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Diritto Civile Contemporaneo Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-8537 www.dirittocivilecontemporaneo.com Anno V, numero I, gennaio/marzo 2018 IL PRINCIPIO CONSENSUALISTICO NELLA VENDITA E NELL’APPALTO: COORDINATE ESSENZIALI PER LO SVOLGIMENTO DI UNA TRACCIA Armando Plaia
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Feb 06, 2018

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Diritto Civile Contemporaneo

Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-8537

www.dirittocivilecontemporaneo.com

Anno V, numero I, gennaio/marzo 2018

IL PRINCIPIO CONSENSUALISTICO NELLA VENDITA E NELL’APPALTO: COORDINATE ESSENZIALI PER LO SVOLGIMENTO DI UNA TRACCIA

Armando Plaia

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Il principio consensualistico nella vendita e nell’appalto: coordinate

essenziali per lo svolgimento di una traccia

di Armando Plaia

Ne Il contratto di Vincenzo Roppo si dice che tutti i contratti producono effetti

obbligatori, mentre soltanto alcuni tra essi producono anche effetti reali. Discorso

più complesso – aggiunge il chiaro Autore – richiede l’appalto, “in relazione ai

diversi tempi e modi in cui il committente acquista la proprietà dell’opera” (ROPPO, 2011,

483): ci sono, cioè, ipotesi in cui il committente acquista a titolo derivativo la

proprietà dell’opera realizzata dall’appaltatore, e da quest’ultimo acquistata a titolo

originario. Roppo indica una sola vicenda, quella dell’appalto di mobili con

materiale dell’appaltatore, ma può aggiungersi un’ulteriore ipotesi di contratto di

appalto ad effetti reali, quella dell’appalto di costruzione di un immobile su fondo

dell’appaltatore.

Ma andiamo con ordine.

Cosa sia il principio consensualistico lo dice il Codice civile all’art. 1376 c.c.: il

trasferimento del diritto è un effetto automatico dello scambio del consenso. In

ragione di tale principio, nei contratti che trasferiscono un diritto reale o di credito

– ovviamente, non anche nei contratti che non trasferiscono un diritto ma creano

soltanto un rapporto obbligatorio (es. locazione, comodato) – il consenso è

traslativo, cioè l’effetto del trasferimento del diritto è correlato allo scambio del

consenso (c’è immedesimazione fra titolo e modo dell’acquisto).

Nella manualistica (PLAIA, in Manuale del diritto privato a cura di Mazzamuto, 2017,

797) e nella letteratura specialistica (D’AMICO, La vendita, 2013, 236) si insegna

che la riconducibilità dell’effetto all’atto negoziale esiste, e cioè non viene meno,

neanche quando l’effetto traslativo è differito nel tempo: anche in questo caso

cioé l’effetto è reale e non obbligatorio. Si è però sostenuto che il differimento

della produzione dell’effetto traslativo, ancorché non faccia venir meno la

connotazione reale dell’effetto, incida però sul meccanismo consensualistico: l’idea

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è cioè che il contratto ad effetti reali differiti non obbedisca al principio

consensualistico, almeno nel senso che il trasferimento del diritto non sarebbe

conseguenza immediata e automatica dello scambio del consenso. La produzione

dell’effetto reale – secondo questa dottrina – sarebbe infatti mediata da

un’obbligazione strumentale di creare o non ostacolare le condizioni di

produzione dell’effetto reale (ROPPO, Il contratto, 2011, 487, ma vedi

FERRANTE, Consensualismo e trascrizione, 2008, 76).

Gli esempi di vendita ad effetti reali differiti sono noti.

