti ipovedenti clinicamente stabili già sot-toposti in precedenza a riabilitazione visiva efotostimolazione neurale. La fotostimolazione neurale è una metodicadi stimolazione basata sul biofeedback capa-ce di migliorare il risultato riabilitativo e con-

Le fotostimolazioni neurali sono tutte uguali? FSN integrata versus FSN customizzata

Paolo Limoli, Laura D’Amato, Filippo Tassi, Roberta Solari, Riccardo Di CoratoLow Vision Research Centre, Milano

Enzo M. Vingolo La Sapienza University, Roma

RIASSUNTOLo studio mira a confrontare la stabilizzazio-ne della fissazione nell’ambito del PRL e il se-condario incremento delle performance visi-ve nei pazienti ipovedenti riabilitati con foto-stimolazione neurale customizzata rispetto afotostimolazione neurale integrata.Il campione analizzato è omogeneo e già sot-toposto a riabilitazione visiva e a fotostimola-zione neurale. A distanza di sei mesi, il cam-pione effettua un ciclo di 5 sedute di fotosti-molazione integrata e, a distanza di un announ ciclo di 5 sedute di fotostimolazione neu-rale customizzata. Prima di iniziare ogni ciclo di Fotostimo lazione

neurale, integrata o customiz za ta, viene ana-lizzato, mediante microperimetria MP1, il PRLpiù vantaggioso per il paziente, inteso comequello ottenuto dal minor decentramento pos-sibile, e viene fissato attraverso il Biofeedbacksonoro il punto di fissazione preferenziale.Viene inoltre analizzato il BCVA, PEV, il visusper vicino residuo in cp, il visus per vicino coneventuale sistema ingrandente, la % di fissa-zione nei 2° centrali, la % di fissazione nei 4°ottenute con microperimetro MP1 e la velocitàdi lettura in parole al minuto.

PAROLE CHIAVE: fotostimolazione, PRL,ipovisione

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seguentemente la qualità della visione in pa-zienti ipovedenti. Tali stimolazioni sul sistema neurovisivo delpaziente sono ottenibili con diverse apparec-chiature e metodiche.1. L’I.B.I.S. (Improved Biofeedback

Integrated System) è stato introdottonel nostro Centro a partire dal 1997. Sitratta di uno strumento che coniuga la sti-molazione flicker ad un feedback sonoroche il paziente deve imparare a mantene-re stabile ed acuto. La frequenza di lam-peggiamento del flicker deve essere supe-riore (di circa 5 millisecondi) al PeriodoCritico di Fusione (PCF) di ciascun pa-ziente, dove per PCF si intende il punto diconfine tra la percezione e la non perce-zione del tremolio del flicker. Il trainingviene effettuato alternando un occhio al-l’altro per una durata complessiva di circa10-15 minuti.

2. Il Visual Pathfinder (VP) consiste in unsistema di fotostimolazione neurale volto apotenziare in maniera obiettiva e sogget-tiva le performances visive di un pazienteipovedente od ambliope; durante il trai-ning con questa apparecchiatura il pa-ziente viene invitato a guardare un patterna scacchiera le cui dimensioni possono va-riare a seconda del visus di partenza delsoggetto e dell’occhio considerato. Vienepertanto stimolato un occhio e copertol’occhio controlaterale; al paziente vengo-no applicati tre elettrodi per la registrazio-ne del potenziale visivo evocato (PEV), intempo reale, durante la stimolazione stes-sa. La durata della stimolazione è di dieciminuti per ciascun occhio per un totalecomplessivo di 20 minuti.

3. Il Biofeedback sonoro (MP1) viene effet-tuato con lo strumento per microperime-tria MP1. Tale apparecchio permette, tra-mite la visualizzazione diretta del fondodell’occhio del paziente in trattamento, diproiettare nella zona foveale o maculare dimaggiore sensibilità (precedentementeidentificata tramite esame microcampi-metrico) lo stimolo di fissazione che, in

questo caso, è generalmente una crocerossa, le cui dimensioni possono esserevariate in base al visus del paziente ed allapresenza di eventuali scotomi. Il segnalesonoro rimane continuo solo quando il pa-ziente mantiene la fissazione costante nelpunto prescelto. In questo modo si riduco-no notevolmente i movimenti di ricerca ela fissazione diventa di volta in volta piùstabile. Quest’ultimo tipo di training è ilpiù impegnativo ed ha una durata massi-ma di 60 secondi per occhio.Ha il vantaggio di poter personalizzare iltrattamento fotostimolativo per ogni pa-ziente: l’operatore infatti può scegliere iltarget di fissazione nell’area migliore(PRL), quella più sensibile o meno decen-trata rispetto a quella fisiologica danneg-giata. Il segnale sonoro rimane continuosolo quando il paziente mantiene la fissa-zione costante nel punto prescelto.

Già in passato abbiamo ottenuto delle perfor-mance visive migliori integrando le varie me-todiche qui presentate.Per realizzare questo studio abbiamo svilup-pato una nuova metodica di stimolo denomi-nata fotostimolazione customizzata che inte-gra due tecniche: Visual Pathfinder eBiofeedback sonoro.1. Il Visual Pathfinder (10 minuti ad occhio).2. Il Biofeedback sonoro, effettuato con mi-

croperimetria MP1 (2,5 minuti ad occhio).La fotostimolazione integrata, associa tremetodiche differenti: 1. Stimolazione al VP (10 minuti a occhio) e

contemporanea registrazione dei VEPs.2. Stimolo con IBIS (5-7 minuti a occhio). 3. Biofeedback sonoro all’MP1 (1 minuto ad

occhio).Nell’ambito del campione considerato sonostati esclusi gli occhi che hanno avuto recidi-ve della malattia oculare causa di ipovisione.I pazienti sono stati trattati con 5 sedute di fo-tostimolazione integrata e a distanza di 6 mesicon 5 sedute di fotostimolazione customizzata.Nella fotostimolazione customizzata, dopoaver individuato il PRL attraverso il micro-perimetro, si inizia con Biofeedback sonoro

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40 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology 1/10

mediante MP1 (2,5 minuti ad occhio) e suc-cessivamente con stimolazione mediata dapattern ottici ottenuti con VP (10 minuti aocchio).All’inizio e alla fine di ogni ciclo sono statianalizzati fissazione entro i 2° e i 4° centrali,con score di stabilità, BCVA per lontano, visusresiduo per vicino, visus per vicino con siste-ma, PEV, velocità e coefficiente di lettura.A tal fine è stato impiegato un ottotipo perlontano in Snellen, un ottotipo per vicino incorpi di stampa elaborato dal Centro StudiIpovisione di Milano, un microperimetro MP1,il quale esegue una microperimetria attraver-so il programma autotracking ad alta frequen-za, e un apparecchio per rilievi elettrofisiolo-gici Visual Pathfinder.Il campione esaminato è composto da 34occhi (21 soggetti con età media di 58 anni eun range compreso tra 24 e 81 anni).

RISULTATIIn tale campione il ciclo di fotostimolazioneintegrato ha portato il BCVA da 0,31 a 0,48, ilvisus residuo per vicino da 24,24 a 16,16 cp,il visus per vicino con sistema da 9,27 a 7,31cp, la sensibilità da 6.53 a 8,19 dB, la stabilitàdelle fissazioni nei 2° centrali dal 48,24 al58,28%, il decentramento da 3,00° a 2,16°, iPEV da 2,64 a 3,82 microVolts, la velocità di

lettura da 80,50 a 95,50 par./min. Il ciclo di fo-tostimolazione customizzata effettuato seimesi dopo ha portato il BCVA da 0,40 a 0,53,il visus residuo per vicino da 18,5 a 14,8 cp, ilvisus per vicino con sistema da 7,5 a 6,8 cp,la sensibilità da 8,4 a 8,1 dB, la stabilità dellefissazioni nei 2° centrali da 41,9 a 68,9%, il de-centramento da 3,05° a 2,29°, i PEV da 1,7 a3,3 microVolts, la velocità di lettura da da 83,1a 94,60 par./min.

