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 POSITION PAPER RIFORME ISTITUZIONALI MARZO 2014
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CONFINDUSTRIA Riforme Istituzionali Position Paper

Nov 02, 2015

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ivanpaolo

Proposte confindustria per riformare la Costituzione
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  • POSITION PAPER

    RIFORME ISTITUZIONALI

    MARZO 2014

  • POSITION PAPER

    RIFORME ISTITUZIONALI

    MARZO 2014

  • INDICE

    PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5

    BICAMERALISMO E PROCEDIMENTO LEGISLATIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

    RIPARTO DI COMPETENZE LEGISLATIVE (TITOLO V) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

    FUNZIONI AMMINISTRATIVE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

    AUTONOMIA FINANZIARIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

    ADDENDUM - LA BOZZA DI DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE DEL GOVERNO RENZI . . . . . . . . 25

    Position Paper RIFORME ISTITUZIONALI

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  • 1. PREMESSA

    L a riforma della nostra architettura istituzionale rappresenta un passaggio ineludibile per assicurarela tenuta del tessuto connettivo del Paese, fiaccato, da ultimo, dalla lunga e profonda recessioneeconomica. Le riforme istituzionali rappresentano il primo banco di prova di quello spirito costituente e di rinascitache Confindustria invoca da tempo e sul quale si gioca il futuro dellintera Nazione.

    Nel solco di una tradizione che lha vista attrice leale e responsabile dei processi di sviluppo economicoe sociale, Confindustria vuole ancora una volta essere parte propositiva allappuntamento storico delleriforme istituzionali.

    Il presente position paper parte dallassunto che il modello costituzionale attuale vada salvaguardatonei suoi fondamenti di principio e nei suoi valori ispiratori. In particolare, sotto il profilo organizzativo,consideriamo valori immodificabili la dignit costituzionale assunta dalle autonomie e lidea di un go-verno multilivello.

    Tuttavia, la declinazione concreta di questo modello ha rivelato nel tempo criticit e sofferenze che neminano la funzionalit. Si tratta di fattori inaccettabili per una democrazia moderna, che vuole essereprotagonista nel mondo globale.

    Il documento intende proporre, dunque, le correzioni di rotta che lesperienza di questi anni suggeriscecome necessarie e indifferibili, sul presupposto che un sistema istituzionale e amministrativo efficiente la condizione essenziale per ottimizzare il quadro regolamentare e migliorare i rapporti tra PubblicheAmministrazioni e imprese.

    A) OBIETTIVIA giudizio di Confindustria, la riforma dellarchitettura istituzionale deve consentire di superare i limitidellattuale sistema, col risultato di: i) razionalizzare, velocizzare e semplificare il processolegislativo; ii) ridurre i centri di decisione politico-amministrativa e renderne pi effi-ciente lazione; iii) migliorare la qualit delle regole.

    Peraltro, lefficientamento del sistema istituzionale e al procedimento legislativo deve tener conto del-lesigenza di assicurare un adeguato livello di democraticit del circuito decisionale e di tutelare leprerogative costituzionali delle autonomie.

    Con questa consapevolezza, occorre per mutare la prospettiva di principio.

    La priorit garantire il risultato, ossia un sistema capace di generare decisioni virtuose, rapide,certe e stabili.

    PREMESSA

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  • B) STRUMENTIPer assicurare il raggiungimento di questi obiettivi opportuno, per un verso, rivedere lassetto par-lamentare e il procedimento legislativo e, per altro verso, razionalizzare il riparto di compe-tenze legislative di Stato e Regioni.

    Sotto il primo profilo, lattuale disciplina reca con s i limiti storici di un impianto defatigante, che sipreoccupa pi della forma che della sostanza, ossia della necessit di determinare in modo efficienteed efficace la decisione legislativa (v., infra, paragrafo 2).

    Il sistema di riparto di competenze legislative , invece, frutto di un disegno pi recente, sorto in unclima contingente di sfiducia per lo Stato centrale, che ha condotto a una riorganizzazione intrinseca-mente contraddittoria e conflittuale (v., infra, paragrafo 3).

    Il disordine istituzionale rischia di compromettere diritti fondamentali dei cittadini e frenare le poten-zialit di settori strategici per lo sviluppo economico.

    C) AMBITI COMPLEMENTARI DI RIFORMAIn questo disegno riformatore necessario tener conto di due ambiti correlati, che incidono profonda-mente sulla vita delle imprese.

    Da un lato, non basta intervenire sulla potest legislativa e sui suoi procedimenti se lattuazione ammi-nistrativa essa stessa inefficace. Occorre, dunque, rendere pi razionale ed efficiente lallocazionedelle funzioni amministrative, dalle cui disfunzioni sorgono ostacoli al pieno e spedito eserciziodelle attivit imprenditoriali (v., infra, paragrafo 4).

    Dallaltro, va recuperata la salubrit finanziaria delle pubbliche amministrazioni e, in partico-lare, di Regioni ed Enti locali. Ci deve avvenire attraverso un meccanismo che, senza sacrificare lau-tonomia costituzionalmente garantita, fornisca strumenti efficaci e tempestivi di controllo e, a valle,preveda sanzioni adeguate. Cos da tenere costantemente in ordine il complessivo sistema della finanzapubblica (v., infra, paragrafo 5).

    D) CERTEZZA E CELERIT DELLE RIFORMEIl processo di riforma della nostra architettura istituzionale deve seguire un iter rapido.

    Infatti, il Paese ha bisogno di liberarsi da contraddizioni e inefficienze antiche e recenti, da radicatee ostruzionistiche pastoie istituzionali. L, per riprendere le parole del Presidente della Repubblica, ri-siede una significativa concausa della stagnazione, della perdita di capacit di crescere e di competeredella nostra economia.

    Non se ne pu pi discutere a vuoto. Non ci si pu pi girare attorno.

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  • 2. BICAMERALISMO E PROCEDIMENTO LEGISLATIVO

    I l bicameralismo rappresenta un modello di organizzazione dellistituzione parlamentare molto diffusonellesperienza costituzionale. La forma bicamerale ancora la pi utilizzata nei Paesi industrializ-zati, al punto che la maggioranza della popolazione mondiale e la quota economicamente pi avan-zata vive in democrazie bicamerali.

    Al bicameralismo, nelle sue diverse manifestazioni, vengono normalmente associati alcuni effetti po-sitivi, tra cui il rafforzamento del controllo parlamentare contro eventuali degenerazioni autoritariedel Governo.

    Viceversa, gli effetti negativi sono legati alla complicazione del processo legislativo, con il rischiodi rallentamento e stallo del sistema. Tutto ci si traduce, peraltro, in una scarsa qualit della regola-mentazione.

    Rispetto ai modelli bicamerali tradizionali, quello italiano di bicameralismo perfetto presenta ca-ratteristiche tali da esasperarne i difetti.

    Infatti, il nostro Parlamento composto da due Camere, espressione dellelettorato e dotate degli stessipoteri in posizione di assoluta parit. In particolare, il rapporto fiduciario e la funzione legislativa sonoattribuite paritariamente e simmetricamente a entrambe.

    BICAMERALISMO E PROCEDIMENTO LEGISLATIVO

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    Lunghi i tempi di approvazione delle leggi con il bicameralismo perfetto

    LItalia lunico Paese al mondo che ha adottato un sistema di bicameralismo perfetto. Quasitutti gli altri Paesi distinguono compiti e definiscono regole di preminenza tra le due Camere nel-lapprovazione delle leggi. Nel mondo, 114 Paesi hanno un sistema parlamentare monocameralee 79 un sistema bicamerale. In generale, hanno un sistema monocamerale i Paesi piccoli, le excolonie, gli ex Paesi comunisti. Tra i Paesi con sistema bicamerale che hanno contemporanea-mente pi di 500 rappresentanti nella Camera bassa e pi di 200 nella Camera alta figuranoEgitto, India, Francia, Italia e Regno Unito.