Si pensi ad esempio alla “vendita con riserva di proprietà”, in cui il trasferimento

del diritto non è contestuale alla conclusione del contratto, ma è differito al

pagamento dell’ultima rata (art. 1523 c.c.). Stesso discorso può farsi – ma il punto

è controverso – per la “vendita di cosa generica”, in cui il trasferimento del diritto

è si differito – al momento della “individuazione” – ma rimane comunque

“collegato” alla fattispecie contrattuale, e ciò perché la dottrina (ma vedi

l’opinione contraria di TORRENTE, SCHLESINGER, 2017, 743 e CALVO, La

vendita, 2016, 54) nega che l’individuazione sia un atto negoziale: l’effetto è reale,

perché il trasferimento del diritto è collegato all’unico negozio confezionato dalle

parti, non potendosi considerare quello della “individuazione” come un (secondo)

atto (avente natura negoziale) cui sarebbe riconducibile il trasferimento del diritto.

Tra le ipotesi di vendita c.d. ad effetti obbligatori o reali differiti si considera,

tradizionalmente, anche la vendita di cosa futura, una vicenda contrattuale sovente

oggetto di considerazione giurisprudenziale proprio per la somiglianza con

l’appalto. Come dimostra la vicenda sottesa ad una nota decisione delle Sezioni

Unite del 2008, le due figure contrattuali sono talora convergenti e

sostanzialmente sovrapponibili, e soltanto un’indagine sull’intento perseguito dalle

parti può orientare la qualificazione del contratto (es. vendita di cosa futura,

oppure negozio misto e cioè vendita immediata del fondo correlata ad un

appalto).

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Fatta questa premessa, occorre tornare al problema degli effetti del contratto di

appalto.

Secondo la risalente tesi di Domenico Rubino (RUBINO, L’appalto, 3° ed., 1958,

533 e 537; RUBINO-IUDICA, 1992, 339), il contratto di appalto può avere effetti

reali: l’accettazione, cioè, assume rilevanza ai fini dell’acquisto “a titolo derivativo”

della proprietà dell’opera da parte del committente, negli appalti aventi ad oggetto

la costruzione di beni immobili su suolo di proprietà dell’appaltatore o la

realizzazione di beni mobili con materiali in tutto o per la maggior parte

dell’appaltatore (Cass. 1 giugno 1974 n. 1569, Foro Pad., 1974, I, 387 che esclude la

sussistenza di una vendita con riserva di proprietà e ritiene la sussistenza di un

contratto di appalto, con riferimento alla costruzione di una edicola accettata e,

dunque, ormai divenuta di proprietà del committente, ancorchè il corrispettivo

non sia stato pagato; Cass. 21 giugno 1974 n. 1823, Giur. It., 1975, I, 678 che

accoglie esplicitamente la tesi della “più moderna e accreditata dottrina”

sull’appalto mobiliare con materia fornita dall’appaltatore – tesi sostenuta

dalla curatela della società appaltatrice – e respinge il ricorso di un condominio

committente di una fornitura di serramenti, che invece riteneva l’acquisto della

proprietà già al momento della venuta ad esistenza e non invece al momento

dell’accettazione dell’opera).

In entrambi i casi, afferma il Rubino, l’opera viene, in prima battuta, acquistata a

titolo originario dall’appaltatore, per poi essere trasferita “a titolo derivativo” al

committente: in virtù dell’art. 1350 c.c., allora, il contratto di appalto di

costruzione sull’immobile dell’appaltatore deve essere stipulato in forma scritta

(ma la tesi dell’efficacia reale inciderebbe anche sull’ambito applicativo della nuova

disciplina sugli immobili da costruire: così LUMINOSO, Codice dell’appalto privato,

2010, 544). L’idea che il contratto di appalto possa talora produrre effetti reali non

è condivisa da alcuni autori, i quali obiettano che anche in queste ipotesi l’effetto

traslativo non verrebbe prodotto dal contratto di appalto (titulus), ma dal

successivo negozio di accettazione, che in sostanza costituirebbe il modus adquirendi

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(CAGNASSO, Contratto di appalto e trasferimento della proprietà, Diritto privato, 1995,

48, CARBONARO, Vita not., 2002, 1045).

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Questa Nota può essere così citata:

A. PLAIA, I l pr inc ip io consensua l i s t i co ne l la vend i ta e ne l l ’appa l to : coord inate

e s s enzia l i per lo svo lg imento d i una t rac c ia , in Dir. c iv . cont ., 25 gennaio 2018