Abbiamo poi confrontato le variazioni otte-nute con le due diverse tecniche di fotosti-molazione neurale (Tabella 1) (Figura 1).

CONCLUSIONISi conferma che la fotostimolazione, attraver-so una maggior collimazione della fissazioneentro i 2°, determina un aumento della dete-zione foveale (riduzione del decentramento estabilizzazione delle fissazioni nel PRL), que-sto a sua volta favorisce un incremento delvisus, PEV e delle performance di lettura(Figure 2,3,4).La tecnica di fotostimolazione customizzata,stimolando direttamente il PRL, sembra otte-nere performance visive migliori nel pazien-te ipovedente e pertanto può essere impie-gata con vantaggio durante il processo ria -bilitativo.

FSN integrata FSN customizzata

T0 T30 Delta % T180 T210 Delta % % T210/T0

BCVA 0,31 0,48 53,93 0,40 0,53 35,30 72,40

Cp residui 24,24 16,16 33,33 18,5 14,8 20,03 39,02

Cp con ausilio 9,27 7,31 21,16 7,5 6,8 10,04 26,81

Sens. MP1 6,53 8,19 25,36 8,4 8,1 -3,77 23,44

Dec° 3,00 2,16 28,13 3,05 2,29 24,91 23,66

Fix % 2° 48,24 58,28 20,81 41,9 68,9 64,39 42,89

Fix % 4° 80,85 88,47 9,43 69,2 88,5 27,82 9,40

PEV 2,64 3,82 44,36 1,7 3,3 96,20 25,27

Par./Min. 80,50 95,50 18,63 83,1 94,6 13,91 17,53Tabella 1.

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30

25

20

15

10

5Int.NPS T0

Poin

ts

Int.NPS T30 Cust.NPS T180 Cust. NPS T210

24,4

16,6

18,5

14,8

9,277,31 7,5

6,8

Integrated NPSCustomized NPS

Residual points

Aid points

BCNearVA CHANGEby Integrated NPS before vs Customized NPS after

100

95

90

85

80

75Int.NPS T0

Wor

ds p

er m

inut

e

Int.NPS T30 Cust.NPS T180 Cust. NPS T210

Words/minutes changes by Integrated FSN beforeand Customized FSN after

80,50

95,50

83,1

94,6

4,00

3,50

3,00

2,50

2,00

1,50

1,00

Int.NPS T0

Mic

ron

Volts

Int.NPS T30 Cust.NPS T180 Cust. NPS T210

VEPs CHANGESby Integrated NPS before vs Customized NPS after

2,64

3,84

3,3

1,7

Integrat

ed NPS

Custom

ized NPS

0,60,55

0,50,45

0,40,35

0,30,25

0,2

Int.NPS T0

Snel

len

Int.NPS T30 Cust.NPS T180 Cust. NPS T210

BCDistance CHANCEGby Integrated NPS before vs Customized NPS after

0,31

0,48

0,40

0,53

Figura 1. Figura 2.

Figura 3.

3,203,002,802,602,402,202,00

FSNi T0

Ecce

ntric

Vis

ion

FSNi T30 FSNi T180 FSNi T210

Eccentrical Vision Changesby Integrated FSN before and Customized FSN after

3,00

2,16

3,05

2,29

Figura 5.

Figura 4.

411/10 EuVision Peer-reviewed Journal of Ophthalmology

Sopratutto è migliore nell’aumentare la per-centuale di fissazione nei 2° centrali, nell’in-crementare i PEV e nel mantenere elevati ivalori del visus residuo e con ausili sia perlontano che per vicino. Non ci sono differenze significative nella ca-pacità di miglioramento del grado di visioneeccentrica (Figura 5).

Poiché le performance visive tendono a re-gredire nel tempo il trattamento fotostimola-tivo va ripetuto ciclicamente per ripristinaregli incrementi ottenuti.La FSN customizzata richiede inoltre menotempo (25 minuti a seduta) rispetto alla FSNintegrata (35 minuti) dimostrandosi meno im-pegnativa per il paziente e per l’operatore. �

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NOTE

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Rhino-orbital mucormycosis

Sottoposto alla redazione il 11 Dicembre 2009

Accettato per la pubblicazioneil 10 Febbraio 2010

Case ReportRhino-orbital mucormycosis

Garg Pragati Associate Professor, Department of Ophthalmology, Era’s Lucknow Medical College, Sarfarazganj, Lucknow, U.P. (India)

Khanduri Sachin Associate Professor, Department of Radio-diagnosis, Era’s Lucknow Medical College, Sarfarazganj, Lucknow, U.P. (India)

INTRODUCTIONMucormycosis is a rare necrotizing fungalinfection caused by the class Zygomycetes

and the order Mucorales1. These fungi cancause serious and rapidly fatal infections,particularly in the immunocompromised, suchas poorly controlled diabetics2. The mostfrequent form begins in the nose and paranasalsinuses and can reach the brain. Unless earlydiagnosis and treatment is establishedmucormycosis leads to death. In rhino-orbitalinfections, inhalation is the natural route ofinfection. The authors present the case ofrhino-orbital mucormycosis who responded tomedical and surgical therapy.

CASE REPORTA 40 year old woman with a history of diabetesmellitus for more than 3 years, on highlyirregular treatment, was admitted withcomplaints of restlessness, headache,weakness, vertigo and loss of appetite. Therewas no history of trauma, tuberculosis andbronchial asthma.On examination she was ill looking, had poororal hygiene, pulse 90/ min, respiration 22/ min.and blood pressure of 150/100 mm of mercury,temperature was 98.6 0F. On investigations herfasting and post prandial blood sugar was 254.5mg% and 498.3 mg % respectively. Her bloodurea was 37.0 mg/dl, serum creatinine was0.89mg/dl. Sugar was present in the urine,while ketone bodies were absent. Furtherduring her stay in the hospital, next day shedeveloped right sided facial swelling with pain.

ABSTRACTRhino-orbital mucormycosis is caused bythe class Zygomycetes (e.g. Mucor).These fungi can cause serious and rapidlyfatal infections, particularly in theimmunocompromised, such as poorlycontrolled diabetics. The most frequentform begins in the nose and paranasalsinuses and can reach the brain. Unlessearly diagnosis and treatment isestablished mucormycosis leads to death.In rhino-orbital infections, inhalation isthe natural route of infection. Our case isa female of 40 years of age, knowndiabetic on poor glycemic control due tovery irregular treatment, presentedinitially with complaints of restlessness,headache, weakness, vertigo and loss ofappetite which further progressed toptosis and complete right sidedophthalmoplegia, proptosis, chemosis andfifth nerve paresis leading to decreasedsensation over right side of face. She wasempirically started treatment formucormycosis and the biopsy frommaxillary sinus was taken which laterconfirmed the diagnosis.

KEYWORDS: Mucormycosis, Rhino-orbital, Diabetes mellitus.

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Figura 1. CT images of sinusesshowing granulation tissue inright maxillary and bilateralethmoids with blocked rightosteomeatal unit.