    Dallanomalia del sistema italiano deriva la maggiore complessit del relativo processo decisio-nale. Pur in assenza di una banca dati sui tempi di approvazione delle leggi nei diversi Paesi,pu dirsi che i tempi in Italia sono particolarmente lunghi. Infatti, il modello italiano prevede, tralaltro, che un provvedimento venga approvato dopo almeno due letture ma, nella maggior partedei casi, ne occorrono ulteriori.

    In media, la tempistica per lapprovazione di una legge stata la seguente: 193 giorni nella XVIlegislatura; 127 giorni nella XV; 232 nella XIV; 321 nella XIII. Le leggi promosse dal Governo ri-chiedono tempi pi brevi rispetto a quelle di iniziativa popolare, parlamentare e regionale: nella

  • XVI legislatura, per diventare legge le prime hanno impiegato, in media, 116 giorni, mentrequelle di iniziativa parlamentare un tempo di quasi quattro volte superiore (vedi Tabella A).

    TABELLA A

    LUNGHI I TEMPI DI APPROVAZIONE DELLE LEGGI(Giorni, in media, richiesti per l'approvazione delle leggi e leggi approvate)

    XVI Legislatura XV Legislatura XIV Legislatura XIII Legislatura

    Iniziativa Leggi approvate Giorni Leggi approvate Giorni Leggi approvate Giorni Leggi approvate Giorni

    Parlamentare 91 442 13 183 147 505 201 494Governativa 298 116 99 120 539 158 704 271Regionale 2 400Popolare 1 709Totale 391 193 112 127 686 232 906 321

    Fonte: elaborazioni CSC su dati Senato della Repubblica.

    Nella XVI legislatura, su 391 leggi approvate, 301 hanno richiesto due sole letture e le altre 90sono state approvate dopo 3, 4 o pi letture (Tabella B). Se dalle 391 leggi approvate si esclu-dono le leggi di ratifica di trattati internazionali (che generalmente richiedono tempi pi brevi) ele leggi costituzionali (che prevedono costituzionalmente 4 letture), il 69,4% delle leggi ha avutobisogno di due sole letture, mentre il restante 30,6% di un numero maggiore di passaggi. 10leggi su 245 hanno richiesto quattro o pi letture.

    TABELLA B

    IL BICAMERALISMO PERFETTO RICHIEDE PI PASSAGGI PARLAMENTARI(Numero complessivo di letture nella XVI legislatura)

    DDL divenuti di cui: DDL di cui: DDL di cui: DDL divenuti legge esclusilegge di ratifica Costituzionali decreti-legge DDL Costituzionali

    e di ratifica

    (Numero) (In % del totale)

    Con pi di 4 letture 3 1 2 0,8Con 4 letture 12 4 8 3,3Con 3 letture 75 10 24 65 26,5Con 2 letture 301 131 82 170 69,4Totale 391 142 4 106 245 100,0

    Fonte: elaborazioni CSC su dati Senato della Repubblica

    I passaggi parlamentari successivi ai primi due necessari sono tuttaltro che brevi (Tabella C).Molto spesso, quando si riscontra una particolare difficolt a definire un testo condiviso, le ultime

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  • letture prima dellapprovazione si protraggono per un tempo superiore rispetto a quelle prece-denti. Nella XVI legislatura, con esclusivo riferimento alle leggi di iniziativa governativa (esclusii DDL costituzionali, quelli di bilancio e i collegati, che hanno tempi e procedure particolari),quelle ordinarie hanno richiesto fino a 7 letture e la sola sesta lettura ha richiesto, in media, 107giorni. Per ciascuna lettura riguardante una legge ordinaria, sono stati necessari, in media, oltre60 giorni, mentre nel caso della conversione di un decreto legge, che obbliga il Parlamento atempi pi brevi, si registrata una media di 11 giorni.

    TABELLA C

    I PASSAGGI PARLAMENTARI ALLUNGANO I TEMPI DELLE DECISIONI LEGISLATIVE(Giorni, in media, richiesti per i passaggi parlamentari tra le Camere dei disegni di legge di

    iniziativa governativa divenuti legge)XIV Legislatura XV Legislatura XVI Legislatura

    Natura Ordinaria Conversione DL Ordinaria Conversione DL Ordinaria Conversione DL1 lettura Camera 112 20 86 15 53 221 lettura Senato 78 22 67 18 98 202 lettura Camera 66 9 36 14 57 102 lettura Senato 67 9 38 6 52 83 lettura Camera 42 5 9 8 35 33 lettura Senato 31 2 34 3 41 24 lettura Camera 71 4 1274 lettura Senato 101 1 1315 lettura Camera 37 1 205 lettura Senato 1 16 lettura Senato 1077 lettura Camera 15

    Fonte: elaborazioni CSC su dati Senato della Repubblica.

    BICAMERALISMO E PROCEDIMENTO LEGISLATIVO

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    Per superare le criticit sopra evidenziate, prevalsa nel dibattito odierno lidea di introdurre unaforma di bicameralismo differenziato, che attribuisca:a) al Senato della Repubblica la rappresentanza delle autonomie territoriali; b) alla Camera dei Deputati il rapporto fiduciario (accordare o revocare la fiducia al Governo) e lin-

    dirizzo politico.

    Questo nuovo riparto di competenze tra i due rami del Parlamento garantirebbe unadeguata sede diraccordo e leale collaborazione tra Stato e autonomie territoriali, contribuendo a superare la farragi-nosit dei processi decisionali.

  • POSIZIONE DI CONFINDUSTRIA

    A) Superamento del bicameralismo perfettoIl superamento del bicameralismo perfetto la pre-condizione per velocizzare il processo le-gislativo e migliorare la qualit della regolamentazione.

    Come dimostrato dallesperienza di altri ordinamenti, la presenza di una differenziazione di poteri ecompiti tra i due rami del Parlamento rappresenta un elemento fisiologico per gli Stati federali o forte-mente decentrati. Il nostro Paese rientra in questultima categoria, specie a seguito degli interventi nor-mativi adottati nellultimo ventennio (riforma del Titolo V della Costituzione, legge sui princpifondamentali concernenti il sistema di elezione degli organi regionali, legge sullordinamento degliEnti locali, leggi Bassanini, ecc.).

    Pertanto, non sussistono pi ragioni, anche sul piano istituzionale, per mantenere in vita un sistema abicameralismo perfetto.

    Lopzione pi coerente con lobiettivo di superare lattuale assetto rappresentata da un Senatoespressione delle autonomie territoriali.

    In questo modo si coinvolgerebbero le Regioni nel procedimento legislativo nazionale, attenuando laconflittualit derivante dellattuale ripartizione della potest legislativa. Tale intervento dovrebbe af-fiancarsi alla revisione del Titolo V e allintroduzione di una clausola di chiusura basata sullinteressenazionale (v., infra, paragrafo 3).

    Peraltro, la presenza di un Senato delle autonomie consentirebbe di avere a livello centrale unade-guata rappresentazione degli interessi regionali e locali. Si tratta di un fattore decisivo per le imprese,per le quali prioritario disporre di un quadro normativo omogeneo su tutto il territorio.

    In questo nuovo contesto istituzionale, il bicameralismo tradizionale andrebbe limitato alle leggi costi-tuzionali e a quelle che riguardano lordinamento e le funzioni di Regioni e autonomie locali e i rapportitra queste e lo Stato (perequazione delle risorse finanziarie, funzioni fondamentali, livello essenzialedei diritti e delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, ecc.).

