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SECONDA UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA
IN
SCIENZE INFERMIERISTICHE
ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PAZIENTE
ONCOLOGICO
ASPETTI PSICOLOGICI E RELAZIONALI FRA
L’INFERMIERE, IL PAZIENTE E LA FAMIGLIA.
Relatore: Candidato:
Prof. Leonessa Vittorio Ascione Vincenzo
ANNO ACCADEMICO 2006/2007
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…Non è vero che abbiamo poco
tempo: la verità è che ne perdiamo
troppo…
Seneca
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Dedico questo lavoro alla PAZIENZA!
La Pazienza dei miei figli, Pasquale ed Enza, per il
tempo a loro sottratto.
La Pazienza di mia moglie, Rita, che mi è stata vicino.
La Pazienza dei miei colleghi di lavoro per la loro
inesauribile disponibilità.
La Pazienza di tutti coloro che mi conoscono per avermi
sopportato in questa breve parentesi universitaria.
In ultimo, non per importanza, dedico questo lavoro ai
miei cari genitori, e a chi come loro non potrà
partecipare a questo evento, ma sono certo di essere
stato guidato da loro e dalla loro eterna Pazienza.
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INTRODUZIONE
Il cancro è uno dei principali problemi sanitari che affligge
ancora oggi la nostra società, anche perché allo stato attuale
mancano: misure preventive di diagnosi precoce, trattamenti
curativi che rispondono totalmente alla domanda di assistenza del
paziente oncologico, e personale adeguatamente preparato; a
questo si aggiungono problematiche legate all’insufficienza delle
strutture.
Un programma di assistenza adeguato alle reali necessità del
paziente oncologico deve prevedere:
• la prevenzione, in modo da evitare l’insorgenza di un
tumore allontanando i fattori di rischio, correggendo gli
stili di vita, consigliando una sana alimentazione e
promuovendo campagne per una diagnosi precoce
• l’informazione e la preparazione agli esami diagnostici a
cui il paziente deve essere sottoposto di volta in volta, in
modo da alleviargli ansie e paure
• il fornire al paziente un supporto psicologico, in quanto la
diagnosi di tumore scatena sempre una serie di reazioni
negative
• la corretta preparazione ed esecuzione della terapia, che
impegna l’infermiere: nel caso della chemioterapia,
nell’approvvigionamento, preparazione, somministrazione
e smaltimento dei chemioterapici; in caso di radioterapia,
nel controllo dei segni e dei sintomi che possono
manifestarsi durante il trattamento; in caso di trattamento
chirurgico nell’assistenza pre, intra e post-operatoria con
particolare attenzione alla ristabilizzazione dei parametri
vitali e alla prevenzione di eventuali complicanze.
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• l’attivazione delle cure palliative attraverso l’assistenza
ospedaliera, domiciliare, il DH oncologico o gli Hospice
allo scopo di migliorare la qualità di vita del paziente
oncologico in fase terminale.
Tutto quanto è possibile solo se l’infermiere ha una solida
formazione che gli consenta di riconoscere i principali sintomi e
segni della patologia e abbia le basi per un’assistenza specifica.
DEFINIZIONE
Il termine tumore, usato per indicare un processo patologico di
tumefazione di una parte qualsiasi del corpo, oggi è sinonimo di
neoplasia, cioè neoformazione locale di un tessuto atipico; e sta
ad identificare una serie di affezioni che hanno il loro
denominatore comune nella perdita di controllo della crescita
cellulare che porta a una “nuova formazione”, appunto neoplasia.
I tumori a seconda dell’influenza che esercita sull’ospite vengono
distinti in:
1)benigni quando presentano: una crescita lenta, centrale ed
espansiva; con struttura e morfologia molto simile al tessuto di
origine; un metabolismo che non interferisce con quello
dell’ospite (non causa cachessia); non da metastasi e non tende a
recidivare se viene asportato;
2)maligni quando presentano: una crescita veloce, periferica e
infiltrante; una struttura e una morfologia diversa dal tessuto di
origine; un metabolismo che interferisce con quello dell’ospite
causando la cachessia; da metastasi e può dare recidive se
asportato;
Bisogna ricordare però che il concetto di benigno e maligno è più
clinico che fisiopatologico, in quanto vi sono dei tumori che in
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base alle caratteristiche sovra esposte sono da considerarsi
benigni, ma in base alla sede in cui si sviluppano rientrano fra
quelli maligni. Come pure, tumori che in origine sono benigni col
tempo subiscono una trasformazione maligna.
In rapporto al tessuto che viene interessato dal processo
neoplastico i tumori si classificano in:
1) carcinomi se interessa le cellule epiteliali;
2) sarcomi se interessa il tessuto connettivo;
3) gliomi se interessa le cellule gliali del SNC;
4) linfomi se interessa il tessuto linfatico;
5) leucemie se interessa gli organi emopoietici.
Acquista un ruolo fondamentale anche, la classificazione T.N.M.
codificata dalla Unione Internazionale Contro il Cancro (UICC),
che distingue il cancro in stadi, valutandone l’estensione
anatomica in base ai tre componenti espressi dalle lettere:
T: estensione del tumore primitivo
N: assenza o presenza di metastasi ai linfonodi regionali
M: metastasi a distanza.
Da tener presente che il tumore (o cancro) oggi è la seconda
causa di morte dopo le malattie cardiovascolari. Gli organi più
colpiti sono la prostata nell’uomo e la mammella nella donna;
seguono il colon-retto ed il polmone in entrambi i sessi.
Esistono delle differenze nell’incidenza di specifiche neoplasie in
diverse aree geografiche, come ad esempio, il carcinoma dello
stomaco e del fegato hanno in Giappone una frequenza più alta
che in qualsiasi altra parte del mondo, mentre il carcinoma della
mammella e del colon, nello stesso paese, sono relativamente
rari; però, il giapponese che emigra in America acquisisce la
stessa incidenza neoplastica della popolazione americana dopo
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solo una o due generazioni di residenza, ciò indica che il cancro
anche se origina da fattori genetici, è altamente influenzato da
fattori ambientali.
In conclusione, possiamo dire che il tumore è una malattia
multifattoriale, dove i fattori determinanti, quali:
1)genetico ereditario;
2)ambientali (inquinamento da agenti chimiche e fisici);
3)psico-emozionali;
4)socio-relazionali.
singolarmente costituiscono una causa necessaria al loro sviluppo
ma non sufficiente per manifestare la patologia, quest’ultima si
scatena dall’interazione dei vari fattori, che hanno un ruolo
causale sulle mutazioni dei geni che regolano la crescita e la
divisione cellulare fino al punto di trasformarle in carcerogene.
GENETICA ED EZIOLOGIA DEI TUMORI
Il cancro è primitivamente dovuto a una mutazione genetica. Di
regola la mutazione è somatica (non germinale) perché colpisce
una cellula dell’organismo, per cui la loro trasmissione non
avviene per via ereditaria; questo spiega perchè la maggior parte
dei tumori non viene ereditata dalle successive generazioni.
Ma esistono alcune eccezioni, infatti alcuni tumori segregano,
nelle famiglie, come patologie ereditarie. Questi tumori sono
molto rari come il retinoblastoma (tumore della retina), tuttavia
anche alcuni tumori abbastanza comuni, come quelli della
mammella e del colon, possono occasionalmente essere ereditati.
Questo spiega perchè nei familiari dei pazienti neoplastici il
rischio di sviluppare la stessa neoplasia è significativamente
aumentato.
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Geneticamente i tumori hanno origine monoclonale. Le
mutazioni che colpiscono i geni che controllano la crescita e la
differenziazione cellulare danno origine a una cellula tumorale
all’interno di una popolazione cellulare in crescita.
Si conoscono tre specie di geni regolatori della crescita cellulare:
1) gli oncogeni, che sono segmenti di DNA presenti di norma
nella cellula, sono deputati alla proliferazione e alla riparazione
cellulare, e possono promuovere la neoplasia se attivati o
potenziati da alterazioni dei proto-oncogeni;
2) i proto-oncogeni, che sono normali costituenti delle cellule e
sono fondamentali per la crescita e la differenziazione cellulare;
3) gli onco-soppressori, che svolgono un ruolo nel controllo della
normale crescita cellulare;
uno squilibrio tra l’attivazione degli oncogeni e l’inattivazione
degli onco-soppressori è alla base della cancerogenesi, processo
attraverso il quale una singola cellula mutata proliferando e
differenziandosi sviluppa la massa neoplastica.
La cancerogenesi è costituita da due eventi distinti: l’iniziazione
e la promozione. Durante l’iniziazione avvengono alterazioni
irreversibili a carico del patrimonio genetico causate da agenti
inizianti (carcinogeni) come alcuni conservanti per alimenti,
agenti inquinanti e derivati del fumo di tabacco. L’iniziazione da
sola non è in grado di causare la degenerazione neoplastica, ma
una cellula alterata può trasmettere alla sua progenie la
potenzialità di diventare cellula cancerogena. Nella promozione,
invece, gli agenti promuoventi (co-carcinogeni) determinano
cambiamenti della proliferazione cellulare, infatti nei primi stadi
della promozione si verifica un’intensa proliferazione cellulare
sia a carico delle cellule iniziate che delle cellule sane, in una
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seconda fase l’azione iperplastica diventa selettiva solo per le
cellule iniziate.
Inoltre, sono da citare alcuni agenti che possiedono sia la
proprietà di iniziazione che di promozione e quindi da soli
possono indurre neoplasie, questi vengono definiti carcinogeni
completi, come ad esempio le radiazioni ionizzanti.
Coinvolti nella trasformazione delle cellule neoplastiche sono da
menzionare, ancora, diversi virus come ad esempio il virus del
papilloma che è responsabile del cancro della cervice.
SCREENING ONCOLOGICO
Gli esami radiologici di routine raramente evidenziano
neoformazioni del volume inferiore ad 1 cm cubo, per questo
motivo negli ultimi tempi la diagnosi di tumore viene posta con
la ricerca nei liquidi biologici di molecole prodotte in modo
specifico dalle cellule neoplastiche, i cosiddetti marcatori
tumorali, come:
1) la CEA (antigene carcinoembrionario), presente nelle
neoplasie del polmone, della mammella e dell’apparato
gastro-enterico;
2) l’alfafetoproteina, presente nelle neoplasie del fegato, dello
stomaco, del pancreas, del colon, del polmone;
3) la gonadotropina corionica umana, presente nelle neoplasie
del fegato, dello stomaco, del pancreas, e dell’ovaio;
4) il PSA (antigene prostatico specifico), presente nelle
neoplasie della prostata, del mieloma multiplo e delle
metastasi ossee;
5) la CA-125, presente nei tumori dell’ovaio;
6) la beta 2 microglobulina, presente nel mieloma multiplo.
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Da tener presente che un periodico esame obiettivo completo e i
comuni esami del sangue e delle urine sono gli elementi
fondamentali per la diagnosi precoce dei tumori maligni; come
pure l’esplorazione rettale, l’esame obiettivo della mammella e
dei testicoli sono i mezzi più efficaci per la diagnosi precoce
delle neoplasie dei vari organi.
In merito alle neoplasie dei vari organi possiamo affermare che:
• l’ecografia del seno, come pure la mammografia sono gli
esami fondamentale per la prevenzione e valutazione delle
neoplasie mammarie seguite dall’agoaspirato ecoguidato o
con stereotassica mammografia in caso di noduli sospetti e
non palpabili.
• Il primo esame da effettuare in caso di sospetta neoplasia
polmonare è la radiografia del torace, seguita quasi sempre
dalla TAC toracica. Seguono: l’esame dell’escreato, la
broncoscopia e l’agobiopsia per cutanea TAC-guidata che
permettono l’identificazione istologica della neoplasia.
• La gastroscopia è l’esame principe per diagnosticare i
tumori dello stomaco, questa permette anche una diagnosi
differenziale fra le lesioni neoplastiche e quelle di origine
infiammatorie e/o ulcerative; inoltre permette di praticare
prelievi bioptici. Il quadro diagnostico può essere
completato dalla ricerca di sangue occulto nelle feci e da
un emocromo.
• La coloscopia ha ormai larghissima diffusione nella pratica
clinica per la prevenzione, diagnosi e controllo del cancro
del colon-retto, con eventuale prelievo bioptico; come pure
il clisma opaco con la metodica a doppio contrasto.
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Affiancato sempre dall’esplorazione rettale e dalla ricerca
di sangue occulto nelle feci.
EFFETTI SISTEMICI DELLE NEOPLASIE
Molti sintomi provocati da una neoplasia sono dovuti alla
presenza fisica della stessa o dalle sue metastasi, questi possono
essere indiretti come l’anoressia; e particolari conseguenti
l’azione di mediatori rilasciati dalla cellula tumorale stessa (le
cosiddette sindromi paraneoplastiche). I sintomi più frequenti
sono:
Anoressia e cachessia
La cachessia, cioè l’estremo decadimento psico-organico, è
dovuta a svariati e complessi fattori:
1) anoressia;
2) depressione e malessere generale;
3) effetti generali della chemio e/o radioterapia;
4) alterazioni proteiche e del metabolismo energetico;
5) aumento del catabolismo conseguente alla febbre;
6) fuoriuscita di proteine nei cosiddetti terzi spazi (es.
versamento pleurico).
Alterazioni ematologiche
Generalmente si assiste ad anomalie importanti nel sistema di
coagulazione ed in tutte le linee cellulari ematopoietiche.
Manifestazioni neurologiche
Le metastasi cerebrali costituiscono la principale causa di
disfunzioni neurologiche, queste possono derivare anche da
anomalie metaboliche, infezioni opportunistiche del SNC o da un
suo insulto ischemica o emorragico.