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On oto-rhino-laryngological examination shewas diagnosed as a case of acute bacterialmaxillary sinusitis. Intensive treatment withintravenous (IV) insulin therapy and IVantibiotic with local treatment of sinusitis wasstarted. Despite general improvement, thepatient’s facial findings progressed withswelling over right side of cheek and rightperiorbital region with ptosis and complete rightsided ophthalmoplegia, proptosis, chemosisand fifth nerve paresis leading to decreasedsensation over right side of face. Purulentdischarge was present through right nasalcavity. Fundus examination revealed mildhaziness of disc margins, mild retinal pallor.Peripapillary arteries were attenuated withpresence of cherry red spot. Patient wasadvised CT scan of head, paranasal sinuses andorbit which reveaed no definite evidencesuggestive of any focal parenchymal or spaceoccupying lesion in brain, there was cellulitisinvolving right side of face and cheek withgranulation tissue in right maxillary and bilateralethmoids with blocked right osteomeatal unit. Diagnosis of rhino-orbital mucormycosis wassuspected and IV Amphotericin B injectionwas initiated, in the dose of 20mg as a loadingdose followed by 10-15mg after an interval of2 hrs and biopsy was taken from the maxillarysinus. The biopsy specimen contained funguswith nonseptated hyphae in the tissue andinvading blood vessels. Later on culture of thespecimen revealed characteristic hyphae ofmucor and the diagnosis of mucor mycosis wasconfirmed.An orbital exenteration with partial maxillectomywas done along with the medical treatment. Thetissue removed was necrotic. Patient showedimprovement and was discharged after 2 weeksand was then lost to follow up.

DISCUSSIONThe zygomycoses are infections caused byfungi of the class Zygomycetes, comprised ofthe orders Mucorales and Entomophthorales.Fungi of the order mucorales are causes ofmucormycosis, a life threatening fungalinfection almost uniformly affecting immu -

nocompromised hosts in either de veloping orindustrialized countries. Both mononuclear and polymorphnuclearphagocytes of normal hosts kill mucorales bythe generation of oxidative metabolites and thecationic peptides defensins3-5.Hyperglycemia and acidosis are known toimpair the ability of phagocytes to movetoward and kill the organisms by both oxidativeand nonoxidative mechanism6. Rhinocerebralmucormycosis continues to be the mostcommon form of the disease, accounting forbetween one third & one half of all cases ofmucormycosis7. About 70% of rhinocerebralcases are found in diabetic patients inketoacidosis8. The initial symptoms of rhin-orbital mucormycosis are consistent with eithersinusitis or periorbital cellulitis9,10 and includeeye or facial pain and facial numbness followedby the onset of conjunctival suffusion, blurredvision and soft tissue swelling11-13 as wasobserved by authors in present case. Ifuntreated, infection usually spreads from theethmoidal sinus to the orbit, resulting in lossof extra ocular muscle function and proptosisas was seen in this case. Marked chemosismay also be seen. The infection may rapidlyextend into the neighboring tissues in absenceof early suspicion, which was averted inpresent case due to prompt and early

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aggressive management of the case. Diagnosisof rhino-orbito-cerebral mucormycosis is madeeither by a successful culture of infected tissueor microscopic identification of thenonseptated fungus. Result of routinelaboratory examinations are variable and nondiagnostic14,15. Management of infectionbegins with the control of the underlyingdisease process. This enables the host to regainhis or her natural resistance. Surgicaldebridement of all infected tissue which maybe extensive should be done Therapy shouldalso include treatment with the fungistaticantibiotic agent amphotericin B as was donehere in this case. The use of systemic steroids& antibiotics should be judicious.

CONCLUSIONA high index of clinical suspicion isrequired to make the diagnosis of rhino-orbital mucormycosis in a patient withuncontrolled diabetes who presents withheadache, facial pain and proptosis.Imaging techniques may be suggestive ofmucormycosis but are rarely diagnostic.Surgical exploration with biopsy of the areasof suspected infection should always beperformed in high risk patients to confirmthe diagnosis. It is critically important tounderstand that if mucormycosis issuspected, initial empirical therapy withamphotericin B should begin while thediagnosis is being confirmed16. �

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REFERENCES

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NOTE

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INTRODUZIONEClinicamente, nei pazienti glaucomatosi si ve-rifica una progressiva perdita dello strato dellefibre nervose gangliari che conduce alla pro-gressiva e caratteristica escavazione dellatesta del nervo ottico e alla degenerazione as-sonale del nervo stesso (Quigley et al., 1981;Sommer et al., 1991).Il primo strato retinico coinvolto in questaneurootticopatia è quindi quello delle cellule re-

tiniche gangliari (RGC) che vanno incontro ad apopto-

si (Nickels, 1996; Pescosolido et al., 1998; 2000;Quigley, 1999; Rankin, 1999; Desantis et al.,2000) mentre lo strato dei fotorecettori è alungo conservato (Wygnanski et al., 1995;Kendell et al., 1995). Dal momento che nell’uo-mo il 90% delle RGC proietta al corpo genico-lato laterale, il danno potrebbe estendersi dallecellule gangliari retiniche ai centri cerebralidella visione (Gupta et al, 2006; Caprioli eGarway-Heath, 2007).Studi recenti hanno confermato che le cellule

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Neuroprotezione nel glaucoma: ruolo

della acetil-L-carnitina

Sottoposto alla redazione il 8 Gennaio 2010

Accettato per la pubblicazioneil 26 Febbraio 2010

Neuroprotezione nel glaucoma: ruolo della acetil-L-carnitina

Nicola Pescosolido“Sapienza” Università Roma - I Facoltà di Medicina e Chirurgia - Dipartimento di Scienze dell’Invecchiamento

Barbara Imperatrice, Claudia Ganino, Monica Autolitano“Sapienza” Università Roma - I Facoltà di Medicina e Chirurgia - Dipartimento di Scienze Oftalmologiche

RIASSUNTOIl glaucoma è un’importante causa di cecitànel mondo e si presenta come una sindromecaratterizzata da neurotticopatia progressivae difetti del campo visivo. Dal punto di vistaeziopatogenetico, il glaucoma è una malattiamultifattoriale di cui è stata individuataun’ampia varietà di fattori causali importantinella genesi dell’insulto a cui vengono espo-ste le cellule gangliari retiniche accanto al fat-tore di rischio più importante quale la pressio-ne intraoculare (IOP).In primo luogo gli astrociti, normali costituen-ti del tessuto nervoso del nervo ottico, chepossono andare incontro ad attivazione ec-cessiva provocando morte dei neuroni.Importante è il ruolo delle eccitotossine e inparticolar modo del glutammato che provo-cando un’eccessiva stimolazione del neuronepost-sinaptico, ne determina la sua morte.L’ossido nitrico e le endoteline possono parte-

cipare alla cascata di eventi che determinanoapoptosi cellulare agendo sulla vascolarizza-zione, sulla IOP e direttamente nelle vie intra-cellulari di attivazione dell’apoptosi. Anche lostress ossidativo sembra essere implicatonella morte dei neuroni determinando dena-turazione proteica, perossidazione lipidica eproduzione di fattori chemiotattici.Riveste perciò particolare importanza la neu-roprotezione e le sostanze riconosciute comeneuroprotettrici quali la acetil-L-carnitina(ALCAR), molecola endogena con moltepliciazioni fisiologiche che potenziando il meta-bolismo cellulare e la sua efficienza permettedi rendere le cellule gangliare retiniche più re-sistenti agli insulti.