    Per tutte le altre leggi, la Camera dovrebbe avere la potest di legiferare e il Senato la funzione picircoscritta di monitoraggio e controllo.

    Il nuovo assetto giustificherebbe lattribuzione al Senato del potere di richiamo motivato, ossiala potest di intervenire nel merito dei disegni di legge allesame della Camera.

    Il potere di richiamo dovrebbe per essere configurato come una misura di temperamento e non comeun espediente per ripristinare in modo surrettizio il bicameralismo perfetto, con tutte le sue storture. Inogni caso, lultima parola dovrebbe spettare alla Camera, entro termini certi e perentori.

    Proprio per evitare il rischio di un ritorno per vie traverse al bicameralismo perfetto, il quorum previstoda alcune recenti proposte per consentire lattivazione del richiamo da parte del Senato (2/5dei senatori appartenenti ad almeno 4 Regioni, ovvero 1/3 dei senatori nel recente schema di DDLgovernativo), risulta troppo basso e rischia di trasformare questo strumento in un fattore di sistematicorallentamento, se non addirittura di veto rispetto alle scelte legislative della Camera.

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  • Infine, il Senato andrebbe coinvolto allorch lo Stato intenda avvalersi della clausola dellinte-resse nazionale, per avocare a s lesercizio della funzione legislativa. Clausola che dovr rappre-sentare uno dei tratti qualificanti della riforma del Titolo V della Costituzione (v. infra par. 3).

    B) Semplificazione del procedimento legislativo e qualit della regoleLaltro fronte su cui necessario intervenire il flusso della legislazione, che si molto intensificatonellultimo decennio. Esso rappresenta una dinamica innaturale per una democrazia moderna.

    Bisogna arginare, anzitutto, il fenomeno dellabuso dei decreti-legge, che rappresenta oggi la ri-sposta impropria alla farraginosit del procedimento legislativo ordinario.

    Al riguardo, andrebbe integrata lattuale previsione costituzionale per introdurre un argine, che limitiin modo pi puntuale ladozione dei decreti leggi a casi di effettiva necessit e urgenza.

    Occorre poi contenere la proliferazione di emendamenti estranei alloggetto e alla finalit dei singoliprovvedimenti.

    In proposito, il necessario corollario del processo di riforma costituzionale la modifica dei rego-lamenti parlamentari. Alcuni accorgimenti procedurali potrebbero essere i seguenti: lintroduzionedi un rigoroso contingentamento dei tempi; lindicazione da inserire o rafforzare del numero massimodi emendamenti ammessi al voto; la riduzione massiccia degli emendamenti da votare sui disegni dilegge di bilancio e di delegazione europea; il divieto di maxi-emendamenti in Commissione e in Aula;la previsione di adeguate limitazioni per gli emendamenti fuori sacco. A questultimo riguardo, sidovrebbero disciplinare, anche con lausilio di apposite linee guida, i casi di ammissibilit e proponi-bilit degli emendamenti (es., coerenza con loggetto del disegno di legge, previsione della coperturafinanziaria), affiancandovi un rigoroso vaglio da parte degli organi parlamentari, ancorato a criterioggettivi e predeterminati.

    A fronte di queste modifiche procedurali, sarebbe inoltre necessario attribuire al Presidente del Consi-glio la facolt di richiedere lesame, in via prioritaria, dei disegni di legge direttamente connessiallattuazione del programma di Governo.

    Il riordino del procedimento legislativo, anche alla luce delleliminazione del bicameralismo perfetto edelle sue vie di fuga, contribuirebbe a riportare il quadro istituzionale alla normalit. Laddove per nor-malit si intende il ritorno a una piena legittimazione e responsabilit del Governo e del Presidentedel Consiglio nellattuazione delle politiche pubbliche e, pi in generale, il ritorno a una demarcazionepi equilibrata dei poteri e delle prerogative istituzionali.

    Al di l delle procedure, la qualit della legislazione dipende sia dal rilancio di tecniche legislativegi previste nellordinamento, ma fino ad oggi rimaste sulla carta, sia dal nuovo ruolo del Senato.

    Sul primo versante, la regolazione dovrebbe essere preceduta da una analisi attenta dei suoi possibilieffetti e, dunque, della sua opportunit. Ogni legge ha un costo per i destinatari e questo costo mi-surabile. Prima di adottare un provvedimento, servono valutazioni che ne misurino limpatto, perchuna norma di legge inutile, finanche dannosa, se i benefici che produce sono inferiori ai costi della

    BICAMERALISMO E PROCEDIMENTO LEGISLATIVO

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  • sua applicazione.

    In questa ottica, andrebbe costituzionalizzato il divieto di gold plating, superando cos la prassi,tutta italiana, di aggiungere disposizioni e oneri ulteriori e spesso inutili in occasione del recepimentodel diritto europeo.

    Inoltre, le riforme istituzionali dovrebbero essere loccasione per conferire finalmente una dignit su-periore al diritto codificato. In particolare, sarebbe opportuno prevedere che i codici di settore (es.,ambiente, beni culturali, contratti pubblici) possano essere modificati soltanto a opera di interventi le-gislativi organici e non anche mediante singoli provvedimenti slegati tra loro, che stravolgono le nor-mative di settore e finiscono per rendere illeggibili e poco funzionali discipline cruciali per lattivitdimpresa. Si scongiurerebbe cos la sistematica integrazione e modificazione dei codici da partedella legislazione ordinaria.

    Sul secondo versante, il nuovo Senato dovrebbe diventare un organo chiave per deflazionare lacontrapposizione tra Stato e Regioni e vigilare sulla qualit della legislazione.

    In particolare, il Senato dovrebbe essere organo trainante per la manutenzione delle leggi, monitorandole politiche pubbliche ed elaborando proposte di semplificazione e leggi-delega per la formazione ditesti unici, visto lormai consueto intreccio di norme di fonte europea, statale e regionale.

    Infine, nella nuova configurazione, il Senato dovrebbe porre tra le sue priorit istituzionali quella difavorire lomogeneit delle discipline di settore. Si pensi alla materia fiscale, dove fino a oggi il molti-plicarsi delle imposte locali ha portato, tra gli altri effetti, al proliferare di regole applicative diversetra singoli Comuni o Regioni (date di scadenza, numero di rate, modelli di pagamento, ecc.), con lef-fetto di aggravare la complessit del sistema fiscale, piuttosto che di ridimensionarlo e semplificarlo.

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  • RIPARTO DI COMPETENZE LEGISLATIVE (TITOLO V)

    Position Paper RIFORME ISTITUZIONALI

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    3. RIPARTO DI COMPETENZE LEGISLATIVE (TITOLO V)

    Iproblemi principali posti dallattuazione del Titolo V della Costituzione sono costituiti dallincertoriparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni e dal mancato raccordo trafunzioni legislative e amministrative.La concreta applicazione della riforma del Titolo V approvata nel 2001 ha messo in luce la necessitdi riportare alla competenza del legislatore statale materie originariamente attribuite alla legislazioneconcorrente, per le quali emerge invece lesigenza di una disciplina e di una gestione uniforme a livellonazionale.

    Tra queste, si registra un consenso pressoch unanime su: grandi reti di trasporto e di navigazione;produzione, trasporto e distribuzione nazionale dellenergia; ordinamento della Comunicazione;programmazione della strategia nazionale del turismo.

    Per quanto riguarda le restanti materie, si riscontrano posizioni differenti in ordine al mantenimentodella competenza concorrente: per alcuni dovrebbe essere superata in radice, per altri invece andrebbesemplicemente circoscritta a particolari materie che sembrano richiedere un ineludibile intervento didettaglio del legislatore regionale (ad esempio, la materia governo del territorio).