Manifestazioni renali
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Le cause delle disfunzioni renali sono molteplici: neoplasia
primitiva, ostruzioni delle vie urinarie, squilibri elettrolitici,
tossicità da chemioterapia.
Manifestazioni endocrine
Alcune neoplasie sviluppano una notevole capacità di rilasciare
in circolo ormoni naturali in modo indipendente dai normali
meccanismi di regolazione, per cui si hanno le cosiddette
sindromi paraneoplastiche; come ad esempio il carcinoma
polmonare detto a piccole cellule, la cui peculiarità consiste nel
fatto che può dare varie sindromi a seconda dell’ormone
prodotto: la sindrome di Cushing (ACTH), la diminuzione della
concentrazione di sodio (ADH), la ginecomastia (HCG).
TERAPIA ONCOLOGICA
Negli ultimi anni grazie alla genetica sono notevolmente
aumentate le conoscenze sugli eventi che trasformano una cellula
normale in cellula tumorale, queste conoscenze hanno permesso
un miglioramento della diagnosi, della prevenzione e del
trattamento dei tumori. Come pure, i notevoli progressi fatti nel
campo medico, chirurgico e radioterapico hanno permesso a
molte neoplasie di diventare curabili.
Infatti, oggi, contro i tumori si può intervenire con:
Trattamento chirurgico
La resezione chirurgica totale è la più antica forma di
trattamento scelta nella maggior parte delle neoplasie solide
localizzate; poiché molte di esse hanno già dato micrometastasi
al momento della diagnosi, si è soliti integrare il trattamento
chirurgico con altre metodiche per ottenere il controllo locale e a
distanza della neoplasia stessa. Esempio classico è rappresentato
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dal carcinoma mammario localizzato che viene trattato oltre che
chirurgicamente anche con l’impiego combinato della radio e
chemioterapia.
L’intervento chirurgico può anche essere solo palliativo, mirante
a risolvere le complicanze di un carcinoma quali compressione di
strutture vitali, ostruzioni intestinali e biliari, emorragie e
perforazioni.
Infine c’è la chirurgia ricostruttiva e plastica che partecipa alla
riabilitazione dei pazienti oncologici già trattati; basti pensare
alla ricostruzione del seno dopo mastectomia, e alla risoluzione
delle contratture indotte dalla radioterapia.
Radioterapia
Circa il 60% dei pazienti oncologici trovano giovamento
dall’impiego della radioterapia. Attualmente i notevoli progressi
in campo tecnologico e le avanzate ricerche in campo della
radiobiologia hanno fatto si che questa terapia abbia raggiunto
livelli molto sofisticati con grande efficacia e con limitazione
della tossicità.
La radioterapia usa radiazioni ionizzanti ad alta energia per
distruggere le cellule neoplastiche, causando la rottura di uno o
più legami all’interno del DNA in modo da inibire la crescita e la
replicazione cellulare. L’azione selettiva delle radiazioni si base
proprio sulla differente capacità che hanno le cellule di riparare i
danni a carico del DNA, infatti mentre le cellule sane anche se
alterate dalle radiazioni sono in grado di riparare i danni del
DNA, le cellule neoplastiche invece vanno incontro ad un danno
irreparabile e quindi alla distruzione.
La sensibilità delle cellule tumorali all’azione delle radiazioni
dipende anche dalla presenza di ossigeno; infatti la distruzione
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delle cellule in condizioni di ipossia richiede da 2 a 3 volte una
dose maggiore rispetto a quella necessaria per le cellule ben
ossigenate. L’ipossia cellulare si manifesta specie quando la
crescita neoplastica supera la capacità di apporto nutrizionale dei
vasi sanguigni come avviene soprattutto nella zona centrale del
tumore dove si creano zone di necrosi.
Le onde elettromagnetiche impiegate sono solitamente: i raggi
X, generati da acceleratori lineari per il trattamento radiante
esterno, queste radiazioni sono in grado di penetrare negli strati
profondi dove è sito il tumore risparmiando quelli superficiali e
quelli posti al di fuori della posizione geografica del fascio di
radiazione; e i raggi gamma derivanti da isotopi radioattivi quali
il cobalto 60 per la radioterapia interna.
La dose da somministrare dipende dalla radiosensibilità del
tumore, dalla tolleranza dei tessuti sani e dal volume del tessuto
da irradiare. Siccome la somministrazione di una unica dose
potrebbe dar luogo ad una tossicità eccessiva, il trattamento
prevede applicazioni giornaliere di radiazioni, somministrate in
frazioni da 1.8 a 2.5 Gray per 10 minuti, per 5 giorni a settimana
per un totale di 7 – 8 settimane consecutive. Tale frazionamento
migliora l’indice terapeutico (margine di sicurezza tra dose
terapeutica e dose tossica), minimizza i danni ai tessuti sani e in
più la graduale riduzione della massa neoplastica fa si che le
cellule ipossiche tumorali giungano a stretto contatto col sistema
vascolare diventando più ossigenate e quindi più suscettibili alle
radiazioni. Inoltre vengono effettuati intervalli settimanali del
trattamento per permettere al paziente di riprendersi dalla
tossicità acuta e alle cellule di riossigenarsi. Purtroppo per alcuni
tumori, che presentano un maggior rischio di recidive, è
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necessario la somministrazione di una dose alta del mezzo
radiante in una zona circoscritta.
Lo scopo della radioterapia è quello di distruggere le cellule
neoplastiche risparmiando quelle sane, ma la probabilità di
arrecare danno a queste ultime aumenta con la dose. I tessuti più
colpiti sono quelli che richiedono una rapida e continua
proliferazione cellulare, come la cute, il midollo osseo, la mucosa
gastrointestinale, per cui vanno soggetto a tossicità acuta che si
manifesta con stomatiti, diarrea, leucopenia, mielodepressione;
mentre la tossicità tardiva, che dipende dalla dose totale
somministrata e dal tipo di frazionamento, si manifesta con
fibrosi, necrosi, ed ulcerazione.
In ultimo c’è da dire che, anche se la radioterapia costituisce il
trattamento primario per alcuni tumori (carcinomi della cute),
spesso viene combinata con la terapia chirurgica, come ad
esempio la radioterapia post-operatoria utilizzata per ridurre il
rischio di recidive locoregionale (dopo interventi alla mammella,
polmone, ecc.); o quella pre-operatoria che viene usata per
ridurre le dimensioni del tumore in modo che l’intervento
chirurgico possa essere radicale e più conservativo.
Chemioterapia
Qualsiasi tumore ha un caratteristico tempo di crescita che va da
2 giorni a tre mesi ed oltre; in un primo tempo la crescita è di
tipo esponenziale (ciò spiega perché le neoplasie si raddoppiano
circa 30 volte prima di essere clinicamente rilevabili), in seguito
una percentuale sempre maggiore di cellule entra nel pool non
proliferativi a causa della morte e della differenziazione cellulare
(fase di riposo del ciclo cellulare). Quest’ultima diminuisce la
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suscettibilità dei tumori agli agenti antineoplastici, che sono più
attivi nei riguardi delle cellule che si dividono più rapidamente.
Infatti, tutti i chemioterapici agiscono sulla divisione cellulare:
gli antimetaboliti, agendo come analoghi di substrati fisiologici
vitali, inibiscono la sintesi del DNA (il methotrexate è analogo
all’acido folico, la citosina arabinoside è analogo alla
pirimidina); gli agenti alchilanti, come la ciclofosfamide,
interagiscono chimicamente con il DNA causandone la rottura;
gli alcaloidi della vinca (vincristina, vinblastina) sono prodotti
vegetali che arrestano il ciclo cellulare inibendo la funzione dei
microtubuli; molti antibiotici ad attività antitumorale come le
antracicline si intercalano nella doppia elica del DNA.
La forte correlazione fra la dose letale e la dose necessaria per la
cura dei tumori maligni giustifica la tossicità dei trattamenti;
tossicità che, anche in questo caso, può essere di tipo acuto con
nausea, vomito, alopecia, insufficienza renale, mielosoppressione
e cistite emorragica; tossicità cronica con leucemia, fibrosi
polmonare, sindrome emolitico-uremica, neuropatia periferica e
sterilità.
La causa più frequente del fallimento della chemioterapia è la
resistenza ai farmaci e la probabilità di svilupparla che è
proporzionale alle dimensioni del tumore e al grado di mutazione
del gene della farmacoresistenza, il cui prodotto è una proteina
che impedisce l’accumulo intracellulare del farmaco stesso.
COME GLI INFERMIERI POSSONO AIUTARE I
PAZIENTI ONCOLOGICI
Il paziente oncologico necessita di continue cure dal momento
della diagnosi fino alla guarigione o alla morte, per cui
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rappresenta una realtà complessa vuoi per il tipo di malattia che
per la “devastazione” che la stessa determina sul suo corpo, sulla
sua psiche, sulla sua vita, sulla sua famiglia e sugli operatori
sanitari che lo assistono. Una realtà composita, variabile da caso
a caso, per la quale è difficile una standardizzazione
dell’assistenza, perché un paziente differisce dall’altro a parità di
malattia per: carattere, sensibilità, modalità di reazione all’evento
malattia, rapporti familiari e sociali, condizioni economiche,
capacità di comunicazione, fede religiosa. Quindi ogni persona
ha una sua unicità irripetibile con bisogni e richieste proprie. Per
questo motivo “curare bene” il paziente non basta, ma è
necessario che il paziente abbia anche una risposta ai problemi di
carattere psicologico etico e sociale che insorgono nelle varie fasi
della malattia e anche nel periodo successivo alla guarigione.
L'infermiere è la persona che passa più tempo in compagnia del
paziente, è la persona a cui il paziente, spaventato e confuso per
tutto quello che gli sta succedendo, spesso dall'oggi al domani
(diagnosi di tumore, intervento in tempi brevi, necessità di
trattamento chemioterapico), rivolgerà più domande; per cui le
sue funzioni debbono essere finalizzate all’identificazione e alla
soddisfazione della maggior parte dei bisogni di questo tipo di
pazienti. Bisogni che interessano diverse aree:
1)L’area fisiologica: maggior controllo dei sintomi; ripristino
della qualità dell’alimentazione, del sonno e della cura della
persona.
2)L’area emotiva: bisogno di rassicurazione, di informazione
sullo stato della malattia.
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3)L’area sociale: bisogno di comunicare con i familiari e le
persone care, di occupare la giornata in modo soddisfacente, di
assistenza per le necessità pratiche.
In tale contesto l’infermiere deve:
• informare il paziente per alleviare in lui ansie e paure
• praticare la terapia antiblastica
• provvedere alla manutenzione dei vari presidi utilizzati
(sistema port, CVC, ecc.)
• preparare il paziente all’intervento chirurgico
• prevenire eventuali complicanze legate ai trattamenti
antitumorali e all’evolversi della patologia
• alleviare i sintomi e il dolore ricorrendo anche a cure
palliative
In questi casi gli infermieri debbono:
• saper ascoltare ed osservare
• saper comprendere anche la comunicazione non verbale e
notare eventuali discrepanze tra comunicazione verbale e
non verbale
• essere in grado di rapportarsi e comunicare con tutti
• saper individuare i problemi del paziente, risolverli da
solo, quando possibile, o con l'aiuto di altri membri
dell'equipe (medici, psicologi, altri operatori sanitari,
famigliari)
• saper dare informazioni e spiegazioni in modo chiaro e
preciso, verificando sempre che il paziente abbia capito,
(ciò diminuisce l'ansia).
Per fare tutto ciò e dare delle risposte professionali è necessario
che l'infermiere sia a conoscenza della patologia del paziente in
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questione, del tipo di protocollo terapeutico stabilito dal medico,
degli effetti collaterali dei farmaci, del tipo di follow-up previsto
una volta finito il ciclo di terapia. Senza queste conoscenze di
base è molto difficile affrontare una conversazione con un
paziente oncologico che ha bisogno di continue conferme e
rassicurazioni, che spesso cercherà in tutti i membri dell' equipe.
Se non si vogliono creare delle ulteriori ansie, tutti i membri
dell’equipe assistenziale dovranno dare delle risposte basate su
evidenze scientifiche, in modo tale che ad ogni domanda posta
dal paziente, la risposta sarà sovrapponibile anche se data da
persone diverse.
LA CHEMIOTERAPIA
La chemioterapia si avvale dell'uso di farmaci in grado di
eradicare buona parte di cellule tumorali distruggendo anche le
metastasi, con minimo danno alle cellule sane. I meccanismi
d'azione dei chemioterapici sono:
• inibizione della biosintesi del DNA, del RNA e delle
proteine;
• inibizione della replicazione, trascrizione e traslocazione
del materiale genetico;
• inibizione della mitosi.
Anche se l'obiettivo della chemioterapia è prettamente quello di
distruggere le cellule tumorali, è inevitabile che vengano colpite
anche alcune cellule sane, quelle che subiranno di più l’azione
lesiva di questi farmaci sono tutte le cellule che si riproducono
velocemente come quelle dei bulbi piliferi, della mucosa
gastrointestinale, del midollo osseo, delle gonadi. Di
conseguenza compaiono come effetti collaterali, alopecia,
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disturbi dell’appetito, nausea e/o vomito, diarrea o stipsi,
mucositi, depressione midollare, sterilità.