PAROLE CHIAVE: Glaucoma, Pressione in-traoculare (IOP), Ossido nitrico, Tumor necro-sis factor α (TNFα), acetil-L-carnitina

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gangliari retiniche non muoiono contempora-neamente ma a differenti livelli e resta da sta-bilire quale è l’esatta dinamica del danno.Sono state formulate due ipotesi a tale riguar-do.La prima ipotesi afferma che il danno primarioproduce un esteso insulto a tutte le cellule maqueste morirebbero in tempi diversi in basealla diversità di spessore e funzionalità cellu-lare (sistema magno e parvicellulare). La seconda ipotesi, invece, considera una de-generazione primaria che colpisce i neuroniinteressati direttamente dall’insulto inducen-te morte cellulare e una degenerazione secon-daria che interessa i neuroni sani circostanti aquelli primariamente interessati, a causa dellaliberazione, da parte di questi ultimi, di so-stanze eccitotossiche quali il glutammato(Osborne et al., 1999). La neuroprotezione potrebbe intervenire, con-cettualmente, proprio in questa seconda faseimpedendo pertanto la degenerazione secon-daria delle cellule gangliari retiniche(Murakami e Okisaka, 1998; Yoles e

Schwartzl,1998a; Neufeld, 1999; Weinreb eLevin, 1999).Il nervo ottico non contiene alcun corpo cellu-lare neuronale. Al suo interno sono presentifasci di fibre nervose, provenienti dalle cellulegangliari retiniche, sostenute strutturalmentee funzionalmente dalla macroglia: gli oligo-dendrociti e gli astrociti (Figura 1). Gli astrociti in condizioni fisiologiche normali

Figura 1. Disegno schematicodella morfologia e dei rapportidella macroglia: oligodendrocitie astrociti

Figura 2. Sezione di nervo ottico che mostra la disposizionecolonnare e ordinata degli astrociti tra le fibre nervose

Figura 3. Stravolgimento della disposizione ordinata degli astrocitiin seguito a stress ipertensivo che suggerisce una loro attivazione

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svolgono le loro mansioni rimanendo geogra-ficamente stabili e vengono definiti comeastrociti maturi quiescenti. Essi, però, posso-no cambiare fenotipo, in seguito a danni nel si-stema nervoso e diventare reattivi (attivati)esprimendo morfologie e funzioni diverse(Figure 2, 3). Il fenotipo attivato delle celluleastrocitarie, come pure la microglia, rilasciacitochine, specie reattive di ossigeno, ossidonitrico e TNF-a e svolge un ruolo essenzialeper ciò che concerne il rimodellamento dellalamina cribrosa. Negli ultimi anni è stata se-gnalata la partecipazione del fattore di necro-si tumorale a (TNF a) alla morte apoptoticadelle RGC nei pazienti glaucomatosi. Tezel etal. (2001) hanno rilevato un’aumentata espres-sione del TNF a e del recettore 1 del TNF a nellatesta del nervo ottico e nelle sezioni retinichedegli occhi glaucomatosi. Uno studio condot-to su colture cellulari ha inoltre evidenziatoche le cellule gliali, esposte a elevate pressio-ni idrostatiche o sottoposte a stimolo ischemi-co, incrementano la secrezione di TNF a, por-tando a morte per apoptosi le cellule gangliariretiniche presenti nella stessa coltura. Tale ef-fetto può essere attenuato con la somministra-zione di anticorpi neutralizzanti diretti controil TNF a (Tezel e Wax, 2000).Inoltre, in forme patologiche (come appuntonel glaucoma) si evidenzia una disorganizza-

zione a livello degli astrociti nelle regioni ante-riori del nervo ottico associate a una loro iper-trofia e all’aumentata espressione della protei-na acida fibrillare della glia (GFAP) (Figura 4).Nei pazienti glaucomatosi, gli astrociti dellatesta del nervo ottico esprimono elevati livellidi mRNA che codifica per la 20(3)-diidrodiolodeidrogenasi (AKR1C1 o DDH), un enzima delmetabolismo degli steroidi in grado di inatti-vare i prodotti della perossidazione lipidica(Hernandez et al., 2002). Uno studio condottoda Malone e Hernandez (2007) su astrocitiumani della testa del nervo ottico ha messo inevidenza un aumento dell’espressione diAKR1C1 e altri enzimi antiossidanti dopoesposizione della coltura cellulare al 4-idrossi-2E-nonenale, uno dei prodotti più tossici dellaperossidazione lipidica.L’attivazione della glia è quindi un meccani-smo reattivo che contrasta lo stress ossidativocronico e promuove la riparazione delle cellu-le (i.e. ubiquitina, proteine dello stress ePCNA) (Figure 5-7). Paradossalmente, il rilasciodi sostanze quali le citochine e l’ossido nitricopuò a sua volta innescare danni nelle celluledella retina e produrre eventi neurodegenera-tivi. Comunque, qualsiasi sia la causa scate-nante del fenotipo attivato delle cellule gliali,si può innescare un meccanismo perverso cheporta a un peggioramento degli effetti deldanno primario, sino alla morte cellulare conmodalità apoptotica (Figura 8).Le eccitotossine sono sostanze normalmentecoinvolte nell’attivazione delle membrane cel-lulari ma con elevato potenziale tossico a livel-lo neuronale. Il principale rappresentante è il glutammato,sostanza abbondante nelle terminazioni presi-naptiche, che gioca un ruolo importante in nu-merose funzioni neurologiche come la cogni-zione, la memoria, il movimento e la sensazio-ne (Lipton e Rosenberg, 1994). I recettori glu-tammatergici ionotropici eccitatori sono par-ticolarmente abbondanti nella retina e sonostrettamente associati alle RGC (Levin, 1999;Logan et al., 2000). Il danno eccitotossico comprende una casca-ta di eventi che si autoalimentano alla cui base

Figura 4. Sezione longitudinale di nervo ottico di ratto decorato con anticorpo anti-GFAP: sipossono osservare le cellule astrocitarie colorate in marrone

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Figura 5. Attivazione degliastrociti. A) Sezione di nervoottico di controllo; B) Sezionedi nervo ottico decolorato conanti-ubiquitina. L’ubiquitina èuna proteina dello stresscellulare e avvia le proteinedanneggiate al sistemadegradativo proteosomale.Inoltre è coinvolta neifenomeni regolativi della mortecellulare programmata

Figura 6. Attivazione degliastrociti. A) Sezione di nervoottico di controllo; B) Sezionedi nervo ottico decolorato conanti-NOS. L’aumento dellaimmunoreattività per l’iNOS èindice di espressione di elevatilivelli di ossido nitrico sintetasie quindi di produzione a livellodelle cellule gliali del nervoottico di NO.

Figura 7. Attivazione degliastrociti. A) Sezione di nervoottico di controllo; B) Sezionedi nervo ottico dopo stressipertensivo che mette in risaltola presenza della proliferatingcell nuclear antigen (PCNA),una proteina espressa inseguito a stress e sotto ilcontrollo di p53 che puòpartecipare all’attivazione delprogramma di morteapoptotica della cellula

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vi è la perdita dell’omeostasi ionica e che com-porta in ultimo la morte cellulare. I principalicambiamenti ionici coinvolti nella patologiamolecolare sono: (i) un iniziale influsso di Na+

e (ii) un aumento del Ca2+ intracellulare.Queste alterazioni avvengono in parallelo esono responsabili di una continua depolarizza-zione e amplificazione della lesione con il per-sistente rilascio di glutammato, necrosi e

morte Ca2+-dipendente (Figure 9, 10), (Casson,2006). La depolarizzazione ha inizio dall’atti-vazione dei recettori AMPA (metabotropici) esuccessivamente da quella dei canali del Na+

voltaggio-dipendenti (ionotropici). La depola-rizzazione cronica causa la rimozione del bloc-co del recettore NMDA dato dallo ione Mg2+

così da permettere l’influsso di Ca2+ attraver-so il canale. L’iniziale influsso di Na+ è segui-to dall’influsso passivo degli ioni Cl- che se-guono il proprio gradiente di concentrazione eda quello dell’acqua lungo il proprio gradienteosmotico. L’aumento intracellulare di acquapuò portare al rigonfiamento degli organelli ci-toplasmatici ed eventualmente a una lisi cel-lulare con rilascio del contenuto intracellulare,incluso il glutammato, nell’ambiente extracel-lulare.Dreyer et al. (1996) furono i primi ad analizza-re la forte correlazione tra eccitotossicità in-dotta dal glutammato e danno glaucomatoso.Questi Autori misurarono le concentrazioni di14 aminoacidi nel vitreo sia di pazienti glau-comatosi che di scimmie con glaucoma speri-mentale e trovarono che il glutammato era l’u-nico significativamente aumentato rispetto aicontrolli. La concentrazione trovata in pazien-ti glaucomatosi in terapia era infatti di 23 mMrispetto ai 10 mM dei soggetti sani di control-lo con concentrazioni maggiori di glutamma-to nel vitreo posteriore rispetto all’anteriore a