    Riforma confusa, impennata del contenzioso costituzionale

    Lincerto riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni realizzato dalla riforma del 2001ha innalzato la conflittualit istituzionale, come dimostra il numero dei giudizi di legittimit pro-mossi presso la Corte Costituzionale dal 2001. Leffetto lincertezza del quadro normativo percittadini e imprese, in quanto le leggi statali e regionali, in caso di ricorso, possono rimanere so-spese anche per molto tempo.

    Un indicatore del contenzioso esistente rappresentato dai giudizi di legittimit sollevati, in viaprincipale, da Stato e Regioni/Province autonome di Trento e Bolzano avverso le leggi, rispetti-vamente, della Regione e dello Stato (o di altra Regione). Il numero di tali giudizi cresciuto si-stematicamente, e in misura notevole rispetto al passato, tra il 2000 e il 2005. Nel periodo2006-2008 si registrata unattenuazione del contenzioso - rimasto comunque a livelli superioria quelli pre-riforma - che poi riesploso dal 2009, raggiungendo nel 2012 (ultimo anno per cuisono disponibili i dati) il livello pi elevato dal 2000.

    Ne derivato, tra il 2000 e il 2012, uno spostamento dellattivit della Corte verso i conflitti traStato e Regioni che, nel 2012, sono diventati prevalenti (47,46% delle decisioni prese dallaCorte) rispetto ai giudizi in via incidentale (pari al 44,62% delle decisioni prese).

  • Negli anni successivi alla modifica del Titolo V, laccentuata conflittualit derivata, in particolare,da incertezze interpretative e mancanza di uno sviluppo effettivo, coerente e sistematico della ri-forma.

    Dal 2009, il contenzioso tra lo Stato e le Regioni ha subito unimpennata a causa dei contrastisulle misure di austerit adottate dal Governo che, infatti, dal 2010 ha assunto pi spesso il ruolodi ricorrente, in controtendenza rispetto al passato. La maggior parte del contenzioso stata pro-posta per violazione dei principi in materia di coordinamento della finanza pubblica e, pi ingenerale, delle norme di carattere finanziario e tributario. Ci anche in conseguenza di specifichesituazioni di disavanzo nel settore sanitario, che hanno spinto le otto regioni interessate a violarealcuni vincoli previsti dai piani di rientro. Tra le altre questioni di legittimit costituzionale avan-zate, si registrano quelle in materia di: tutela dellambiente, dellecosistema e dei beni culturali;contrasto con i principi comunitari e statali; tutela della concorrenza.

    Ci dimostra che non stato sufficiente limpegno profuso, soprattutto dallo Stato, nel tentativodi raffreddare la conflittualit. In particolare, il Dipartimento per gli affari regionali preposto al-lesame di legittimit costituzionale della legislazione regionale, svolge da anni unintensa attivitdi mediazione che ha prodotto importanti risultati. Infatti, nei giudizi in via principale dal 2006al 2011, la media delle ordinanze dichiarative della cessazione della materia del contendere odellestinzione del processo stata di circa il 20% del totale delle sentenze e delle ordinanzeemesse dalla Corte nei giudizi in via principale.

    COMPETENZE POCO CHIARE, CONFLITTUALIT ALLE STELLE(Giudizi di legittimit in via principale in % del totale dei giudizi della Corte Costituzionale)

    Fonte: elaborazioni CSC su dati Corte Costituzionale.

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    0 5

    10 15 20 25 30 35 40 45 50

    2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

  • POSIZIONE DI CONFINDUSTRIA

    Lattuale configurazione del Titolo V, oltre a determinare un elevato contenzioso costituzionale, contri-buisce a rendere incerto il quadro normativo in cui operano le imprese e paralizza il cammino delleriforme necessarie per ammodernare il Paese.

    Essa il sintomo di un sistema irrazionale basato su confini incerti, entro il quale hanno proliferatocomportamenti rivendicativi volti spesso a conservare, in modo aprioristico, fette di potest, piuttostoche contribuire alla definizione di efficaci politiche multilivello.

    Ma soprattutto, il sistema ha sofferto lassenza di principi di chiusura volti a rendere pi flessibile il ri-parto di competenze legislative in nome dellinteresse nazionale. Infatti, la riforma del Titolo V del2001 ha espunto qualsiasi riferimento a tale principio, creando una conflittualit di difficile composi-zione tra Stato e Regioni.

    Inoltre, in alcune materie strategiche, come ad esempio le infrastrutture e il turismo, lassenza di unaclausola di salvaguardia a tutela dellinteresse nazionale ha determinato una frammentazione dannosadelle politiche pubbliche, a scapito di una visione di ampio respiro.

    Per superare queste criticit necessaria una riscrittura dellart. 117 della Costituzione, nel rispetto dialcuni criteri:a) Ampliare il novero delle materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato,

    ricomprendendovi: i procedimenti amministrativi; i livelli minimi di semplificazione; il lavoro pub-blico; i principi generali dellordinamento degli Enti locali; i porti e gli aeroporti; le infrastrutture; lecomunicazioni e lenergia; la salute e sicurezza sul lavoro; la programmazione della strategia na-zionale del turismo. Materie, queste, che richiedono una regolazione unitaria e una visione ampia,piuttosto che posizioni atomistiche. Lampliamento dei mercati e la concorrenza su scala globaleimpongono standard uniformi, anche di tipo regolamentare, per attrarre investimenti e consentirealle imprese italiane di essere pi competitive nel confronto internazionale.

    b) Mantenere una competenza concorrente tra Stato e Regioni su un numero circoscritto di ma-terie, rendendo pi incisivo il ruolo delle c.d. leggi-cornice, con cui vengono definiti i principi fonda-mentali entro cui deve muoversi la legislazione regionale. Ci sono materie che si prestano a unaregolazione concorrente delle Regioni (si pensi al governo del territorio e alla valorizzazione dei beniculturali e ambientali). In questi casi, tuttavia, considerata lesigenza di un minimo di unitariet nelladisciplina di materie cruciali per la vita di cittadini e imprese, le prerogative regionali dovrebbero es-sere bilanciate dalla previsione di principi certi e stabili a livello statale. Dovrebbe cio essere chiaroche spetta allo Stato disciplinare i profili funzionali allunit giuridica ed economica della Repubblica,stabilendo un termine per ladeguamento della legislazione regionale, nonch stringenti meccanismidi verifica della coerenza di questultima rispetto alla legge statale. Tale controllo, nellambito dellanuova architettura costituzionale, potrebbe essere attribuito al Senato delle autonomie.

    c) Reintrodurre il principio dellinteresse nazionale, che consenta lintervento trasversaledello Stato, a tutela di interessi unitari rilevanti su scala nazionale, nelle materie di competenzaconcorrente ed esclusiva delle Regioni. In sostanza, il criterio di ripartizione delle competenze legi-

    RIPARTO DI COMPETENZE LEGISLATIVE (TITOLO V)

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  • slative tra Stato e Regioni dovrebbe essere considerato flessibile e indicativo dei possibili settori diintervento delle Regioni, la cui concreta operativit andrebbe stabilita sulla base della dimensione- nazionale o territoriale - dellinteresse sotteso. Peraltro, la reintroduzione di questo principio assu-merebbe un significato diverso rispetto al passato, in quanto la presenza di un Senato delle auto-nomie potr favorire una maggiore cooperazione nella distribuzione effettiva, oltrech nellesercizio,delle attribuzioni legislative.

    d) Valorizzare la componente virtuosa del principio di leale collaborazione, per ri-solvere i problemi di interferenza, frizione e coordinamento tra i vari livelli di governo. Tale principionon deve essere, come spesso accaduto in passato, un grimaldello per opporre veti allefficacedispiegamento di decisioni importanti per linteresse nazionale. Il ricorso al giudice costituzionaledovrebbe rappresentare lextrema ratio, cio essere limitato solo ai casi di effettive situazioni distallo tra enti, non altrimenti componibili. Su questi aspetti, peraltro, pi che un mutamento giuridicodellesistente, sarebbe necessario un approccio culturale pi collaborativo e una visione istituzio-nale dei problemi del Paese.