Gli effetti tossici o collaterali della chemioterapia possono essere
suddivisi in:
1)comuni, come: l'alopecia (comparsa dopo 20 giorni), i disturbi
dell'appetito (comparsa dopo ore o giorni). la depressione
midollare (comparsa tra i 7 ed i 14 giorni), la mucosite (comparsa
tra i 7 ed i 14 giorni);
2)specifici, come: la cistite emorragica (da ciclofosfamide ad alte
dosi, ifosfamide), la cardiotossicità (da antracicline), la
nefrotossicità (da cisplatino e methotrexate), la tossicità
polmonare (da bleomicina), la neurotossicità (da cisplatino,
taxolo, vincristina, vinorelbina, oxaliplatino), la congiuntivite (da
ciclofosfamide, fluorouracile)
3)immediati, come: la nausea o il vomito. Sono effetti reversibili,
dovuti alle caratteristiche chimico-fisiche dei farmaci;
4)precoci, come: l'anemia, la trombocitopenia, la leucopenia,
l'alopecia, ecc. Sono anche questi effetti reversibili legati alle
proprietà citotossiche e citostatiche dei farmaci;
5)tardivi, come: l'azoospermia, l'amenorrea, la teratogenesi, la
fibrosi epatica, le miocardiopatie, l'induzione a tumori secondari,
ecc. sono effetti irreversibili legati all'azione antiproliferativa dei
farmaci, che possono manifestarsi dopo periodi più o meno
lunghi dalla somministrazione del farmaco;
6)locali, come: la flebite, la sclerosi venosa, le ulcere e le necrosi
dei tessuti circostanti la zona di stravaso.
Nella gestione degli effetti collaterali da farmaci antiblastici è
fondamentale conoscere la probabilità di avere una risposta
tossica, in modo da poter intervenire con un approccio
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sistematico incentrato su una continua valutazione del paziente,
prima, durante e dopo il trattamento, infine, raccogliere e
registrare le informazioni ottenute per poterle usufruire durante i
trattamenti successivi.
Un fattore determinante per la riuscita del trattamento
chemioterapico è quello legato alle caratteristiche del farmaco
stesso:
• caratteristiche farmacocinetiche: durata ed intensità di
esposizione del tumore al farmaco, conseguente alla: dose,
via di somministrazione, distribuzione, metabolismo e
eliminazione del farmaco stesso;
• caratteristiche farmacodinamiche: “che cosa il farmaco fa"
all'organismo, ciò permette al clinico di ottimizzare i
trattamenti individuando le modalità di somministrazione e
i dosaggi ottimali atti a controllare la crescita neoplastica;
• caratteristiche di farmaco-resistenza: resistenza del tumore
nei confronti del farmaco, nel senso che il tumore può
essere aggredito farmacologicamente con una temporanea
remissione completa della neoplasia, ma, in caso di
recidiva, se trattato una seconda volta con lo stesso
farmaco spesso non vi sarà alcuna risposta.
La chemioterapia, in base al momento clinico in cui viene
applicata, può essere distinta in:
• neoadiuvante è quella che viene fatta prima dell'intervento
chirurgico generalmente per ridurre la massa tumorale ed
eliminare le micrometastasi;.
• primaria è quella che viene fatta quando il tumore può
essere trattato solo farmacologicamente;
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• adiuvante è quella che viene fatta dopo l'intervento
chirurgico;
• palliativa è quella che viene fatta dopo una ripresa della
malattia e/o presenza di metastasi.
EFFETTI COLLATERALI DELLA CHEMIOTERAPIA
I più frequenti effetti collaterali della chemioterapia sono:
1)L’alopecia, rappresenta un effetto collaterale dal forte impatto
psicologico per il paziente, ma di nessuna rilevanza medica
importante. Il paziente sottoposto a chemioterapia con farmaci
alopecizzanti (ciclofosfamide, etoposide, adriamicina, ecc.) è
generalmente soggetto ad ansia e paura per il rischio della perdita
dei capelli e dei peli, a cui consegue un’alterazione della propria
immagine corporea. La caduta dei capelli è comunque, sempre
reversibile ed è legata al fatto che capelli e peli sono formati da
cellule ad elevata attività mitotica, per cui facile bersaglio di
alcuni antiblastici.
Il modo migliore per affrontare questo problema e quello di
informare il paziente circa il meccanismo che causa l'alopecia;
informarlo dei tempi della possibile comparsa, della sua entità e
della sua reversibilità; spiegargli la possibilità di variazione
dell'aspetto e del colore della capigliatura al momento della
ricrescita; consigliargli l'uso di parrucche, foulard e copricapo per
attenuare eventuale disagio; l'uso di shampoo delicato e spazzole
morbide al momento della ricrescita.
2)I disturbi dell' appetito sono conseguenti alla somministrazione
di farmaci antiblastici e si manifestano con la diminuzione
dell'appetito più o meno accompagnato da senso di sazietà
precoce, e dall'alterazione del gusto, che può influire sull'appetito
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e sulla dieta; in entrambi i casi vanno suggerite al paziente alcune
procedure utili a diminuire queste spiacevoli inconvenienze. In
particolare si dovrà consigliare al paziente di:
• curare in modo particolare l'igiene orale
• aumentare la quantità di spezie e condimenti nei cibi
• aumentare il consumo di caramelle
• consumare pollo, pesce e formaggi in alternativa alla carne
rossa
• sconsigliare al paziente di prepararsi da solo i pasti
• impiegare cibi freddi se gli odori costituiscono un
problema
• marinare la carne e il pollo con aromi e spezie per
mascherarne il sapore
• evitare cibi insipidi
• individuare le modificazioni giornaliere dell' appetito in
modo da affrontare il problema della nutrizione e della
dieta negli orari più appropriati.
E' comunque di fondamentale importanza affrontare il problema
nutrizionale e dietologico come parte integrante del programma
di assistenza del paziente oncologico.
3)La nausea e il vomito, rappresentano gli effetti collaterali più
frequenti legati al trattamento chemioterapico con farmaci
antiblastici, infatti colpisce più dell'80% dei pazienti trattati.
Questi fenomeni sono favoriti da alcuni fattori quali il dosaggio
del farmaco, la via di somministrazione, la diluizione, l'uso e il
tipo di antiemetici, e lo stress.
La nausea è una sensazione spiacevole associata a sintomi fisici
quali pallore, sudorazione, vertigini, avversione al cibo, mentre il
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vomito è l'espulsione forzata attraverso la bocca e/o il naso del
contenuto gastrico. In genere è preceduto da sudorazione, pallore,
variazione di frequenza cardiaca, vertigini, sensazione di vuoto
alla testa e modificazione del respiro.
Dal punto di vista clinico i fenomeni emetici si presentano
secondo tre modalità di esordio:
a) acuto si manifesta entro 24 ore dal trattamento, con un picco di
insorgenza intorno alla 5 - 6 ora; facilmente controllabile con la
somministrazione di antiemetici;
b) ritardato si manifesta dopo le prime 24 ore dal trattamento,
con un picco d'insorgenza intorno al terzo giorno, ed è più
difficile da controllare farmacologicamente;
c) anticipatorio si manifesta prima della somministrazione della
chemioterapia e trova la sua causa nella predisposizione
psicologica del paziente che ha subito un'esperienza negativa nel
controllo dell'emesi in trattamenti precedenti.
I pazienti affetti da nausea e dal vomito vengono trattati con
terapia farmacologica stabilita dal medico (e supportata
dall’infermiere), sulla valutazione del potenziale emetizzante dei
farmaci antiblastici utilizzati, sui tempi di insorgenza e sulla
durata dell’episodio emetico, allo scopo di garantire al paziente
un'adeguata copertura temporale della remissione dei sintomi in
base all’utilizzo di tutti i farmaci a disposizione compresi gli
steroidi (che possono potenziare l'azione degli antiemetici), e gli
ansiolitici.
Oltre al trattamento farmacologico vi sono una serie di norme
generali e suggerimenti che l'infermiere può dare al paziente per
alleviare i fenomeni emetici:
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• informarlo sugli effetti emetizzanti del trattamento e sui
farmaci utili per ridurlo
• consigliarlo di alimentarsi poco e spesso in presenza di
nausea
• suggerirgli di sciacquarsi spesso la bocca per evitare
secchezza delle fauci e di assumere liquidi in quantità
ridotta durante i fenomeni emetici
• raccomandargli di stare in piedi almeno un'ora dopo i pasti
e di concedersi distrazioni come la lettura o l'ascolto della
musica o fare quello che più gli piace
• nel caso di nausea e vomito anticipatori, consigliarlo di
eseguire tecniche di rilassamento che lo aiuteranno a
prevenire questo fenomeno
• favorire comunque e sempre risposte concrete ai quesiti
esposti dal paziente in modo da ridurre l’ansia
4)Mucositi: per mucosite si intende l’infiammazione delle
mucose, si presentano sotto varie forme a seconda della mucosa
interessata (stomatite, esofagite, cistite, congiuntivite, ecc.). Ci
occuperemo delle stomatiti e delle esofagiti, perché si
manifestano più frequentemente in caso di somministrazione di
5FU, methotrexate e doxorubicina.
L'assistenza infermieristico, in questo caso si basa principalmente
sulla prevenzione, attraverso:
• il controllo quotidiano del cavo orale
• la segnalazione al medico di ogni minimo arrossamento
• la richiesta di collaborazione da parte del paziente affinché
segnali l'insorgenza di bruciori
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• l'istruzione del paziente ad una corretta igiene del cavo
orale (spazzolini morbidi, sciacqui con bicarbonato di
sodio o colluttori)
• la pulizia delle protesi dentarie, in quanto i portatori vanno
incontro con maggiore frequenza a stomatiti
• l'astensione dal fumo e dall'alcool
Nel caso di disturbi leggeri l'applicazione di ghiaccio, il
consumo di gelati e/o bevande fredde possono dare sollievo;
mentre in caso di stomatite severa si dovrà consigliare: una
corretta dieta evitando cibi troppo caldi, consumando frullati,
integratori e assumendo liquidi abbondante, o intervenire con
l'impiego, su indicazione del medico, di anestetici o antimicotici
locali e, nei casi più severi, di antimicotici per via sistemica.
5)Diarrea e stipsi, sono fenomeni frequenti, dovuti al fatto che la
mucosa intestinale essendo costituita da cellule in attiva
proliferazione sono molto sensibili all'azione citotossica dei
chemioterapici.
La diarrea è provocata specie dall’uso di: 5FU, methotrexate,
actinomicina, irinotecan, nitrosuree. A questo si aggiunge la
sovrapposizione di infezioni e l’alterazione della dieta che vanno
ad aggravare la situazione. Anche se la diarrea può diventare
pericolosa per i fenomeni di disidratazione ad essa legati
(soprattutto negli anziani e nei soggetti debilitati), è comunque
generalmente risolvibile con un'adeguata terapia medica e
l'applicazione di alcuni accorgimenti che richiedono l'intervento
dell’infermiere:
• avvisare i pazienti sulla necessità di segnalare l'insorgenza
di diarrea
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• individuare precocemente i problemi relativi a alla diarrea:
disidratazione, squilibri idroelettrolitici, astenia e calo
ponderale
• modificare la dieta, evitando cibi irritanti per l'intestino
• consigliare al paziente pasti piccoli e frequenti, e
l’assunzione di liquidi ricchi di elettroliti
• applicare localmente anestetici, nel caso di irritazioni anali
• impiegare farmaci antidiarroici.
La stipsi è dovuta ad una diminuzione della frequenza della
peristalsi intestinale con conseguente difficoltà di fuoriuscita
delle feci che diventano dure e secche. Questo effetto può essere
legato ad una scarsa dieta liquida e attività motoria, alla stessa
patologia tumorale (se localizzata all'intestino), al concomitante
uso di farmaci antiemetici ed analgesici.
L'intervento infermieristico si fonda sull'applicazione di alcune
semplici norme igienico-sanitarie:
• l'assunzione di una dieta ad elevato contenuto di fibre e di
un’adeguata quantità di liquidi
• la non sottovalutazione dello stimolo alla defecazione
• lo svolgimento di un'attività fisica quotidiana
• l'impiego di agenti emollienti o di blandi lassativi
(preferibilmente derivati dalla senna).
6)Mielodepressione, anche i progenitori delle cellule ematiche
sono elementi in continua proliferazione, quindi molto sensibili
all'azione citotossica degli antiblastici come: carboplatino,
cisplatino, oxaliplatino. L'entità dell'effetto mielotossico è legato
al tipo di farmaco utilizzato, al dosaggio, alla tollerabilità
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individuale, alla concomitante radioterapia e ad eventuali
trattamenti precedenti.
In generale la mielodepressione è caratterizzata dalla
diminuzione dei valori assoluti dei leucociti (leucopenia GB <
3500/mm3), eritrociti (anemia GR < 4.000.000/mm3), piastrine
(piastrinopenia PLTS < 150.000/mm3).
Per quanto riguarda la leucopenia, in particolare la neutropenia, è
caratterizzata da una diminuzione del numero di granulociti
neutrofili, quest’ultima si definisce severa quando il numero dei
neutrofili è < 500/mm3 , in questi casi possono facilmente
comparire febbre, mucositi, infezioni delle vie respiratorie,
urinarie ed enterocoliti. La presenza di febbre alta può rendere
necessario il ricovero in ospedale per il trattamento con
antibiotici e con fattori di crescita che stimolano le cellule
staminali midollari a produrre nuovi leucociti.
In tale situazione l'infermiere deve salvaguardare l'integrità delle
barriere di difesa dell' organismo:
• evitando, se possibile, procedure diagnostico-terapeutiche
invasive (es. cateterismo vescicale)
• controllando la sede di inserzione degli accessi venosi
periferici
• usando tecniche asettiche nella gestione dei dispositivi
venosi centrali (CVC o port)
• mantenendo l'integrità delle mucose e della cute
• consigliando al paziente tutte le procedure igieniche atte a
prevenire infezioni e contagi
L'infermiere deve anche saper ridurre le potenziali cause
ambientali di infezione:
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• lavandosi accuratamente le mani prima e dopo ogni
contatto con il malato
• assicurandosi che tutta l'attrezzatura sanitaria che viene a
contatto con il malato sia lavata e disinfettata
• evitando fiori e piante nella stanza del paziente
• sconsigliando l'uso di saponette che possono rappresentare
un ottimo terreno di coltura per gli agenti infettivi
• tenendo i pazienti ricoverati in stanze di isolamento in
modo da evitare il contatto con persone recentemente
vaccinate o con bambini
• consigliando al paziente una dieta a bassa carica batterica,
usando solo cibi cotti ed escludendo frutta e verdura cruda
• applicando l'eventuale profilassi antibiotica.