Figura 8. A) Sezione di nervoottico di controllo; B) Sezione

di nervo ottico dopo stressipertensivo che mostra

l’espressione della caspasi-3,una proteina effettrice del

processo apoptotico

Figura 9. Recettori delglutammato e vie di

trasduzione intracellularepresenti nel tessuto nervoso

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conferma della teoria secondo la quale il glu-tammato è rilasciato dalla retina (Dreyer eLipton, 1999). Studi successivi hanno suppor-tato questa ipotesi dimostrando che in segui-to all’incremento della pressione intraoculareper brevi periodi di tempo si verifica un’ische-mia retinica, responsabile dell’incremento deilivelli del glutammato (Kapin et al., 1999;Osborne et al., 1999b).Una molecola che può contribuire alla cascatadegli eventi, attivata dal glutammato, cheporta alla morte delle RGC è l’ossido nitrico(NO) la cui produzione può essere indotta dallaossido d’azoto sintetasi neuronale (nNOS) oNOS-1 in seguito all’aumento della concentra-zione del calcio intracellulare. Comunque, sipensa che l’eccitotossicità indotta dal glutam-mato può portare all’attivazione di diverse viedi trasduzione che da ultimo contribuisconoalla morte delle cellule gangliari retiniche(Sucher et al., 1997).Nell’occhio, l’ossido nitrico (NO) e le endoteli-ne (ET) sono mediatori cellulari implicati nellaregolazione della pressione intraoculare, nellamodulazione del flusso ematico oculare e nelcontrollo della morte delle cellule gangliari re-tiniche, tre aspetti implicati nella patogenesidel glaucoma (Moncada et al., 1991; Lipton etal., 1993).Sono state identificate tre isoforme della NOS:la NOS-neuronale costitutiva o NOS-1, NOS-inducibile o NOS-2 e NOS-endoteliale costitu-tiva o NOS-3. La NOS-1 e la NOS-3 vengonoattivate da segnali biologici che incrementa-no la concentrazione del calcio intracellularein modo transitorio essendo enzimi calcio-di-pendenti e sono presenti in diversi tessuti incondizioni fisiologiche. In condizioni patologiche, la NOS-2 può esse-re indotta in numerosi tessuti, compresi i neu-roni, astrociti e cellule endoteliali. In particola-re, un importante pathway di trasduzione delsegnale implicato nell’induzione della NOS-2in risposta all’aumento della IOP a livello degliastrociti, è quello che coinvolge il recettore ti-rosin-chinasico dell’EGF (fattore di crescitaepidermico) (Neufeld e Liu, 2003).Quando è presente nel SNC, la NOS-2 produ-

ce eccessive quantità di NO il quale interagi-sce con il radicale superossido O2

.-, formatosiper il danno indotto, dando luogo a specie al-tamente ossidanti quali i perossinitriti in ma-niera del tutto analoga a ciò che accade all’in-terno dei fagolisosomi di un macrofago. Questiultimi inducono nitrosilazione di proteine cel-lulari, lipidi e DNA mediando la morte cellula-re per apoptosi (Shareef et al., 1999). In occhidi ratto sottoposti a un cronico e moderato au-mento dei livelli di pressione intraoculare èstato osservato un aumento dell’espressionedella NOS-2, parallelamente a un aumentodella produzione di NO (Shareef et al., 1999),così come negli occhi glaucomatosi umani,(Neufeld et al., 1999), mentre non è stato ri-scontrato un aumento dell’espressione dellaNOS-3 (Shareef et al., 1999). In pazienti affettida glaucoma ad angolo aperto, è stato osser-vato che nella regione prelaminare, nella re-gione laminare e postlaminare molti astrocitiesprimono la NOS-2 e molti di più esprimonola NOS-1, rispetto a individui sani in cui gliastrociti non esprimono affatto NOS-2 e pochie sparsi degli stessi esprimono NOS-1. Così, èstato ipotizzato che, il NO, che negli occhiglaucomatosi prodotto in queste regioni dagliastrociti, reagisce con il radicale superossido,prodotto dai mitocondri e presente negli asso-ni delle RGC. Questa reazione porta alla forma-zione di perossinitriti i quali reagiscono con iresidui di tiroxina di proteine strutturali ed en-zimi, provocando nelle RGC perdita di struttu-ra e di funzione (Neufeld, 1999) ed eventual-mente all’apoptosi (Muijsers et al., 1997). Studi

Figura 10. Schemadell’attivazione dei recettoriNMDA del glutammato e loroconseguenze intracellulari

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in vitro su astrociti della testa del nervo otticohanno mostrato che la NOS-2 viene indotta inrisposta a citochine quali TNF-a da solo o incombinazione con TNF-a/IL-1a (Liu e Neufeld,2000; Tezel et al., 2000). La NOS-2 potrebbeanche essere indotta direttamente da unostress meccanico quale la pressione intraocu-lare (Liu e Neufeld, 2001).L’endotelina-1 (ET-1), il più potente vasocostrittorefisiologico conosciuto che entra nella com-plessa regolazione della perfusione del nervoottico, viene rilasciato dalle cellule endotelialied è coinvolto, insieme al NO, nella patogene-si del glaucoma (Flammer, 2000). Kim et al.(2000) hanno condotto un esperimento in cuisomministravano endotelina nella regione pe-rineurale del nervo ottico anteriore in 4 conigliper un periodo di 2 settimane. Il gruppo di con-trollo è stato trattato con soluzione salina bi-lanciata. Sono stati prelevati campioni di vi-treo ed è stato misurato il loro contenuto inaminoacidi. I risultati hanno evidenziato unaumento statisticamente significativo del glu-tammato, aspartato e glicina negli occhi trat-tati con endotelina. Da ciò gli Autori hanno de-dotto che vasocostrizione e ischemia del mi-crocircolo della papilla portano a un aumentodi tali sostanze nel vitreo. Questo studio si ri-collega a quello condotto da Wang et al. (2000)in cui gli Autori hanno introdotto endotelinanello spazio neurale periottico in tre scimmieper 6 mesi. Gli occhi hanno sviluppato escava-zione e in un occhio diminuzione dello stratodelle fibre nervose retiniche come pure altera-zioni al mPERG e danno assonale superiore al44%. Nelle aree corrispondenti al danno asso-nale veniva riscontrata una proliferazionereattiva degli astrociti. I radicali liberi sono sostanze che possiedonoun elettrone spaiato e, di conseguenza, reagi-scono con lipidi, acidi nucleici e proteine. I ra-dicali liberi più noti e meglio studiati sonoquelli che derivano dalla degradazione dell’os-sigeno molecolare, in particolare l’anione su-perossido (O2.-), lo ione ossidrile (OH.) e l’ossi-geno singoletto (1O2). Queste molecole reagi-scono in vivo con gli aminoacidi contenentigruppi solfuro e con gli acidi grassi insaturi,