    e) Favorire una migliore governance della politica industriale, attraverso due percorsi pa-ralleli. Da un lato, necessaria una delimitazione precisa e funzionale delle competenze legislativesu materie che rappresentano il cuore delle politiche industriali (governo del territorio, infrastrutture,ricerca scientifica, ecc.). Dallaltro, occorre che il concreto riparto di competenze avvenga in mododa garantire allo Stato una cabina di regia e una strategia unitaria per il Paese sui fattori determi-nanti per lo sviluppo industriale, tra cui va annoverato anche il commercio con lestero, inclusi glistrumenti per la promozione e lo sviluppo degli scambi, leve essenziali per la valorizzazione delMade in Italy. In questo contesto, si ritiene che la regolamentazione delle fiere internazionali debba essere definitanel contesto di una cabina di regia che detti linee unitarie di comportamento per unefficace politicadi commercio estero.Sempre a proposito della politica industriale, lesperienza insegna che la rigida ripartizione dellematerie di regolazione non tiene conto di tutti quei casi in cui lintervento legislativo statale, benchincidente su ambiti di interesse regionale, risulti necessario per esprimere policy unitarie. fonda-mentale, quindi, restituire allo Stato la competenza ad adottare provvedimenti normativi in gradodi realizzare gli obiettivi indicati a livello europeo.In questo contesto, le Regioni manterrebbero comunque un ruolo chiave nello sviluppo delle politicheindustriali, compartecipando alla loro definizione e attuazione. Questa prospettiva cooperativa nondeve per degenerare, nei fatti, in una contrapposizione decisionale, che indebolisce lefficaciadelle politiche pubbliche.

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  • 4. FUNZIONI AMMINISTRATIVE

    I l testo costituzionale precedente alla riforma del 2001 conteneva il principio del parallelismo fra po-test legislativa e funzioni amministrative, secondo cui il soggetto titolare della competenza legislativain una determinata materia aveva la potest amministrativa rispetto alla stessa. Nel 2001 tale parallelismo stato abbandonato in favore di una distinzione che vede la competenzalegislativa distribuita attraverso gli elenchi dellart. 117, mentre le funzioni amministrative, disciplinatedallart. 118, sono ripartite con una clausola generale (le funzioni amministrative sono attribuite aiComuni), resa flessibile dallindividuazione delle condizioni di deroga (salvo che, per assicurarnelesercizio unitario, siano conferite a Province, Citt metropolitane, Regioni e Stato, sulla base deiprincipi di sussidiariet, differenziazione ed adeguatezza).

    Si tratta del principio di sussidiariet verticale, secondo cui la generalit delle funzioni attri-buita al livello di governo pi vicino al cittadino (Comune). Solo quelle per le quali necessario unesercizio unitario, che supera la dimensione comunale, possono essere assegnate ai livelli di governovia via pi elevati. Pertanto, le funzioni amministrative vengono allocate tra gli enti territoriali secondoil criterio della dimensione degli interessi (locale, regionale o nazionale).

    Tuttavia, lart. 118 in concreto non attuato in modo corretto e omogeneo e, peraltro, la richiamatadisarticolazione tra funzioni legislative e amministrative ha prodotto esiti insoddisfacenti.

    POSIZIONE DI CONFINDUSTRIA

    Come anticipato, la riorganizzazione delle competenze legislative non sar sufficiente a ridare effi-cienza alla PA se non si interverr in modo incisivo sulla frammentazione del sistema.

    La nostra macchina amministrativa elefantiaca e le competenze polverizzate in un assetto organiz-zativo ormai fuori controllo. Leffetto di una costante sovrapposizione di ruoli e competenze, che fi-nisce per moltiplicare allinfinito i passaggi, ritardando il momento della decisione.

    Il dibattito in corso non ha affrontato in modo compiuto il tema della riduzione dei livelli di governo,da realizzare anche attraverso una corretta riallocazione delle funzioni amministrative.

    Al riguardo, gi nel Progetto di Confindustria per lItalia sono state indicate diverse proposte di rior-ganizzazione della PA, che fanno leva sulla riduzione del numero delle amministrazioni inbase al principio dellunicit delle funzioni amministrative.

    Questo processo deve comunque rispondere a uno schema coerente, che: scongiuri il rischio di modelli ibridi o comunque inattuabili, come gi avvenuto in passato; consenta ladozione di decisioni tempestive, evitando il continuo rimpallo di responsabilit tra

    amministrazioni e la stagnazione dei procedimenti pi complessi per lattivit delle imprese;

    FUNZIONI AMMINISTRATIVE

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  • riduca drasticamente il numero di enti, societ e altri soggetti strumentali a vario titolo costituiti daRegioni ed Enti locali, che spesso duplicano le funzioni e costituiscono fonti di sprechi e di fenomenicorruttivi.

    A questultimo riguardo, solo una responsabile presa di coscienza al livello pi alto della discussionepolitico-istituzionale pu consentire di conseguire risultati concreti in ordine alla riduzione del perimetropubblico. necessaria, in quella sede, una riflessione particolare sulla proliferazione incontrollatadelle societ pubbliche: dovevano essere lo strumento per dare efficienza allorganizzazione dellefunzioni amministrative, ma si sono risolte in uneterogenesi dei fini. Ormai, sono solo la fonte di pri-vilegio per favorire interessi particolari a discapito dellinteresse generale.

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    Molto costose le societ partecipate

    La banca dati CONSOC, istituita presso il Ministero per la PA e la Semplificazione, indica chenel 2012 erano 39.997 le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in 7.712 or-ganismi esterni. Lonere complessivo sostenuto dalle PA per il mantenimento di questi organismi stato pari complessivamente a 22,7 miliardi di euro, circa l1,4% del PIL. Queste cifre eviden-ziano lanomalia del fenomeno: tali organismi, infatti, sono spesso nati a livello locale per aggi-rare i vincoli di finanza pubblica (in particolare il patto di stabilit interno) e per mantenere ilconsenso politico attraverso lelargizione di posti di lavoro.

    In linea generale, il versamento di tali somme nelle casse degli organismi partecipati dipendeda: contratti di servizio; spese per acquisire quote societarie, per coprire perdite ovvero per au-mentare il capitale; crediti concessi; altri trasferimenti correnti e in conto capitale. Lammontaredegli oneri complessivi a carico delle PA molto pi rilevante del risultato di bilancio - che puessere in utile o in perdita - e rappresenta il vero costo di tali organismi per la collettivit.

    Per verificarne lambito operativo, sono stati incrociati i dati della banca dati CONSOC - che ri-porta le societ partecipate da tutte le PA, la quota di partecipazione, la PA partecipante e lonerea carico di questultima - con quelli della banca dati AIDA, in modo tale da associare alle parte-cipate i rispettivi bilanci e codici ATECO. Esclusi gli organismi non presenti nella banca dati AIDA,questo sistema ha consentito di esaminare 5.056 organismi partecipati su un totale di 7.712(pari al 65,6% degli organismi registrati nella banca dati CONSOC).

    I dati mostrano che quasi i due terzi degli organismi esaminati (2.481 su 5.056) non svolgono attivitdi interesse generale pur assorbendo nel 2012 il 49,1% degli oneri sostenuti dalle PA: 8,1 miliardisui 15,4 erogati ai soli organismi per cui stato possibile ottenere il codice ATECO (Tabella A).