L’anemia è caratterizzata dal calo del numero dei globuli rossi,
dell'ematocrito e dell'emoglobina (GR < 3.500.000/mm3; Hb
< 10g/dl; HTC < 30%); la sua sintomatologia è condizionata
dalla rapidità con cui si instaura; in genere nell' anemia indotta
dalla chemioterapia c'è un calo graduale dell' emoglobina e dell'
ematocrito, spesso con una sintomatologia minima o assente. In
presenza di anemia moderata e severa il paziente lamenterà
dispnea, pallore, sudorazione, astenia, tachicardia.
Oltre agli esami clinici una prima valutazione dello stato anemico
potrà essere fatta anche dall'infermiere controllando le mucose, la
cute e il letto ungueale. Accertato lo stato anemico, l'intervento
infermieristico consiste essenzialmente nel:
• favorire il riposo per facilitare il risparmio di energie
• consigliare un'alimentazione ricca di carni rosse, fegato e
verdure ricche di ferro
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• somministrare eritropoietina e, nei casi più gravi (Hb
< 8g/dl) infondere emazie concentrate secondo prescrizione
medica
Per quanto riguarda la piastrinopenia essa consiste nella
riduzione del numero delle piastrine < 100.000/mm3 (<
20.000/mm3 vi è un elevato rischio di sanguinamento). La
prevenzione in questo caso si attua:
• valutando eventuale comparsa di ecchimosi, petecchie
• evitando, ove possibile, le procedure invasive e l’uso di
farmaci che interferiscano con la funzionalità piastrinica e
l'emostasi
• utilizzando aghi sottili per la venopuntura e riducendo il
tempo di applicazione del laccio emostatico
• esercitando una pressione locale di almeno 5 minuti nella
sede di un eventuale prelievo o iniezione
• consigliando al paziente di evitare traumatismi da sport, da
vita quotidiana e dall’uso di effetti personali (spazzolini da
denti, rasoi, ecc.)
7)Lo stravaso, è un altro effetto collaterale indesiderato; si
verifica in seguito alla fuoriuscita del farmaco, in corso di
somministrazione parenterale di chemioterapici, dal lume vasale
nei tessuti perivascolari. Le sue conseguenze sono definite da una
serie di variabili quali: la sede, il tipo di farmaco, la sua
concentrazione e la tempestività d'intervento.
Lo stravaso può provocare seri danni funzionali ed estetici,
alcune volte con conseguenze irreversibili tanto da costituire un
problema medico-legale; per cui il Ministero della Sanità col
D.L. 18 febbraio 1999 limita l'utilizzo degli antiblastici iniettabili
all'interno degli Ospedali e afferma “sono anche frequenti i rischi
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di lesioni necrotico-ulcerative dei tessuti molli nella sede di
iniezione in seguito a stravaso del farmaco”.
Lo stravaso di farmaci antiblastici è un'emergenza che chiunque
li somministri può trovarsi ad affrontare, è quindi fondamentale
che gli addetti a tale compito abbiano adeguate conoscenze
riguardo la tossicità locale degli stessi, in modo da poter attuare
tempestivamente interventi idonei a prevenire o attenuare i danni
conseguenti a questa evenienza.
Il personale infermieristico è responsabile dello stravaso quando
non sa riconoscere i segni e i sintomi che lo identificano, perché
inesperto, e quindi non li documenta perché li sottostima; infatti
per valutare correttamente l'entità dello stravaso ci si affida ad
alcuni parametri generali: dolore, rossore, gonfiore, ritorno
venoso.
I farmaci chemioterapici antiblastici, in base alla loro natura e al
loro meccanismo d'azione, si possono suddividere in: inerti
(methotrexate, ciclofosfamide) non sono né irritanti né
vescicanti; irritanti (irinotecan, cisplatino) che possono causare
sofferenza venosa con o senza reazione flogistica cutanea, edema
ma senza nessun danno tissutale; vescicanti (mitomicina,
antraciclina) che provocano danno tissutale con formazione di
bolle o vesciche e ulcere necrotiche irreversibili. Studi clinici
hanno dimostrato, però, che farmaci ritenuti non vescicanti,
quali il 5FU, cisplatino, carboplatino, ifosfamide, hanno
provocato gravi danni locali da stravaso.
In seguito ad uno stravaso venoso si possono avere varie
reazioni, come ad esempio l’eritema con possibile formazione di
papule; queste possono evolvere in noduli o pustole suppurative;
e, infine, in ulcerazioni necrotiche.
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Il trattamento standard in caso di stravaso comprende una serie di
manovre che possono essere attuate dall'infermiere senza il
consulto medico e altre che prevedono, invece, la supervisione
del medico. Infatti, qualora si abbia il dubbio che sia avvenuto
uno stravaso si procede con le seguenti azioni:
• interrompere la somministrazione del farmaco in corso
senza rimuovere l’ago;
• tentare di aspirare qualche millilitro di sangue per
rimuovere la maggiore quantità possibile di farmaco;
• rimuovere l'ago e sollevare l'arto per favorire il deflusso
venoso;
• utilizzare l’antidoto adatto e praticare impacchi caldi o
freddi a seconda le indicazioni riportate sul prodotto;
• non comprimere o frizionare la cute;
• circoscrivere la zona con penna termografica per tenerla
sotto osservazione per almeno 1 o 2 settimane;
• se necessario chiedere un consulto del dermatologo o del
chirurgo.
L'utilizzo di FANS (per controllare il dolore e la reazione
infiammatoria) e di antibiotici specifici rientra in quella seconda
parte di manovre dove è necessaria la presenza del medico e la
sua prescrizione.
MANIPOLAZIONE IN SICUREZZA DEI FARMACI
ANTIPROLIFERATIVI
Nell'ultima decade i farmaci antiproliferativi hanno trovato una
più ampia applicazione per l’aumento dell’incidenza delle
neoplasie e per il successo ottenuto dai trattamenti farmacologici,
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grazie anche all’uso di nuove vie di somministrazione
(endocavitaria, loco-regionale, intra-arteriosa).
La necessità di somministrare i chemioterapici ai pazienti affetti
da tumore richiede, sul piano operativo, un' attività complessa
(approvvigionamento, preparazione, trasporto, somministrazione,
smaltimento) che impegna il personale sanitario (tecnici,
infermieri, farmacisti, medici) in numero variabile e per tempi
diversi in rapporto alle singole esigenze terapeutiche.
In un reparto oncologico, ciò che compete all’infermiere per
quello che riguarda l’utilizzo dei farmaci antiblastici è la loro
conservazione, preparazione e somministrazione adottando i
dispositivi di protezione individuali (D.P.I.) e le procedure di
sicurezza in modo da ridurre al minimo il rischio di esposizione
professionale e ambientale, visto che questi farmaci sono
altamente cancerogeni, mutogeni e teratogeni.
A questo scopo la Commissione Oncologica Nazionale ha
deliberato per formulare linee-guida per la prevenzione del
rischio e la manipolazione in sicurezza di questi farmaci, nonché
di fornire idonee indicazioni di formazione/informazione per le
categorie professionalmente esposte.
Nelle linee-guida del 1999, il Ministero della Sanità raccomanda
che ogni centro (ospedale, istituti universitari o a carattere
scientifico) che utilizza farmaci antiproliferativi istituisca una
specifica “Unità Farmaci Antitumorali” (UFA) centralizzata,
isolata, chiusa, protetta e segnalata; con adeguati locali da adibire
alla conservazione, manipolazione e preparazione dei farmaci e
con personale specificamente formato.
La messa a punto di metodiche molto sensibili ha permesso di
rilevare che la contaminazione dell'ambiente e dell'operatore, da
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parte di questi farmaci, anche in condizioni di buona protezione
individuale ed ambientale appare possibile come conseguenza di
errori nella manipolazione.
Infatti, la manipolazione di tali farmaci dalla loro consegna, da
parte dell'azienda produttrice, fino allo smaltimento dei rifiuti,
comporta una serie di procedure che, se non eseguite
correttamente in sicurezza, possono divenire occasione di
contaminazione. Le confezioni di farmaci danneggiate durante il
trasporto, la preparazione dei flaconi contenenti il farmaco
liofilizzato, la diluizione, l’apertura delle fiale, il riempimento
delle siringhe, il trasferimento in sacche, l’espulsione dell' aria
dalle siringhe, costituiscono un rischio di esposizione e di
contaminazione diretta con vapori e/o con gocce di liquido; come
pure la pulizia quotidiana della cappa, la somministrazione dei
farmaci e lo smaltimento dei residui degli stessi possono essere
causa di contaminazione.
Accertato che la contaminazione è comunque possibile ed
imprevedibile, in tutte le UFA dovrebbe essere presente un
protocollo di pronto intervento e un kit per l'emergenza
contaminazione, dotato di tutti i mezzi idonei all’evenienza e
delle relative istruzioni di impiego per far fronte all’emergenza
stessa.
Va comunque ricordato che in caso di contaminazione bisogna:
togliere subito gli indumenti contaminati e lavare la zona
interessata con acqua e sapone; avvertire sempre il medico
competente che consiglierà quale antidoto usare; riferire
l’accaduto al Responsabile del Servizio di Prevenzione e
Protezione (R.S.P.P.) e alla Direzione Sanitaria.
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LE CURE PALLIATIVE
In base ai dati della letteratura e all’esperienza si può calcolare
che il 70% circa dei pazienti che muoiono per neoplasia abbia la
necessità di cure palliative, soprattutto nella fase terminale.
La “medicina palliativa” è un termine coniato in Gran Bretagna
nel 1987, ed indica lo studio e la gestione dei pazienti con
malattia attiva in progressione avanzatissima per i quali la
prognosi è limitata all’obiettivo della cura e della qualità di vita.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le cure
palliative come: La cura o meglio l’assistenza (care) attiva,
globale di quei pazienti la cui malattia non risponde più ai
trattamenti curativi.
Le cure palliative hanno come scopo:
• affermare il valore della vita, considerando la morte come
evento naturale;
• non incidere temporalmente sull’esistenza del paziente;
• provvedere al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi;
• integrare gli aspetti psicologici, sociali e spirituali
dell’assistenza;
• offrire un sistema di supporto per aiutare: il paziente a
vivere il più normalmente possibile fino alla morte, e la
famiglia a convivere con la malattia e poi con il lutto;
Le cure palliative, possono essere adottate anche nel corso della
malattia in concomitanza con i trattamenti antiblastici, perché
mirano a far vivere i malati terminali nel miglior modo possibile,
compatibilmente con la loro patologia e di farli morire con
dignità, facendoli rimanere a casa con i loro famigliari sfruttando
l’assistenza domiciliare, o di godere di ambienti idonei alle
proprie esigenze, quali: reparti oncologici ospedalieri, DH
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oncologici e Hospice, dove possono ricevere le cure più
appropriate.
DIPARTIMENTO ONCOLOGICO
L’assistenza oncologica deve avere un’azione propositiva oltre
che essere in linea con le indicazioni del Piano Sanitario
Nazionale e Regionale che tende a costruire una rete di attività
funzionalmente integrate e, a collegare i servizi ospedalieri con
quelli territoriali e domiciliari attraverso la costituzione del
Dipartimento Oncologico.
Di questo, l’ospedale oltre che interessarsi del ricovero e
dell’assistenza pre, intra e post-operatoria del paziente
oncologico, contribuisce anche alla cura dei malati neoplastici
gravi formalizzando procedure di accesso facilitato alle
prestazioni in regime di ricovero e DH, nonché di consulenza
specialistica, a carattere diagnostico o trattamentale a scopo
palliativo, per tutti gli assistiti in regime domiciliare o di ricovero
in hospice.
Le prestazioni di ricovero in regime ordinario o di DH possono
essere richieste dal medico esperto di cure palliative e, nel caso
in cui l’assistenza sia fornita in regime di Assistenza Domiciliare
Integrata (ADI), anche dal Medico di Medicina Generale,
comunque previa valutazione in Unità Operativa Dipartimentale
(U.O.D.).
Da tener presente che il ricovero, comunque si configura,
rappresenta per il malato, la famiglia e l’istituzione sempre un
momento di crisi:
• Per il malato la preoccupazione per la malattia, la
dipendenza dal personale ospedaliere, l’obbligo di adattarsi
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a ritmi che gli sembrano assurdi, l’isolamento dal proprio
ambiente familiare e sociale.
• Per la famiglia il senso di colpa e di sconfitta di fronte all’
incapacità di curare il proprio congiunto, e ai cambiamenti
dei ruoli e delle abitudini.
• Per le istituzioni le procedure di ammissione, l’incertezza
sulle competenze, gli esami di routine, il posto letto che
più volentieri viene assegnato al paziente guaribile.
Comunque il ricovero in ospedale è: corretto, se rappresenta la
soluzione di un problema acuto o serve almeno a migliorare la
qualità di vita del paziente; scorretto, se è richiesto per problemi
che possono essere risolti da una adeguata assistenza domiciliare,
in regime di DH o residenziale.