determinando, di conseguenza, fenomeniquali la denaturazione proteica, la perossida-zione dei lipidi di membrana che si traduce inun’alterata permeabilità di membrana, la pro-duzione di fattori chemiotattici, l’alterata sin-tesi di collagene attraverso una diminuita at-tività enzimatica e un’aumentata infiltrazionecellulare. Non è stato ancora possibile stabilire in vivoquali siano le strutture più colpite dai danniprodotti dai radicali liberi anche se in vitrosembra che essi esercitino la loro azione so-prattutto a livello delle cellule endoteliali, dellecellule gliali e gangliari retiniche (Pescosolidoe Guglielmelli, 1994). Infatti, Lieven et al.(2006), misurando lo stress ossidativo delleRGC sottoposte ad assotomia, hanno osserva-to l’aumento del livello intracellulare dell’anio-ne superossido. L’anione superossido può es-sere prodotto in vari siti all’interno della cellu-la tra cui il mitocondrio ed è proprio il livello dianione superossido generato nel mitocondrioche aumenta. Verosimilmente è questo lo stepche innesca il signaling dell’apoptosi. Gli ef-fetti neurodegenerativi dei radicali liberi nonsono però limitati a stimoli acuti come nell’i-schemia, ma sono coinvolti anche in patologiedel sistema nervoso centrale di tipo cronicoquali la sclerosi laterale amiotrofica e la sindro-me di Alzheimer (Mc Namara e Fridovich,1993).Diversi fattori di crescita, le cosiddette neuro-trofine, sono considerati di importanza signi-ficativa per il fisiologico sviluppo della via vi-siva e per questo cambiamenti quantitativi equalitativi delle neurotrofine o dei loro recetto-ri che si verificherebbero nelle prime fasi del-l’ipertensione oculare potrebbero precederel’estesa morte cellulare e le caratteristiche cli-niche del glaucoma. Il brain derived neurotrophic factor (BDNF), inparticolare, favorendo la sopravvivenza e ladifferenziazione delle RGC in coltura, è statoidentificato come il principale agente neuro-trofico per tali cellule. Il suo RNA messaggero(mRNA) è stato individuato nella retina, nelnervo ottico e nei collicoli superiori, confer-mando così la sua presenza in queste sedi

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della via visiva (Quigley et al., 2000). Come ul-teriore conferma è stato individuato, a livellodelle RGC, il recettore ad alta affinità per ilBDNF la cui attivazione si ritiene sia respon-sabile dell’innesco dei processi metabolici in-tracellulari in risposta al fattore di crescitastesso. È stato ipotizzato che tale fattorevenga rilasciato dai neuroni del corpo genico-lato laterale nelle prime fasi dello sviluppoquando cominciano a stabilirsi le prime inter-connessioni sinaptiche tra le cellule di questaarea cerebrale e gli assoni delle RGC (Aguayoe Bray, 1990; Nickels, 1996). La formazionedelle sinapsi consente l’acquisizione dei fatto-ri di crescita che vengono così trasportati nelleRGC, consentendone la sopravvivenza. Èstato accertato, infatti, che le cellule che nonriescono a stabilire le connessione, non rice-vendo i fattori di crescita, vanno incontro amorte cellulare per apoptosi. Questo processodetermina, nei primi mesi di sviluppo fetale,l’eliminazione di circa il 40-70% delle celluleretiniche originali (Unoki e La Vail, 1994; Gaoet al., 1997).Anche nel corso del glaucoma, vi è una simileinterruzione del flusso assonale di tipo rapido(sia anterogrado che retrogrado) sia nell’uomoche nei modelli animali come accertato da di-verse indagini sperimentali (Quigley et al.,1981; Ricard et al., 2000). Da ciò si evince chequesto ostacolo che interrompe il flusso delBDNF o di altri fattori di crescita dal cervelloalla retina, può ipoteticamente influire sullasopravvivenza delle RGC (Mansour-Robaey etal., 1994; Peinado-Ramon et al., 1996). A con-ferma di quanto esposto, Quigley et al. (2000)hanno dimostrato che il trasporto retrogradodel BDNF veniva inibito dall’incremento acutodella IOP con conseguente morte cellulare perapoptosi delle RGC. Un’ulteriore conferma diquesta ipotesi è offerta dalle ricerche che do-cumentano come la sezione del nervo otticoinduca morte cellulare per apoptosi nel 50%delle RGC dopo una settimana (degenerazio-ne primaria) e del 90% dopo due settimane(degenerazione secondaria) e come un’unicasomministrazione nel vitreo di BDNF, il giornodella lesione, prolunghi la sopravvivenza delle

cellule di oltre una settimana (Mansour-Robaey et al., 1994; Klocker et al., 1998; Ko etal., 2001). Inoltre, la somministrazione diBDNF è in grado di indurre la rigenerazioneneurale mediante l’aumento del numero dineuriti delle RGC nella retina umana (Takanoet al., 2002).È ben nota l’azione di uno dei farmaci di primascelta nel trattamento del glaucoma quale ilbetaxololo, un beta-bloccante selettivo, cheprotegge la retina dai danni indotti dall’ische-mia/riperfusione proprio attraverso un incre-mento dei livelli di mRNA per il BDNF a livel-lo delle RGC (Desantis et al., 2000). Inoltre,questo antagonista b-adrenergico blocca lamorte cellulare dovuta all’azione eccitotossicadel glutammato (Mitchell et al., 2000).Le RGC danneggiate possiedono un program-ma genetico che le rende capaci di rigenerarenuovi assoni verso cellule target. Questo pro-gramma, però, non viene portato a termineprobabilmente a causa della presenza di mo-lecole nell’ambiente extracellulare che vannoa inibire proprio il processo riparativo di cre-scita assonale. Si potrebbe pensare che sianole cellule non-neuronali, ovvero le cellule glia-li, che circondano le RGC, a impedire la riatti-vazione della proliferazione assonale. La pos-sibile ragione del fallimento della rigenerazio-ne può essere la presenza di molecole inibito-rie come ad esempio le semaforine. Esse ap-partengono a una grande famiglia di molecoleguida assonali che possono conferire segnaliattrattivi o repulsivi (Goodman, 1994; 1996;Kolodkin, 1996; Tessier-Lavigne e Goodman,1996). In generale, le semaforine sono coinvol-te soprattutto nel fallimento della rigenerazio-ne assonale in seguito a lesione. Infatti,Shirvan et al. (2002) hanno dimostrato unamarcata induzione della proteina semaforinaIII nelle retine ipsilaterali di ratto subito dopoassotomia e ciò accadeva molto prima dellacomparsa di ogni evidente segno di cambia-mento morfologico associato all’apoptosi nelleRGC. Ciò suggerisce che la neutralizzazionedella funzione repulsiva delle semaforine po-trebbe rappresentare un valido approccio ditrattamento delle lesioni traumatiche del si-