    Se si ipotizza che, anche per gli organismi riportati nella banca dati CONSOC di cui non statopossibile ricostruire il codice ATECO, il 52,8% degli oneri venga erogato a quelli che non pro-ducono servizi di interesse generale, il risparmio potrebbe essere quantificato in circa 12 miliardi,azzerando i trasferimenti di risorse verso organismi che non svolgono servizi pubblici.

  • Peraltro, si tratta di una stima che potrebbe essere per difetto, in quanto la banca dati CONSOCnon riporta tutti gli organismi partecipati dalle PA. Infatti, con riferimento ai Comuni, la rilevazionedel 2012 copre il 65% delluniverso, poich il 35% di essi non ha comunicato gli organismi cuipartecipa.

    Su un piano pi generale, considerando anche gli organismi che producono servizi di interessegenerale, oltre un terzo delle partecipate ha registrato perdite nel 2012 e ci ha comportato perla PA un onere stimabile in circa 4 miliardi. Il 7% degli organismi partecipati ha registrato con-secutivamente perdite negli ultimi tre anni, con un onere a carico del bilancio pubblico che stato pari a circa 1,8 miliardi.

    Sono numeri straordinari che il Paese non pu permettersi.

    TABELLA A

    TROPPI GLI ORGANISMI CHE NON PRODUCONO SERVIZI PUBBLICI(Anno 2012)

    Organismi che producono Organismi che non produconoservizi pubblici servizi pubblici

    Onere complessivo Numero partecipate Onere complessivo Numero partecipatea carico delle PA a carico delle PApartecipanti partecipanti(milioni) (milioni)

    Totale* 7.258 2.575 8.111 2.481

    Per memoria: totale Onere complessivo a carico delle PA Numero partecipatebanca dati CONSOC partecipanti (milioni)

    22.722 7.712

    *Il totale si riferisce ai soli organismi ai quali stato possibile associare il codice ATECO (4.864 su 7.712). Fonte: elaborazioni CSC su dati CONSOC e AIDA.

    FUNZIONI AMMINISTRATIVE

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    Quanto invece alla riorganizzazione degli enti pubblici tradizionali, le priorit sono labolizionedelle Province, listituzione delle Citt metropolitane e la fissazione di una soglia dimen-sionale minima di 5.000 abitanti per i Comuni.

    Rispetto a tali obiettivi, il quadro che emerge dal dibattito politico non rassicura.

    In particolare, il 21 dicembre 2013 la Camera ha approvato, in prima lettura, il disegno di legge re-cante lordinamento di Citt metropolitane, Province e unioni di Comuni (DDL Delrio).

    Numerosi potrebbero essere i rischi per la nostra architettura istituzionale, se il provvedimento, conce-pito secondo principi in larga parte condivisibili, non verr incanalato nel corso del dibattito parla-mentare nel solco delleffettiva semplificazione dei livelli di governo. Il primo che le Province nonsiano abolite e che, anzi, vengano loro confermate importanti potest di programmazione e pianifica-

  • zione. Inoltre, potrebbe verificarsi una parallela proliferazione delle Citt metropolitane anche in con-testi territoriali che non hanno le caratteristiche di conurbazione tali da suggerirne la necessit.

    Esiti, questi ultimi, che sarebbero opposti a quelli auspicati e contrari allintento originario della stessainiziativa legislativa del Governo: non solo non verrebbero depotenziate le Province, ma verrebberointrodotte ulteriori complicazioni nellorganizzazione amministrativa sul territorio.

    urgente, dunque, affrontare nellambito della discussione sulle riforme istituzionali il tema dellabo-lizione delle Province e, pi in generale, della riorganizzazione amministrativa sul territorioe dellefficiente allocazione delle funzioni di area vasta. Queste ultime ricomprendono, infatti, at-tivit di primario interesse per la vita delle imprese, come la pianificazione territoriale e il controllodegli standard ambientali.

    In questa ottica, non sufficiente riproporre il tema dellabolizione delle Province nella sua com-ponente destruens. indispensabile anche unidea chiara sulla pars construens, perch da questo di-pende lautorevolezza complessiva della proposta di riforma.

    Nei territori dove saranno costituite le Citt metropolitane appare naturale che ad esse siano affidatele funzioni attualmente in capo alle Province. Queste ultime si aggiungeranno, dunque, a quelle propriee tipiche della gestione delle grandi conurbazioni, tra cui la pianificazione territoriale, la regolazionedei servizi pubblici locali e la promozione dei servizi per lo sviluppo economico e la grande distribu-zione commerciale.

    Per tutti gli altri casi nel dibattito in corso emergono posizioni disomogenee.

    Da un lato, una soluzione potrebbe essere di riallocare le funzioni delle Province in capo alle unionidi Comuni.

    Tale scelta presenta per alcune criticit, poich lunione pensata e strutturata per gestire in formaassociata funzioni dei Comuni e non quelle di area vasta, n tantomeno quelle di pianificazione e pro-grammazione. Inoltre, lattribuzione di funzioni di area vasta allunione di Comuni finirebbe per esa-sperare le difformit interpretative e applicative che gi oggi le imprese riscontrano nellesercizio ditali competenze a livello provinciale.

    Infine, si tratta di soluzioni non collaudate, che potrebbero non garantire lo svolgimento immediato,pieno ed efficace delle relative attivit, anche nella fase di transizione.

    Laltra soluzione, cio quella di attribuire le funzioni delle Province alle Regioni, parrebbedunque preferibile.

    Per un verso, le Regioni gi oggi svolgono funzioni di pianificazione e programmazione e, spesso,nello stesso ambito in cui operano le Province (si pensi alla pianificazione territoriale). Per altro verso,sarebbero le strutture pi organizzate per far fronte ai compiti, anche di carattere tecnico, che ere-diterebbero dalle Province.

    Inoltre, la Regione potrebbe garantire una maggiore uniformit interpretativa sul territorio e contribuirealla creazione di prassi pi uniformi.

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  • FUNZIONI AMMINISTRATIVE

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    Anche in questo caso, comunque, si porrebbero difficolt operative, atteso che lorganizzazione re-gionale andrebbe ridisegnata tenendo conto di una maggiore conoscenza e vicinanza che le stessedovranno possedere rispetto ai singoli contesti territoriali.

    Al riguardo, necessario un disegno organizzativo che possa consentire alle Regioni di utilizzare lestrutture e le risorse che fanno oggi capo alle Province, come strutture burocratiche decentrate delleprime, ossia come unit operative territoriali che possano fungere da interfaccia locale per le im-prese e i cittadini.

    In tal modo, al trasferimento della titolarit politica delle funzioni di area vasta alle Regioni non segui-rebbero contraccolpi di ordine organizzativo.

    Pi in concreto, rimarrebbero solo due livelli istituzionali principali: le Regioni e i Comuni.Il livello istituzionale regionale dovrebbe poi essere articolato in livelli gestionali e operativi territoriali(uffici periferici o strutture di servizio), organizzati per aree territoriali.

    Il modello proposto parte dallidea che allabolizione delle Province non debba seguire una diversaproliferazione di enti. Ci sar possibile distinguendo il livello politico-istituzionale (Regioni e Comuni)dagli uffici operativi sul territorio, questi ultimi al servizio della Regione, ma con natura meramente bu-rocratica e non politico-istituzionale, a differenza delle attuali Province.

    In definitiva, nel nuovo contesto istituzionale le Regioni avrebbero un ruolo ridefinito secondo un criteriodi funzionalit. Da un lato, le attribuzioni legislative verrebbero razionalizzate epurandole da compe-tenze improprie; dallaltro, verrebbe loro assegnata una maggiore vocazione amministrativa, con ilvantaggio di una visione pi integrata e omogenea delle decisioni strategiche sul territorio.