ASSISTENZA ONCOLOGICA DOMICILIARE
I pazienti oncologici in fase terminale esprimono quasi sempre il
desiderio di trascorrere gli ultimi giorni della propria vita a casa
fra le comodità e la sicurezza domestica e in compagnia dei
propri familiari; per questo, negli ultimi tempi, si sta diffondendo
l’abitudine di assistere i pazienti oncologici al proprio domicilio
anche perché questo sembra provocare, in loro, un minor livello
di ansia, di dolore e di depressione. Inoltre, esperienze di altri
paesi hanno dimostrato che i malati oncologici in fase terminale
possono essere seguiti a domicilio fino al decesso, con notevole
miglioramento della qualità di vita purché venga garantita loro
una adeguata assistenza e alla famiglia un adeguato supporto.
Il Ministro della Sanità con la Gazzetta Ufficiale del 01/06/1996,
ha definito le linee guida per le cure domiciliari nel paziente
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oncologico ponendo come obiettivo principale e come valore
assoluto “la qualità della vita”.
Per poter realizzare l’assistenza domiciliare in modo concreto è
necessario:
• il consenso da parte del paziente
• adeguate caratteristiche igienico, sanitarie e tecnologiche
dell’abitazione
• un grado adeguato di accettazione da parte della famiglia
• un’equipe multidisciplinare che lavora in sinergia
• un’accurata istruzione del paziente e della famiglia per
l’utilizzo e la cura dei vari presidi
• enfatizzare l’igiene e la disinfezione come misure di
profilassi per le infezioni
• spiegare al paziente e ai famigliari i sintomi di eventuali
complicanze, in modo da poterle distinguere per trattarle
• dare ai familiari dei recapiti per poter contattare il medico
o l’infermiere in caso di necessità.
Comunque il personale sanitario è tenuto ad eseguire controlli
periodici in base ad un programma di follow-up che prevede un
calendario di visite a seconda del tipo di assistenza domiciliare
che il paziente ha bisogno:
1)Assistenza domiciliare programmata (ADP), deve essere
strutturata in modo tale da fornire il minimo livello assistenziale
da parte del medico di medicina generale con almeno una visita
programmata a settimana. Inoltre viene garantito il servizio di
guardia medica nelle ore scoperte dal medico di base.
2)Assistenza domiciliare integrata (ADI), prevede una
necessaria integrazione tra il medico di medicina generale, le
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strutture sanitarie distrettuali e le Unità Operative per le cure
Palliative (UOCP) in modo da garantire un intervento
continuativo. Il medico di medicina generale dovrà fornire almeno
due visite domiciliari settimanali e un’assistenza diurna. Durante
le fasce orarie non coperte dal medico di medicina generale, il
servizio di guardia medica si prenderà carico dell’assistenza.
L’integrazione con le UOCP prevede visite domiciliari da parte
del medico e dell’infermiere una volta ogni quindici giorni.
3)Assistenza continuativa palliativa domiciliare, è una modalità
di assistenza con la quale la gestione del paziente è affidata al
responsabile della UOCP che può collaborare con il medico di
medicina generale. La continuità delle cure deve essere garantita
24 ore su 24 per 365 giorni l’anno (per questo ospedalizzazione
domiciliare); devono anche essere garantite almeno tre visite
specialistiche e quattro visite infermieristiche settimanali.
Nei tre casi l’attività deve essere necessariamente integrata
con quella infermieristica; perché, l’infermiere, rappresenta
l’anello di congiunzione tra il paziente, la famiglia e il medico; e
tra quest’ultimo e la struttura.
Tuttavia per poter realizzare una assistenza domiciliare
continuativa è necessario che la famiglia, che rappresenta il
mezzo attraverso cui essa si concretizza, sia sufficientemente
preparata a svolgere un compito che si presenta assai difficile; per
cui l’equipe prende in carico non solo il malato, ma tutto il
contesto familiare con i suoi bisogni e le sue ansie, rendendosi
conto che non è sempre il malato ad avere bisogno di un maggior
sostegno pisicologico.
Infatti le difficoltà di una famiglia di fronte a un malato terminale
nascono dall’impatto con una situazione straordinaria che impone
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aspetti nuovi da capire e da gestire, che portano ad uno
sconvolgimento della routine quotidiana e all’alterazione delle
loro abitudini (saltano i riposi, le ferie, non si hanno più orari); a
tutto ciò va aggiunto il clima di sofferenza psicoaffettiva in cui è
costretta a muoversi. Infatti, non dobbiamo dimenticare che la
malattia oncologica è un evento che apre una crisi nel sistema
familiare alterando le normali dinamiche e relazioni parentali. Le
risorse, le modalità di funzionamento, la forza e la coesione del
sistema familiare vengono messe a dura prova.
Il modo con cui una famiglia reagisce e si confronta con lo stress
intrapersonale ed interpersonale dipende dalle precedenti
dinamiche familiari e dalla capacità dell’equipe di offrire un reale
sostegno e contenimento dei sentimenti evocati e messi a nudo
dalla malattia e dall’assistenza domiciliare continuativa.
Nel corso dell’assistenza domiciliare, la famiglia e l’equipe
rappresentano due poli che nel momento in cui vengono a
contatto devono continuamente ridefinire il proprio ruolo durante
tutto l’iter assistenziale. Il tutto ruota intorno al malato terminale
che si trova ad affrontare la crisi più grande e più importante
della sua vita, quella di sentire la vicinanza della morte e il
precipitare delle proprie condizioni fisiche.
Bisogna ricordare che ci sono alcuni fattori sfavorevoli alla scelta
dell’assistenza domiciliare, infatti possono esistere difficoltà nel
fronteggiare situazioni di emergenza, la casa non è provvista di
tecnologie igienico-sanitarie adatte, spesso si può verificare una
carenza dei controlli da parte dell’equipe multidisciplinare di
assistenza (medico di base, infermiere, fisioterapista, assistente
sociale, specialisti, ecc.), ecc..
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DAY HOSPITAL ONCOLOGICO
Negli ultimi anni, la tendenza delle Aziende Sanitarie è stata
quella di potenziare i ricoveri in DH per i pazienti oncologici,
specie quelli che debbano essere sottoposti a trattamento
chemioterapico e quelli che si trovano nella fase terminale della
malattia, in modo da ridurre i ricoveri nel reparto di oncologia
solo per quei pazienti particolarmente critici o in caso di
somministrazioni di farmaci altamente tossici che necessitano di
un monitoraggio continuo.
Se consideriamo principi: la qualità di vita, l'abbattimento dei
costi, la possibilità di curare più persone fornendo comunque un
servizio di alto livello, possiamo capire meglio perché sia più
opportuno somministrare un ciclo di chemioterapia in regime di
DH, piuttosto che in regime di ricovero ordinario. Trattandosi di
terapie che, generalmente, prevedono una durata di poche ore a
somministrazione, ma che si prolungano nel tempo (un ciclo può
prolungarsi dalle 6 settimane ai 6 mesi), risulta evidente il
disagio che si creerebbe al malato e ai suoi familiari nel dover
affrontare un ricovero di tre giorni per ogni seduta (per il DRG il
ricovero minimo è di 3 giorni) che deve essere ripetuta ogni 7-
15-21 giorni a seconda del protocollo terapeutico.
Per il ricovero in regime di DH, il paziente dopo la diagnosi di
neoplasia può:
1)essere sottoposto ad intervento chirurgico e fare la "prima
visita" oncologica presso il DH, con il referto dell'esame
istologico e tutta la documentazione in suo possesso. In questa
fase l'oncologo decide se è necessaria la chemioterapia; in caso
affermativo stabilirà il protocollo adeguato in base al tipo di
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tumore, allo stadio, al grado di replicazione, all'età del paziente e
alle sue condizioni fisiche;
2)essere sottoposto subito a "prima visita" oncologica presso il
DH perché la neoplasia è: a) inoperabile per stadio avanzato,
metastasi, patologie concomitanti e quindi il paziente ha solo
bisogno di cure palliative; b)operabile, ma bisogna ridurre la
massa trattandola prima con la chemioterapia o con trattamenti
combinati di chemio e radioterapia; c)si tratta di tumore che
risponde bene alla chemioterapia (linfomi, mielomi).
Da tener presente, però, che l'ultima scelta spetta comunque al
paziente, che è libero di curarsi o meno in base alle informazioni
ricevute.
Dopo la "prima visita", se il paziente accetta di essere sottoposto
al trattamento chemioterapico o ha bisogno di cure palliative,
verrà indirizzato agli infermieri che si occuperanno della
programmazione della terapia, previo posizionamento del CVC
o del sistema port (quando il protocollo terapeutico preveda
somministrazioni prolungate, nel caso di farmaci necrotizzanti, in
pazienti con vene periferiche compromesse.
L'infermiere dovrà spiegare al paziente e ai suoi accompagnatori
il funzionamento del DH, gli orari, le regole da rispettare (che
non dovrebbero essere infrante, se si vuole mantenere un buon
funzionamento della struttura), come sarà la giornata del paziente
che viene sottoposto a chemioterapia o cure palliative, i tempi, e
se è necessario il digiuno e perché và osservato; accertarsi che
abbia firmato il consenso informato e verificare che le
informazioni ricevute dal medico siano state effettivamente
recepite. Alla fine spiegare al paziente che una volta completata
la terapia potrà tornare a casa.
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I CENTRI RESIDENZIALI PER LE CURE PALLIATIVE
(GLI HOSPICE)
Il termine hospice deriva dal nome di una istituzione molto
diffusa in Europa nel periodo medievale e indicava luoghi di
accoglienza gestiti da ordini religiosi, nei quali il pellegrino
riceveva asilo, protezione e cure. Dagli inizi degli anni sessanta
si sono sviluppate, dapprima in Gran Bretagna e poi in altre parti
del mondo, iniziative che comprendono servizi di assistenza
continua per malati di cancro in fase avanzata tramite ricoveri in
hospice. Attualmente si definisce hospice il centro residenziale
per le cure palliative, una struttura con completa autonomia
strutturale e funzionale che prende in carico i malati di cancro
inguaribili o in fase avanzata che necessitano di protezione,
assistenza sanitaria e/o sociale temporanea o permanente.
Il ricovero, in questo tipo di struttura, mira a fornire
un’assistenza specialistica per le cure palliative e, nel contempo,
a offrire un ambiente confortevole al paziente e alla famiglia.
Le principali funzioni dell’hospice sono:
• ricovero per i pazienti per i quali non sussistano le
condizioni necessarie all’assistenza domiciliare
• supporto alle famiglie per alleviare lo stress conseguente al
prendersi in cura il proprio congiunto
• attività assistenziale di tipo diurno
• valutazione e monitoraggio delle cure palliative inefficaci
in regime domiciliare.
Queste possono essere garantite attraverso:
• hospice extra-ospedaliero, funzionalmente autonomo e
fisicamente separato dalla struttura ospedaliera. E’
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caratterizzato dalle piccole dimensioni, dal basso
contenuto tecnologico e sanitario e dall’elevato contenuto
umano con interventi di sostegno psicologico, relazionale e
spirituale. Tali strutture dovranno di norma essere allocate
all’interno di strutture residenziali più ampie e complesse
• hospice intra-ospedaliero (hospital hospice), collocato
all’interno di una struttura ospedaliera e dotato di
autonomia funzionale; questo modello consente la
coesistenza di un’assistenza sanitaria avanzata e
specializzata nel trattamento dei sintomi che
accompagnano la fase terminale della malattia, con un
approccio alla sofferenza globale del paziente ricco di
contenuti umani. L’hospice intra-ospedaliero può essere
suddiviso in: sezione a degenza breve, con un maggior
contenuto sanitario destinato a brevi periodi di ricovero per
trattamenti non eseguibili a domicilio e come supporto alle
cure domiciliari o a quelle prestate attraverso gli hospice
extra-ospedalieri; sezioni a degenza media/lunga che è
simile all’hospice vero e proprio.
L’accoglienza nella struttura residenziale è vincolata alla
necessità di trattamenti che non richiedono un ricovero presso
l’unita oncologica ospedaliera e alla presenza di almeno una delle
seguenti condizioni:
• assenza o non idoneità della famiglia a prendersi cura del
paziente
• inadeguatezza della casa a trattamenti domiciliari
• impossibilità di controllare adeguatamente i sintomi a
domicilio.
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ASSISTENZA ALLA FAMIGLIA IN PREVISIONE DEL
LUTTO
Un ulteriore problema evocato dalla malattia terminale riguarda
l’elaborazione del lutto sia nel corso dell’assistenza quando i
segni della malattia sono tangibili al punto tale che la prospettiva
della morte e quindi della perdita della persona cara è presente
(lutto anticipatorio), che quando effettivamente il paziente viene
a mancare e la famiglia si trova a dover gestire la perdita.
E’ questo uno degli aspetti più sottovalutato e trascurato dalla
medicina e dagli interventi socio-assistenziali nonostante diverse
ricerche abbiano dimostrato la sostanziale vulnerabilità psichica e
fisica della persona di fronte al lutto. In tal senso appare
ragionevole prevedere che l’aiuto fornito durante una malattia
terminale non dovrà avere solo un momentaneo beneficio per il
paziente e i parenti stretti, ma creare le condizioni tali, da
permettere alla famiglia di poter successivamente affrontare il
lutto con una reazione meno gravosa.
Oggi dato il vuoto culturale nei confronti della morte e la perdita
dei significati del lutto, affinché vi sia un superamento positivo di
tale esperienze, si deve confidare nelle capacità psicologiche dei
superstiti e in una serie di coincidenze sociali fortuite:
• contesto familiare allargato o limitato ad un nucleo
ristretto
• contesto sociale che permette relazioni (come esempio un
area rurale rispetto ad un area urbana)
• presenza di interessi ed attività che possono aiutare e
spostare l’attenzione
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Per evitare che i familiari arrivino impreparati a questa fase si
devono operare nei loro confronti degli interventi di supporto atti
ad aiutarli prima, durante e dopo l’exitus.