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stema nervoso centrale e delle patologie oftal-miche con particolare attenzione al glaucomae alla neurootticopatia ischemica.L’effetto neuroprotettivo è quindi quanto maiimportante come la riduzione della IOP e unasostanza a ciò testata, l’acetil-L-carnitina, sipuò rivelare utile allo scopo.Morgan et al. nel 1999 hanno esaminato il ruolo

degli astrociti come iniziatori del danno assonalein quanto queste cellule sono maggiormentesensibili ai fattori meccanici e ischemici esono fondamentali per il mantenimento dellafisiologia delle RGC. La possibilità che l’inte-razione astrociti-assone sia importante nellosviluppo della neuropatia ottica glaucomatosasuggerisce nuovi possibili traguardi terapeu-tici nella prevenzione della morte delle cellulegangliari retiniche in pazienti glaucomatosi(Morgan, 2000). Infatti, Fan et al. (2005) hannodocumentato la modulazione della rigenera-zione del nervo ottico attraverso la riduzionedegli effetti inibitori sulla sua rigenerazione daparte degli astrociti reattivi o attivati. Dopoaver ristabilito la funzione del gene Bcl-2 (in untopo transgenico), la rigenerazione del nervoottico è stata promossa dalla riduzione deglieffetti inibitori evidenziati negli astrociti reat-tivi dimostrando così che gli astrociti attivatisono un importante fattore che va a inibire larigenerazione del nervo ottico e prospettandouna nuova direzione per la terapia neurorige-nerativa del glaucoma.Il processo di degenerazione primaria è auto-perpetuante, in quanto l’insulto primario atti-va una serie di meccanismi all’interno dellacellula che producono mediatori tossici.Questi sono rappresentati, come detto, oltreche dal glutammato e dal calcio, anche da ra-dicali liberi e da elevate concentrazioni di K+,responsabili, a loro volta, dell’attivazione diuna degenerazione secondaria a livello dellecellule gangliari della retina (Yoles e Weinreb,1998). Nelle cellule attivate dal glutammatoqueste sostanze tossiche possono essere ge-nerate da una serie di reazioni biochimiche(Coyle e Puttfarcken, 1993). La calpaina, adesempio, libera l’anione superossido (O2

.-)dalla reazione di conversione della xantina

deidrogenasi in xantina ossidasi. Analo -gamente, l’attivazione della fosfolipasi A2, chedetermina il rilascio di acido arachidonicodalle membrane cellulari, si associa al rilasciodi radicali liberi. Si è acquisito che questi com-posti, rilasciati dai neuroni sotto stimolazionedel glutammato, determinano l’attivazione delprocesso apoptotico (Coyle e Puttfarcken,1993). Inoltre, è stato osservato che nella fasedi riperfusione sanguigna a seguito di un in-sulto ischemico retinico, l’attivazione dei re-cettori del glutammato si associa al massivorilascio di radicali liberi che intervengono nelprocesso di neurodegenerazione attraverso laperossidazione degli acidi grassi e degli acidinucleici, nonché attraverso la rottura dei lega-mi tra le proteine (Pellegrini et al., 1990).Peraltro, questi composti sono coinvolti nellamodulazione dei recettori di tipo NMDA delglutammato. È stato osservato, infatti, comel’applicazione in vitro dell’acido nitrobenzoi-co, un agente ossidante, incrementi le corren-ti ioniche attraverso i canali del recettore; taleeffetto viene invece inibito dall’applicazionedi agenti riducenti (Pellegrini et al., 1990). A seguito di quanto esposto, è stata analizza-ta la acetil-L-carnitina (ALCAR) per la neuro-protezione. In generale, la carnitina intervienein diverse reazioni fisiologiche; il suo ruoloeclettico è dovuto all’esistenza di numerosecarnitine acil-transferasi (CAT) dislocate nelcitosol e nelle membrane mitocondriali, lequali interconvertono gli esteri degli acidigrassi del coenzima A (acil-CoA) e della carni-tina (acetil-carnitina).Tra le reazioni in cui la carnitina riveste unruolo di primo piano troviamo: l’aumento delmetabolismo aerobio dello zucchero e della ve-locità di fosforilazione ossidativa, la promozio-ne dell’escrezione di alcuni acidi organici e,soprattutto, l’ossidazione degli acidi grassiche ha luogo nella matrice mitocondriale.Prima di poter entrare all’interno della matricemitocondriale, gli acidi grassi devono essereattivati e tale attivazione avviene sulla mem-brana mitocondriale esterna a opera dell’enzi-ma acil CoA-sintasi. Per attivare gli acidi gras-si è necessario che venga a formarsi un lega-

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me tioestere tra il gruppo carbossilico dell’aci-do grasso e il gruppo sulfidrilico del CoA; inquesta reazione l’acil CoA-sintasi richiedel’ATP come cofattore per generare acil-CoA eAMP. Le molecole di acil-CoA a catena lungapresentano una diminuita permeabilità dimembrana rispetto a quelle a catena breve;questo fa sì che esse necessitino di un mecca-nismo di trasporto particolare per attraversarela membrana mitocondriale interna: il carrierdeputato a tale compito è la carnitina (Borumet al., 1983), formandosi acil-carnitina, me-diante CAT I. A questo punto, l’acil-carnitinaviene trasportata attraverso la membrana mi-tocondriale interna da una carnitina trasloca-si. Una volta giunto nella matrice mitocondria-le, il gruppo acile viene di nuovo trasportatosul CoA (acil-CoA) mediante CAT II, mentre lacarnitina ritorna al lato citoplasmatico dellamembrana sempre mediante la carnitina tra-slocasi (Bremer, 1976). Nella matrice mitocon-driale, l’acido grasso va incontro ad un proces-so biochimico detto b-ossidazione, che consi-ste in una serie di quattro reazioni: un’ossida-zione, un’idrolisi, una seconda ossidazione euna tiolisi. Questo procedimento provoca l’ac-corciamento di due atomi di carbonio della ca-tena di acido grasso. Per ogni molecola di ace-til-CoA così ottenuta si forma una molecola diFADH2 e una molecola di NADH. L’acetil-CoAentra poi nel ciclo di Krebs e viene ossidato adanidride carbonica con produzione di una mo-lecola di ATP, tre molecole di NADH e una diFADH2. Il FADH2 e il NADH sono, a loro volta,ossidati nella catena di trasporto degli elettro-ni dove per ogni molecola di NADH e FADH2

si generano, rispettivamente, tre e due mole-cole di ATP. Il bilancio energetico totale preve-de quindi che, per ogni molecola di acetil-CoAprodotta dalla b-ossidazione degli acidi grassi,si ottengano diciassette molecole di ATP.L’ALCAR è un estere a catena corta della car-nitina prodotto a partire dalla carnitina stessae dall’acetil-CoA, tramite l’azione dell’enzimacarnitina acetil-transferasi. L’ALCAR esplicamolte delle sue attività biologiche grazie aglieffetti metabolici delle sue componenti carni-tina e acetile: tra gli effetti metabolici della

carnitina va ricordato, come riferito, l’impor-tante ruolo che essa ricopre nella b-ossidazio-ne degli acidi grassi mentre, per quanto ri-guarda la componente acetilica, questa puòessere usata per il mantenimento dei livelli diacetil-CoA; in più, le proprietà acetilichedell’ALCAR possono essere usate per acetila-re i gruppi funzionali –NH2 e –OH negli ami-noacidi come lisina, serina, treonina, tirosinae gli aminoacidi N-terminali delle proteine,con la possibilità, quindi, di modificare la lorostruttura, funzionalità e turnover. ALCAR èanche in grado di comportarsi come chaperone interagire con grandi molecole come protei-ne e lipidi di membrana, provocando un cam-biamento conformazionale cui consegueun’alterazione della loro attività funzionale(Pettegrew et al., 2000).Le ipotesi a oggi più accreditate riguardo ilruolo protettivo dell’acetil-L-carnitina nei con-fronti delle cellule indotte in apoptosi sono quidi seguito riassunte.