    Tutto questo senza compromettere il ruolo centrale assegnato ai Comuni (e alle loro unioni) e alle nuoveCitt metropolitane, laddove costituite.

    Al contrario, da una chiara delimitazione delle competenze dovrebbe derivare per questi enti un ruoloancor pi incisivo nella fornitura dei servizi amministrativi. Infatti, il livello di esercizio delle funzionipi prossimo a cittadini e imprese andrebbe riconosciuto in capo ai Comuni, principalmente sul frontedei servizi alla persona e del front office (ad esempio, edilizia e urbanistica; anagrafe; servizi culturalisportivi e ricreativi), con la facolt di gestione anche attraverso le relative unioni.

    In ogni caso, il nuovo disegno dovrebbe tendere a soluzioni omogenee sul territorio nazionale,che assicurino la continuit efficiente delle funzioni amministrative fondamentali. La Costituzione e, avalle, la legge statale dovrebbero tracciarne gli elementi di base, a partire dalla governance.

  • 5. AUTONOMIA FINANZIARIA

    el ridisegnare gli assetti istituzionali non pu essere elusa lesigenza di una migliore regola-zione dei rapporti finanziari tra Stato ed enti territoriali.

    La finanza delle Regioni, delle Province e dei Comuni stata oggetto negli ultimi anni di un processoriformatore volto ad attuare il cosiddetto federalismo fiscale. Le linee fondamentali sono stateposte dalla legge delega n. 42/2009, in attuazione dellart. 119 Cost., che ha rafforzato lautonomiafinanziaria di entrata e di spesa degli enti territoriali.

    Il modello delineato dallart. 119 punta al passaggio da un sistema di finanza derivata, cio basatosul trasferimento di risorse dallo Stato agli enti territoriali nel quadro della manovra di bilancio, a unsistema nel quale le entrate proprie di questi ultimi garantiscono la copertura delle funzioni.

    Un passaggio cruciale del modello cos delineato costituito dai livelli essenziali delle presta-zioni che devono essere garantiti in modo uniforme sullintero territorio nazionale. Ilnuovo criterio di allocazione delle risorse quello dei fabbisogni e costi standard, piuttosto chequello tradizionale della spesa storica di ciascun ente.

    In ogni caso, anche la finanza degli enti territoriali condizionata dai vincoli europei del Patto di Sta-bilit. Essi si traducono nel Patto di Stabilit interno, che stato introdotto da tempo soprattutto al finedi sottoporre a controllo lindebitamento netto degli enti territoriali.

    POSIZIONE DI CONFINDUSTRIA

    La regolazione dei rapporti finanziari tra Stato ed enti territoriali un tema di assoluta priorit.

    Il tema dellautonomia finanziaria particolarmente sensibile, dal momento che le imprese sono co-strette a pagare, in termini di incremento della pressione fiscale, il prezzo delle sue degenerazioni. Pe-raltro, negli ultimi anni si verificato il paradosso che, a fronte dellincremento del prelievo fiscalelocale (IMU, tassa sui servizi indivisibili, tasse di scopo, tassa di soggiorno, ecc.), non si registrataalcuna diminuzione di quello nazionale.

    Con lintroduzione dellIMU gli immobili a uso produttivo hanno subito un incremento del prelievo paria circa 1 miliardo di euro (30% in pi rispetto allICI), dovuto al fatto che la quasi totalit dei Comuniitaliani ha incrementato laliquota IMU applicabile agli immobili a uso produttivo fino al massimo con-sentito (10,6 per mille). Le responsabilit sono da attribuire anche allo Stato centrale, nel senso che si registrata spesso unasimmetria tra funzioni trasferite e corrispettive risorse assegnate.

    Il tema centrale che si porr in futuro, nellambito di un sistema pienamente multilivello, la gestioneresponsabile dellautonomia finanziaria.

    Al riguardo, pur nella consapevolezza della protezione costituzionale del principio di autonomia, opportuno frapporre limiti a ogni forma di degenerazione.

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    N

  • Lesperienza di questi anni ci consegna un quadro nel quale, spesso, lautonomia invocata non gia fondamento di prerogative virtuose, ma come via di fuga dalle responsabilit finanziarie. In partico-lare, le Regioni hanno spesso guardato con sfavore alle iniziative dello Stato volte a mettere in sicurezzala solidit finanziaria e a rispettare gli obblighi di finanza pubblica imposti dallUnione europea e dal-lemergenza economica.

    Il disegno riformatore degli ultimi tempi appare in linea di principio condivisibile ed auspicabile chevenga rafforzato. In proposito, sono da valutare positivamente: le disposizioni introdotte dalla legge costituzionale n. 1/2012, che hanno assegnato alle Regioniil ruolo di garanti dellequilibrio di bilancio a livello regionale, e che hanno attribuito allacompetenza legislativa esclusiva dello Stato larmonizzazione dei bilanci pubblici;

    le misure volte a responsabilizzare lautonomia finanziaria degli enti territoriali, attraverso un rigo-roso sistema di sanzioni, che sfocino anche in forme di fallimento politico, vale a dire lo scio-glimento e/o rimozione dei massimi organi politici rappresentativi e la loro successiva ineleggibilit.

    Tuttavia, su questultimo versante un recente intervento della Corte costituzionale ha rimosso i presidisanzionatori con riferimento ai Consigli regionali e ai relativi Presidenti, con leffetto, negativo, di an-nacquare in modo significativo lefficacia del principio di responsabilit.

    Al contrario, la finanza pubblica ha bisogno di rimedi di chiusura che ne garantiscano lintegrit. Se le Re-gioni e gli Enti locali non rispettano i vincoli imposti, non possono invocare il principio di autonomia percontinuare a perpetuare prassi negative. Lautonomia deve essere uno strumento fisiologico per conseguirerisultati ottimali, non una via di fuga patologica per proteggere condotte contrarie allinteresse nazionale.

    Esistono, dunque, margini per un miglioramento del sistema.

    Anzitutto, il percorso prefigurato dalla legge n. 42/2009 accusa ritardi inaccettabili che riguardanoi punti cardine del sistema federale: i fabbisogni e i costi standard, che dovevano costituirne ilperno, faticano a decollare. Si tratta di un passaggio che condiziona tutto il nuovo disegno federalee la sua inattuazione continua a creare situazioni di inefficienza e irresponsabilit.

    Inoltre, appare utile una riflessione sul coordinamento della finanza pubblica, su come questoprincipio viene letto e se e come debba essere oggetto di revisione. Da questo punto di vista, andrebbesalvaguardata la possibilit per lo Stato di esercitare un ruolo molto pi incisivo, intervenendo effica-cemente per correggere prassi negative.

    Occorre poi rivedere la gestione della materia sanitaria, che stata la principale fonte dellecrisi finanziarie regionali. In questo contesto, una possibile e inedita via duscita sarebbe di delineareun sistema in cui lautonomia concessa alle Regioni si configuri come condizionata e dinamica, valea dire non un dogma intangibile, ma un premio da conquistare sul campo.

    In altri termini, essa dovrebbe dipendere dalla capacit delle Regioni stesse di garantire i livelli gestio-nali, di trasparenza e qualit dei servizi sociosanitari determinati dallo Stato centrale. Funzionale aquesto obiettivo la necessit che le Regioni e gli enti del Servizio Sanitario Nazionale assicurino unacontabilit e sistemi di misurazione delloutcome trasparenti, con dati omogenei e confrontabili.

    AUTONOMIA FINANZIARIA

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  • In concreto, alle Regioni meno virtuose dovrebbe essere riconosciuto un grado inferiore di autonomia,per cui esse verrebbero affiancate dallo Stato o da altre Regioni pi virtuose in un percorso di progres-sivo miglioramento delle performance.