COSA SIGNIFICA RICEVERE UNA DIAGNOSI DI
CANCRO
Il primo pensiero per chi riceve una diagnosi di cancro, anche in
caso di una prognosi buona, continua ancora oggi ad essere:
“Non mi rimane molto tempo da vivere". Questa idea è spesso
dettata più dalla paura che la malattia evoca che dalla realtà,
infatti in medicina esistono molte malattie che mettono a rischio
la vita, come ad esempio: l’infarto, l’ictus, le malattie
neurologiche degenerative; che tuttavia non spaventano così
tanto il paziente.
Questa visione negativa è spesso alimentata dai media che
definiscono il cancro come una malattia incurabile. In realtà l’
oncologia non è una disciplina della medicina disperata e senza
speranze, visto che dati statistici documentano la possibilità di
curare validamente una buona parte di tumori e di guarirne
definitivamente altri. Infatti, se diagnosticati agli stadi iniziali il
cancro del collo dell'utero, della tiroide, del testicolo, della
vescica, il linfoma di Hodgkin, alcuni tumori della pelle e alcune
forme di leucemia infantile possono essere curati con curve di
sopravvivenza, dopo 5 anni dalla diagnosi, molto elevate.
Un caso a parte è rappresentato dal cancro della mammella, nella
cura del quale, grazie alla prevenzione e alla diagnosi precoce, si
sono fatti negli ultimi anni importanti progressi. Infatti i tumori
alla mammella localizzati, di stadio I e II, hanno una
sopravvivenza del 90% dopo 5 anni dalla diagnosi.
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Tuttavia esistono anche tumori ad alta letalità come quelli: del
polmone, dell'esofago, dello stomaco, del pancreas, del fegato,
alcuni tumori cerebrali, che hanno una sopravvivenza piuttosto
bassa.
Possiamo comunque affermare che l'equivalenza “cancro =
morte” che il paziente elabora nella sua mente in realtà è
sbagliata, infatti non tutti i tumori hanno la stessa prognosi, essa
dipende da molti fattori: tipo di tumore, stadio (TNM), grado di
malignità, ma nonostante questa visione alquanto positiva,
rimane comunque una patologia che crea al paziente ed ai suoi
famigliari molti problemi.
Infatti la diagnosi di tumore scatena in entrambi una moltitudine
di interrogativi e paure che richiedono da parte di un medico
comprensivo ed esperto aiutato da personale infermieristico ben
preparato molta attenzione e dedizione.
Inoltre è da tener presente che secondo la classificazione di
Sinsheimer e Holland i pazienti si dividono in quattro categorie
psicologiche distinte in base all’atteggiamento che essi hanno di
fronte alla comunicazione dello stato di salute:
Tipo I: persona con mentalità tradizionale, la quale pensa che la
scelta della cura e dei piani assistenziali siano compiti
esclusivamente del personale sanitario; quindi essere informato
in dettaglio sarebbe come essere caricato di una responsabilità
non desiderata, e ciò aumenterebbe inutilmente la sua ansia e il
suo disagio.
Tipo II: persona abituata ai ruoli di responsabilità, la quale fa le
sue osservazioni e si documenta. In questo caso l’infermiere è
considerato l’interlocutore tecnico, un consigliere che rispetta le
decisioni del paziente.
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Tipo III: persona in preda al panico, la quale non è in grado di
partecipare alla sua condizione e non riesce a prendere nessuna
decisione in merito perché è presa dalla minaccia della malattia
che pende sulla sua vita. In queste una consulenza psicologica o
psichiatrica può favorire gradualmente una partecipazione alle
decisioni che lo riguardano.
Tipo IV: persona che riesce a controllare la propria ansia per cui
necessita di essere guidato perché è capace di accettare consigli e
di integrarli con le proprie preferenze.
PROBLEMI PSICOLOGICI DEL PAZIENTE
ONCOLOGICO
La malattia oncologica è una minaccia esistenziale che avrà
conseguenze sul ruolo lavorativo, sociale, familiare; inoltre potrà
provocare trasformazioni fisiche tali da costituire una crisi per il
paziente. Questa crisi può sfociare in una fase di shock o in una
fase di reazione. La fase di shock è immediatamente successiva
alla diagnosi, ed è vissuta in genere come una catastrofe di fronte
alla quale il paziente mette in atto meccanismi di difesa (come la
negazione) che lo portano a dilazionare il confronto diretto con
una realtà che non è pronto ad affrontare, è importante in questa
fase rispettare i suoi tempi e il suo stato d'animo senza forzarlo
ad affrontare la situazione; nella fase di reazione la realtà
s'impone attraverso le procedure mediche e i trattamenti
chemioterapici o radianti.
Infatti, l'impatto con la realtà suscita angoscia, rabbia,
disperazione, amarezza. Il paziente potrebbe mettere in atto
meccanismi difensivi quali la difesa maniacale (non sono mai
stato così bene), la regressione a comportamenti infantili, la
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proiezione (aggressività verso i medici e i propri cari a cui
attribuisce la causa della malattia), l’isolamento delle emozioni
dai fatti (parla della diagnosi con indifferenza). Sono questi
meccanismi che, in altri contesti, farebbero pensare ad una
struttura nevrotica o psicotica di personalità i cui livelli di ansia,
rabbia e depressione sono indici della normale reazione del
paziente nei confronti della malattia. Quando tali livelli sono
elevati e non proporzionali agli stimoli, con manifestazioni
ripetute e associate a reazioni interpersonali disturbate e ad una
sofferenza soggettiva evidente, siamo di fronte a una reazione
patologica del paziente nei confronti della malattia.
Di particolare interesse in ambito oncologico è l'emergere di
sindromi fobiche e ansiose, come nausea e vomito anticipatorio
causato da uno stato di condizionamento psico-fisiologico del
paziente agli effetti collaterali della chemioterapia tale che il
disturbo viene evocato al solo pensiero della stessa.
Tra le sindromi affettive si possono riscontrare: l'episodio
depressivo e la sindrome depressiva ricorrente e persistente,
come la distimia che porta dal punto di vista psicologico ad un
abbassamento del tono dell'umore e del livello dell’autostima con
idee di colpa, autoaggressività, disturbi del sonno, ansia e
angoscia.
Dal punto di vista biologico la situazione si complica poiché i
sintomi quali la perdita d'interessi, la riduzione della capacità di
provare piacere, il risveglio precoce, il peggioramento della
depressione (specie al mattino), il rallentamento o l'agitazione
psicomotoria, la perdita dell'appetito e di peso, la marcata
riduzione della libido, possono essere imputate tanto alla
sindrome depressiva quanto alla malattia cancerosa in sé stessa.
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Non sono rari nei pazienti neoplastici stati confusionali e
delirium conseguenti alla somministrazione di chemioterapici, o
demenza con conseguente alterazione delle funzioni della
memoria (calcolo, apprendimento, capacità critica, giudizio e
linguaggio) in assenza di alterazioni della coscienza.
Di particolare rilevanza sono i problemi inerenti alla sessualità
nei pazienti con carcinoma prostatico, comprendenti disturbi del
desiderio, dell’eccitamento sessuale e dell' orgasmo. In questi
pazienti la neoplasia può interferire con la risposta sessuale e con
la capacità riproduttiva perché va ad alterare l'apparato genitale,
neurologico, vascolare e ormonale; a cui si aggiunge spesso,
dolore, malessere generale e astenia.
Possono insorgere preoccupazioni relative allo svolgimento
dell'attività sessuale in seguito a modificazioni dell’apparato
genitale conseguenti a interventi demolitivi, ripresa della
malattia, possibilità di contagio, perdita della fertilità. A livello
di coppia i problemi possono insorgere a seguito dei cambiamenti
dei ruoli o della risposta emozionale e sessuale del partner verso
la condizione del paziente. Tutto questo può essere correlato
all’ansia e alla depressione.
Tra i vari problemi psicologici che affliggono il paziente
neoplastico, tre sono particolarmente difficile da gestire: la
mancanza di iniziativa; la perdita del controllo (economico e
personale) del presente e del futuro; la paura del dolore e di
eventuali mutilazioni. Infatti, accettata l’ipotesi secondo cui
l’evoluzione della malattia sia influenzata dalla personalità del
soggetto, dalla sua resistenza psichica e dalla rassegnazione che
ne consegue; vediamo che ogni individuo ha una propria,
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specifica reazione fisica e psicologica di fronte alla malattia, in
quando costituisce un’unità psico-somatica unica e irripetibile.
Nel passaggio dallo stato di salute a quello di malattia vengono
interessate le tre dimensioni dell' esistenza umana: quella fisica,
quella psichica e quella sociale. Infatti l'insorgere di una grave
malattia rompe l'equilibrio dell'unità mente-corpo, per cui il
paziente tende a percepire il proprio corpo come fonte di
sofferenza e di insicurezza.
L'incertezza dell'attesa di una diagnosi di cancro e la conseguente
attuazione del programma terapeutico comportano mutamenti
nell'identità del paziente che incidono in modo rilevante sulla sua
vita e su quella della sua famiglia. Le terapie a cui deve
sottoporsi modificano il ritmo di vita, producendo cambiamenti
che possono creargli confusione e squilibrio sia a livello interiore
che a livello relazionale.
Questi aspetti possono assumere una dimensione rilevante per i
pazienti con una neoplasia per la quale sia necessaria una terapia
chirurgica demolitiva (tumore della mammella, tumore del colon-
retto, tumore del distretti cervico cefalico), perchè sono costretti
a rivedere la relazione che hanno con il proprio corpo che, a
seguito dell’intervento chirurgico, subisce delle modificazioni
permanenti di aspetto, di funzione e di rapporto con il mondo
esterno. Tutto ciò può avere delle ripercussioni sulla propria
identità emozionale, lavorativa, famigliare e sociale.
Ansia, depressione, irritabilità e rabbia sono reazioni comuni nei
malati di cancro e sono comportamenti di una normale risposta
dell'individuo all'esperienza che sta vivendo. La manifestazione
di queste emozioni oltre ad avere un significato di adattamento
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alla realtà da parte della persona ammalata, gli permette anche di
liberare tensioni interne e malesseri non altrimenti gestibili.
Gli stati di disagio possono essere ricorrenti e intensi e possono
compromettere la compliance del paziente, innescando una
reazione emotiva che può svilupparsi verso se stessi e/o verso gli
altri generando atteggiamenti di instabilità interna e relazionale.
L’instabilità interna può manifestarsi con stati di angoscia,
vergogna, colpa e raggiungere comportamenti autopunitivi di
rifiuto delle cure, di negazione della realtà e della malattia o
evidenziare rassegnazione e passività.
L’instabilità relazionale si rivela con la tendenza all'isolamento
sociale, il rifiuto a comunicare con gli altri, l'interruzione delle
attività lavorative e l'insorgenza di problemi di coppia, familiari e
sessuali.
REAZIONI PSICOLOGICHE DEL PAZIENTE
ONCOLOGICO
Esistono molti fattori che concorrono a determinare le reazioni
psicologiche di una persona di fronte alla diagnosi di cancro:
Fattori generali
• età
• sesso
Fattori psico-sociali
• personalità
• grado di informazione del paziente circa la sua malattia
• ‘status quo’ con cui inizia l’iter della malattia
• condizioni sociali e livello culturale
• ambiente familiare
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• rapporti con persone “significative” per il paziente
Fattori medici
• tipo, sede e grado di malignità del tumore
• prognosi (sopravvivenza a breve, medio, lungo termine)
• decorso (presenza o meno di complicanze, dolori, ecc.)
• trattamenti terapeutici (chirurgici, chemioterapici, ecc.)
Fattori assistenziali
• rapporto medico-paziente
• network assistenziale (medici, infermieri, psicologi)
• strutture logistiche assistenziali (casa, ospedale, DH, ecc.)
A questo si aggiunge che una patologia così particolare mette a
dura prova le capacità adattative del portatore, per cui né
scaturisce che alcuni pazienti sembrano adattarsi meglio degli
altri alla malattia. Nonostante la specificità della reazione
individuale, è possibile identificare delle risposte adattative
statisticamente più frequenti, in relazione all’andamento
clinico della malattia. Ecco perché risulta opportuno esaminare le
reazioni psicologiche del paziente in rapporto alle diverse fasi
della malattia:
1)Fase precedente alla diagnosi (o fase del dubbio): comprende
l’arco di tempo che intercorre tra la rilevazione soggettiva dei
sintomi premonitori da parte del paziente e quella della
comunicazione di una diagnosi da parte del medico.
A causa degli approfondimenti diagnostici e delle comunicazioni
infraverbali, il paziente intuisce di avere qualcosa di grave e
viene colto da una forte ansia. Quando il sospetto si palesa in
qualcosa di probabile, scattano nel paziente, meccanismi di
difesa connessi alla paura e all’angoscia per la morte.
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Un fenomeno abbastanza diffuso in questa fase è il cosiddetto
“ritardo diagnostico”, infatti molti pazienti al posto di recarsi
subito dal medico alla scoperta dei primi sintomi, ritardano la
visita.
2)Fase diagnostica: la formulazione di una diagnosi e l’eventuale
comunicazione è uno dei momenti più difficile per l’equipe
assistenziale, il paziente e la famiglia perchè genera ansia in
quanto viene vissuta come una sentenza liberatoria o di
condanna.