1. L’acetil-L-carnitina come induttore dei

fattori di crescita

In letteratura è stata più volte descritta l’ele-vata attività antiapoptotica mostrata dai fatto-ri di crescita. L’acetil-L-carnitina si è dimo-strata essere una molecola in grado di modu-lare l’attività di diversi fattori di crescita tracui il fattore di crescita neuronale (NGF)(Taglialatela et al., 1994; Pettegrew et al., 2000;Pescosolido et al., 2008) e il fattore di crescitadegli epatociti (HGF) (Revoltella et al., 1994).In particolare, il meccanismo proposto per lamodulazione dell’attività dell’NGF, prevede lapossibilità che l’estere della carnitina acetiliuno o più aminoacidi del fattore di crescita(McDonald et al., 1991), legandosi all’NGFstesso, oppure incrementando la trascrizionedel gene grazie all’acetilazione di proteineistoniche associate al DNA (Pettegrew et al.,2000). Infatti, a seguito della somministrazio-ne di ALCAR, si ha una minore frammentazio-ne e condensazione del DNA genomico in cel-lule indotte in apoptosi per deprivazione dasiero (Galli, 1993). Vi è la possibilità che l’atti-vità modulatrice dell’ALCAR non sia dovuta a

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un’interazione diretta con l’NGF, bensì aun’interazione indiretta con il recettore delfattore di crescita. Infatti, Taglialatela e i suoicollaboratori hanno proposto che l’ALCAR sti-moli i recettori dell’NGF in colture di cellulePC12 sebbene non sia del tutto chiaro il mec-canismo d’azione di tale processo (Taglialatelaet al., 1992; 1995).

2. L’acetil-L-carnitina porta a un aumento

del metabolismo mitocondriale

L’ALCAR è una molecola endogena che inter-viene nel metabolismo mitocondriale; fornireALCAR come fattore esogeno equivale, quin-di, a un ulteriore apporto di elementi, quali car-nitina e gruppi acetile, che permettono un au-mento dell’efficienza metabolica del mitocon-drio (Pescosolido et al., 2008). La componentecarnitina dell’ALCAR influenza positivamentel’ossidazione che avviene nella matrice mito-condriale, in quanto la carnitina funge da mo-lecola trasportatrice fondamentale per il tra-sporto degli acidi grassi attivati all’interno delmitocondrio. Per quanto concerne la compo-nente acetilica, anch’essa influisce sul meta-bolismo mitocondriale: gli acetili sono, infatti,elementi che vengono coniugati al coenzima Aall’interno della matrice e nella forma di acetil-CoA entrano nel ciclo di Krebs con formazionedi CO2, ATP, NADH e FADH2. Questo si tradu-ce in un aumento del potere riducente a dispo-sizione del mitocondrio per la generazione delgradiente elettrochimico di ioni H+. Inoltre, ilNADH produce H2O durante la sua scissionein NAD+ reagendo con l’O2 e tamponando in talmodo i radicali liberi dell’ossigeno; mentrel’ATP, composto dall’elevato contenuto ener-getico, rifornisce di tale energia la cellula per lesue funzioni metaboliche.

3. L’acetil-L-carnitina mostra azione

protettiva sull’integrità di membrana

del mitocondrio

La somministrazione di ALCAR influisce inmodo positivo sulla composizione e sulla sta-bilità della membrana mitocondriale interna.Osservazioni a tale proposito sono state evi-denziate con esperimenti eseguiti su cervello

(Villa et al., 1988) e su cuore (Paradies et al.,1999) di ratto. Riguardo a quest’ultimo model-lo, è stato dimostrato che il trattamento conALCAR ristabilisce i livelli mitocondriali dicardiolipina in ratti adulti (che mostrano unariduzione di circa il 40% di tale fosfolipide) ri-spetto a ratti giovani (Paradies et al., 1999). Lacardiolipina è un “doppio” fosfolipide (conquattro code di acidi grassi) che costituiscecirca il 20% del tenore lipidico totale dellamembrana interna del mitocondrio. Si ritieneche la cardiolipina renda particolarmente im-permeabile la membrana agli ioni (Bishop etal., 1988) ed è stato inoltre dimostrato che taleelemento è essenziale per una corretta attivitàdella traslocasi del piruvato, enzima situatosulla membrana mitocondriale (Nalecz et al.,1991). Sulla base di quanto detto, il decremen-to di cardiolipina è, quindi, correlato alla dimi-nuzione del trasporto e ossidazione di piruva-to nel mitocondrio. È stato infatti dimostratoche l’ALCAR è in grado di ripristinare una cor-retta attività del trasportatore del piruvato,non per aumento del numero di molecole deltrasportatore, bensì grazie alla sua capacità diriportare il contenuto di cardiolipina membra-nario a livello basale. Il meccanismo a tutt’og-gi più accreditato per il ripristino del contenu-to di cardiolipina prevede che l’ALCAR influi-sca positivamente sull’attività della cardiolipi-na sintasi (Cao, 1995). In conclusione, l’au-mento dei livelli di piruvato, a seguito dell’in-tervento di ALCAR, porta a un incremento delmetabolismo mitocondriale.4. L’acetil-L-carnitina incrementa le interazio-ni proteiche tra la membrana cellulare e il ci-toscheletro. Butterfield e Rangachari (1993) hanno propo-sto un’ulteriore ipotesi sulla modalità di azio-ne dell’ALCAR. La loro ricerca ha portato allaformulazione dell’ipotesi secondo la qualeALCAR incrementerebbe le interazioni tra leproteine presenti nella membrana cellulare ele proteine del citoscheletro, conferendo in talmodo un’elevata stabilità alla membrana cel-lulare stessa. Questo incremento di stabilitànon si è dimostrato correlato a variazioni dellacomposizione lipidica di membrana; è stata,

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invece, osservata una alterazione della stabi-lità del bilayer imputabile a variazioni della di-namica membranaria in un modello di eritro-citi umani (Arduini et al., 1990).

A seguito di questi presupposti nel nostro la-boratorio di Biologia Cellulare e dello Sviluppopresso l’Università degli Studi di Roma“Sapienza” abbiamo utilizzato l’ALCAR per laprevenzione del danno neuronale e retinico daipertono sperimentale nel ratto.Si è dimostrata la morte cellulare per via apop-totica sia nelle cellule gangliari retiniche sianelle cellule astrocitarie del nervo ottico, evi-denziando un processo di morte per danno alivello mitocondriale (con formazione di laddera seguito dell’attivazione delle caspasi). È stata dimostrata la funzione dell’acetil-L-carnitina quale molecola capace di protegge-re le cellule dall’apoptosi indotta su occhi diratto grazie al nostro modello sperimentale. Lenostre conclusioni, riguardo al meccanismocon cui l’ALCAR potrebbe proteggere le cellu-le dall’apoptosi, ipotizzano che la maggiorestabilità di membrana, favorita dalla sommini-strazione di tale composto, sia conseguenza diun’acetilazione delle proteine della membrana

mitocondriale, come già suggerito in lavoriprecedenti (Pettegrew et al., 2000). L’aggiuntadi gruppi acetile alle proteine ne modifica at-tività e conformazione: secondo la nostra ipo-tesi, il processo di acetilazione avverrebbe suresidui di proteine implicate nella permeabi-lizzazione della membrana mitocondriale(MMP), processo cruciale dell’induzioneapoptotica; ad avvalorare questa ipotesi, visono alcune evidenze che indicano l’ALCARcome molecola in grado di acetilare proteinetransmembrana quali recettori e canali ionici(Pettegrew et al., 2000; Taglialatela, 1995). I nostri esperimenti sono stati condotti introdu-cendo l’acetil-L-carnitina in camera anteriore(0,6 mM) attraverso una tecnica invasiva chenon può essere usata nella pratica clinica. Ilpasso successivo sarà, dunque, quello di valuta-re se altre vie di somministrazione, come l’instil-lazione congiuntivale, permettono di ottenererisultati terapeutici altrettanto soddisfacenti.In conclusione, la riduzione della IOP non è ilsolo target da valutare e raggiungere nel trat-tamento del glaucoma ma bisogna considera-re anche l’uso di agenti neuroprotettivi e l’ace-til-L-carnitina può ritenersi utile a tale scopo. �

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