    Pi in generale, prioritario riproporre il tema della responsabilit degli Enti territoriali, sfrut-tando i margini che lintervento della Corte ha lasciato al legislatore e riproponendo questa linea diindirizzo secondo procedure pi compatibili con la Costituzione. Andrebbe assicurata dignit costitu-zionale al principio di responsabilit, integrando la disciplina vigente sui poteri dello Stato. In partico-lare, le norme sanzionatorie relative alla scorretta gestione della finanza pubblica, tra cui soprattuttoil fallimento politico, costituiscono un valido punto di chiusura volto a rendere effettivo il disegno delfederalismo fiscale.

    Infine, andrebbe valutata lintroduzione in via generalizzata, se necessario dotandoli anche di unabase costituzionale, dei processi di commissariamento e pianificazione negoziata, voltia risolvere le emergenze finanziarie locali. Da questo punto di vista, utili spunti potrebberotrarsi proprio dellesperienza dei piani di rientro in materia sanitaria, emendandoli dei loro profili dicriticit. Occorrerebbe muovere, ad esempio, da principi di indipendenza e terziet dei Commissari,in quanto lesperienza della legislazione sanitaria dimostra che invece quelli incaricati provengonodalla stessa Regione che ha prodotto il danno o, peggio, ne sono essi stessi i responsabili.

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  • ADDENDUM - LA BOZZA DI DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE DEL GOVERNO RENZI

    Nella riunione del 12 marzo 2014 il Consiglio dei Ministri ha esaminato la bozza di disegno di leggecostituzionale Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero deiparlamentari, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione.

    Si tratta di un importante passo avanti nel processo di riforma delle Istituzioni. Il presente lavoro statorealizzato prima che venisse diffusa la proposta governativa, per cui si riportano di seguito alcuneprime considerazioni sui suoi principali contenuti.

    In primo luogo, sono senzaltro condivisi i principi di fondo che ispirano la proposta del Governo: ef-ficientamento del sistema istituzionale, semplificazione dellassetto parlamentare e del procedimentolegislativo; razionalizzazione del riparto di competenze normative tra Stato e Regioni. In particolare,tra gli aspetti pi qualificanti si evidenziano: una complessiva revisione del Titolo V e la previsione di una clausola di salvaguardia dellin-

    teresse nazionale; il superamento del bicameralismo perfetto e listituzione di unAssemblea delle autonomie; labolizione delle Province.

    Confindustria, pur riconoscendo lesigenza di un ampio dibattito tra le forze politiche e sociali sul testoproposto dal Governo, auspica che esso si svolga proficuamente, con alto senso di responsabilit econ quella visione lungimirante che ogni riforma costituzionale richiede.

    In questa ottica, pare necessario che, al di l delle opzioni tecniche adottate per conseguire obiettiviin larga parte condivisi, si superi lannosa contrapposizione tra visioni centraliste e federaliste, con-centrando tutti gli sforzi sulle reali esigenze del Paese e sulla necessit di superare lattuale situazionedi stallo.

    Dovrebbe essere questo lapproccio con cui affrontare anzitutto il tema della revisione del TitoloV, che costituisce uno dei profili nevralgici della riforma.

    La proposta del Governo di riformare in profondit il riparto di competenze, per superare lattualepolicentrismo anarchico, in cui lintrecciarsi dei diversi livelli decisionali duplica o triplica le respon-sabilit su una stessa materia.

    Come evidenziato nel position paper, una revisione complessiva dellattuale Titolo V prioritaria edovrebbe tendere, per un verso, a riattribuire allo Stato materie strategiche per lo sviluppo economicoe, per laltro, a garantire la praticabilit di una policy industriale unitaria. Infatti, appare essenzialedefinire, a livello centrale, gli indirizzi strategici della politica industriale, anche per costruire un quadrounitario di riferimento nellottica della promozione e dello sviluppo delle attivit produttive sui territori.

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  • Sul tema, occorre per evitare di farsi suggestionare da visioni antagoniste, che peraltro ispirarono er-roneamente la stessa riforma del 2001, generando incertezze, contenzioso e conflittualit.

    Sul Titolo V non si pu pi sbagliare.

    Un approccio cooperativo dovrebbe ispirare anche la revisione della forma parlamentare. In propo-sito, da valutare con favore la trasformazione del Senato in Assemblea delle autonomie,aspetto su cui la posizione di Confindustria in linea con la soluzione proposta dal Governo.

    Si tratta per di un punto di partenza. Fermarsi a questo potrebbe risultare, di per s, non risolutivodelle criticit che il sistema bicamerale ha manifestato nella prassi di questi anni.

    In verit, questa scelta andrebbe corredata da misure che assegnino alla nuova Assemblea prerogativecalibrate al ruolo che essa dovr svolgere in un sistema fortemente decentrato.

    In questo contesto, particolare rilevanza assume il potere di richiamo attribuito allAssemblea delleautonomie, ossia la potest di intervenire sul procedimento legislativo che di regola si svolgerebbealla Camera. Il rischio che un quorum deliberativo del richiamo troppo esiguo (1/3 dei componenti)comporti un rallentamento sistematico dei lavori parlamentari e la riproposizione, nei fatti, del vecchiobicameralismo paritario.

    Inoltre, riguardo al tema della qualit della legislazione lo schema di DDL governativo non contieneproposte specifiche. Si deve invece riflettere sullopportunit di intervenire al livello pi alto delle fontidel diritto per inserire presidi, procedurali e sostanziali, volti ad arginare linvoluzione che il nostro or-dinamento vive da anni. Tanto pi che, rispetto a tale profilo, le iniziative intraprese a livello di legi-slazione ordinaria si sono mostrate inefficaci.

    Infine, opportuno che la riforma costituzionale intervenga su alcuni ambiti complementari, quali lef-ficiente organizzazione amministrativa e lallocazione delle relative funzioni, nonch sul tema dellau-tonomia finanziaria.

    Sul primo aspetto, va accolta con favore la scelta di abolire le Province, recependo cos una storicaproposta di Confindustria.

    In proposito, si suggerisce altres di tenere in attenta considerazione due profili.

    Da un lato, labolizione delle Province va completata con la conseguente riallocazione delle fun-zioni amministrative. Come dimostra lanalisi svolta nel position paper, la questione si presta aessere risolta in modo non univoco e, probabilmente, sarebbe necessario un impulso a livello costitu-zionale che dia ordine alle scelte di competenza del legislatore ordinario.

    Dallaltro lato, occorre considerare che il fenomeno della proliferazione degli enti inutili, delladuplicazione delle funzioni e della burocrazia soffocante pi vasto e radicato. A tal punto che ri-chiederebbe una visione pi organica, che vada al di l di sollecitazioni di breve periodo. Un esempioeloquente quello delle societ pubbliche.

    Anche rispetto al tema dellautonomia finanziaria Confindustria ritiene che la riforma costituzionalepossa essere loccasione per approntare gli adeguati contrappesi al sistema federale. in questa sede,infatti, che bisogner delineare lossatura portante del nuovo assetto, basandola sui concetti-chiave di

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  • costi e fabbisogni standard e frapponendo limiti efficaci a ogni forma di degenerazione. In questosenso, occorre dotare di una base costituzionale quel rigoroso sistema di sanzioni auspicato nel posi-tion paper, a partire dal fallimento politico.

    Unattenzione particolare dovrebbe poi essere dedicata alla materia sanitaria. Essa stata la fontedella deflagrazione della finanza regionale e ha contribuito a mettere in crisi il complessivo sistemadella finanza pubblica. Occorre pertanto intervenire, rimeditando il riparto delle attribuzioni legislativee amministrative sulla sanit e rafforzando laccountability finanziaria e lefficienza dei sistemi sanitariregionali.

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