Generalmente la diagnosi viene data ai familiari e non
direttamente al paziente. Inizia così un “gioco”, in cui i membri
della famiglia, da una parte, cercano di creare un’alleanza e una
complicità con l’equipe assistenziale all’insaputa del paziente;
questo, dall’altra parte, cerca di scoprire la verità ed entrambi si
nascondono reciprocamente le notizie che sono riuscite ad
ottenere. D’altra parte, per molti pazienti essere informati della
realtà diagnostica direttamente può significare che il medico ha
fiducia in loro, anche se nella maggior parte dei casi la verità
genera sempre un intenso stato di angoscia.
Di fronte a una realtà così angosciante, spesso l’individuo pone
in atto, anche se inconsciamente, delle strategie che tendono a
proteggere il suo equilibrio e che gli consentono di attudire
gradualmente l’evento traumatico.
Uno dei meccanismi di difesa dei pazienti oncologici in questa
fase è una sorte di negazione della realtà che tende a scomparire
nel giro di qualche giorno per essere sostituita da altre strategie
difensive che consentono la progressiva accettazione della realtà
che stanno vivendo.
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Al termine di questa fase di negazione si assiste frequentemente a
brusche e ingiustificate reazioni di collera che sottendono penosi
interrogativi (es. perché proprio a me) che poi sfociano in una
marcata depressione, sottesa dall’angosciosa paura di morire.
Accanto a questo tema cardine della depressione, si collocano
altre paure legate ad ulteriori perdite (reali o presunte) che
l’individuo dovrà subire (perdita della propria identità, degli
affetti, del lavoro, ecc.) durante l’iter terapeutico.
Insonnia, anoressia, perdita dei normali interessi, incapacità di
concentrazione sono parte integrante della reazione depressiva
che può trasformarsi in un quadro pisicologico caratterizzato da
manifestazioni autolesive che possono portare, nella fase
avanzata della malattia, al suicidio.
Nelle persone che ben si adattano, il superamento dello shock
diagnostico avviene con lo sviluppo di una sorte di alleanza
terapeutica con l’equipe assistenziale e con la programmazione
del trattamento terapeutico stesso, poiché quest’ultimo implica
una speranza di guarigione, per cui il paziente è fortemente
motivato ad affrontare tutti i disagi ad esso correlati.
Accanto a questa reazione, definita “normale”, c’è tutta una vasta
gamma di reazioni disadattative che vanno dal rifiuto di ogni
forma di assistenza ad una affannosa ricerca di una diagnosi
meno angosciante e ad una irrazionale fiducia in ciarlatani e
santoni. Naturalmente è sottointeso che la reazione del malato è
determinata anche dal modo in cui viene data la comunicazione
della diagnosi e del programma terapeutico.
3)Fase terapeutica: le tre forme di intervento terapeutiche più
usate (chirurgica, radioterapica e chemioterapica) comportano
specifiche reazioni psicologiche per il paziente, a cui bisogna
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aggiungere quelle conseguenti all’ospedalizzazione in se stessa
(come la separazione dalla famiglia, dal proprio ambiente, dal
proprio ruolo) che vanno a rafforzare l’ansia e la depressione.
E’ da tener presente che al paziente giova molto essere informato
circa la malattia, la terapia, i modi di somministrazione, la sua
finalità, ed eventuali effetti collaterali; infatti questo lo rendono
meno ansioso e più collaborante.
Per quanto riguarda la terapia chirurgica, bisogna tener presente
che il paziente, nei confronti dell’intervento, di solito ha un
atteggiamento ambivalente perché se da un lato lo considera
come il fulcro della speranza, dall’altro lo considera pericoloso e
mutilante. Infatti nella fase pre-operatoria per proteggere
l’equilibrio psicologico del paziente, entrano automaticamente in
atto strategie difensive, in particolare la razionalizzazione che
giustifica l’utilità dell’intervento e ne sottolinea la funzione
positiva (es. devo vivere perché ho ancora i figli da crescere).
Nella fase post-operatoria invece tende ad emergere l’aspetto
mutilante dell’intervento, infatti il paziente è costretto a prendere
atto dell’effettiva entità della menomazione subita e in che
misura intacca il suo aspetto esteriore. La perdita di una parte del
proprio corpo porta a un successivo crollo dell’autostima che lo
fanno precipitare in una profonda crisi che intacca l’equilibrio
preesistente alla malattia e all’intervento. Per questo bisogna
porre in atto tutte quelle strategie che possono aiutare il paziente
ad accettare la perdita subita e reinvestire al massimo sulla
normalità residua, in modo da poter collaborare attivamente al
rimanente programma terapeutico al fine di giungere al recupero
di una vita il più normale possibile.
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Purtroppo spesso avviene un blocco con il sopraggiungere di una
depressione reattiva sostenuta dal timore che le recidive e/o le
metastasi fanno si che la malattia diventi persistente e invasiva.
Di conseguenza l’individuo tende progressivamente ad
autoisolarsi e a restringere l’ambito dei suoi interessi; questo si
ripercuote negativamente sulle aree più significative della sua
esistenza (famiglia, lavoro, sesso, ecc.).
I fattori che possono aiutare il paziente ad avvicinarsi
all’intervento con maggior serenità sono: una adeguata
informazione pre-oparatoria, un rapporto di fiducia con il
chirurgo, tempi di attesa non troppo lunghi, l’incontro con
persone che hanno già subito e positivamente superato, anche sul
piano psicologico e sociale, un intervento simile (a tale scopo in
molte nazioni si sono costituiti associazioni e comitati).
Nel caso di interventi che compromettono l’integrità sessuale,
sembra utile il coinvolgimento del partner già nella fase pre-
operatoria, visto che anche per lui è necessario un certo periodo
per elaborare la nuova situazione e per adattarsi ad essa.
Per quando riguarda la radioterapia, è da tener presente che il
trattamento scatena nel paziente reazioni ansiose e depressive
prima e dopo il ciclo. Per attenuare questo stato ansioso è
opportuno spiegare al paziente il tipo di terapia, le modalità delle
applicazioni e gli eventuali effetti collaterali che essa comporta,
soffermandosi sul fatto che essi sono temporanei e in buona parte
controllabili.
Per quando riguarda la chemioterapia vale lo stesso discorso
rassicurativo della radioterapia, infatti una buona informazione e
un buon rapporto con l’oncologo sono la premessa indispensabile
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per sgombrare il campo da interpretazioni errate o parziali e per
affrontare le difficoltà e i disagi che la terapia stessa comporta.
Un altro aspetto della chemioterapia da non sottovalutare per le
sue ripercussioni psicologiche è l’uso sperimentale dei farmaci;
per questo è importante la richiesta del consenso scritto da parte
del paziente e la convinzione che il medico deve trasmettergli
che il nuovo farmaco, anche se non completamente sperimentato,
ha delle buone probabilità di essere efficace (in modo da non
farlo sentire una cavia). Non è infrequente che il malato accetti di
sottoporsi ad un trattamento sperimentale nella speranza che tutto
ciò che si acquisisce, anche se non gioverà a lui direttamente,
potrà essere utile a qualcuno altro.
4)Fase della remissione e della guarigione: quando la terapia da
risultati positivi, il paziente diventa più ottimista e meno
angosciato circa il suo futuro, anche se deve ancora affrontare i
disagi della terapia a cui è sottoposto; egli si sente incoraggiato
per essere riuscito a superare i momenti più critici della malattia.
La fase della remissione rappresenta dopo lo shock iniziale la
fase nella quale si accendono speranze di guarigione e si
allontana lo spettro della morte. E’ a questo punto che la
riabilitazione fisica e psicologica ha un’enorme importanza,
anche se permane la necessità per il paziente di verificare se è
realmente guarito. Infatti l’ansia relativa a possibili recidive o a
metastasi, che aumenta fortemente ad ogni check up, tende a
decrescere con il passare degli anni ma non a scomparire
totalmente.
5)Fase della progressione della malattia: la comparsa di recidive
o di metastasi portano di nuovo il paziente all’iniziale sconforto
perché, percependo il fallimento della terapia, si riapre in lui quel
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senso di ingiustizia, di impotenza e di perdita di controllo della
situazione.
La decadenza fisica, il dolore, l’incapacità a svolgere i propri
compiti familiari e lavorativi, l’impotenza a combattere la
malattia (che progredisce in modo incontrollabile) concorrono a
rafforzare lo stato depressivo che si era instaurato. Le reazioni
psicologiche scatenate da questi problemi se affrontate con
l’aiuto di personale comprensivo ed esperto possono essere
meno eclatanti così da ottenere un progressivo adattamento.
Infatti alcuni soggetti portatori di neoplasie incurabili riescono ad
adattarsi alla nuova situazione e a riorganizzare la propria vita.
6)Fase terminale: in questa fase il paziente diventa, solitamente,
incapace di autonomia ed appare sempre più debole, magro e
sofferente, per cui non ha più bisogno di essere incoraggiato o
rassicurato, ma gli giova essere aiutato ad esternare tutto il suo
dolore e a distaccarsi gradualmente dalle persone a lui care. E’
attraverso un rapporto empatico che l’infermiere istaura col
paziente, che questo, si sentirà meno abbandonato alla sua
solitudine e alla sua sofferenza. Secondo E. K. Ross le reazioni
psicologiche del paziente in fase terminale sono le seguenti:
• Fase I, per il soggetto non è possibile accettare ciò che è stato
detto, entrano quindi in azione meccanismi di difesa, di rifiuto
e di negazione. Il paziente non vuole vedere, non vuole
sentire, non vuole pensare, ma può dimenticare o convincersi
di un errore. In questa fase è importante che l’infermiere non
lo contraddica e non gli neghi i propri progetti anche se sono
di rifiuto della realtà
• Fase II, “perché proprio a me?” è la fase in cui il soggetto ha
un senso di perdita per il futuro che non è più quello sperato.
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Il paziente è in collera, aggressivo, rivendicativo, prova
invidia, rabbia e risentimento verso l’esterno, per le persone
sane, attribuendosi colpe e responsabilità.
• Fase III, in questa fase il paziente cerca dei compromessi con
la vita, con Dio, con il destino, si sente in balìa di un genitore
onnipotente che ha il potere di salvarlo. Le sue preghiere sono
anche un tentativo di fuga dalla realtà e dalla malattia.
• Fase IV, è la fase in cui il paziente avverte un forte dolore
psichico, si trova in uno stato di depressione: esiste una
depressione reattiva dove l’ammalato non può più nascondersi
la verità sulle sue reali condizioni a causa dell’aggravarsi dei
sintomi; il soggetto vive dei grandi cambiamenti relativi alla
sua immagine, alla perdita dell’autonomia, dell’identità, del
ruolo sociale e familiare. Esiste anche una depressione
preparatoria in cui il paziente si avvia all’accettazione della
morte e del suo destino; si sente inutile, come peso per i
parenti e completamente impotente. In questo periodo
particolare è molto utile per lui un più serrato rapporto umano
soprattutto per ridurre i numerosi e profondi sensi di colpa che
accompagnano la sua depressione.
• Fase V, il paziente tende ad accettare la situazione, ciò non
significa assenza di sofferenza, ma una sorte di vuoto di
sentimenti in cui il dolore viene sostituito da silenzi profondi.
L’accettazione della morte non equivale ad assenza di
sofferenza fisica o psichica, ma piuttosto ad avere con essa un
rapporto ricco di significativi. In questa fase, in genere, il
paziente desidera avere vicino solo le persone a lui più care.
E’ importante ricordare che le cinque fasi che sono state indicate
non sono da considerarsi in sequenza cronologica e ordinata, in
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quanto queste possono avere una durata variabile e si possono
addirittura sovrapporre in tutto o in parte ed evolvere in forme
spesso differenziate.
ASPETTI PSICOLOGICI E RELAZIONALI FRA
L’INFERMIERE, IL PAZIENTE E LA FAMIGLIA
Di fronte ai problemi e alle reazioni psicologiche che affliggono
il paziente oncologico la psicologia può offrire il suo contributo
analizzando le possibili interazioni tra gli stati mentali dei
soggetti (equipe assistenziale, paziente e familiari) e le possibili
patologie sul loro nascere e sul loro divenire, seconda una
prospettiva trattamentale atta ad accompagnare il paziente e le
persone che lo circondano in un percorso doloroso e intriso di
cambiamenti.
Il trattamento comprende diversi modelli di intervento psico-
terapeutico:
• incoraggiare il paziente a verbalizzare i pensieri e i
sentimenti negativi relativi alla propria malattia
• chiarire l'influenza di eventuali esperienze precedenti sulla
reazione attuale del paziente di fronte alla diagnosi di
cancro
• valutare il peso psichico aggiuntivo e la necessità di
trattare le situazioni stressanti concomitanti ed
indipendenti dalla malattia (ad esempio licenziamenti)
• aiutare il paziente ad affrontare l'incertezza del futuro e le
tematiche esistenziali generalmente associate alla diagnosi
di neoplasia maligna
• chiarire ed interpretare comportamenti ed emozioni
disadattive relative al cancro
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• favorire la comunicazione tra i membri della famiglia
• aiutare il paziente e i familiari a trovare soluzioni
alternative ai problemi pratici posti dalla malattia e dal
trattamento.
Considerando la famiglia come un "organismo" dotato di una
propria omeostasi, bisogna guardare la neoplasia con un’ottica
diversa della "semplice" malattia fisica del paziente, perché
questa è anche la causa della rottura di quei legami e quei
rapporti familiari che prima erano stabili. Per cui anche la
famiglia, come il paziente, sperimenta nel corso della malattia
tutta una serie di emozioni (paura, rabbia, ansia, impotenza,
depressione) che sono del tutto normali e comprensibili.
L’intensità di queste emozioni assume spesso un valore negativo
agli occhi dei familiari spingendoli a reprimere, negare,
anestetizzare le proprie e le altrui emozioni; questo controllo
emozionale si traduce, spesso, in un incremento del reciproco
senso di solitudine che porta all’aumento della distanza emotiva
all’interno della famiglia stessa.
La famiglia può andare incontro ad un ipercoinvolgimento, in
questo caso tende ad essere iperprotettiva e invadente nei
confronti del malato e dello staff assistenziale; o a mostrare
scarsa partecipazione e disinteresse dei problemi del congiunto
malato. Una struttura famigliare ottimale dovrebbe presentare
delle caratteristiche di coesione ed intimità, espressione aperta
alle emozioni, mancanza di conflitti importanti; ciò che crea, nel
corso della sua esperienza, una propria convinzione e modalità di
risposta agli eventi e quindi determina la storia della famiglia
stessa. La situazione è più complicata se la storia familiare è
costellata da lutti per cancro, poiché risulterà più difficile la
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gestione delle problematiche e dei cambiamenti legati alla
malattia stessa. Naturalmente, le variabili culturali (popolazione
d'origine, costumi, tradizioni e religione) influenzano lo stile
comunicativo all'interno della famiglia, l'adattamento alla
malattia, la relazione con lo staff e con le istituzioni.
Il supporto che il paziente e i familiari ricevono dalle strutture
oncologiche e dai servizi sanitari rappresenta una variabile
importante nel rapporto tra staff, paziente e famiglia al punto tale
che va ad influenzare il significato affettivo, informativo e
pratico che assume la relazione che intercorre tra essi.
Spesso, le strutture sanitarie pongono poca attenzione alla
famiglia del paziente che viene posta su un secondo piano perchè
considerata come ostacolo al trattamento; dal canto suo, questa
non si rassegna al fatto di doversi tenere in disparte mentre la
struttura si prende in pieno carico il congiunto. Per cui entrano in
conflitto.
Altre volte, l'operatore tenda a dare informazioni chiare ai
familiari raccomandando di non far sapere troppo al paziente, per
questo l’incontro avviene, spesso, in maniera segreta quasi a
definire un campo neutro. In questo modo, il paziente può
fraintendere i messaggi che riceve al punto tale di sentirsi
ingannato, incompreso dallo staff e dai familiari con uno scarso
grado di controllo degli eventi e di collaborazione.
Successivamente, nella fase terminale della malattia, la famiglia
assume un ruolo marginale dal momento che deve limitarsi ad
attendere solo l'evento finale senza poter far nulla. Per cui il
coinvolgimento della famiglia dovrebbe basarsi sul presupposto
che essa rappresenta, in questa occasione, un potente strumento
"terapeutico" se opportunamente aiutata a superare le difficoltà
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che si presentano senza essere abbandonata a sé stessa. Infatti, il
confronto con più figure sanitarie (oncologi, infermieri,
chirurghi) può aumentare, nei familiari, la sensazione di essere
avvolti in un sistema a rete che li protegge e li sostiene in questa
battaglia “già persa”.
Tenendo presente questi aspetti, l’intervento dell’infermiere può
concretizzarsi nella possibilità di offrire al paziente e alla
famiglia:
• sostegno e valorizzazione alle risorse familiari
• contenimento delle sofferenze e dello stress intrapersonale
e interpersonale
• creazione di uno spazio di comunicazione tra familiari e
l’equipe, e tra i familiari e il paziente
• ascolto e informazioni rispetto alle decisioni da prendere
in ordine ai diversi problemi che si presentano durante
tutto l’iter della malattia
• Preparazione e aiuto nella fase dell’elaborazione del lutto
Uno dei compiti più difficili per l'operatore è mantenere un punto
di vista esterno in modo da potersi rendere conto delle reazioni
della famiglia e dello staff stesso rispetto alla malattia e al
malato. A tale scopo è determinante che lo staff sia integrato e
multifunzionale.
E' importante definire in maniera chiara i modi di comunicare col
paziente e con l'intera famiglia, identificando all'interno di questa
ultima una figura chiave con cui si "intermedierà" l'approccio
terapeutico, le procedure d'intervento (suddividendole secondo
criteri e modalità tecniche) e tutto quanto interesserà il paziente e
la malattia. Quindi l’equipe assistenziale deve:
• Informare chiaramente i pazienti e i familiari
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• Identificare figure a cui ci si possa rivolgere per domande e
chiarimenti
• Coinvolgere la famiglia nella cura del paziente
• Essere realista differenziando desideri e speranze
• Preparare i familiari a realizzare la perdita in caso di
diagnosi maligna e, ad identificare i sentimenti ed
esprimerli
• Abituare i familiari a vivere senza il congiunto in modo da
evitare che si chiudono in sé stessi
• Interpretare i comportamenti del familiare, di fronte alla
malattia, come reazione normale
• Far comprendere alla famiglia che ciascuno reagisce a
modo proprio di fronte alla malattia
• Supportare tutti in maniera continuata
• Valutare i meccanismi difensivi dei familiari
• Identificare eventuali problemi e disturbi conseguenti al
lutto.
L’EQUIPE ASSISTENZIALE DIFRONTE AL TEMA
“MORTE”
Il confronto con il tema della morte è un'esperienza centrale per
chi lavora in oncologia, questo contribuisce a far sì che gli
operatori sanitari (compresi gli infermieri) siano soggetti a
rischio di una particolare forma di stress lavorativo, burn out,
tipica delle cosiddette professioni di aiuto. Ciò deriva dal fatto
che spesso risulta particolarmente penoso per il personale
sanitario:
• comunicare una diagnosi di cancro
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• assistere i pazienti durante l’iter terapeutico o in fase
terminale
• aiutare i familiari ad essere di supporto per il paziente
• confrontarsi con le trasformazioni e il deterioramento
psico-fisico di chi si è conosciuto prima che la malattia
intaccasse la sua totale integrità.
Comportamenti quali risposte evasive alla richiesta di dialogo da
parte del paziente, bugie palesi sulla diagnosi, freddezza e
cinismo nella relazione possono manifestare il desiderio di
difendersi dal rischio di una immedesimazione con i problemi del
paziente stesso; va poi sottolineato come i soggetti più giovani
riferiscano di sentirsi maggiormente colpiti dal problema della
malattia terminale, esprimendo nel complesso una maggiore
difficoltà nel gestire il contatto con un paziente destinato a
morire.
Ciò sottolinea la necessità di riconsiderare seriamente il
problema della formazione dei medici e degli infermieri e la
creazione di strumenti di supporto per il personale più giovane,
anche perché indagini recenti hanno evidenziato che le domande
più frequenti di formazione attuate dal personale curante
riguardano una richiesta di aiuto personale per poter rapportarsi
con il paziente nei momenti critici quali la comunicazione della
diagnosi di cancro, della fase terminale; e ai familiari la
prospettiva del lutto.
Per questi motivi, oggi, nei corsi di laurea e di specializzazione
sanitarie vengono trattati anche gli aspetti psicologici nella cura
delle malattie terminali, per dare agli operatori sanitari una
conoscenza generale della dinamica psicologica ed una capacità
di gestire le relazioni con questi pazienti e con i loro familiari.
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Da ricordare che grandi passi in merito sono stati fatti dal 1965 in
poi, quando la psichiatra Kubler-Ross cercò di organizzare il
primo seminario sulla morte e sull’esperienza del morire rivolto
ai medici, allora parve una proposta "sconcertante"; Oggi invece
è ampiamente riconosciuto il bisogno di training specifici e di
conoscenze psicologiche di base per chi lavora con pazienti
malati di cancro, e vari autori hanno sottolineato come la
mancanza di una formazione psicologica adeguata possa indurre
il personale sanitario a reazioni difensive nell'impatto con il
malato e con i familiari.
Va sottolineato che questi training, non hanno l’obiettivo di far
diventare psicologi gli oncologi o gli infermieri ma di fornire
loro un aiuto concreto, di cui anche il paziente trarrà benefici.
Quindi sullo staff che lavora in ambito oncologico si può
intervenire con:
• Criteri di selezione del personale
• Training formativi in psico-oncologia
• Interventi formativi per medici ed infermieri (seminari,
workshop, gruppi di supporto).
I possibili criteri di selezione del personale in oncologia
riguardano procedure utilizzate in altri settori, anche se
generalmente non è prevista nel campo della sanità per molteplici
cause:
• Abilità cognitive interpersonali (saper percepire il punto di
vista altrui, empatia, cordialità) e capacità tecniche
• Una personalità che favorisca l'adattamento di fronte a
situazioni stressanti di lavoro (alta affidabilità con
impegno e senso di responsabilità il lavoro)
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• Buon sistema di supporto sociale (relazioni sociali valide,
interessi vari)
• Buon adattamento nei confronti di esperienze precedenti in
cui si è già avuto a che fare con la morte.
CONCLUSIONI
Le ultime riforme sanitarie sono ispirate da principi quali il
rispetto della dignità della persona, la soddisfazione del bisogno
di salute, l'equità dell'accesso alla cura, l'appropriatezza delle
prestazioni, l'economicità nell'impiego delle risorse.
Questi principi si concretizzano in una serie di obiettivi:
• volontà di apportare un miglioramento alla salute,
• fornire un'assistenza sanitaria a tutti i cittadini in base al
bisogno,
• garantire il miglioramento continuo della qualità dell'
assistenza sanitaria,
• assicurare la finalizzazione dell'assistenza ai bisogni,
• una maggiore efficienza nell'impiego delle risorse per far
fronte ai bisogni crescenti.
Le strategie utilizzate per raggiungere questi obiettivi sono di:
controllo della domanda e dei costi; aumento della qualità, dell'
efficienza e dell' efficacia delle prestazioni.
Questi Principi, obiettivi e strategie richiedono da parte delle
organizzazioni sanitarie e dell’equipe assistenziale una profonda
innovazione. Lo stesso Infermiere per adeguarsi a quanto sopra e
per offrire un'assistenza individualizzata al paziente, specie
quello oncologico, deve riesaminare il proprio approccio
assistenziale, trasformando il suo lavoro in un nursing autonomo
basato sui bisogni del malato, perché solo in questo modo può
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superare il suo ruolo tradizionale (legato alla dipendenza del
medico) ed avere una maggiore responsabilità, autonomia e
controllo gestionale ed organizzativo. Quello di cui ha bisogno
questa figura professionale in quanto sicura di poter offrire
un’assistenza migliore grazie al proprio grado di cultura che gli
ha permesso di assumere un ruolo più attivo, più autonomo e
indipendente.
Quindi possiamo affermare che il progresso in campo
tecnologico e scientifico, oltre a promuovere un salto qualitativo
in tutti i settori della medicina, ha messo in evidenza
l’importanza del ruolo che l’infermiere riveste nella cura del
paziente, questa importanza emerge in modo particolare anche
perché, spesso i ruoli del medico e dell’infermiere finiscono per
integrarsi in modo tale da pregiudicare sulla rapidità, efficacia e
efficienza dell’intervento.
Da ricordare, inoltre, l’importanza della presa in carico di una
persona malata a cui è legata in maniera imprescindibile
l’educazione sanitaria che è uno strumento terapeutico specifico
che richiede un’accurata preparazione dell’educatore, sia esso
medico o infermiere, per cui i programmi di formazione del
personale dovrebbero mirare a identificare e migliorare queste
qualità, anziché trasmettere solo informazioni di tipo scientifico.
L’educazione del paziente dovrebbe essere inclusa come materia
fondamentale nei corsi di laurea per medici e infermieri, visto
che la grande maggioranza di questi termina gli studi senza mai
aver sentito parlare di ascolto attivo, di comunicazione efficace,
di atteggiamento empatico e dei fattori psico-sociali che possono
influenzare il paziente.
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Concludendo, al fine di apportare miglioramenti e adeguamenti
all’assistenza infermieristica, specie quella riguardando il
paziente oncologico, non devono sussistere remore a confrontarci
con altre realtà e, a modificare gli aspetti organizzativi, le
modalità assistenziali e gli atteggiamenti culturali, al fine di
delineare nuovi modelli assistenziali in grado di migliorare
veramente la qualità di vita di questi pazienti e delle loro
famiglie.
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70
BIBLIOGRAFIA
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Manipolazione in Sicurezza dei Farmaci Chemioterapici
Antiblastici, www.rionordest.it, 2005;
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72
INDICE
� Introduzione……...………………………………...pag. 3
� Definizione.………………………………………..pag. 4
� Genetica ed Eziologia dei Tumori………………....pag. 6
� Screening oncologico……………………………....pag. 8
� Effetti sistemici delle neoplasie…………………....pag. 10
� Terapia oncologica………………………………...pag. 11
� Come gli Infermieri possono aiutare i Pazienti
oncologici…………..……………………………...pag. 15
� La Chemioterapia………………………………….pag. 18
� Effetti collaterali della chemioterapia………..........pag. 21
� Manipolazione in sicurezza dei farmaci
antiproliferativi……………………………….........pag. 31
� Le Cure Palliative……………………………........pag. 34
� Dipartimento oncologico…………………….........pag. 35
� Assistenza oncologica domiciliare………………..pag. 36
� Day Hospital oncologico…………………….........pag. 40
� I centri residenziali per le cure palliative
(gli Hospice)……………………………………....pag. 42
� Assistenza alla famiglia in previsione del lutto…...pag. 44
� Cosa significa ricevere una diagnosi di cancro…...pag. 45
� Problemi psicologici del paziente oncologico…….pag. 47
� Reazioni Psicologiche del paziente oncologico…..pag. 51
� Aspetti psicologici e relazionali fra l’infermiere,
il paziente e la famiglia……………………….......pag. 60
� L’equipe assistenziale di fronte al tema “morte”…pag. 64
� Conclusioni……………………………………….pag. 67
� Bibliografia……………………………………….pag. 70
� Indice………………………………………….......pag. 72